Quattro morti ammazzati in cinque secondi!

A cura di Omar Vicari

Personaggi come Jesse James, Wild Bill Hickok, John Wesley Hardin, Billy The Kid, Doc Holliday oppure Wyatt Earp, tanto per citarne alcuni, sono ormai stelle fisse nel pantheon della frontiera americana. Sulle loro gesta sono stati versati fiumi d’inchiostro e il cinema, dal canto suo, ci ha sciorinato, se pur molto romanzate, le loro storie.
Tra questi “gunmen”, un posto di tutto rispetto spetterebbe a un marshal protagonista assoluto di una sparatoria passata alla storia come quella dei “quattro morti ammazzati in cinque secondi”.
Oggi, nella dowtown di El Paso si erge un modernissimo albergo, il “Camino Real”, nello stesso punto in cui nel 1881 si svolse la sparatoria suddetta. Sulle pareti di quest’albergo sono state apposte due targhe a ricordo dell’episodio e nel mio recente viaggio negli Stati Uniti ho avuto l’opportunità di poterle fotografare.
Il personaggio in questione ricordato per il sanguinoso episodio, è Dallas Stoudenmire, divenuto marshal di El Paso l’11 aprile 1881 dopo le dimissioni forzate del suo predecessore, Bill Johnson, un alcolizzato per il resto della comunità.
Dallas Stoudenmire a El Paso
A posteriori potremmo definirlo il John Wayne dell’epoca. Mascella quadrata, alto circa due metri, era la classica persona alla quale non era consigliabile dare fastidio. Averlo per nemico equivaleva prenotarsi un posto nel “boothill” della città.
La prima cosa che Dalla Soudenmire fece come marshal di El Paso, fu quella di passeggiare lentamente nel mezzo della strada principale affinché tutti lo vedessero e nello stesso tempo lui potesse vedere i volti di quelle persone che abitavano quello sperduto centro dimenticato da Dio al confine col Messico sul Rio Grande.
Attorno al 1880 El Paso era ancora un piccolo agglomerato di case di adobe tirate su con mattoni di paglia e fieno cotti al sole. C’erano solo tre strade degne di questo nome.
La più importante, El Paso street, sulla quale si affacciavano in pratica tutti gli edifici, era quella dove erano concentrati i vari saloon e dove si svolgeva la vita routinaria di ogni giorno. A sud, El Paso Street terminava con un sentiero che conduceva, un miglio più in là, verso il Rio Grande e verso El Paso del Norte nel vicino Messico. Questa, in effetti, la main street, era intersecata dall’Overland street e parallela a quest’ultima c’era la San Antonio street, un sentiero polveroso che terminava quindici miglia più in là verso Ysleta.


Il capitano dei Rangers George Baylor

La città era abbastanza quieta non fosse stato per il rumore dei passi di Stoudenmire sulla strada polverosa di El Paso street. La sua ombra si proiettava inquietante contro le colonne di adobe che sorreggevano i tetti sporgenti. Ad eccezione dei pochi alberi esistenti, quei tetti erano le sole strutture in grado di offrire un riparo contro il sole.
In quel periodo, durante l’anno 1881, era caduta tanta pioggia quanta non ne era venuta negli ultimi venticinque anni e questo costringeva Stoudenmire, nei suoi spostamenti a El Paso street, a evitare continuamente le pozze di fango. L’ombra minacciosa di Dallas si proiettava sulle case vicine e le persone del posto, guardando quell’uomo dalla mascella di granito, sentivano che qualcosa stava cambiando a El Paso.


