I Nativi nella Guerra di Rivoluzione Americana – 3

A cura di Pietro Costantini
Tutte le puntate: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.

La battaglia di Wyoming
Dopo la vittoria della forze della Pennsylvania contro il New England nella “Prima Guerra Yankee-Pennamite” (1769-1771) (1), i coloni del Connecticut continuarono a infiltrarsi nella Valle del Wyoming. Negli anni seguenti si verificò un’altra serie di duri scontri nella valle del Susquehanna superiore, con perdite modeste e definizione non chiara su che fossero i vincitori o i perdenti. Le ostilità culminarono nel giorno di Natale del 1775, con la battaglia di Rampart Rocks, nel pressi dell’attuale West-Nanticoke, dove gli Yankees sconfissero una forza della Pennsylvania di circa 600 uomini.
La vittoria spinse l’Assemblea Generale del Connecticut a istituire nella zona la Westmoreland County, che ben presto arrivò ad assommare 3.000 residenti.
Lo stato di guerra nella valle del Wyoming continuò per tutta la prima metà della primavera del 1776. Con la Guerra d’Indipendenza Americana che minacciava di riversarsi entro i confini della Pennsylvania, il Congresso Continentale chiese a entrambi i contendenti di cessare le ostilità e “unirsi ai loro fratelli in America nel nome della causa comune di difesa della libertà.”


La mappa degli eventi

La Westmoreland County raccolse subito una milizia di volontari e due compagnie, che furono associate alle forze del Connecticut dell’Esercito Continentale.

Il teatro delle Guerre Yankee-Pennamite

(1) Si trattò di una serie di tre guerre, combattute tra il 1769 e il 1784 fra la Pennsylvania e il Connecticut per il possesso della Valle del Wyoming. Molti coloni del Connecticut e Vermont si erano stabiliti nella valle e avrebbero voluto essere associati al Connecticut. Nel 1788 il congresso americano stabilì l’appartenenza della valle alla Pennsylvania. I coloni del New England divennero “Pennsylvanians”, ossia cittadini della Pennsylvania.
Anche qualche abitante della Pennsylvania era dalla parte degli indipendentisti. Ma la maggioranza dei “Pennamiti” pensava che molto probabilmente la Gran Bretagna avrebbe favorito le loro rivendicazioni nel confronti degli Yankees se la Pennsylvania avesse combattuto dalla parte delle Giubbe Rosse. A complicare le cose c’erano gli Irochesi del New York occidentale, i quali avevano assentito a combattere per gli Inglesi nella speranza che così facendo avrebbero riguadagnato il controllo sulla valle del Wyoming.
Con l’aiuto dei Rangers inglesi del capitano John Butler, i capi irochesi cominciarono a pianificare azioni per terrorizzare i coloni della valle del Wyoming. Essi trovarono volonterosi alleati in quegli abitanti della Pennsylvania, allontanati dalle loro terre (che continuavano a rivendicare) e che ora vivevano nel nord della valle di Wyoming.
La notizia della sconfitta inglese nelle due battaglie di Saratoga (ottobre 1777) aveva indotto la Francia ad entrare in guerra come alleato degli Americani. Preoccupate del fatto che la Francia potesse tentare di riprendersi parti della Nuova Francia che aveva perduto nella Guerra Franco – Indiana, le autorità militari inglesi del Quebec adottarono una strategia difensiva. Reclutarono Lealisti e arruolarono Indiani alleati per condurre una guerra di frontiera lungo i confini a nord e a ovest delle Tredici Colonie.
Il colonnello John Butler aveva ai suoi ordini un reggimento di Lealisti, mentre i capi Seneca Sayenqueraghta e Cornplanter comandavano soprattutto guerrieri Seneca; dal canto suo Joseph Brant era al comando dei Mohawk. In breve si scatenò una guerriglia contro i coloni della frontiera americana. Nell’aprile 1778 i Seneca razziarono insediamenti lungo i fiumi Allegheny e Susquehanna; all’inizio di giugno i tre gruppi si incontrarono al villaggio indiano di Tioga, New York. Butler e i Seneca decisero di attaccare la valle del Wyoming, mentre Brant e i Mohawk (che avevano già attaccato Cobleskill in maggio) posero nel mirino insediamenti più a nord. I comandanti militari americani, tra i quali Washington e Lafayette, avevano anche pensato di reclutare guerrieri irochesi, soprattutto allo scopo di creare una diversione che impegnasse gli Inglesi nel Quebec. Tuttavia questi tentativi incontrarono un successo molto limitato. Oneida e Tuscarora furono le uniche tribù delle Sei Nazioni che divennero alleate dei patrioti.
Le forze inglesi arrivarono nella valle del Wyoming il 30 giugno, dopo aver messo in allarme i coloni circa il loro arrivo con l’uccisione di tre uomini che stavano lavorando in un mulino privo di difese il 28 giugno. Il 1 luglio il colonnello Butler, alla testa di circa 1.000 regolari di truppa inglesi, irregolari Lealisti e Indiani, inviò una richiesta di resa alla milizia di Fort Wintermoot.
Ci si accordò perché i difensori, dopo aver abbandonato il forte con tutte le loro armi e provviste, fossero rilasciati alla condizione che non avessero più imbracciato le armi nel corso della guerra. Il 3 luglio gli Inglesi si avvidero che i difensori si stavano radunando in gran numero all’esterno del Forty Fort.


