Kit Carson, leggenda del west

A cura di Federico Boggio Merlo

Kit Carson – clicca per INGRANDIRE
Uomo di frontiera, cacciatore di pellicce, soldato e guida, Christopher Carson, meglio noto come Kit Carson, è uno dei grandi eroi del vecchio West. Agli inizi del XIX secolo Carson era un leggendario uomo delle montagne e commerciante del sud-ovest americano, e si era guadagnato un’ottima reputazione per il suo commercio di pelli e per le sue eccezionali qualità di guida lungo le piste selvagge dal New Mexico alla California.
Fu anche guida militare nell’esercito degli Stati Uniti e agente indiano, e diede un contributo di notevole rilevanza durante la guerra tra Messico e Stati Uniti. I suoi lunghi viaggi e le esperienze da lui vissute raccontano la storia non soltanto di un uomo, ma quella di molti popoli e culture della regione che sarebbe diventata il sud-ovest degli Stati Uniti.
Nato nella Madison County, in Kentucky, la vigilia di Natale (24 dicembre) del 1809, Kit era il nono di 14 figli. Quando era ancora bambino la sua famiglia si trasferì nella Howard County, nel Missouri, dove Carson trascorse la maggior parte della sua infanzia a Boone’s Lick.
Suo padre morì quando Kit aveva solo nove anni, e il bisogno di lavorare impedì al giovane Carson di poter accedere a qualsiasi tipo di istruzione scolastica. All’età di 14 anni Kit lavorava già come apprendista in un laboratorio dove venivano realizzate selle e finimenti per cavalli. Tuttavia, il carattere del giovane si rivelò essere piuttosto irrequieto, e così un anno più tardi, nel 1826, Kit abbandonò il lavoro per unirsi a una carovana di pionieri diretta a ovest lungo il Santa Fe Trail.
Da Santa Fe, Kit proseguì verso nord fino a Taos, dove trovò vari impieghi temporanei, lavorando come cuoco, fattorino e sellaio. All’età di 19 anni venne assunto da un gruppo di cacciatori di pellicce per una spedizione in California, dove, malgrado la sua statura non particolarmente alta (non superava 1,68 m), Kit si distinse per le sue straordinarie capacità e il suo coraggio.


Kit Carson quand’era un mountain man – clicca per INGRANDIRE

Tra il 1828 e il 1840 Carson utilizzò Taos come base, da cui partiva per le sue spedizioni a caccia di pellicce, che gli consentirono di esplorare praticamente tutte montagne dell’ovest, dai monti della Sierra Nevada, in California, alle Montagne Rocciose.
Proprio come accadeva a molti altri cacciatori di pellicce bianchi, anche Carson, che per il suo lavoro viaggiava e viveva a lungo con gli indiani, si dovette integrare in qualche modo con il mondo dei pellerossa. Le sue due prime mogli furono una Arapaho e una Cheyenne, e una delle due morì poco dopo avergli dato una figlia, nel 1836. In ogni caso, Carson si differenziava in modo evidente dagli altri cacciatori di pellicce per il suo stile di vita, caratterizzato da un notevole autocontrollo e da un’estrema riservatezza. Stando a quanto riferisce una persona che lo conosceva, Carson era “pulito come il dente di un cane da caccia”, e un uomo sulla cui “parola si poteva contare come sul sorgere del sole”. Inoltre, era noto per i suoi modi alla buona e per il suo coraggio eccezionale.
Intorno al 1840 lavorò come cacciatore per la guarnigione di Fort Bent, in Colorado, e in breve tempo divenne il capo dei cacciatori della guarnigione.
Nel 1842, mentre stava ritornando dal Missouri (dove aveva condotto sua figlia affinché potesse ricevere un’educazione in convento), Carson fece la conoscenza con John C. Fremont durante una traversata del fiume Missouri a bordo di un battello. Fu un incontro fortunato, perché Fremont ingaggiò Carson come guida per la sua prima spedizione, che aveva lo scopo di tracciare le mappe e descrivere i sentieri che dall’ovest raggiungevano l’Oceano Pacifico. Durante i sette anni successivi Carson lavorò per Fremont, guidandolo nelle sue spedizioni dall’Oregon alla California e attraverso buona parte delle Montagne Rocciose Centrali e il Great Basin. Grazie all’ottimo lavoro svolto per conto di Fremont (di cui tutti vennero a conoscenza grazie ai resoconti delle spedizioni, che venivano ampiamente diffusi sui giornali), Kit Carson diventò in breve tempo un vero e proprio eroe nazionale, e veniva descritto nella fantasia popolare come un rude uomo delle montagne in grado di compiere azioni praticamente al di là delle possibilità umane.


