I Nativi nella Guerra di Rivoluzione Americana – 4
A cura di Pietro Costantini
Tutte le puntate: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.
La battaglia di German Flatts
La prima spedizione di Brant contro gli insediamenti colonici di frontiera era stata quella contro Cobleskill. Poi aveva continuato a fare incursioni contro altre comunità per tutta l’estate. Quando, nel luglio 1778, aveva attaccato i villaggi di Springfield e Andrustown, Brant aveva lasciato in vita i sopravvissuti, con l’avvertimento che presto sarebbe stata attaccata anche German Flatts.
L’insediamento di German Flatts (oggi noto come Herkimer, a causa di un errore mappale del 1788 che aveva invertito i nomi dei due paesi – oggi German Flatts si trova al posto dell’originale Herkimer, sulla sponda sud del fiume Mohawk) era stato fondato nel 1723 da emigranti tedeschi del Palatinato. Il distretto era difeso da un reggimento della milizia locale sotto il comando del colonnello Peter Bellinger. Contava su due forti principali: Fort Dayton e Fort Herkimer, posti sulle due sponde opposte del Mohawk.
Benché Brant avesse progettato di attaccare German Flatts prima del mese di settembre, l’assenza di John Butler ritardò i suoi piani. Butler era ritornato a Fort Niagara dopo il suo attacco di luglio alla valle del Wyoming, e aveva mandato il capitano William Caldwell a Unaquaga per reclutare uomini per l’unità nota come Butler’s Rangers. All’inizio di settembre era chiaro che Butler non sarebbe tornato in quell’area, per cui Brant e Caldwell cominciarono la spedizione con gli uomini di cui disponevano al momento.
L’esatta composizione della forza che lasciò Unadilla non è chiara. Generalmente si è concordi nel ritenere che vi erano 152 Irochesi, principalmente Mohawk, mentre i Lealisti (sia nella compagnia di Rangers di Caldwell, sia nella compagnia di volontari di Brant) assommavano a 200-300 uomini.
A causa degli avvertimenti già ricevuti in precedenza circa la preparazione di un attacco da parte di Brant, il colonnello Bellinger aveva inviato esploratori in direzione di Unadilla per acquisire informazioni. Il 16 settembre la compagnia di Brant aveva intercettato una pattuglia di nove uomini in esplorazione, ne aveva ucciso qualcuno e disperso gli altri. Uno dei sopravvissuti era Adam Helmer, che corse per 42 chilometri davanti ai nemici in avanzata per avvisare German Flatts. Il colonnello Bellinger ordinò la chiamata alle armi del suo reggimento e mandò al colonnello Jacob Klock una richiesta urgente di assistenza al suo reggimento, mentre i coloni trovavano rifugio nel forte. Caldwell, Brant e i loro uomini giunsero a German Flatts non molto tempo dopo l’allarme di Helmer, la sera del 16 settembre, e cominciarono l’attacco nella mattinata seguente. Poiché i coloni si erano rifugiati dentro le fortificazioni, non vi erano significative opportunità per gli assalitori di prendere prigionieri o scalpi. Si fecero vedere e tumultuarono davanti ai forti, ma non avevano armi pesanti per condurre un assalto con probabilità di successo. Invece si scatenarono contro le comunità di entrambe le sponde del Mohawk, distruggendo 63 abitazioni e quasi altrettanti granai, tre mulini e una segheria.
La frontiera di New York. In rosso i due forti di German Flatts e quello di Cheery Valley. In blu le città indiane (Oghwaga=Unaquaga)
Catturarono un gran numero di cavalli, capi di bestiame e pecore, uccidendo gli animali che non potevano portare con sé. Le sole costruzioni che vennero lasciate in piedi furono le fortificazioni, la chiesa e le abitazioni del pastore e dei pochi Lealisti.