Massacro di Wyoming – dipinto di Alonzo Chappel

William Caldwell con i suoi rangers vennero incaricati di distruggere il forte Jenkins, mentre, con la milizia americana distante un miglio, Butler organizzava un’imboscata. Ordinò che Fort Wintermoot fosse messo a fuoco; i patrioti, pensando che ciò significasse una ritirata degli Inglesi, avanzarono rapidamente. Butler fece acquattare i Seneca al suolo tra l’erba, in modo da non farsi vedere.
La milizia avanzò fino ad un centinaio di metri dai rangers inglesi e sparò tre scariche di fucileria contro di loro. I Seneca si alzarono di colpo dai nascondigli, fecero fuoco e poi caricarono la milizia per ingaggiare un combattimento corpo a corpo. Supportati dal fuoco dei Rangers inglesi e dei Pennamiti, gli Indiani avevano aggirato sul fianco l’armata Yankee, che si ritirò in disordine: l’ordine di ricomporre le linee dei patrioti si era trasformato in una rotta convulsa, perché gli inesperti combattenti coloniali furono presi dal panico e cominciarono a scappare. Si verificò una gara di corsa mortale, nelle quale solo una sessantina di patrioti evitarono la morte. Nel giro di poco più di mezz’ora la battaglia del Wyoming era terminata ed era iniziato il “Massacro del Wyoming”.
I gruppi di Irochesi che avevano aggirato gli Americani tagliarono loro la ritirata verso Forty Fort e li spinsero proprio in mezzo alle scariche di fucileria degli Inglesi e dei Pennamiti. Per il resto del giorno gli uomini della milizia del Connecticut vennero torturati, massacrati e, in certi casi, scalpati. Molti Yankees si erano gettati nelle acque del Susquehanna, nella speranza di fuggire, solo per essere trafitti dalle lance degli Indiani. All’alba del giorno dopo le loro carcasse galleggiavano nella corrente, infestando le rive del Susquehanna. Gli Irochesi presero gli scalpi dei 227 Americani massacrati, a dispetto dell’ordine inglese di “rispettare i loro resti”. Solo cinque prigionieri erano stati tenuti in vita.
Il mattino dopo il colonnello Nathan Denison acconsentì alla resa di Forty Fort e di due altre postazioni, e di quel che rimaneva della sua milizia. Butler li lasciò liberi dietro promessa che non avrebbero preso parte alle ostilità future. I non combattenti vennero risparmiati e solo pochi abitanti subirono molestie dopo la resa dei forti. Il colonnello Butler scrisse: “Quello che mi dà la più grande soddisfazione è che io posso, in tutta verità, assicurarvi che nella distruzione dell’insediamento nessun singolo individuo ebbe danni eccetto quelli che erano in armi, ai quali, in verità, gli Indiani non diedero quartiere.” Un agricoltore americano scrisse: “Fortunatamente questo popolo fiero, soddisfatto della morte di coloro che gli si erano opposti in armi, trattò le persone indifese, le donne e i bambini, con un grado di umanità finora senza paragoni.”


