I Flathead
A cura di Angelo D’Ambra
Un guerriero Flathead-Salish
Furono chiamati Flathead, ovvero “Teste piatte”, da Lewis e Clark che ebbero con loro contatti tra il 1805 ed il 1806, trovando riparo, cibo e coperte. I nativi conosciuti con questo nome, però, non si impegnarono mai in pratiche di appiattimento della testa. Perché allora il nome di “Teste piatte”?
Padre Lorenzo Palladino, genovese di Badia di Tiglieto, che a lungo visse con loro scrisse: “Le loro teste sono normali e ben fatte, e quindi il nome Flathead nel suo significato ovvio e letterale non può essere applicato a loro, se non come un termine improprio o una diffamazione”.
Molto probabilmente il nome deriva da un segno interpretato male. Nella lingua dei segni degli indiani dell’Altopiano, che è diversa dalla lingua dei segni degli indiani delle Pianure, il nome di questo popolo era fatto accarezzando la testa con la mano destra sopra e dietro l’orecchio. Nella lingua dei segni indiana delle pianure il segno veniva fatto mettendo entrambe le mani su ciascun lato della testa, il che indicava che le persone vivevano tra le montagne. Entrambi questi segni furono con ogni probabilità interpretati erroneamente dai primi europei nel senso di “Testa piatta”. Ecco dunque l’errore.
Due giovani Flathead
I Flathead, invece, chiamavano se stessi “Salish” ovvero “il popolo”.
Essi provenivano dalla zona del Columbia Basin e nella Bitter Root Valley trovarono dapprima un terreno di svernamento, poi vi si stabilirono definitivamente.
La loro cultura era legata ai cavalli, alle spedizioni autunnali annuali per cacciare i bisonti nelle pianure, alla guerra con le tribù dell’area, alle danze rituali, al rapimento di donne, bambini e cavalli. Vivevano abitualmente in tepee; usavano canoe di corteccia, pescavano, credevano negli spiriti della natura in un’accezione sciamanica e tessevano con fibre vegetali e animali.
I contatti coi bianchi si rinnovarono qualche anno dopo, nel 1812, quando uomini della Compagnia della Baia di Hudson impegnati nella caccia al castoro vi si imbatterono. Alcuni di essi, in buona parte irochesi, decisero di restare ed integrarsi tra i Salish introducendo questo popolo al cristianesimo.
Colpiti dalla nuova religione, tra il 1831 ed il 1839, il loro capo Tjolzhitsay, ovvero Big Face, inviò quattro delegazioni a St. Louis chiedendo dei gesuiti come insegnanti per il suo popolo. Nel luglio del 1840, dopo un ritardo di quattro giorni al rendezvous del Green River, padre De Smet raggiunse i nativi. Aveva attraversato la valle di Jackson Hole e la grande catena montuosa del Teton fino alla valle di Pierre’s Hole, e si ritrovò davanti a 1.600 Salish e pend d’oreilles, molti dei quali avevano percorso ottocento miglia per incontrare il missionario. La sua tenda era stata allestita e la sua accoglienza da parte degli indiani fu molto entusiastica.
Lo condussero dal grande capo, che lo ricevette con un commovente discorso di benvenuto. Tjolzhitsay si rivolse al gesuita dicendo: “Questo giorno il Grande Spirito ha realizzato i nostri desideri e il nostro cuore è gonfio di gioia. Il nostro desiderio di essere istruiti era così grande che tre volte avevamo inviato delegati del nostro popolo al grande abito nero di St. Louis per ottenere sacerdoti. Ora, Padre, parla e obbediremo a tutto ciò che ci dirai. Mostraci come dobbiamo andare alla casa del Grande Spirito”. Ad agosto, alle Three Forks del fiume Missouri, Tjolzhitsay fu battezzato col nome di Paul.
Il capo Salish morì nel 1841, ormai novantenne. Fu avvolto nella bandiera che aveva sventolato ogni domenica per annunciare il giorno del Signore e sepolto così.
Una mamma Flathead con il suo bimbo
Il suo posto fu preso da Slem-cry-cre, ovvero Little Bear Claw, nome di battesimo Victor.
Victor era un ragazzo quando Lewis e Clark attraversarono la Bitter Root Valley. Suo padre era Three Eagles, il capo Flathead che aveva incontrato i due esploratori.
Victor era cresciuto nelle tradizionali credenze religiose Salish ed era convinto di avere il potere del coniglio perché, da ragazzo, aveva protetto un esemplare di questo animale dall’inseguimento di un falco. Si racconta che, disarcionato mentre provava a rubare cavalli ai Crow, riuscì a scampare alla cattura proprio grazie al suo “potere di coniglio”. Battezzato, Victor si mostrò sempre coraggioso e fiero. De Smet ne scrisse: “Victor ha ottenuto la leadership tribale per nessun altro motivo se non per le nobili qualità, sia del cuore che della testa, che tutti pensavano possedesse”.
Con Victor i Salish ottennero una grande vittoria sui Crow e, grazie all’intermediazione di De Smet, siglarono anche negoziati di pace coi blackfeet. Tuttavia Victor fu contestato dai suoi per essere troppo misericordioso. Abolì infatti l’uso della frusta e non reagì quando un rivale lo colpì in viso. Gran parte del suo popolo abbandonò allora la Missione di Santa Maria, era il novembre del 1850, e come se non bastasse proprio in questi anni iniziò pure un massiccio popolamento bianco della Bitter Root Valley. I Salish non la presero bene.
Furono presto convocati con altre tribù per partecipare ai negoziati del Trattato di Hellgate del 1855. La loro intenzione era quella di conservare la proprietà della valle pur ammettendo piccoli insediamenti dei bianchi.
Capo Charlot dei Flathead
Il sovrintendente agli affari indiani, Isaac Stevens, chiarì, invece, che le cose dovevano cambiare, che essi dovevano andar via. Il problema del trattato erano, oltre l’arroganza, anche l’ignoranza dei bianchi in merito all’identità dei popoli coinvolti. Nella valle di Jocko si univano i pend d’oreilles ed i kootenai che erano di quell’area, ma i Salish/Flathead avevano sempre vissuto nella Bitter Root Valley, a circa 100 miglia a sud. Oltretutto, mentre i Salish e i pend d’oreilles erano entrambe tribù di lingua Salish con una grande somiglianza culturale, i kootenai parlavano un’altra lingua e non avevano neppure un rapporto amichevole con i Salish. Alla fine questi ebbero la meglio e si convenne con Victor che la valle fosse considerata una “riserva condizionale”.
Victor emerse allora con un prestigio notevolmente aumentato, fu da tutti riconosciuto come capo della nazione Salish e fece riaprire la Missione di Santa Maria. Nato nel 1790, morì di malattia il 4 luglio del 1870 durante una caccia al bufalo alle Three Forks del fiume Missouri e suo figlio Charlo, ovvero Little Grizzly Bear Claw, battezzato Charles, fu eletto capo.
Sarebbe stato lui a veder tramontare i giorni in cui questo popolo viveva libero nelle sue terre.