Il Trattato di Fort Pitt
Il Trattato di Fort Pitt – noto anche come Trattato Delaware o Quarto Trattato di Pittsburgh – fu stipulato il 17 settembre 1778 e fu il primo trattato scritto tra i nuovi Stati Uniti d’America e una nazione indiana, in questo caso i Lenape (o Delaware). Sebbene durante gli anni della Rivoluzione Americana (1775-1783) venissero stipulati molti trattati informali con gli Indiani, questo fu il primo a essere stilato in un documento formale. Esso venne siglato a Fort Pitt, in Pennsylvania, situato al centro dell’attuale Pittsburg. Si trattava di un formale trattato di alleanza. Firmatari del trattato per i Lenape furono White Eyes, Hopocan e John Kill Buck (Gelelemend); per gli Americani Andrew Lewis e Thomas Lewis, con testimoni il brigadiere generale Lachlan McIntosh, il colonnello Daniel Brodhead e il colonnello William Crawford.
Il trattato dava agli Stati Uniti il permesso di attraversare il territorio Delaware e vincolava i Delaware a offrire alle truppe americane qualunque tipo di aiuto fosse loro necessario nella guerra contro la Gran Bretagna, compreso l’impiego dei loro guerrieri. Gli Stati Uniti stavano progettando un attacco agli Inglesi a Fort Detroit e l’alleanza dei Lenape era essenziale per il successo dell’impresa. In cambio si promettevano «articoli d’abbigliamento, utensili e strumenti di guerra», nonché la costruzione di un forte in territorio Delaware «per la maggior sicurezza dei vecchi. Delle donne e dei bambini…mentre i guerrieri sono impegnati contro il nemico comune.» Sebbene non fosse scritto in nessuna parte del trattato, gli estensori fecero notare l’alleanza americana con la Francia e che i Delaware sarebbero stati alleati attivi nella guerra contro gli Inglesi. Secondo Daniel Richter in “Guardando a est dal territorio indiano”, i Delaware percepirono l’accordo come una mera libertà di passaggio delle truppe rivoluzionarie; la costruzione di un forte era fatta per difendere i coloni bianchi e le autorità americane intendevano usare il forte per campagne di offensiva e i Delaware avrebbero dovuto attaccare i loro vicini Nativi.
Il trattato riconosceva i Delaware come Nazione sovrana e garantiva i loro diritti territoriale, anche incoraggiando le altre tribù indiane dell’Ohio in rapporti amichevoli con gli Stati Uniti a formare uno stato capeggiato dai Delaware, con una rappresentanza al Congresso. Queste misure straordinarie avevano poche probabilità di successo e qualcuno asserisce che gli autori del trattato fossero coscientemente falsi e disonesti. Altri affermano che fosse il capo Delaware White Eyes a proporre queste misure, sperando che i Delaware e altre tribù potessero diventare il 14° stato degli Stati Uniti. In ogni caso, questi propositi non vennero mai messi in pratica da nessuna delle due parti.
Disegno commemorativo del 240° Anniversario del Trattato (anno 2018)
Nel giro di un anno i Delaware espressero lagnanze sul trattato. Una loro delegazione visitò Philadelphia nel 1779 per spiegare i motivi della loro insoddisfazione al Congresso Continentale, ma non cambiò nulla e la pace fra gli Stati Uniti e i Delaware finì bruscamente. White Eyes, nella tribù il più leale alleato degli Americani, morì in circostanze misteriose e i Delaware ben presto si allearono con gli Inglesi contro gli Stati Uniti.
Le incursioni contro Unadilla e Onaquaga
I coloni della frontiera avevano difficoltà a rispondere alle incursioni. La milizia locale era supportata da alcuni reggimenti dell’esercito continentale presenti nella zona, ma queste forze generalmente non riuscivano a organizzarsi in tempo prima che gli assalitori scomparissero e dovevano tornare alle loro fattorie per curare i raccolti e porre in salvo il bestiame d’allevamento. Il governatore di New York George Clinton e il comandante della milizia Abraham Ten Boeck considerarono l’effettuazione di operazioni contro le principali basi Irochesi, a cominciare da Onaguaga e Unadilla, da cui partivano gli attaccanti, ma la spedizione non fu organizzata se non dopo l’attacco di Brant a German Flatts.