Kit Carson e la Fremont Expedition a Bent’s Fort

Agli inizi degli anni ’40 del XIX secolo, Carson stabilì la sua residenza a Taos, nel New Mexico. Dopo essere ritornato a Taos dalla California, nel 1843, Carson sposò la sua terza moglie, Maria Josefa Jaramillo, figlia di un’illustre famiglia di Taos. Nello stesso anno, acquistò una casa per la sua nuova famiglia proprio a Taos. A parte la data della sua costruzione, il 1825, si sa molto poco della residenza in stile coloniale spagnolo prima che Carson la acquistasse. Oggi l’edificio è diventato un National Historic Landmark (“monumento storico di interesse nazionale”), e rimane in pratica l’unico riferimento “fisico” per quanto riguarda la vita di Carson. La casa riflette le caratteristiche estetiche dell’architettura spagnola del tardo XVIII secolo, unite alle tecniche di costruzione tradizionali e ai materiali utilizzati dagli indiani d’America. La costruzione in adobe, a un solo piano, è a forma di U e circonda su tre lati un patio aperto sul retro. Nella parte anteriore l’edificio è relativamente semplice: la sua caratteristica architettonica di maggior rilievo è costituita da un portico lungo e basso che corre lungo la facciata. Durante tutto il periodo in cui abitarono in quella casa, i Carson non modificarono mai il suo aspetto spagnoleggiante. Nonostante Kit Carson fosse spesso assente, egli stesso, Josefa e sei o sette dei loro figli considerarono quell’edificio come la loro propria casa per la maggior parte dei 25 anni successivi. Oggi, la Kit Carson Memorial Foundation tutela con estrema cura e dedizione l’edificio, che è aperto al pubblico come museo storico.
Un giovane Kit Carson
La fama e la notorietà di Carson crebbero ulteriormente quando il suo nome venne associato a diversi eventi chiave dell’espansione degli Stati Uniti verso ovest. Era ancora al servizio di Fremont quando quest’ultimo si unì alla rivolta dei Bear-Flag (una ribellione di breve durata di un piccolo gruppo di coloni californiani contro il governo messicano), poco tempo prima che scoppiasse la guerra tra il Messico e gli Stati Uniti, nel 1846. Carson partecipò alla guerra, svolgendo un ruolo di primo piano nella conquista della California.
Inoltre, Carson guidò le truppe del generale statunitense Stephen Kearney da Socorro, nel New Mexico, fino in California, quando una truppa di californiani di origine messicana (i cosiddetti “californio”) al comando di Andés Pico tentò di scacciare gli americani da Los Angeles più tardi nel corso dello stesso anno.
Il 6 dicembre 1846, le forze americane furono attaccate dai messicani a San Pasqual, una località situata circa 30 miglia a nord di San Diego. Durante la terza notte di battaglia, Carson e altri due compagni si infiltrarono nelle linee nemiche e riuscirono a raggiungere San Diego, portando aiuto alle truppe di Kearney, ormai allo stremo. Quando infine la guerra ebbe termine Carson si concesse una pausa, fece ritorno in New Mexico e diede avvio a un allevamento di bestiame.
Nel 1853, Carson e il suo socio, Lucien Maxwell, riuscirono a trasportare un enorme gregge di pecore in California e a vendere tutti i capi, un fatto che procurò loro grossi profitti grazie all’aumento dei prezzi dovuto alla corsa all’oro. Nel 1854 Carson fu nominato agente indiano per le tribù Ute e Apache a Taos, nel New Mexico, un posto che mantenne fino a quando la guerra civile, scoppiata nel 1861, non gli impose nuovi doveri. Gli anni in cui lavorò come agente indiano furono il periodo più lungo che Carson riuscì a trascorrere a casa con la famiglia.
Kit Carson nelle armi
Durante la guerra civile, contribuì a organizzare truppe di fanteria costituite da volontari del New Mexico, che successivamente furono in azione a Valverde nel 1862. Nonostante questi fatti, comunque, va detto che la maggior parte delle sue azioni militari furono dirette contro gli indiani Navajo, molti dei quali si erano rifiutati di venire confinati dal governo in una riserva lontana e poco accessibile.
All’inizio del 1863, ubbidendo agli ordini dei comandanti dell’esercito degli Stati Uniti, Carson condusse una brutale guerra economica contro i Navajo nel tentativo di riuscire a trasferirli nella riserva, e marciò nel cuore dei loro territori distruggendo i raccolti e catturando il bestiame, una parte del quale venne successivamente restituito agli indiani che si erano arresi.
Quando gli Ute, i Pueblo, gli Hopi e gli Zuni (tutte tribù che erano state depredate per secoli dalle razzie dei Navajo) colsero l’occasione della sopravvenuta debolezza del loro nemico tradizionale e seguirono gli americani sul sentiero di guerra, i Navajo non ebbero la forza sufficiente per difendersi. Nel 1864 la maggior parte di essi si arrese a Carson, che, se da una parte li trattò bene, dall’altra fu obbligato dai suoi superiori a forzare quasi 8.000 uomini, donne e bambini Navajo a intraprendere quella che fu successivamente definita come la “Lunga Marcia”: circa 300 miglia da percorrere a piedi dall’Arizona a Fort Sumner, nel New Mexico. L’esercito degli Stati Uniti non era preparato a organizzare e gestire la migrazione di un numero così elevato di Navajo, e pertanto, dopo soltanto un paio d’anni, una volta esaurite le risorse del territorio, il sito della riserva, che era stato scelto dal governo in modo frettoloso e approssimativo, fu devastato dalle malattie. Infine, nel 1868, ai Navajo su consentito di ritornare a stabilirsi lungo il confine tra l’Arizona e il New Mexico.