Massacro di Wyoming – dipinto di Don Troiani

Ciò nonostante, il colonnello Denison e i suoi uomini non tennero fede alla parola data e quello stesso anno avrebbero partecipato ad attacchi contro villaggi irochesi. Secondo un’altra fonte, sul campo di battaglia vennero ritrovati i corpi di 60 patrioti e altri 36 sulla pista della ritirata.Tutti furono sepolti in una fossa comune.
La battaglia di Wyoming e il massacro che ne seguì furono chiamati “l’insuperato orrore della Rivoluzione Americana”, a causa degli atti brutali e orribili commessi dai guerrieri della Confederazione Irochese e dai loro alleati inglesi e lealisti contro gli americani del Connecticut che si erano stabiliti in Pennsylvania nella valle del Wyoming. Questi eventi sanguinosi facevano parte di una più vasta disputa sul territorio che vedeva come contendenti la Pennsylvania, il Connecticut e i Nativi. Che essi si fossero verificati durante la Rivoluzione Americana riflette l’esplosiva influenza della rivoluzione interna alla Pennsylvania nella lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna.
La valle del Wyoming restò grandemente spopolata dai coloni bianchi, dopo l’estate del 1778. Il massacro divenne un importante strumento di propaganda per la causa dei patrioti, e fu l’evento propulsore della successiva reazione delle forze coloniali.
Su un totale di 1.000 uomini a disposizione, John Butler ebbe solo due Rangers Lealisti e un Indiano uccisi, oltre a otto Irochesi feriti. La sua armata aveva preso 227 scalpi, bruciato 1.000 abitazioni e catturato 1.000 capi di bestiame, oltre a numerose pecore e maiali. Gli Indiani Seneca furono irritati dalle accuse di atrocità che essi dicevano di non aver commesso e dal fatto che la milizia avesse ripreso le armi dopo essere stata lasciata libera a patto di non combattere più.
I racconti dei massacri di prigionieri e delle atrocità commesse al Wyoming fecero infuriare l’opinione pubblica americana. In seguito il colonnello Thomas Hartley arrivò con il suo Reggimento Continentale Addizionale per proteggere la valle e tentare di effettuare il raccolto. Fu raggiunto da alcune compagnie della milizia, inclusa quella del capitano Denison, che aveva tradito la sua parola di non unirsi più a forze armate. In settembre Hartley e Denison risalirono il ramo est del Susquehanna con 130 soldati, distruggendo villaggi indiani fino a Tioga e prendendo una gran mole di bottino. Ebbero scontri con gli Indiani ostili e si ritirarono quando appresero che Joseph Brant stava radunando una grande armata a Unadilla.

L’assedio di Boonesborough

Nel 1774 la Colonia della Virginia aveva sconfitto una coalizione di Indiani dell’Ohio, soprattutto Shawnee, nella Dunmore’s War. Nel trattato che aveva sigillato la guerra, il fiume Ohio era stato stabilito come confine tra il territorio Shawnee, a nord del fiume, e la Virginia Occidentale (oggi West Virginia e gran parte del Kentucky), a sud. I Nativi, tuttavia, non erano concordi tra di loro e molti capi non riconobbero come vincolante quel trattato, che cedeva i loro atavici territori di caccia.
Nel 1775 Richard Henderson, della North Carolina, acquistò una grande area di territorio del Kentucky dai Cherokee, che cacciavano anche nel Kentucky, sulla quale intendeva stabilire una colonia dal nome di Transylvania. Un dipendente di Henderson, Daniel Boone, tracciò nel Kentucky centrale una pista, detta Wilderness Trail, e costruì Fort Boone, ben presto ribattezzato Fort Boonesborough. Questo forte, con il resto della Transylvania, nel 1776 entrò a far parte della Virginia. Presto a Boonesborough vennero a stabilirsi molte famiglie provenienti dall’est. Gli Shawnee, a nord, erano scontenti dell’espansione coloniale nel Kentucky e sporadicamente attaccavano Boonesborough. Nel frattempo, ad est era cominciata la Guerra di Rivoluzione Americana. Nel 1777 gli ufficiali inglesi aprirono un nuovo fronte di guerra contro i coloni americani reclutando e armando gruppi di guerra indiani perché effettuassero incursioni contro gli insediamenti del Kentucky. Henry Hamilton, vice governatore inglese del Canada a Fort Detroit, trovò fedeli alleati in capi come Blackfish degli Shawnee, che sperava di scacciare gli Americani dal Kentucky per recuperare i vecchi territori di caccia. Con l’intensificarsi delle incursioni, gli Americani che si allontanavano da insediamenti fortificati come Boonesborough erano destinati, con grande probabilità, a essere uccisi o catturati. Nel corso del 1777 gli Indiani portarono a Hamilton 129 scalpi e 77 prigionieri.