In risposta alle richieste del governatore Clinton, il generale George Washington autorizzò l’impiego delle forze armate continentali, ponendo a capo delle operazioni il tenente colonnello William Butler (nessuna relazione con il Butler lealista), del 4° Reggimento Pennsylvania. Il 20 settembre Butler mandò esploratori a osservare le condizioni dei due villaggi, ricevendo l’informazione che Unadilla aveva una popolazione di 300 persone e Onaquaga di 400. Il 2 ottobre Butler guidò in direzione dei due villaggi un’armata di 267 uomini (214 Continentali e 53 della milizia dello stato), partita da Fort Schoharie, situato nella valle di Schoharie. Nel pomeriggio del 6 ottobre queste forze raggiunsero l’area di Unadilla. Butler mandò gruppi di esploratori per prendere dei prigionieri nelle fattorie periferiche. Mentre la spedizione avanzava cautamente verso il villaggio, una delle guide tornò con un prigioniero che riferì che la comunità era stata abbandonata e che la maggior parte degli abitanti era fuggita verso Onaquaga. Butler distaccò alcuni uomini per distruggere il villaggio, mentre egli si diresse a Onaquaga con il resto delle truppe. Il villaggio venne raggiunto verso la sera dell’8 ottobre, ma si scoprì che anche quello era stato abbandonato, apparentemente in gran fretta. Butler e I suoi uomini impiegarono i due giorni successivi a distruggere i due villaggi. Butler descrisse Unadilla come “la più bella città indiana che io abbia mai visto; su entrambi i lati del fiume c’erano circa 40 belle case, con tronchi squadrati, camini di pietre e mattoni, bei pavimenti, finestre con vetri, ecc.” Tutte le case vennero bruciate, come pure la segheria e il mulino, che era il solo presente nella zona. Butler riferì di aver catturato 49 cavalli e 52 capi di bestiame e di aver distrutto 4.000 contenitori di grano. Le operazioni vennero complicate dalle forti piogge che alzarono il livello delle acque del Susquehanna; gli uomini di Butler dovettero costruire zattere per attraversare alcuni dei tributari del fiume per raggiungere alcune parti dell’abitato. Il 26 ottobre la spedizione tornò a Schoharie. Mentre erano in corso queste incursioni, Brant stava attaccando insediamenti di frontiera nell’alta valle del Delaware.
Uomini della milizia americana
Gli Indiani di questi gruppi rimasero molto turbati per la distruzione dei due villaggi, così come i guerrieri Seneca che si unirono a Brant due giorni dopo, presso le rovine di Unadilla.
Il massacro di Cherry Valley
Mentre Brant era attivo nella valle del Mohawk, all’inizio di luglio Butler si era mosso con una grande armata mista e aveva invaso la valle del Wyoming, nella Pennsylvania del nord. Quest’azione aveva complicato le cose, perché i Seneca delle forze di Butler furono accusati di aver massacrato dei non combattenti e, non molto tempo dopo, gruppi della milizia americana avevano violato la parola data, partecipando ad una spedizione punitiva contro Tioga. La chiassosa propaganda associata alle accuse, in particolare contro i Seneca, esasperarono questi ultimi, insieme alle notizie della distruzione di Unadilla, Onaquaga e Tioga. L’attacco alla valle del Wyoming, sebbene Brant non fosse presente, suscitò fra i suoi avversari un’immagine di lui come nemico particolarmente brutale. A questo punto Brant unì i suoi uomini a quelli del capitano Walter Butler (figlio di John Butler), e condusse due compagnie dei Rangers di Butler, comandate dai capitani John McDonell e William Caldwell, in un attacco contro il più importante insediamento di Schoharie Creek, Cherry Valley. Le truppe di Butler comprendevano anche 300 guerrieri Seneca, probabilmente guidate da Cornplanter e Sayenqueraghta, e 50 regolari inglesi dell’8° Reggimento Fanteria. Quando le truppe si mossero verso Cherry Valley, Butler e Brant ebbero una discussione circa il reclutamento di Lealisti da parte di Brant.
Il massacro di Cherry Valley in una famosa stampa di Granger
Butler non vedeva di buon occhio i successi di Brant in questo campo e minacciò di negare le provviste ai volontari lealisti di Brant. Novanta di loro finirono per abbandonare la spedizione e lo stesso Brant era sul punto di fare lo stesso, ma i suoi seguaci indiani lo convinsero a restare. La disputa non fu gradita dalla parte degli Indiani e contribuì ad attenuare l’autorità di Butler su di loro.