Jim Gillett, Texas Ranger

Non conoscendo ancora il personaggio, la gente si interrogava sulla sua onestà e se, a dispetto di quello che appariva, sarebbe stato sufficientemente coraggioso per ripulire la città. Sebbene alcuni facinorosi fossero stati eliminati alcuni mesi prima in uno scontro a El Paso del Norte in Messico, la città brulicava ancora di alcuni “gunmen” dal grilletto facile, abituali frequentatori dei saloon e dei vari bordelli di El Paso street.
Dallas Stoudenmire aveva imparato a conoscerli aiutato in questo dal Texas Ranger capitano George W. Baylor. Costui sapeva bene come e dove quei fuorilegge si procuravano il denaro, ma sapeva anche che poteva fare ben poco in proposito.
Tutti i ladri di bestiame, gli assassini e i facinorosi che i Rangers avevano espulso dal Texas negli ultimi cinque anni, si erano ritrovati in un angolo del New Mexico dove facevano il bello e cattivo tempo e dove le forze dell’ordine avevano seri problemi nel contrastarli. Costoro oltrepassavano frequentemente il confine cavalcando sino in Messico dove razziavano centinaia di capi di bestiame.


I due Texas Ranger L. S. Turnbo e Jim Gillett (a destra)

Comunque, se non altro Baylor poteva vantarsi almeno di una cosa. Non fosse stato per lui e i suoi Rangers, i fuorilegge avrebbero fatto di El Paso il loro quartier generale.
La folta vegetazione situata sulle rive del Rio Grande costituiva l’ideale rifugio per questi banditi.
Le paludi attigue erano cosi impenetrabili che solo i fuorilegge, perfetti conoscitori della zona osavano attraversarle. Questa fitta boscaglia poteva essere divisa in due sezioni, quella superiore e quella inferiore. I razziatori potevano trasportare il bestiame rubato in Messico dalla parte bassa a quella alta e da qui, spingerlo verso le Franklin Mountains. I fuorilegge attraversavano i passi senza timore di essere inseguiti. Il terreno, infatti, era cosi accidentato e duro che solo un esperto avrebbe potuto riconoscere il passaggio del bestiame.
Tre fratelli, James, John e Frank Manning erano principalmente i responsabili dei furti di bestiame e del brigantaggio della zona attorno a El Paso. Essi possedevano un piccolo ranch vicino a Canutillo, una tenuta che George Baylor descriveva come la base delle operazioni dei fuorilegge.


Una delle pistole con la canna segata che Dallas Stoudenmire portava nella tasca interna della giacca

Un altro fratello, George Felix “Doc” Manning, sarebbe presto apparso sulla scena e avrebbe fatto sentire la sua presenza.
I tempi comunque stavano per cambiare e l’impero dei Manning si sarebbe presto sbriciolato sotto i colpi delle due pistole di Dallas Stoudenmire.
Vicino al ranch dei Manning c’era una tenuta di ottanta acri di proprietà di John Hale, un uomo di trentasei anni dall’aspetto imponente, il solo nella zona che potesse guardare dall’alto in basso Dallas Stoudenmire. Con i suoi genitori, inglesi, era arrivato in California. In seguito, durante la guerra civile, John arrivò a El Paso seguendo la colonna californiana di Carleton. Non si hanno notizie particolareggiate sulla sua vita e il suo nome è entrato nelle cronache del west per il solo fatto di essere caduto sotto i colpi di Dallas Stoudenmire.
I Rangers di tanto in tanto facevano una visita ai ranch dei Manning e di John Hale, ma le loro incursioni raramente finivano con la cattura di qualche fuorilegge. Costoro avevano la protezione di alcuni infiltrati tra le fila degli stessi Rangers che li avvertivano preventivamente sulle loro mosse.


