Le guerre Sioux – 2
A cura di Pietro Costantini
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Mappa 3. La rivolta dei Sioux del Minnesota – agosto 1862
Nel 1862 i Santee Sioux (detti anche Dakota) avevano abbandonato i loro territori tradizionali, che comprendevano la maggior parte del Minnesota meridionale, in cambio di una riserva di dimensioni inferiori sulla riva sud del fiume Minnesota. In cambio della cessione delle loro terre, i Sioux dovevano ricevere una rendita annuale e provviste che li avrebbero messi in grado di vivere senza le risorse dei loro tradizionali territori di caccia. Tuttavia, a causa di ritardi burocratici, nell’estate del 1862 non erano arrivati né il denaro né le provviste.
Il cattivo raccolto dell’anno precedente aveva reso il ritardo nella consegna degli alimenti particolarmente angosciante per gli Indiani. Gli sconfinamenti dei coloni nelle terre della riserva e le pratiche non chiare di molti commercianti americani contribuirono ad alimentare i sospetti e il rancore dei Sioux. Inoltre i Sioux furono incoraggiati dalla relativa debolezza degli abitanti del Minnesota, causata dalla partenza di molti giovani, arruolati per la Guerra Civile. Questa combinazione di fame, odio, e la percezione della debolezza dei coloni e dei militari del Minnesota, crearono una situazione esplosiva.
L’ agente indiano, Thomas Galbraith, dapprima richiese l’intervento dell’esercito, che però solidarizzò con i Nativi, e poi, nella speranza di ottenere rifornimenti a credito, si rivolse ai commercianti e chiese loro che cosa intendevano fare. Il commerciante Andrew Mirick dichiarò sprezzantemente: «Per quanto mi riguarda, se sono affamati, possono anche mangiare l’erba». Il 16 agosto i pagamenti destinati ai Dakota arrivarono a Saint Paul e il giorno seguente vennero spediti a Fort Ridgely. Giunsero però troppo tardi per evitare lo scoppio delle tensioni: infatti, il 17 agosto 1862 quattro giovani Wahpeton ( Dakota si dividevano in 4 gruppi: Mdewakanton, Wahpekute, Sisseton e Wahpeton) rubarono le uova ad alcuni coloni di Acton e poi li uccisero. Piccolo Corvo, che nel frattempo si era convertito al cristianesimo e manteneva atteggiamenti fortemente pacifisti, convocò allora un consiglio di guerra e, visti vani i tentativi di continuare a propugnare la pace, si lasciò indurre ad assumere egli stesso la guida del suo popolo nella guerra contro i bianchi e, l’indomani, capeggiò quindi un attacco contro l’Agenzia Sioux inferiore (Lower Sioux Agency).
La rivolta dei Siuox del 1862
L’edificio fu dato alle fiamme e Andrew Myrick, che si trovava in quel luogo, venne catturato e ucciso. Il suo cadavere fu in seguito trovato con la bocca riempita d’erba. La milizia del Minnesota, e in particolare la Compagnia B del 5º Reggimento di fanteria, di 47 uomini, vennero immediatamente inviate in soccorso all’Agenzia, ma furono sbaragliate quello stesso giorno nella battaglia di Redwood Ferry. Solo 24 soldati riuscirono a ritornare a Fort Ridgely. La rivolta si estese alle tribù del Minnesota settentrionale – Wahpeton e Sisseton – ma alcuni capi convertiti al cristianesimo riuscirono a tenere la popolazione della riserva al di fuori del conflitto. Centinaia di guerrieri però aderirono egualmente alla lotta contribuendo agli incendi, saccheggi e uccisioni che si verificarono lungo tutta la vallata del fiume Minnesota.
La notizia della rivolta si sparse rapidamente tra le comunità dei coloni e quelle degli Indiani. Per i Sioux questa era una catarsi di violenza; per i coloni, un incubo che diventava realtà. La maggior parte dei coloni della River Valley del Minnesota non aveva esperienza di guerra indiana. Quelli che non erano abbastanza veloci a rifugiarsi in un forte o in un insediamento fortificato erano alla mercé degli Indiani. I Sioux uccidevano la maggior parte dei coloni che incontravano, ma spesso catturavano le donne e i bambini. In risposta, l’esercito schierava le sue forze disponibili, 180 uomini, a Fort Ridgely, dove l’artiglieria, ben piazzata, contribuiva a respingere due attacchi dei Sioux.
