Il sentiero delle lacrime

A cura di Sergio Mura

Il trasferimento dei Cherokee
Era il 1830 quando Coltello Affilato, ossia il Presidente Andrew Jackson, con mano decisa e grande convinzione firmava l’Indian Removal Act, una legge che di fatto obbligava tutte le tribù indiane orientali a spostarsi senza indugio ad ovest del fiume Mississippi in quello che allora veniva pomposamente definito il Territorio Indiano. Jackson era stato a suo tempo un tenace combattente di indiani e stavolta, con questa legge, intendeva porre fine per sempre al costante stato di tensione esistente tra bianchi e indiani a causa della persistente fame di nuove terre che scuoteva gli animi dei coloni.
Con quell’Atto di Rimozione degli Indiani, le tribù del sud-est degli USA entravano senza volerlo in un buio tunnel fatto di eventi tragici che sarebbe durato un decennio.
Eppure, a ragionarci su in maniera equilibrata, nulla avrebbe dovuto far pensare o far prevedere una così grande rigidità da parte del popolo bianco, in considerazione del fatto che le “Cinque Tribù Civilizzate” ( e, tra loro, specialmente i Cherokee) si erano ormai ben adattate allo stile di vita dei bianchi, ne avevano fatto proprie alcune modalità lavorative.
Quegli indiani avevano studiato e si erano istruiti, si erano trasformati in competenti agricoltori e avevano saputo miscelare la loro tradizione con l’innovazione tecnologica dei nuovi arrivati.


La mappa dei trasferimenti forzati delle tribù. Clicca per ingrandire!

Il trasferimento degli indiani, la loro rimozione, non fu indolore, lo abbiamo detto, e in alcuni casi non arrivò alla sua conclusione in modo rapido. I Cherokee guidati da John Ross, ad esempio, seppero utilizzare la loro cultura e persino la conoscenza degli argomenti giuridici degli americani per contrastare l’Indian Removal Act nelle aule di tribunale, arrivando alla storica vittoria davanti alla Corte Suprema degli Stati uniti.
Ma tutto questo non valse a nulla! Coltello Affilato Jackson bruciò nella sua pipa il pronunciamento della Corte Suprema e si spinse fino ad ordinare all’esercito di procedere con l’espulsione dalle loro terre dei Cherokee, ma anche dei Choctaw, dei Creek, dei Chickasaw e dei Seminole.
I primi ad abbandonare le loro terre furono i Choctaw, anche con la complicità di un gruppo di loro capi corrotti da agenti del Governo. Questi tristi personaggi firmarono nel 1830 un trattato di cessione delle terre quasi all’insaputa della propria gente, accettando in cambio delle terre ad ovest del Mississippi. Non tutti i Choctaw accettarono l’ingrato e ingiusto destino e moltissimi preferirono abbandonare le proprie residenze e nascondersi nelle foreste intorno al grande fiume. Da quei luoghi finirono per essere stanati, tra il 1831 e il 1834, dai soldati in giacca blu e trasferiti forzatamente a ovest.


La deportazione dei Choctaw

Il trasferimento di per sé si risolse in una vera e propria tragedia. Gli indiani non venivano tutelati dai soldati e finivano spesso preda di malviventi che attaccavano la carovana lungo il percorso. I fondi destinati dal Governo ai trasferimenti erano irrisori e non erano bastanti neppure al noleggio dei carri, per cui la gran parte degli averi delle famiglie di indiani dovette restare a terra. Le malattie, la fame e persino la sete fecero il resto, decimando la lunga fila dei migranti. Alla fine della pista, almeno un quarto dei Choctaw mancava all’appello, ma moltissimi altri morirono nei mesi successivi, lottando duramente contro un clima particolarmente inclemente e contro una terra avara di frutti. A completare il quadro poco rassicurante ci si misero gli indiani delle tribù che vivevano in quei luoghi da tempo e che non erano molto disposti ad accogliere i nuovi arrivati.
Lo stesso trattamento venne riservato ai poveri e sfortunati Creek che piansero amaramente l’essere divisi all’interno della tribù e l’avere un certo numero di capi corrotti e compromessi col potere dei bianchi. Dopo un lungo periodo in cui le due fazioni si confrontarono fin quasi ad una sorta di guerra civile, i Creek ebbero la facoltà di scegliere tra restare in Alabama, occupando dei lotti che sarebbero diventati di proprietà delle singole famiglie, o partire verso ovest ed occupare collettivamente nuove zone di terre apparentemente libere.
Naturalmente i veri beneficiari di questa operazione furono quasi esclusivamente i bianchi che si impadronirono prima di tutte le terre lasciate libere dai Creek, ma poi anche di gran parte dei piccoli lotti che gli indiani non seppero mantenere a lungo nelle loro mani.