El Paso ai tempi di Dallas Stoudenmire

Tra i fuorilegge, amici dei Manning e di John Hale, spiccavano i nomi di Frank Stevenson, Chris Peveler, T. L. Weldon e George W. Campbell.
Frank Stevenson era indubbiamente il membro più noto della banda. Egli aveva una menomazione alla mano destra e Baylor lo descrive come un bugiardo, ladro e assassino fuggito dalla contea di Hays dopo aver ucciso un colono che lo aveva sorpreso mentre rubava del bestiame.
Trasferitosi a Seven Rivers nel New Mexico, col nome di Will Wallace e in compagnia di un certo Goode, Stevenson iniziò a razziare il bestiame di John Chisum. La storia ebbe termine quando Goode, il suo compare, si prese un proiettile che lo spedì diritto al cimitero. Stevenson allora cominciò a cavalcare dalle parti del Rio Grande, dove si unì a Chris Peveler, un ex Texas Ranger che non aveva nessuna remora a oltrepassare di tanto in tanto il confine tra la legge e l’ illegalità. Questi quattro uomini, insieme, costituivano la spina dorsale della banda di fuorilegge che frequentavano i fratelli Manning e John Hale.
George Campbell, ex marshal egli stesso di El Paso, di fronte a Stoudenmire appena arrivato, per nulla intimorito dalla sua reputazione, lo apostrofò dicendogli che lo avrebbe messo alla prova prima di cinque giorni.
Il 12 aprile 1881, il giorno dopo che Dallas Stoudenmire fu nominato marshal, il sindaco di El Paso del Norte, Don Ynocente Ochoa, avvicinò il capitano George Baylor protestando perché trenta capi di bestiame erano stati rubati dal suo ranch trentacinque miglia a sud del confine. Le tracce conducevano inequivocabilmente al corral di John Hale. Sbuffando con rabbia, Ochoa rimise la faccenda nelle mani di Baylor con la speranza che potesse fare qualcosa in proposito.
Era questo un compito arduo per Baylor. Egli già sapeva dell’inutilità di cavalcare verso il ranch di Hale e inoltre disponeva di pochi uomini dal momento che molti rangers si trovavano impegnati altrove. Comunque fosse, Baylor incaricò il Ranger Ed Fitch, di ritorno da una perlustrazione lungo il confine, di tentare di recuperare il bestiame e di catturare i razziatori. Al seguito del Ranger andarono anche otto messicani ai quali Don Ochoa raccomandò di identificare i manzi rubati.


El Paso, qualche anno dopo Dallas Stoudenmire. Le case di adobe non ci sono già più.

A questi otto uomini si aggiunsero alla squadra altri due messicani, Juarique e Sanchez.
Uno di questi due, si diceva, fosse quello che aveva ucciso in febbraio tre fuorilegge amici dei Manning.
Giunti al ranch di John Hale, subito si accese una discussione tra la squadra di Fitch e i razziatori.
Solo tre capi di bestiame del ranch di Ochoa furono identificati e John Hale, con rabbia, disse che li aveva acquistati dal proprietario. A quel punto Fitch con la squadra tornò indietro ad eccezione di Juarique e Sanchez che, insospettiti, chiesero a Hale i documenti inerenti la vendita dei tre capi.
A quella richiesta John Hale sorrise in modo torvo pensando che i due messicani avevano in tal modo firmato la loro condanna a morte. Gli ex Ranger Chris Preveler e Frank Stevenson infatti, strisciarono di soppiatto dietro le loro spalle e li crivellarono di colpi. John Hale e un altro razziatore, T. L. Weldon, furono testimoni del massacro. Naturalmente essi avrebbero giurato che i due giovani messicani avevano attaccato per primi e che, per difendersi, Stevenson e Preveler erano stati costretti a ucciderli.


El Paso street, teatro dello scontro in cui morirono quattro uomini in pochissimi istanti

La mattina del 14 aprile, non vedendoli tornare, una squadra armata di circa ottanta messicani, attraversò il Rio Grande sconfinando nel Texas. Arrivati a El Paso, essi chiesero a Gus Krempkau, il conestabile della città in grado di capire la lingua messicana, di accompagnarli e di aiutarli a ritrovare i corpi dei loro compagni. Il Ranger Ed Fitch, che sospettava chi potesse essere stato, si diresse verso il ranch di John Hale.
Fitch accusò senza mezzi termini Preveler e Stevenson e li costrinse a seguirlo in città dove furono messi sotto custodia in attesa dell’udienza del giudice.
Alle prime luci dell’alba del 15 aprile, i corpi dei due messicani furono ritrovati e trasportati a El Paso. La squadra, comprensibilmente inferocita, arrivò con i due corpi sin sulla porta del giudice Buckler, che, capita al volo la situazione, dispose immediatamente di aprire l’inchiesta.