La cattura di due donne del Kentucky

Non riuscendo a far sloggiare i Kentuckiani dai loro insediamenti fortificati, gli Indiani distrussero i raccolti e uccisero il bestiame, sperando che la scarsità di cibo costringesse i coloni del Kentucky ad andarsene. Con le riserve di alimentari che a Boonesborough andavano calando, i coloni avevano necessità di sale per conservare le riserve di cibo rimaste. Nel gennaio 1778 Daniel Boone condusse un gruppo di trenta uomini alle saline che si trovavano sul fiume Licking. Il 7 febbraio. Mentre Boone era a caccia per procurare cibo alla spedizione, venne sorpreso e catturato dai guerrieri condotti da Blackfish. Poiché il gruppo di Boone era molto meno numeroso, egli convinse i suoi uomini ad arrendersi piuttosto che scatenare un combattimento. Blackfish avrebbe voluto continuare per Boonesborough e prenderne possesso, visto che ora le sue difese erano indebolite, ma Boone lo convinse che le donne e i bambini non erano forti abbastanza da sopravvivere a un viaggio invernale come prigionieri. Invece Boone promise che Boonesborough si sarebbe arresa spontaneamente agli Shawnee nella primavera ventura. Boone stava improvvisando, cercando di dire qualcosa che trattenesse gli Shawnee dall’attaccare Boonesborough. Egli non aveva la possibilità di comunicare ai suoi uomini che cosa stesse facendo e molti di loro conclusero che Boone era passato dalla parte degli Inglesi.
Boone e i suoi uomini vennero portati come prigionieri a Chillicote, il villaggio principale di Blackfish. Come da abitudine degli Shawnee, alcuni prigionieri vennero adottati dalla tribù per rimpiazzare i guerrieri caduti in combattimento. I rimanenti vennero condotti a Detroit, dove gli Indiani ricevettero una ricompensa dal governatore Hamilton per ciascun prigioniero (o scalpo) preso. Boone fu adottato da una famiglia Shawnee di Chillicote, forse la famiglia dello stesso capo Blackfish. Gli venne attribuito il nome di Sheltowee, che significa “Grande Tartaruga”. Come la maggior parte degli altri adottati, Boone era sorvegliato strettamente, ma alla fine riuscì a fuggire. Il 16 giugno, quando apprese che Blackfish si preparava a tornare a Boonesborough con un gran numero di guerrieri, Boone eluse la sorveglianza e corse a Boonesborough, coprendo la distanza di 160 miglia in cinque giorni. Subito dopo il suo ritorno, alcuni degli uomini che non erano certi della lealtà di Boone perché, dopo essersi allontanato dal gruppo alle saline, aveva apparentemente vissuto in armonia con gli Shawnee per mesi. Boone rispose guidando un’incursione preventiva contro il villaggio Shawnee di Paint Lick, sull’altra sponda del fiume Ohio. La spedizione concluse poco e dovette affrettarsi a rientrare a Boonesborough quando si scoprì che Blackfisch stava dirigendosi verso sud.