L’esercito obbliga gli indiani a lasciare le proprie case

A mettere la parola fine sulla presenza dei Creek in Alabama, però, ci pensò il Governo che seppe trarre profitto da una protesta degli indiani contro gli speculatori bianchi per decidere di trasferire tutti quelli che ancora erano rimasti a est, ossia circa 15.000 persone di cui oltre 3.000 non arrivarono mai a destinazione. Era il 1836.
Il passo successivo vide l’attenzione spostarsi sui Chickasaw che fin dal secondo decennio del secolo avevano fin troppo generosamente ceduto parte delle loro terre al popolo bianco. Stavolta gli si chiedeva un sacrificio assai imponente, tutti i terreni che gli erano rimasti nella fascia settentrionale del Mississippi e in quella nord-occidentale dell’Arkansas. I Chickasaw finirono per resistere alle pressioni più a lungo di altre tribù, sempre ricercando il miglior compenso per ciò che gli sembrava un destino a cui non era più possibile sfuggire. Gli indiani, inoltre, stavano tentando di rendere il “trasloco” meno doloroso possibile e anche più corto di quello a cui erano stati costrette le altre tribù.
E il trasferimento, in effetti, fu meno tragico del previsto ed i Chickasaw riuscirono ad arrivare ad ovest del Mississippi ancora abbastanza in forze. I problemi sorsero poco dopo il 1837 (l’anno della grande migrazione), quando nelle nuove terre scoppiò un’epidemia di colera che divampò prepotentemente tra i Chickasaw, unendo i suoi tragici effetti a quelli della diffusione di cibo avariato.
Il destino era in agguato anche per i valorosissimi Seminole che scelsero di non piegarsi alle decisioni del Governo americano e, piuttosto, di dare battaglia con tutte le proprie forze. Le guerre dei Seminole si svolsero in un lungo periodo, tra il 1835 ed il 1842 nelle intricate giungle e nelle paludi della Florida.


La resistenza dei Seminole

Dopo fiumi di sangue e un costo di vite umane intollerabile, i Seminole furono alfine trasferiti a forza nel Territorio Indiano, ma ogni 2 indiani trasferiti aveva perso la vita un soldato in giacca blu e, comunque, furono moltissimi i Seminole che riuscirono a sfuggire al destino della deportazione e, ancor oggi, i loro discendenti vivono in Florida.
Il trasferimento più tragico tra tutti fu quello del popolo Cherokee che assunse anche il tono della beffa, dato che quella tribù era anche riuscita a sconfiggere il Governo americano davanti alla Corte Suprema, scegliendo quindi la via della legalità imposta dagli stessi bianchi. La sofferenza dei Cherokee divenne un’icona, un simbolo della tragedia di tutti gli indiani costretti alla deportazione verso terre sconosciute ed un futuro incerto.
Subito dopo la causa vinta dai Cherokee, lo stato della Georgia iniziò a svendere le terre degli indiani con la benedizione del Presidente Jackson e lo fece fissando prezzi così bassi che immediatamente si presentarono orde di acquirenti bianchi in cerca di nuovi spazi.
In quell’ordalia di soprusi non si portò rispetto per nulla e nessuno… Il famoso centro culturale dei Cherokee a Spring Place, ad esempio, fu trasformato in una lurida taverna dopo l’asta per la compravendita delle terre indiane.
Dopo le esitazioni collegate alla causa legale, iniziarono anche ad accendersi gli animi, finché piccole fiammate di rivolta non iniziarono a levarsi nella terra dei Cherokee. Ma quella fu la scusa che i soldati ed il governo dello stato della Georgia aspettavano per poter usare la forza e costringere i Cherokee a trasferirsi ad ovest. La milizia della Georgia mosse così verso la capitale dei Cherokee, Echota, e per prima cosa distrusse la tipografia in cui veniva stampato il giornale Cherokee Phoenix scritto con il famoso alfabeto inventato da Sequoya. Subito dopo vennero costruiti alcuni veri e propri campi di concentramento in cui furono trattenuti i Cherokee in attesa di essere trasferiti. Era l’inverno 1837-1838 e solo alcuni sparuti gruppi di Cherokee riuscirono a sottrarsi a quella che di fatto era una retata, sfuggendo ai soldati e andando a rifugiarsi in North Carolina dove ancora vivono le nuove generazioni.


Il sentiero delle lacrime dei Cherokee

Il trasferimento vero e proprio iniziò solo nella primavera del 1838 e si concluse durante l’estate dello stesso anno tra i mille disagi collegati alle elevate temperature, oltrechè alla precarietà della situazione in cui gli indiani erano costretti a migrare.
Ma un’altro trasferimento iniziò invece con i primi freddi e fu portato avanti in mezzo a pioggia, fango e neve persistenti. Le sofferenze furono inenarrabili e ad esse si sommarono le tragedie causate dai banditi che frequentemente assaltavano i carri delle famiglie di Cherokee lungo la pista. L’inedia, il cibo avariato, le malattie ed i maltrattamenti fecero il resto in quello che sarebbe stato ricordato come “Il Sentiero delle Lacrime”. I soldati incitavano i conducenti a non fermarsi mai, per tenere il passo con i primi carri della interminabile colonna e in questo modo non vi era neppure modo di seppellire i morti che venivano lasciati lungo la strada.
Furono oltre 4.000 i Cherokee che morirono durante questa immensa tragedia della deportazione a ovest.


Avanti, anche sotto la tormenta di neve!

La migrazione finale dei Cherokee raggiunse l’apice tra il 1838 ed il 1839 ed il suo costo di vite umane fu tale che quella tragedia sarebbe poi assurta ad icona della sofferenza di tutti i popoli nativi del continente.
Il Governo federale non rimase insensibile a certi aspetti di quel gigantesco movimento di persone e ordinò una tardiva indagine volta a fare chiarezza sulle frodi che vennero fatte sui fondi federali e sulle mille e mille violenze patite dagli indiani senza che l’esercito levasse una mano in loro difesa. Il rapporto finale di quell’indagine non fu mai reso pubblico.

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