L’ Overland Building a El Paso, l’edificio in cui fu portato e dove morì George Campbell

Che Chris Preveler e Frank Stevenson fossero dei razziatori, questo si sapeva da tempo e che fossero anche assassini lo sostenne durante l’inchiesta il conestabile Gus Krempkau.
I due erano comunque assenti per ovvie ragioni di sicurezza. Erano invece presenti all’inchiesta John Hale e T. L. Weldon che, “quali testimoni dei fatti”, difesero i loro amici con false testimonianze. Lo stesso fece anche George Campbell.
La tensione stava salendo alle stelle e messicani e texani si fronteggiavano minacciosamente.


George Campbell, ex marshal di El Paso, ucciso da Dallas Stoudenmire

Il giudice Buckler insistette affinché i due gruppi posassero le armi, ma l’appello non fu raccolto e allora Ben Shuster, un mercante del posto, prese per il braccio G. F. Neill, l’uomo che fungeva da pubblico ministero, e gli fece notare la situazione. Costui terminò frettolosamente rinviando l’inchiesta al che i messicani riattraversarono il confine portandosi dietro i loro morti.
La situazione sembrava tornata alla normalità e lo stesso Dallas Stoudenmire, risollevato, si avviò verso il Globe Restaurant al di là della strada.
A quel punto, sulla strada polverosa di El Paso street, Krempkau sentì distintamente George Campbell, probabilmente ubriaco, gridare ironicamente “dov’è il nostro nuovo marshal”? e subito dopo “ogni texano amico dei messicani dovrebbe essere impiccato”.


George Campbell e Jim Manning

Gus Krempkau si girò e affrontò l’ex marshal gridandogli “George, voglio sperare che tu non ti riferisca a me”. Campbell alzò il pugno in aria, ma senza voltarsi si avviò verso il proprio cavallo.
Nel frattempo, John Hale che si trovava seduto presso la porta del Keating saloon, tirò fuori la sua .45 e avvicinatosi a George Campbell gli gridò di lasciar libero il cavallo che stava sulla linea di fuoco tra lui e Gus Krempkau. Allo stesso istante Hale fece fuoco e il proiettile della sua .45 centrò Krempkau nel torace. Il conestabile cadde sulla strada polverosa e la pistola che comunque riuscì a estrarre gli scivolò dalla mano destra.
Dall’altro lato della strada, Dallas Stoudenmire, al rumore degli spari, uscì di corsa dal ristorante con le pistole in mano seguito dal suo vice Doc Cummings con uno shotgun. Il primo colpo di Stoudenmire sibilò nel momento in cui John Hale si riparava dietro una colonna di adobe. Purtroppo, l’andatura forsennata di Stoudenmire fece sì che il proiettile andasse a colpire un innocente messicano capitato per caso sulla linea di fuoco del marshal. Il poveretto, di nome Lopez oppure Ochoa, morì il giorno seguente. Un attimo dopo, come John Hale fece il movimento di spostare la testa di là dalla colonna, Stoudenmire lo centrò con un preciso colpo tra gli occhi.


Ancora un’immagine di Jim Manning

Il grosso fuorilegge piombò pesantemente per terra fulminato sotto gli occhi increduli di George Campbell. Questi, che pochi istanti prima aveva avuto un atteggiamento baldanzoso, complice l’alcool, ora appariva svuotato di coraggio. La paura, in quei drammatici istanti, gli fece commettere l’errore che pagò con la vita. Indietreggiando nella strada, Campbell tirò istintivamente fuori la pistola e con quella in pugno cominciò a gridare che quella non era la sua battaglia.
Senza rendersene conto, Campbell era entrato in un gioco che non poteva più controllare.
Nel frattempo, Gus Krempkau, ormai morente sulla strada, pensando che a sparargli fosse stato proprio Campbell, riuscì in un estremo sforzo a raccogliere la sua pistola e a sparare un primo colpo che fece saltare il revolver dalla mano dell’ex marshal. Un secondo colpo si piantò nel piede dello stesso Campbell mentre gli altri si persero sulle pareti delle case vicine.
In quel preciso istante, Dallas Stoudenmire che aveva appena eliminato John Hale, cominciò a sparare in direzione di Campbell che, seppure ferito, cercava disperatamente di allontanarsi dal luogo degli spari. “Non è la mia battaglia” ripeteva disperatamente George Campbell e questo lo avevano sentito anche alcuni Rangers presenti nella Plaza. Per Dallas Stoudenmire, però, quello era solo un uomo con una pistola in mano che qualche giorno prima lo aveva minacciato in pubblico.
Stoudenmire si girò avvedendosi di Campbell, che peraltro era un buon tiratore, e lo centrò con un preciso colpo allo stomaco. Cadendo nella polvere Campbell ebbe ancora la forza di gridare al marshal, “figlio di puttana, mi hai assassinato”.