La cattura di Daniel Boone

Il 7 settembre 1778 Blackfish e i suoi guerrieri giunsero in vista di Boonesborough. Boone contò 444 Nativi e 12 uomini bianchi. I primi erano per lo più Shawnee, con un certo numero di Cherokee, Wyandot, Miami, Delaware e Mingo. Gli altri erano uomini della milizia franco-canadese di Detroit, precedentemente sudditi della Nuova Francia e ora combattenti per conto della corona britannica. Sebbene questa fosse l’armata più grande mai inviata contro gli insediamenti del Kentucky, riuscire a conquistare una posizione fortificata come Boonesborough sarebbe stato difficile senza artiglieria per indebolire le difese. Blackfish richiese che Boone si recasse fuori del forte per un colloquio e gli ricordò la sua promessa di abbandonare l’insediamento. Blackfish presentò anche lettere del governatore Hamilton che affermavano che, se si fossero arresi, i coloni sarebbero stati trattati bene e portati a Detroit. Se non avessero consentito alla resa, non ci sarebbero state garanzie. Boone disse a Blackfish che avrebbe presentato la proposta agli altri e che non poteva assumere questa decisione in autonomia perché durante la sua prigionia altri ufficiali avevano assunto preso il comando. Tornato al forte, Boone descrisse la situazione. L’orientamento era di combattere, piuttosto che arrendersi. La decisione che venne presa fu quella di prolungare i negoziati con Blackfish finché fosse stato possibile, visto che si aspettavano rifornimenti dalla Virginia. Boone e il maggiore William Bailey Smith uscirono nuovamente dal forte e dissero a Blackfish che temevano che il viaggio a Detroit sarebbe stato troppo duro per donne e bambini. Blackfish ribatté di aver portato 40 cavalli per trasportare coloro che non erano in grado di camminare. Boone chiese un altro giorno di tempo per potersi consultare con gli altri. I capi delle due parti fumarono insieme una pipa cerimoniale per siglare l’accordo di pace e quindi per quel giorno interruppero i negoziati.
Nei due giorni seguenti i coloni dentro il forte si prepararono per l’assedio. Basandosi su rapporti errati ricevuti da Hamilton a Detroit, Blackfish credeva che nel forte ci fossero almeno 200 uomini della milizia, mentre in effetti erano presenti solo una quarantina di armati. I Kentuckiani rafforzarono l’impressione che vi fossero un gran numero di combattenti facendo passare avanti e indietro alcune delle donne del forte vestite con abiti maschili e impugnanti armi. La sera dell’8 settembre Blackfish e Boone si incontrarono nuovamente. Boone comunicò ad un sorpreso Blackfish che il forte non si sarebbe arreso. Quest’ultimo propose di tenere una formale conferenza di trattative il giorno seguente con la presenza di tutti i capi. La sessione di trattative cominciò il 9 settembre, con i capi delle due parti che condividevano il pasto all’esterno del forte. Dopo di che cominciò il consiglio. In caso di problemi, entrambe le parti avevano cecchini che osservavano l’incontro in distanza. Blackfish chiese di sapere “in base a quale diritto l’uomo bianco ha preso possesso di questo paese.” Boone replicò che il territorio era stato acquistato dai Cherokee a Sycamore Shoals. Un capo Cherokee confermò la verità di questa affermazione. Blackfish accettò questa risposta e quindi propose che se i coloni avessero promesso la loro alleanza al re della Gran Bretagna, gli Shawnee avrebbero accettato il confine del fiume Ohio ed entrambi i popoli avrebbero vissuto in pace. Venne allora siglato un trattato in questi termini. Non sarebbe durato a lungo. A questo punto gli Shawnee si avvicinarono agli Americani per stringere le mani e sigillare l’accordo. Ciò che accadde in quel momento non è chiaro. Secondo una popolare interpretazione, gli Shawnee, non essendo riusciti ad ottenere la resa di Fort Boonesborough, tentarono di sequestrare i capi americani. Tuttavia, come lo storico John Mack Faragher e altri hanno rilevato, non vi è evidenza che quella fosse l’intenzione degli Shawnee. Ne nacque una colluttazione e i tiratori di entrambi gli schieramenti aprirono il fuoco. Nonostante pochi feriti, tutti, meno uno, gli Americani riuscirono a rifugiarsi dentro il forte. L’unico rimasto fuori trovò rifugio dietro il mozzicone di un tronco d’albero vicino alla porta principale. Gli indiani corsero verso la porta ma furono respinti da nutrite scariche di fucileria. I negoziati erano finiti ed era cominciato l’assedio formale. L’ultimo delegato passò una giornata molto difficile, con la battaglia che infuriava intorno a lui, e riuscì finalmente a sgattaiolare dentro il forte quando, dopo il tramonto, qualcuno gli aprì silenziosamente la porta.