Cherry Valley aveva un forte protetto da palizzate (costruito dopo l’incursione di Brant a Cobleskill) con al centro la costruzione destinata alle riunioni del villaggio. La guarnigione era costituita da 300 soldati del 7° Reggimento Massachusetts dell’esercito continentale, comandato dal colonnello Ichabod Alden. L’8 novembre Alden e i suoi ufficiali erano stati avvisati da spie Oneida che le truppe di Butler e Brant stavano avanzando verso Cherry Valley. Tuttavia Alden non si preoccupò di prendere precauzioni particolari, e continuò a usare come quartier generale l’abitazione di un colono di nome Wells, posta a meno di 400 metri dal forte. Butler arrivò nei dintorni di Cherry Valley verso la sera del 10 novembre e installò un accampamento a distanza dal forte per evitare di essere scoperto. Una ricognizione nei dintorni della città permise di constatare le debolezza delle difese di Alden; gli assalitori decisero di mandare un gruppo contro il quartier generale di Alden e un altro contro il forte. In un consiglio tenuto nella notte Butler ottenne dagli Indiani la promessa che non sarebbe stato fatto alcun male ai non combattenti.
L’attacco cominciò nella prima mattinata dell’11 novembre. Qualche Indiano troppo frettoloso vanificò la sorpresa sparando su dei coloni che stavano tagliando alberi nelle vicinanze. Uno di loro fuggì, dando l’allarme al forte. Little Beard guidò alcuni Seneca a circondare la casa di Wells, mentre il gruppo principale circondava il forte. Gli attaccanti il quartier generale uccisero almeno sedici uomini fra truppa e ufficiali, incluso lo stesso Alden, che si vide la strada tagliata mentre cercava correndo di raggiungere il forte. Molti resoconti affermano che Alden stava per raggiungere le porte del forte, quando si fermò per cercare di sparare a un inseguitore, che pare fosse lo stesso Brant. La sua pistola bagnata si inceppò ripetutamente, così egli venne ucciso da un tomahawk scagliato da lontano che lo colpì in piena fronte. Il tenente colonnello William Stacy, vice comandante, anche lui acquartierato nella casa di Wells, venne preso prigioniero. Il figlio di Stacy, Bejamin e suo cugino, Rufus Stacy, corsero attraverso una grandine di pallottole per raggiungere il forte dalla casa; il cognato di Stacy, Gideon Day, venne ucciso. Quelli che avevano attaccato Wells’ house alla fine riuscirono ad entrare, ingaggiando un combattimento corpo a corpo all’interno. Dopo aver ucciso la maggior parte dei soldati della guarnigione, i Seneca massacrarono l’intera famiglia Wells, dodici persone in tutto.
L’attacco degli assalitori contro il forte non ebbe successo: mancando di armi pesanti, non riuscirono a produrre danni significativi alle palizzate che fungevano da mura. Allora il forte venne tenuto sotto assedio dai Lealisti, mentre gli Indiani si scatenavano contro il resto dell’abitato. Non una singola casa venne lasciata in piedi; venne riferito che i Seneca, in cerca di vendetta, avevano massacrato chiunque avessero incontrato. Butler e Brant cercarono di frenare queste azioni, ma senza successo. In particolare Brant restò turbato nell’apprendere che un certo numero di famiglie, da lui ben conosciute e che aveva sempre considerato come amiche, avevano dovuto subire l’impatto maggiore con la brutalità dei Seneca, comprese le famiglie Wells, Campbell, Dunlop e Clyde. Il tenente William McKendry, quartiermastro del reggimento del colonnello Alden, descrisse così l’attacco nel suo diario:
«Improvvisamente arrivarono 442 Indiani delle Cinque Nazioni e 200 Tories, al comando del colonnello Butler e del capitano Brant; attaccarono il quartier generale; uccisero il colonnello Alden; catturarono il tenente colonnello Stacy; attaccarono Fort Alden; dopo tre ore si ritirarono senza essere riusciti a prendere il forte.» McKendry riporta che le perdite causate dal massacro furono quelle del colonnello Alden, di tredici altri soldati e di trenta civili. La maggior parte dei soldati uccisi faceva parte della guarnigione della Wells House. Notizie riguardanti la cattura del tenente colonnello Stacy riferiscono che egli stava per essere ucciso, quando intervenne Brant. «Brant salvò la vita del tenento colonnello Stacy, che era stato preso prigioniero al momento dell’uccisione di Alden. Si disse che Stacy fosse un massone e come tale si appellò a Brant, così venne risparmiato.»
