I nativi e la guerra civile americana
A cura di Claudia Covelli di Blogstoria
“Il 2011 sarà un anno significativo per la memoria degli Stati Uniti: ricorerrà infatti in aprile il 150° anniversario dell’inizio della guerra di Secessione.” Anche negli Stati Uniti la celebrazione di un anniversario così importante per la memoria e l’identità nazionali è diventata occasione per una riflessione su una delle pagine più drammatiche della storia americana. Una domenica il New York Times ha dedicato una pagina del “Sunday Book Review” all’uscita del volume di A. J. Langguth, “Driven West. Andrew Jackson and the Trail of Tears to the Civil War” (Simon & Schuster, 466 pagine, 30 dollari) del quale ha parlato Jon Meacham – vincitore l’anno scorso di un Premio Pulitzer per il libro “American Lion: Andrew Jackson in the White House” – nell’articolo dal titolo evocativo: Original sins.
Langguth – studioso dei conflitti fra potere centrale e stati federali americani durante il XIX secolo – mette in relazione la politica di espropriazione delle terre cherokee e deportazione della popolazione nativa (il cosidetto “Trial of Tears” – sentiero delle lacrime) inaugurata con l’Indian Removal Act del 1830 con la scelta schiavista all’origine della secessione degli Stati del sud che darà vita allo scoppio della guerra civile del 1861.
Elemento di congiuntura tra i due fenomeni la figura di Andrew Jackson, settimo presidente degli Stati Uniti dal 1829 al 1837, originario della Carolina del Sud, candidato del partito democratico e “uomo di frontiera”, simbolo dei “pionieri” in lotta per la conquista dell’Ovest, fece della lotta ai nativi americani e in particolare dell’espropriazione delle terre dei Cherokee poste in Georgia e in Arkansas (che divenne uno degli stati confederati proprio sotto la presidenza Jackson) il centro del suo programma di politica interna.
Proprio la politica persecutoria nei confronti dei nativi sarebbe stata – secondo Langguth – la premessa alla scelta secessionista degli stati del sud trent’anni più tardi: “Jackson is an interesting embodiment of the competing claims at the heart of the 19th-century struggle between federal and state control. The seventh president was not a states’ rights purist, and he explicitly fought South Carolina’s efforts to establish a precedent for a state to nullify federal laws it did not like. The occasion for that showdown was a tariff, but it was well understood that South Carolina was attempting to fortify itself for the day when slavery, which John C. Calhoun called the South’s ‘peculiar domestic institution,’ might be the target of federal attack.”
Indiani Cherokee nel 1903 in un incontro di veterani
L’obiettivo dell’Indian Removal Act non era, quindi, quello di assimilare la questione indiana a quella della schiavitù, affermandone una legittimità di diritto, ma piuttosto quello di creare un precedente legislativo che evidenziasse una rilevante autonomia degli stati federali rispetto al potere centrale, a tutela di quelle “peculiar domestic institutions” suscettibili a un attacco da parte dei poteri centrali. Sotto questa prospettiva l’Indian Removal Act e il conseguente Trail of Tears, rappresentando una violazione della sentenza della Corte Suprema presieduta da John Marshall che giudicò illegale l’esproprio delle terre cherokee, furono i primi atti di quel processo secessionista degli Stati del Sud culminato nel ’61 e il cui fondamento ideologico era quello di una organizzazione degli stati americani in chiave confederale.Il problema centrale rimane quello della sovranità dello stato. L’articolo riporta l’esordio del presidente Andrew Jackson nel primo discorso annuale al Congresso del 1829:
“Nothing is clearer, in my view, than that we are chiefly indebted for the success of the Constitution… to the… state authorities. This is not the reflection of a day, but belongs to the most deeply rooted convictions of my mind. I can not, therefore, too strongly or too earnestly, for my own sense of its importance, warn you against all encroachments upon the legitimate sphere of state sovereignty.”
Se il rispetto della Costituzione è legato al rispetto della sfera di sovranità dello stato, a chi, si domanda giustamente Jon Meacham, spettava il compito di definire chiaramente i limiti di questa sovranità? Questo era probabilmente uno dei compiti a cui Jackson si sentiva in grado di dare una risposta.
La guerra tra la concezione federale dello Stato di matrice nordista e quella di natura confederale proposta dagli stati del Sud si mosse – come evidenziato dal libro di Langguth – dunque anche sui binari delle politiche persecutorie nei confronti dei nativi indiani i quali, come osserva, Meacham uscirono sconfitti da entrambi i confronti, sia quello verbale che si consumò attorno alla promulgazione dell’Indian Removal Act, sia quello armato della guerra di Secessione: “In this light, Langguth is to be commended for reconstructing the story of the Trail of Tears. ‘The first civil war — fought with angry words in Congress over the Cherokee removal — had pitted North against South and ended in defeat for the North,’ he writes. ‘The second civil war — fought with cannon and guns — had crushed the South. The victims in both wars included the men, women and children of the Cherokee Nation and their Native American neighbors. When the costs of the second civil war were calculated, the Five Civilized Tribes had lost a higher percentage of their citizens than any Southern state.’ The Trail of Tears did not really end in Oklahoma. It is a fair question to ask whether it has ever ended — whether, as Faulkner would have it, it is even past.”
Gli indiani combatterono per i nordisti e per i sudisti
Il 150° anniversario dello scoppio della Guerra di Secessione Americana mette al centro del dibattito – come prevedibile – il confronto tra potere centrale e sovranità dei singoli stati ripercorrendo il momento più critico della storia americana in cui le due diverse formule di organizzazione di questi poteri -quella federale e quella confederale – si scontrarono. Un punto di vista che si rivela efficace non solo per ricostruire il dibattito sulla struttura dello stato americano, ma per valorizzare quelle “storie” finora considerate “minori” – come quella dei nativi d’america – che non solo si intersecano con la storia della nazione americana, ma sono utili per interpretarne alcuni passaggi fondamentali. È questo il merito fondamentale che Meacham riconosce al volume di Langguth quello di riportare alla luce, in una prospettiva inedita, la storia «neglected» della rimozione dei Cherokee dai loro territori.