Ancora un bel ritratto di Kit Carson

Fu in questo periodo, e precisamente nel 1865, che Carson ricevette un incarico come Brigadier General e fu encomiato per il suo comportamento valoroso e il suo operato al di sopra della media. Nell’estate del 1866 raggiunse il Colorado per incrementare i suoi allevamenti di bestiame, e contemporaneamente assunse il comando di Fort Garland. Purtroppo, una malattia lo costrinse a rinunciare all’incarico l’anno successivo, e nel 1868 si trasferì con la famiglia a Boggsville, vicino all’odierna La Junta, in Colorado. Nei mesi precedenti dello stesso anno, su urgente richiesta di Washington e del Commissariato per gli Affari Indiani, Carson si recò a Washington D.C., dove fece da scorta a diversi capi Ute che erano venuti nella capitale a chiedere assistenza per le loro tribù al presidente degli Stati Uniti. Sebbene la sua salute soffrisse nuovamente a causa dei tanti viaggi, Carson assunse ancora una volta l’incarico di agente indiano in Colorado per le tribù Cheyenne e Arapaho. Poco dopo il suo ritorno, purtroppo, sua moglie Josefa morì il 23 aprile 1868, a causa di complicazioni sopravvenute in seguito alla nascita del loro ottavo figlio.
La perdita di Josefa fu per Carson un colpo durissimo da cui non riuscì a riprendersi. Poco tempo dopo, infatti, venne portato a Fort Lyon, in Colorado, dove morì il 23 maggio 1868, un mese esatto dopo la morte della moglie. Alla presenza del dottor Tilton e del suo amico Thomas Boggs, le sue ultime parole furono: “Addio, amici. Adios, compadres”. La causa della morte fu dovuta a un aneurisma aortico addominale. Il corpo di Carson fu trasportato a Boggsville e sepolto accanto a quello della sua terza moglie, Josefa. Un anno dopo le due salme furono portate a Taos, nel New Mexico, per la sepoltura definitiva. In breve tempo, il cimitero locale venne chiamato “Cimitero di Kit Carson” in onore del famoso e leggendario uomo di frontiera.
Kit Carson viene ricordato ancora oggi per i tanti ruoli che svolse durante la sua vita avventurosa – cacciatore di pellicce, esploratore, agente indiano e soldato. Grazie alle straordinarie esperienze che ebbe modo di vivere durante la sua esistenza, è diventato un vero e proprio simbolo del West americano.


La lunga marcia dei Navajo

Dopo la sua morte, la Kit Carson House (Casa di Kit Carson) ebbe diversi proprietari, fino a quando la Bent Lodge #42, una loggia massonica, la acquistò nel 1910. Lo stesso Carson, quando era in vita, era stato il fondatore di quell’ordine a Taos, nel New Mexico. All’epoca in cui la loggia massonica acquistò la proprietà l’edificio era in rovina, le finestre erano rotte, il tetto sfondato e la maggior parte dello spazio era stato adibito a stalle. Nel 1952 la loggia istituì la Kit Carson Memorial Foundation, Inc., con il fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere il denaro necessario per restaurare l’edificio, conferendogli una maggiore visibilità e facendolo infine diventare un museo. La Memorial Foundation, un’associazione senza fini di lucro, tutela tuttora la proprietà e amministra la Kit Carson Home and Museum (Casa-Museo di Kit Carson).
L’edificio conserva ancora oggi il suo stile coloniale spagnolo e praticamente tutta la sua integrità storica. L’esterno, restaurato con cura, è in condizioni eccellenti. All’interno, diverse stanze, tra cui il soggiorno, la cucina e la camera da letto, sono state restaurate in modo capillare e arredate con mobili autentici dell’epoca, e altre stanze ospitano esposizioni e mostre. Il museo comprende anche la ricostruzione di una piccola cappella e numerosi oggetti di carattere religioso, dal momento che Josefa Jaramillo era una rigida osservante della Chiesa cattolica romana.


Kit Carson in una delle ultime foto

I visitatori possono prendere parte a una visita guidata della casa e osservare le mostre sulla vita e sui grandi risultati ottenuti da Carson. Ci sono anche una libreria e negozio di souvenir. Subito dietro l’angolo dell’edificio, nel Kit Carson Memorial State Park, il cimitero locale ospita le tombe di Carson e di sua moglie. Entrambe le lapidi sono quelle originali: quella di Carson è del 1890, mentre quella di Josefa, più recente, risale al 1908. Oggi le tombe sono circondate da uno steccato in ferro per proteggerle dai ladri, che all’inizio del secolo scorso, durante un tentativo di furto, avevano scheggiato la tomba di Carson causando seri danni alla lapide.

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