Il mattino dopo Butler mandò Brant al villaggio con alcuni rangers per completarne la distruzione. In questa azione furono presi 70 prigionieri, molti dei quali erano donne e bambini. Butler riuscì a far rilasciare una quarantina di loro, ma i restanti vennero distribuiti fra tutti i villaggi dei loro carcerieri fino al momento in cui vennero scambiati con prigionieri indiani dei coloni. Il tenente colonnello Stacy venne portato a Fort Niagara come prigioniero degli Inglesi. Un capo Mohawk, nel giustificare l’azione di Cherry Valley, scrisse ad un ufficiale americano che «voi avete incendiato le nostre case, il che ha reso noi e i nostri fratelli, gli Indiani Seneca, tanto rabbiosi che poi abbiamo distrutto uomini, donne e bambini a “Chervalle”.» I Seneca dichiararono che «non volevano essere falsamente accusati oltre, o avrebbero combattuto il nemico due volte» (l’ultima dichiarazione era l’intenzione di fare guerra senza quartiere in futuro). Butler riferì che «malgrado la mia massima precauzione e i miei tentativi di salvare donne e bambini, non potei evitare che qualcuno di essi cadesse vittima infelice della furia dei selvaggi», ma riferì anche di aver passato la maggior parte del tempo a tener d’occhio il forte durante l’incursione. Il governatore di Quebec, Frederick Haldimand, restò talmente turbato dall’incapacità di Butler a controllare gli uomini sotto il suo comando, che rifiutò di vederlo, e gli scrisse: «una tale vendetta indiscriminata esercitata anche verso il nemico più infido e crudele contro cui fossero mandati è inutile e disonorevole nei loro stessi confronti, perché è contraria alle disposizioni e alle intenzioni del re, per la cui causa essi stanno combattendo.»
L’attacco a Fort Alden – dal film “Mohawk” – 1956
In lettere successive Butler continuava a insistere di non essere responsabile per gli avvenimenti di quel giorno.
La violenta guerra di frontiera del 1778 provocò richieste perché l’esercito continentale prendesse l’iniziativa. Cherry Valley, assieme alle accuse di assassinio di non combattenti nel precedente massacro di Wyoming, contribuì ad aprire la strada per la successiva spedizione Sullivan del 1779.
La battaglia di Chillicothe
Nel maggio1779 il colonnello John Bowman, della milizia della Kentucky County, assieme a Benjamin Logan e Levi Todd, condusse tra 160 e 300 uomini della milizia contro la città Shawnee di Chillicothe. Avendo diviso le forze per attaccare da due lati, Bowman e Logan si lanciarono all’assalto, ma alla fine vennero respinti. Non essendo riuscito a scacciare gli Shawnee dalle loro singole abitazioni, Bowman incendiò gran parte della città e se ne andò portando via forse 300 cavalli, per un valore di circa 32.000 dollari. Benché inizialmente biasimati per quella che sembrava una sconfitta, come pure per la perdita patita di otto o dieci uomini, a Bowman e Logan alla fine venne accreditata una grande impresa. Con la distruzione del più grande insediamento Shawnee e la morte del capo Blackfish, i gruppi di guerra indiani vennero dissuasi dall’effettuare ulteriori incursioni contro i coloni del Kentucky.
La battaglia di Minisink
Sebbene le forze inglesi fossero concentrate in gran parte nell’isola di Manhattan, Joseph Brant venne mandato con i suoi volontari alla ricerca di rifornimenti, a raccogliere informazioni sul fiume Delaware nelle vicinanze di Minisink e a interrompere l’incombente campagna americana di Sullivan. Nel luglio 1779 Brant ebbe notizia che le forze di Kazimierz Pulasky si stavano portando all’interno della Pennsylvania, lasciando indifesa gran parte della valle del Delaware. Brant guidò le sue truppe di Lealisti e Irochesi attraverso la valle, allo scopo di raccogliere provviste e demoralizzare i coloni. Gli uomini di Brant di 60 Nativi e 27 Tories erano tutti abbigliati come Indiani in guerra e gli spaventati coloni furono costretti ad abbandonare le aree più popolate. Il 20 luglio Brant raggiunse Peenpack e la attaccò immediatamente. Egli ordinò di non uccidere né donne, né bambini, né eventuali Lealisti e di prendere prigioniero chi si fosse arreso. Questa incursione fu un grande successo e, lasciando le rovine di Fort Decker e degli insediamenti colonici, Brant e i suoi continuarono verso nord seguendo il corso del Delaware.
