La leggenda dei trapper

A cura di Angelo D’Ambra

Le imprese dei trapper divennero leggendarie storie di fatica, pericolo e privazione. Molti di questi uomini sfuggivano alla legge, molti avevano un’indole avventurosa, molti erano sedotti dalle avvincenti storie illustrate dai pochissimi ai quali la fortuna aveva sorriso. Si stima che mille trapper vagassero nell’Ovest americano dal 1820 al 1830, l’epoca d’oro del commercio di pellicce delle Montagne Rocciose. Avevano solo attrezzature essenziali, trappole, fucili, pistole, corni di polvere da sparo, coltelli per scuoiatura, accette per tagliare legna da ardere, qualcuno la compagnia di una squaw.
Il peso dell’attrezzatura da cucina e degli indumenti di ricambio era troppo, bisognava farsi bastare abiti di propria manifattura o ottenuti dagli indiani. Sfidarono l’avventura tra torrenti e blocchi di ghiaccio, aspre montagne e spaventosi precipizi, vie inaccessibili al cavallo e guerrieri indigeni pronti a scalparli. Secondo i racconti i piedi neri erano i più temuti, ma anche gli arikara e i comanche erano evitati, se possibile. Le tribù amichevoli includevano shoshone, corvi e mandan.


La caccia al castoro

Che i trapper abbiano aperto sentieri dal Messico alle regioni ghiacciate del Nord, individuato percorsi destinati poi alle carovane di coloni, risalito i fiumi sconosciuti, esplorato territori in cui mai nessun europeo era stato è solo una conseguenza. I trapper non avevano alcun interesse per la conoscenza geografica, né per la topografia. Essi cacciavano e basta. Seguivano il corso dei vari ruscelli alla ricerca di tracce di castori e posavano le loro trappole per poi dedicarsi a scuoiare gli animali catturati e portarsi in prima persona a vendere le pelli al rendezvous di primavera o alle stazioni di scambio delle compagnie. Fisicamente resistenti, vigorosi e attivi, incuranti della neve e dei pericoli, sconsiderati, potevano pure non esser vincolati a nessuna società e vagare liberamente per poi cedere le pelli al miglior offerente. Dai coureurs des bois ereditavano l’atteggiamento, la vita di privazioni e pericoli e ovviamente l’igiene scarso che li fece divenire “sacchi di pulci” agli occhi dei bianchi civilizzati delle città. Ai rendezvous si riunivano in centinaia.


Il pericolo dei lupi

Era l’unica occasione in cui abbandonavano la solitudine di monti e ruscelli per sperperare i guadagni e sprofondare in gozzoviglie, gioco d’azzardo, balli e continui stati di ubriachezza. Il resto dell’anno lo passavano a cacciare e a sfuggire alle tribù di indiani che mal sopportavano quei bianchi che li spodestavano nella caccia.
Molto interessante è notare come la comunità dei trapper fosse un vero e proprio calderone di culture e lingue. C’erano gli inglesi, i francesi, i nativi e i metis, ma non mancarono altre nazionalità. Era spagnolo, di Albegas, il trapper Manuel Alvarez, che lavorò per l’American Fur Company prima di darsi alla politica. Era irlandese, di Cave, Thomas Fitzpatrick, uno dei trapper più noti dei giovani che seguirono il generale Ashley. Era messicano, di Taos, il trapper Marcelino Baca, che s’arruolò coi volontari del New Mexico e morì il 21 febbraio 1862, in battaglia contro i texani. Era francese, di Bearne, Jean Pierre Cabanne che spianò la strada di Lisa tra gli indiani kanza. Erano afroamericani i trapper George Washington Bush, che lavorò per la Hudson’s Bay Company prima di migrare in Oregon e dedicarsi ad agricoltura e allevamento, e James Beckwourth, scout di Custer, ripudiato, dopo il massacro di Sand Creek, dai cheyenne e dai corvi che l’avevano adottato.


Thomas Fitzpatrick contro un orso

Il tramonto però doveva sopraggiungere presto. Verso la metà del 1800, il cambiamento delle mode in Europa causò un crollo dei prezzi delle pellicce. Le compagnie fallirono, molte comunità native precipitarono nella povertà. Era la fine di tutto. Il trapper divenne allora prezioso per guidare le spedizioni dei coloni e per gestire i contatti con i nativi americani. Persino l’esercito, mentre inseguiva gli indiani ostili, aveva il suo corpo di esploratori e guide esperti che era in gran parte composto da questi ex trapper. L’immenso territorio che va dalla baia di Hudson sino alle rive dell’Oceano Pacifico, abbondante di monti, laghi, fiumi, cascate, paludi e boschi, abitato d’orsi, alci e tassi, perse i suoi giganteschi cacciatori. Restò solo il mito del trapper a continuare ad evocare libertà, avventura, viaggi in spazi sconfinati, sfide ad ogni tipo di difficoltà e l’eco di queste storie passò allo schermo, con Charlton Heston ne “I Giganti del West”, e al fumetto, con gli eroi della esseGesse, il Grande Blek e il Comandante Mark.

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