Kit Carson tra luci e ombre

A cura di Angelo D’Ambra

Se gli uomini della spedizione Lewis e Clark si trasformarono in cacciatori, molti furono i cacciatori che invece divennero esploratori. Parlavano le lingue native, erano esperti di caccia e sopravvivenza, conoscevano gli usi indiani. Tutto ciò era un valore aggiunto per chiunque li avesse assunti. Entro l’estate del 1845, si stima che oltre cinquemila coloni migrarono a ovest seguendo carovane o spedizioni sotto sorveglianza governativa. Così esperti nel muoversi in territori selvaggi e ignoti, i cacciatori di pellicce servirono il governo e guidarono l’esercito e i coloni in nuovi insediamenti, finendo col divenire più noti come esploratori che come trapper. È il caso di Kit Carson, cugino di Boone da parte di madre.
Non imparò mai a leggere e a scrivere. Alla frontiera le priorità erano altre. Suo padre morì quando aveva nove anni e Kit dovette darsi da fare. Divenne apprendista presso un sellaio, ma erano altre le sue aspirazioni.
Un ritratto di Carson
In quegli anni era stato aperto il Santa Fe Trail e il ragazzo, scoccati i sedici anni, lasciò la madre e l’arcigno patrigno per unirsi ad una carovana come custode del bestiame. Da Santa Fe andò a Taos e lavorò come cuoco, fattorino, carpentieri. Con questo bagaglio di esperienze, a diciannove anni, si unì ad una spedizione di cacciatori diretti in California, quella di Ewing Young. Visse così ripetuti scontri coi nativi e uccise e scalpò il suo primo indiano, incontrò grizzly e patì l’insopportabile freddo delle nevi sulle pendici delle Rocky Mountains. Nel corso di questi anni imparò a vivere come un trapper, piazzando trappole, cacciando la selvaggina, scuoiando gli animali, dormendo in rifugi improvvisati e curandosi con le erbe. Conobbe esperti cacciatori come Thomas Fitzpatrick e Jim Bridger. Da essi apprese ogni espediente di sopravvivenza per dieci anni. Sposò una donna arapaho di nome Erba che canta, con la quale ebbe una figlia di nome Adaline. Rimasto solo sposò una cheyenne, ma i due si separarono presto. Carson lavorò per la guarnigione di Bent’s Fort col compito di rifornirla di selvaggina poi si arruolò come guida al seguito di John C. Fremont, ufficiale dell’esercito nel corpo degli ingegneri, incaricato di fornire al governo un ragguaglio topografico necessario per l’acquisizione dell’Oregon.
I due, con venticinque uomini al loro seguito, si imbarcarono sul Kansas River, il 15 giugno 1842, seguendo il fiume Platte fino al South Pass, e, partendo dal Green River, esplorarono la Wind River Range, catena montuosa delle Montagne Rocciose. Tra le guide c’era pure Jean Baptiste Charbonneau, figlio di Toussaint e Sacagawea.
Fremont, in quella circostanza, affiancato da Charles Preuss e Johnny Janisse, scalò quella che fu considerata a lungo la più alta montagna del Wyoming, la Fremont’s Peak, e vi piantò la bandiera statunitense, rivendicando le Montagne Rocciose per gli States. L’impresa compiuta nel giro di cinque mesi spianò la strada a migliaia di migranti e rese noto il nome di Carson. Questo successo indusse subito Fremont ad allestire una seconda spedizione.
L’obiettivo questa volta era trovare un percorso alternativo per il South Pass. Fremont e quaranta uomini lasciarono il fiume Missouri a maggio del 1843. Sull’Arkansas furono raggiunti da Carson confidando nelle sue comprovate capacità. Tuttavia, incapaci di trovare una nuova rotta attraverso il Colorado, presero il normale Oregon Trail. Esplorarono la parte settentrionale del Great Salt Lake, poi viaggiarono tra Fort Hall e Fort Boise fino alla missione di Marcus Whitman, e lungo il fiume Snake sino al Columbia e poi verso l’Oregon, in vista delle cime della Cascade Range. Raggiunta Dalles il 5 novembre, Fremont viaggiò sino al trading post di Fort Vancouver per rifornimenti. Da lì si indirizzò tra le Montagne Rocciose e le Sierre, si mosse verso sud lungo il fianco orientale delle Cascades, attraverso il territorio dell’Oregon fino a Pyramid Lake. Qui tornò indietro, verso est, rimanendo sul lato orientale della catena montuosa della Sierra Nevada e svoltò di nuovo a sud fino in Nevada. Raggiunse il Carson River il 18 gennaio del 1844. Oramai era inverno, eppure Fremont volle egualmente dirigersi nella Sierra Nevada. Fu una decisione che poteva pure rivelarsi tragica. L’impresa risultò difficilissima e logorante, una traversata invernale che pochi avrebbero tentato. La compagnia era alla ricerca del leggendario fiume Buena Ventura che credevano avrebbe permesso loro un facile passaggio tra quei monti e spianato un nuovo cammino sino al forte di John Sutter. Invece quel fiume non c’era.