George Felix “Doc“ Manning con moglie e figli. Foto presa a Flagstaff (Arizona) attorno al 1890.

Due uomini sollevarono il corpo di Campbell e lo misero su un carro trasportandolo all’Overland Building dove morì il giorno seguente.
Nell’attimo in cui Campbell cadde colpito dal proiettile di Stoudenmire, un suo amico, Pat Shea, che aveva sempre ammirato la sua pistola, temendo che la stessa si sarebbe persa, corse verso Campbell e raccolse l’arma per ridargliela. A quel gesto, Stoudenmire si avvicinò come un fulmine verso Pat Shea e sbattendogli le sue due colt ancora fumanti sotto il naso gli fece capire che non era il caso. La pistola fu raccolta da George Look e consegnata al barista del Keating saloon.


Jim Manning, Frank Manning, Arozate Manning (moglie di Jim) e il loro figlio William. Foto presa a El Paso attorno al 1884.

Alle due di notte dello stesso giorno, qualche ora prima di morire, Campbell chiese a George Look dove fosse la sua pistola e gli raccomandò di consegnarla a Pat Shea.
Un droghiere di nome Zach White anch’egli accorso sulla scena della sparatoria, forse timoroso di aver perso un eventuale cliente, fu fermato a male parole da Dallas Stoudenmire e invitato a tornare su i suoi passi di là della strada. Nel tornare verso il suo negozio, notando una persona che si nascondeva dietro una colonna di adobe, il droghiere, asciugandosi il sudore della fronte, ebbe a dire che quel dannatissimo sostegno era troppo piccolo per nascondere un uomo in un simile scontro.
Nel momento in cui la sparatoria prendeva piede, Chris Peveler e Frank Stevenson arrivarono nella Plaza, giusto in tempo per vedere il loro amico John Hale cadere colpito con un proiettile tra gli occhi. Visto quanto stava accadendo, i due voltarono i loro cavalli per tornare verso il ranch dei Manning dopo di ché sconfinarono nel territorio del New Mexico.
Il capitano Baylor emise un mandato di cattura per i due e incaricò Jim Gillett di eseguire l’arresto.
Peveler e Stevenson non furono catturati, anzi essi mandarono un minaccioso messaggio al capitano Baylor e a Jim Gillett nel quale asserivano di avere pronte le loro pistole per riceverli degnamente.
Il messaggio fece infuriare il capitano Baylor che decise seduta stante di far visita al ranch dei Manning con una squadra di otto uomini. I fuorilegge erano però stati avvertiti e tutti avevano attraversato il confine per entrare nel territorio del New Mexico.
Il 12 giugno, Jim Gillett fece un’ispezione senza successo lungo il Rio Grande e il 16 dello stesso mese decise di tornare verso El Paso lungo la Canutillo road poiché si diceva che Stevenson e Peveler, assieme a un uomo di nome Smith, stavano cavalcando in quella direzione.
Jim Gillett, assieme ai suoi uomini, attese pazientemente l’arrivo dei fuorilegge lungo il fiume e quando si fece notte, la squadra fu destata dal rumore degli zoccoli dei cavalli sul sentiero.
“Mani in alto” gridò perentoriamente Gillett, ma le sue parole si persero nel vento poiché i fuorilegge, dopo un primo momento di sbandamento, spronarono i loro cavalli fuggendo col favore del buio.
I Rangers spararono alcuni colpi, ma tutto quello che ottennero fu l’uccisione di un cavallo.