La prima scaramuccia di Fort Boonesborough

Per parecchi giorni a seguire furono scambiati colpi d’arma da fuoco. Dopo l’iniziale fioccare di pallottole, Boone, che nel frattempo era emerso come il comandante naturale, anche se come capitano egli era inferiore di grado al maggiore Smith e al colonnello Richard Callaway, sollecitò i Kentuckiani a risparmiare la polvere da sparo. Quella notte gli Indiani si arrampicarono sulle mura e tentarono di lanciare torce incendiarie sui tetti delle case all’interno. Questi tentativi, però, furono inefficaci in quanto i guerrieri erano un facile bersaglio per i fucilieri del Kentucky.
L’11 settembre Antoine Dagneaux de Quindre, comandante della milizia di Detroit, convinse gli Indiani ad effettuare uno scavo per creare un tunnel dalla rive del fiume verso il forte. Lo scopo era di piazzare barili di polvere da sparo nel tunnel, sotto le mura del forte. Quando i barili fossero esplosi, il muro sarebbe crollato, creando una breccia attraverso la quale gli attaccanti avrebbero fatto irruzione nel forte. Quando i difensori, dall’interno del forte, udirono i rumori dello scavo, cominciarono un contro-scavo, nella speranza di far crollare il tunnel degli avversari. Gli scavatori di entrambi i fronti cominciavano a lanciarsi urla di scherno a vicenda, quando la forte pioggia causò il crollo della galleria degli Indiani prima che essa potesse raggiungere il forte. Squire Boone, fratello di Daniel, era noto come inventore. Egli fabbricò un improvvisato cannone di legno, rinforzato da bande di ferro, che riuscì a sparare una o due volte contro gli Indiani prima di spaccarsi. Squire Boone fece anche dei cannoncini ad acqua, ricavati da vecchi affusti di cannone, che furono usati per spegnere gli incendi che si sviluppavano sui tetti. Gli Shawnee lanciarono l’assalto finale il 17 settembre, cercando ancora una volta di incendiare il forte. Essi furono respinti, mentre una forte pioggia fu di grande aiuto nello spegnimento degli incendi. In quest’attacco gli Shawnee ebbero guerrieri uccisi in numero molto maggiore che in tutti i giorni precedenti. Il giorno dopo tolsero gradualmente l’assedio e si separarono in vari gruppi di guerra che fecero incursioni contro altri insediamenti, infliggendo danni molto maggiori con questo loro modo tradizionale di combattere di quanto avessero fatto durante l’assedio. A Boonesborough le uniche due perdite durante l’assedio furono due schiavi di nome London e David Bondurant.


La difesa di Fort Boonesborough

Dopo l’assedio, il colonnello Richard Callaway rivolse delle accuse contro Boone, asserendo che Boone “era favorevole al governo inglese”. Si unì a lui il capitano Benjamin Logan della vicina Logan’s Station. Sia Logan che Callaway avevano nipoti che erano stati abbandonati da Boone alle saline ed erano ancora prigionieri. Al processo in corte marziale, che si svolse a Fort Logan, a Boone furono rivolte quattro accuse:
– Boone si era arreso alle saline senza combattere;
– mentre era prigioniero Boone aveva promesso di consegnare Boonesborough agli Inglesi;
– dopo il suo ritorno aveva guidato la spedizione di Paint Lick, che aveva indebolito Boonesborough in un momento in cui si aspettava l’attacco dei guerrieri di Blackfish;
– Boone aveva esposto gli ufficiali a un’imboscata acconsentendo ad incontrare gli Indiani al trattato di pace fuori dal forte.
Dopo aver ascoltato tutte le testimonianze, la corte trovò Boone “non colpevole”, anzi, lo promosse maggiore per la sua condotta. Nonostante questo proscioglimento, Boone rimase umiliato dall’episodio e raramente ne parlò in seguito.
Boone poi tornò in North Carolina a ritrovare la sua famiglia, che era tornata là durante la sua prigionia, avendolo creduto morto. Quando Boone ritornò nel Kentucky, stabilì un nuovo insediamento, chiamato Boone’s Station, piuttosto che stabilirsi di nuovo nel luogo dove era stato processato. Mentre Boone si trovava in North Carolina, nella primavera del 1779, un’incursione di ritorsione venne lanciata contro il villaggio di Blackfish di Chillicote. Blackfish riuscì a respingere gli assalitori, ma fu ferito ad una gamba e morì in seguito ad un’infezione alla ferita. L’8 marzo 1780 Richard Callaway venne catturato dagli Shawnee fuori Boonesborough e venne ucciso, scalpato e mutilato.

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