Il 19 agosto a subire, senza grossi danni, l’attacco scoordinato dei giovani Santee fu New Ulm, insediamento di emigrati tedeschi, ma i capi avevano deciso che era opportuno concentrarsi invece su Fort Ridgely. Gli attacchi contro la piazzaforte ebbero luogo il 20 e il 22 agosto, ma i Dakota non riuscirono ad impossessarsene, e lo stesso Piccolo Corvo rimase ferito, seppur non gravemente. Tenuto conto che rinforzi della milizia del Minnesota erano stati avvistati in arrivo da Saint Paul e che li si riteneva diretti su New Ulm, i capi decisero allora di prevenirli volgendo tutte le loro forze contro questo insediamento. I residenti però, allertati dalla visita dei giovani Dakota di tre giorni prima, si erano preparati al meglio dello loro possibilità, e, quando il 23 settembre i Santee attaccarono la cittadina, essa fu bensì in larga parte data alle fiamme, ma, pur lasciando sul terreno oltre cento caduti, gli abitanti riuscirono in qualche modo a fronteggiare e a respingere gli assalitori. Gli attacchi ai coloni isolati proseguivano intanto sanguinosamente in tutta l’area centro-orientale del Minnesota, sia pur disapprovati da Piccolo Corvo e ancor di più dai capi dei Wahpeton e dei Sisseton.
I rappresentanti del Minnesota dovettero più volte chiedere aiuto al presidente Abramo Lincoln, all’epoca impegnato a seguire gli sviluppi della guerra di secessione. Alla fine Lincoln concesse pieni poteri al generale John Pope. Quest’ultimo incaricò il colonnello Henry H. Sibley di reprimere l’insurrezione. Lo scopo della campagna doveva consistere nel provocare uno scontro decisivo, liberare i prigionieri, punire i colpevoli e scacciare tutti i Sioux dal Minnesota.
La spedizione di soccorso al comando del colonnello Sibley, chiamato dagli indiani “Astuto Commerciante”, era arrivata a Fort Ridgely il 27 agosto 1862. I sottoposti di Sibely erano per lo più giovani reclute con armi di seconda mano. Si trattava di 1.400 uomini del 6º Reggimento del Minnesota. Il 31 agosto Sibley aveva inviato un contingente di circa 170 uomini a perlustrare i territori circostanti alla ricerca di coloni sbandati e allo scopo di raccogliere e dare sepoltura ai cadaveri che giacevano dappertutto insepolti.
L’attacco a New Ulm – dipinto di Anton Gag
Mentre il distaccamento era accampato nella località chiamata Birch Coulee, a circa 16 chilometri da Fort Ridgely, esso venne attaccato da un contingente di circa duecento Sioux guidati da Mankato, Grande Aquila e Uccello Grigio, e tenuto sotto scacco per oltre trenta ore. Fallito un primo tentativo di inviare soccorsi, Sibley fu costretto ad uscire personalmente dal forte con l’artiglieria e, quando giunse sul posto, gli si offrì alla vista lo spettacolo desolante di tredici morti, quarantasette feriti gravi, diversi altri feriti più lievemente e novanta cavalli uccisi, mentre, secondo Grande Aquila, i Dakota contarono appena due vittime fra i propri guerrieri.
Nell’estremo nord del Minnesota, i Dakota attaccarono numerose fermate per le diligenze e i ponti sul Red River. I coloni e gli impiegati della Hudson’s Bay Company e di altre piccole imprese si rifugiarono presso Fort Abercrombie, situato lungo il Red River a 25 chilometri da Fargo. I Sisseton ribelli assediarono anche il forte senza però riuscire a conquistarlo.