Irochesi e scout inglese in agguato
Quello stesso giorno degli uomini a cavallo, provenienti da Peenpack, raggiunsero il villaggio di Goshen, portando la notizia dell’incursione di Brant e della distruzione della loro cittadina. Venne formato immediatamente un corpo di milizia, sotto il comando del tenente colonnello Benjamin Tusten, riluttante ad assumersi quella responsabilità. Infatti si oppose fortemente alla proposta di inseguire gli incursori, perché sapeva che non avrebbe avuto possibilità contro le truppe inglesi e irochesi; suggerì anzi di attendere rinforzi dall’esercito continentale.
L’allarme ai coloni di Goshen
Tuttavia la maggioranza degli abitanti e dei componenti la milizia sottostimavano l’abilità di combattenti degli Irochesi e chiedevano per loro una immediata punizione. Rimasto in minoranza, Tusten acconsentì a partire il mattino successivo. Nel viaggio incontrò elementi del 4° Orange County Regiment, partito da Warwick per ordine di George Washington e comandato dal colonnello John Hathorn. Quest’ultimo assunse il comando e marciò nella valle del Delaware con una truppa di circa 120 minutemen (uomini della milizia americana, che dovevano essere pronti al combattimento nel tempo di un minuto). Il mattino del 22 luglio andò a prendere posizione sulle colline sopra la valle del Delaware, con l’intenzione di tendere un’imboscata alle forze di Brant che dovevano attraversare il fiume a Minisink Ford. Hathorn suddivise gli uomini in un gruppo di pattuglia e due unità, componenti il corpo principale.
La Battaglia di Minisink
Ma prima di poter far scattare l’imboscata, il capitano Bezaleel Tyler III, della milizia, un esperto di combattimenti contro gli Indiani, aprì il fuoco contro un esploratore della truppa di Brant. Ovviamente ciò mise in allarme Brant, che comprese immediatamente la situazione e aggirò sui fianchi i due gruppi di coloniali, molti dei quali si diedero alla fuga. Separato dall’unità principale e con le sue truppe disperse, Hathorn non riuscì a raggruppare i suoi uomini per operare un contrattacco.
Hathorn fu obbligato a battere in ritirata, lasciando la milizia di Tusten e di Goshen in mezzo al nemico che la circondava e la superava numericamente. Dopo parecchie ore di continue raffiche di fucileria, l’insufficienza di munizioni e l’ambiente ristretto fecero sì che la battaglia si trasformasse in un combattimento corpo a corpo, nel quale gli Irochesi eccellevano. Alla fine rimasero uccisi 48 uomini della milizia, fra i quali lo stesso Tusten. Un “ribelle”, il capitano Wood, venne catturato. Per contro, si attribuisce alla forza di Brant la perdita di sette uomini al massimo (Brant scrisse poi che, degli uomini che aveva perduto, tre furono uccisi e dieci feriti, quattro dei quali gravemente e con scarse possibilità di sopravvivere). Sebbene avesse riportato una brutta ferita, Hathorn sopravvisse e ritornò a Warwick a scrivere il suo rapporto sulla sconfitta per i suoi superiori. Dopo la battaglia, Brant e i suoi uomini guadarono il Delaware e continuarono fino alle rovine di Oguaga.
La gente del distretto di Goshen (le cui località poi vennero a far parte nell’Orange County) non riuscì a seppellire i suoi morti per ben 43 anni, poiché il campo di battaglia era troppo distante dalla cittadina e il percorso troppo pericoloso. Qualcuna delle vedove dei combattenti tentò di fare il viaggio, ma le donne furono costrette a tornare indietro. Nel 1822 venne formato un comitato per compiere il viaggio fino al luogo del combattimento e perlustrare l’area per cercare i resti. Le poche ossa ritrovate vennero sepolte in una fossa comune, dapprima a Barryville, mentre più tardi vennero trasportate al villaggio di Goshen. Nel centenario della battaglia venne eretto un obelisco di pietra con incisi i nomi di tutti i morti.