George Felix “Doc“ Manning nel 1917 col figlio. Doc nasconde nella foto il suo braccio destro storpiato nel 1881 da un proiettile di Dallas Stoudenmire.

I fuorilegge ripararono ancora nel New Mexico, ma poco dopo, strano a dirsi, appena li raggiunse la notizia che un loro ritorno sarebbe stato considerato con favore, essi si presentarono al giudice e furono perdonati.
Stevenson e Peveler erano stati appena liberati e subito un reclamo fu presentato contro di loro dalle autorità messicane. L’accusa era la solita, quella di aver rubato il bestiame oltre confine. Questa volta erano tredici i capi sottratti e condotti di là del Rio Grande verso il ranch dei Manning.
Il capitano Baylor si mise in tasca il mandato di cattura e con sei Rangers e diverse guide messicane andò in perlustrazione lungo le rive del fiume. La squadra si accampò per la notte lungo un’ansa del Rio Grande e il mattino seguente sia il bestiame, sia i banditi furono localizzati, ma sfortunatamente anche Baylor fu visto da alcuni razziatori messicani che, con alcuni colpi di fucile, avvertirono del pericolo i fuorilegge che stavano di là del fiume. Istantaneamente questi riportarono il bestiame oltre il Rio Grande, dove finiva la giurisdizione di Baylor.
Il giorno seguente Chris Peveler si presentò al campo dei Rangers protestando col capitano Baylor poiché, a suo dire, le guide messicane del capitano avevano rubato alcuni dei suoi cavalli.


Le lastre che ricordano gli avvenimenti di cui vi abbiamo parlato

Due Rangers, Bond e Bassett, amici di Chris Peveler, confermarono il fatto e accompagnarono il fuorilegge al recinto dei cavalli. Il capitano Baylor e Jim Gillett negarono che qualcuno avesse rubato dei cavalli e minacciosamente con un fucile intimarono Peveler di girare i tacchi e tornarsene da dove era venuto. Fatto questo, Baylor chiamò a rapporto i due Rangers amici di Preveler e li licenziò seduta stante. Uno di questi, Bond, si unì a Chris Peveler e insieme raggiunsero Deming nel New Mexico. In città i due si ubriacarono pesantemente, Bond si prese scherno di un vecchio e ormai del tutto fuori controllo, picchiò la testa del poveretto col calcio della sua pistola.
A riportare l’ordine in città ci pensò il vice sceriffo Dan Tucker che, con un fucile a canne mozze, con un primo colpo stese Bond morto sul terreno. Tucker sparò il secondo colpo nel momento in cui Chris Peveler alzava le mani in segno di resa. Fortunatamente per lui, Tucker fece in tempo a deviare il fucile e questo salvò la vita a Chris Peveler.
Tornato a El Paso, Peveler e Stevenson rubarono i cavalli della carrozza del giudice Mogoffin.
Frank Stevenson fu catturato più tardi da Jim Gillett e si prese quindici anni di prigione, di Chris Peveler si persero invece le tracce.
Quanto a Dallas Stoudenmire, una giuria stabilì che aveva agito nell’adempimento dei suoi doveri, che Gus Krempkau era morto per un colpo di pistola di John Hale e che quest’ultimo e George Campbell erano morti perché raggiunti dai colpi di pistola di Dallas Stoudenmire.
Naturalmente nessuno si degnò di ricordare l’innocente messicano morto, reo di essersi trovato nel posto e nel momento sbagliato.
La città di El Paso, riconoscente, consegnò a Dallas Stoudenmire per i suoi servigi un bastone da passeggio con la testa placcata in oro.
Quanto a John Hale, anche dopo morto risultò un cliente ostico, poiché fu difficile trovare una bara sufficientemente grande da contenere la sua mole. Egli fu interrato da qualche parte nel Concordia Cemetery di El Paso, lo stesso cimitero che anni dopo accoglierà le spoglie di John Selman e John Wesley Hardin.

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