Una fotografia famosissima di Kit Carson

Fame, freddo e stanchezza rallentavano ogni passo ed impedivano alla compagnia di trainare quel cannone da 1.500 libbre che sembrava bloccato nella neve profonda e farsi lentamente tutt’uno con la montagna. In preda alla disperazione, Fremont decise di forzare la traversata, fece abbandonare l’obice lì dove si trovava – un punto imprecisato, forse prossimo al Lost Cannon Creek – e s’inoltrò nella grande Sierra Nevada. Fortunatamente Carson riuscì ad individuare più a nord quel passo che poi prese il suo nome. Ciò salvò tutti da morte certa e quel gruppo di coraggiosi riuscì nella clamorosa impresa e raggiunse Sutter’s Fort, scampando ad una morte certa. Quando la cosa si seppe, Carson divenne un vero e proprio eroe nazionale.
Entrati in California, territorio messicano, Fremont fu presto invitato dalle autorità ad andarsene. Non mancò però di notare quanto il controllo di quel territorio fosse debole. Fu un’annotazione molto importante per l’avvenire. Intanto la marcia riprese. Si proseguì verso Sud, tra Los Angeles e Santa Fe, poi ad est, attraverso il Tehachapi Pass e l’attuale Las Vegas, sfociando nel Lago Utah e di nuovo a South Pass, poi in Arkansas.
Nell’agosto 1844, Fremont e il suo gruppo tornarono finalmente a St. Louis, accolti con entusiasmo dal popolo, terminando un viaggio che cambiò davvero la storia degli Stati Uniti perché si seppe, finalmente, che il Grande Bacino non aveva fiumi che sboccassero a mare. Inoltre si capì che l’Oregon Trail non era difficile da percorrere e che c’erano, a Nord-Ovest, anche terre fertili. Il governo statunitense si giovò di una migliore comprensione della geografia nordamericana, ma anche delle notizie ricevute sulla situazione politica in quell’area.
Un anno dopo, Fremont e la sua guida, Kit Carson, capeggiavano una terza spedizione governativa, apparentemente mirante ad ispezionare le Montagne Rocciose centrali, la regione del Great Salt Lake e parte della Sierra Nevada. Fremont eseguì le direttive ufficiali fino alle rive dell’Arkansas River, poi si mosse attraverso il Nevada finendo in California in ossequio a ordini segreti ricevuti direttamente dal presidente James K. Polk. La spedizione divenne prettamente militare. Gli uomini si mossero come vero e proprio battaglione, una colonna militare che prese parte a tutti gli effetti alla guerra tra Stati Uniti e Messico. Di essa Carson, assieme al trapper Thomas Fitzpatrick, divenne ricognitore.