Dal 2 al 18 settembre Sibley addestrò i soldati e ricevette rifornimenti, inclusi 240 veterani del 3° Reggimento Fanteria del Minnesota. Il giorno 19 Sibley riprese la sua avanzata.
Le forze americane, composte da circa 1.600 uomini e supportate anche dall’artiglieria pesante, riuscirono fortunosamente a sventare un’imboscata dei Dakota, il 23 settembre 1862, nella battaglia di Wood Lake, durante la quale rimase ucciso da una cannonata uno dei più valorosi capi Mdewakanton, Mankato. Tatticamente la battaglia non ebbe conseguenze immediate sullo svolgimento della guerra, ma la perdita di Mankato fu un grave colpo per la coalizione indiana che da quel giorno cominciò a perdere coesione, avvicinando il momento della resa e il rilascio dei numerosi prigionieri bianchi.
Gran parte dei guerrieri Dakota si arresero comunque, pochi giorni dopo lo svolgimento di tale battaglia, il 26 settembre 1862, quando, con l’aiuto dei capi Joseph Wabasha (Mdewakanton) e Paul Mazacutemani (Sisseton) che sventolavano bandiere bianche, Sibley poté entrare nel campo Santee, precedentemente sgomberato dai seguaci di Piccolo Corvo, Inkpaduta e degli altri capi irriducibili.
Famiglie di coloni sfollate nella prateria
Egli liberò centosette bianchi e centosessantadue meticci e dichiarò che avrebbe considerato i Dakota prigionieri di guerra finché non avesse scoperto e impiccato quelli di loro che si erano macchiati di crimini capitali. Piccolo Corvo, in ritirata, si rifugiò per qualche tempo in Canada, ma presto tornò in Minnesota dove, il 3 luglio 1863, venne assassinato a fucilate dal colono Nathan Lamson, mentre raccoglieva dei frutti di bosco con il figlio adolescente. Questi venne invece imprigionato, mentre il corpo del capo Mdewakanton fu portato nel vicino paese di Hutchinson, gettato su un mucchio di rifiuti ed esposto al pubblico per alcuni giorni. Il suo scheletro fu portato nella sede della Minnesota Historical Society e solamente nel 1871 fu restituito alla famiglia e sepolto nel cimitero della riserva Santee di Flandreau, nel Sud Dakota. Taoyateduta ebbe sei mogli e 22 figli.
Nel dicembre del 1862, 303 prigionieri indiani furono condannati a morte per omicidio e violenze sessuali da un tribunale militare. Alcuni di questi processi durarono meno di cinque minuti e gli imputati non avevano avvocati a difenderli e tantomeno conoscevano il funzionamento della legge americana. Lincoln in persona chiese che fosse fatta una distinzione tra coloro che avevano combattuto la guerra contro l’esercito e coloro che si erano resi protagonisti di crimini contro la popolazione civile.
Henry Whipple, vescovo della Chiesa episcopale, alla quale appartenevano Piccolo Corvo e molti dei ribelli, incoraggiò Lincoln ad agire con clemenza. Dall’altro lato, il generale Pope e il senatore del Minnesota Morton S. Wilkinson suggerirono al presidente che l’assenza di una punizione severa non sarebbe stata ben accolta dalla popolazione bianca. Il governatore Ramsey chiese apertamente che tutti i 303 prigionieri venissero uccisi, paventando la possibilità di vendetta private dei bianchi contro i nativi se ciò non fosse avvenuto. Alla fine, Lincoln acconsentì all’esecuzione di 39 imputati.
L’esecuzione dei 38 Sioux
La sentenza finale scatenò proteste in Minnesota. Ramsey, divenuto senatore, informò Lincoln che più esecuzioni gli avrebbero garantito una più ampia maggioranza elettorale in quello Stato. Lincoln rispose: “Non posso permettere di fare impiccare uomini in cambio di voti”. A uno dei 39 condannati venne poi sospesa la pena, mentre gli altri 38 trovarono la morte il 26 dicembre 1862.
Due capi Sioux, Shakopee e Medicine Bottle, fuggirono in Canada. Catturati a tradimento e ricondotti negli Stati Uniti, vennero impiccati a Fort Snelling nel 1865.