Una rara immagine del 1862 con Kit Carson ed Edwin Perrin

Polk voleva la provincia dell’Alta California e si servì di Fremont affinché fosse suscitata una rivolta contro le istituzioni locali. Effettivamente, nel giugno di quel 1846 scoppiò la Bear Flag Revolt. Carson guidò il generale Stephen Kearny da Socorro, nel New Mexico, sino in California contro Andrés Pico, fratello del governatore messicano della California, Pìo Pico. In quella che divenne la battaglia di San Pasqual, gli statunitensi furono sopraffatti e Kearny preso prigioniero. Carson, riuscito a fuggire, allertò i militari di San Diego e riuscì a portare soccorso a Kearny, liberandolo. I coloni statunitensi dell’area dichiararono decaduto il governo messicano. Il 15 gennaio 1847, Fremont divenne governatore militare della California. Tuttavia la fortuna l’abbandonò. Ci si misero disguidi, invidie, il rifiuto del suo battaglione di arruolarsi nell’esercito statunitense, il ritardo nell’obbedire ad alcuni ordini e persino un duello col colonnello Richard B. Mason: Fremont fu condannato dalla Corte Marziale per disobbedienza agli ordini e cattiva condotta militare. Fu solo la protezione del presidente James K. Polk a salvarlo. Polk lo reintegrò nell’esercito in ragione dei suoi servizi di guerra.
Intento a recuperare onore e reputazione, Fremont organizzò una quarta spedizione, l’ultima della sua vita, ma stavolta Carson non l’avrebbe seguito. Il trapper sarebbe stato nominato agente agli affari indiani per ute e jicarilla, avrebbe guidato un reggimento di volontari durante la guerra civile, nella battaglia di Valverde, ma soprattutto sarebbe divenuto responsabile di una indegna campagna per confinare i navajo in una riserva.
Questa storia non ha nulla di eroico. Lontanissimo dal personaggio fumettistico ideato da Giovanni Luigi Bonelli, Carson nel suo passato da trapper aveva probabilmente maturato l’idea che gli indiani fossero nemici. Si era ripetutamente scontrato con corvi e piedi neri e solo il matrimonio con donne native ammorbidì certe sue convinzioni. In realtà cambiò poco perché, nel corso della terza spedizione di Fremont, un intero villaggio di indiani klamath fu sterminato. Lasciato l’esploratore, per conto dell’esercito, finì addirittura col guidare una brutale guerra contro i nativi, Apache e Comanche, ma soprattutto Navajo.
Kit Carson
Di questo popolo distrusse i raccolti e le fonti acqua, sequestrò il bestiame, massacrò le pecore e incendiò l’insediamento a Canyon de Chelly. Coloro i quali tentarono di scappare venivano colpito alla testa e lasciati privi di vita agli avvoltoi. Così piegò alla rassegnazione la volontà dei capi Delgadito e Barboncito. Nel terribile marzo del 1864, divisi in tre gruppi, tutti i Navajo dovettero mettersi in marcia per l’area di Bosque Redondo imposta loro come riserva. Camminarono per più di settecento chilometri, dall’Arizona a Fort Sumner, in New Mexico, nei cui pressi si trovava la riserva. Il tragitto non previde soste, né riposo. La gente si trascinava in fila. Il cibo che ricevettero risultò fetido e insufficiente e ciò li ridusse alla fame. Dei novemila navajo che intrapresero la lunga e tortuosa marcia, cinquecento morirono, molti per congelamento, alcuni per sfinimento, altri furono fucilati per aver mostrato frustrazione e rabbia. Parecchie donne e bambini furono rapiti dalle tribù nemiche dei Navajo e, giunti a Bosque Redondo, furono posti a lavori forzati per realizzare i piani governativi di edificazione di una colonia agricola.
Carson morì all’età di cinquantotto anni, il 23 maggio 1868, poche settimane prima che i Navajo potessero tornare a casa propria.

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