Una terribile avventura per Jedediah Strong Smith

A cura di Angelo D’Ambra

Ai primi d’autunno del 1823 un piccolo gruppo di bianchi s’aggirava, armi in pugno, nella valle del Powder. Si stavano inoltrando verso lo Yellowstone per stabilire un accampamento invernale alla foce del Big Horn. Intanto era la caccia la loro principale occupazione. Dovevano individuare le colonie di castori e catturare quanti più esemplari da pelliccia possibile. Battevano torrenti, seguivano tracce, fissavano trappole di sera ed al mattino erano tutte piene. I pomeriggi, poi, li trascorrevano a scuoiare gli animali e preparare le pelli. Quando le montagne del Big Horn furono in vista il gruppo si divise. Si diedero appuntamento sullo Yellowstone, poi il grosso di essi, capeggiato da Thomas Fitzpatrick, continuò a risalire la valle, lungo il confine orientale del territorio della tribù indiana dei corvi, mentre in cinque seguirono l’esperto trapper Jedediah Strong Smith verso ovest, intenzionati a piazzare trappole nei tratti superiori del Tongue e del Rosebud.
Per diversi giorni questo piccolo gruppo di cacciatori di animali da pelliccia lavorò presso un minuscolo torrente senza nome con ottimi risultati.


Jedediah Smith con un compagno di caccia

I castori abbondavano in quelle acque, si lavorava in tranquillità, le pellicce aumentavano senza troppe difficoltà. Filò tutto liscio sino a quando, una sera, la solita routine di collocazione delle trappole fu rotta da un possente ruggito che echeggiò nella boscaglia. Dopo aver posizionato una gabbia sulla riva, Smith inavvertitamente era finito al cospetto di un enorme massa lanosa che ringhiava, erta su due zampe. L’animale si scagliò con inaudita violenza contro il malcapitato che non poté che urlare la sua disperazione negli spasimi di azzannate e brucianti colpi d’artiglio. Furono proprio quelle grida a richiamare l’attenzione dei suoi compagni che stavano piazzando trappole nelle vicinanze. Accorsero e spararono alla bestia ammazzandola. Smith, intanto, aveva perso i sensi. Per diverse ore visse sogni angosciosi e febbrili e quando si svegliò era notte inoltrata, aveva un forte dolore alla testa, fitte lancinanti ai fianchi e, nel provare a muovere le gambe, s’avvide che una era ridotta a brandelli.


L’incontro con l’orso

Imprecò, maledisse la sua sventura e i compagni non riuscirono a calmarlo.
Quella stessa notte decisero che in tre sarebbero andati all’incontro presso lo Yellowstone, avrebbero avvertito Fitzpatrick e sarebbero tornati con aiuti, mentre gli altri due sarebbero rimasti a vegliare sul ferito. La guarigione di Jed Smith sarebbe stata lenta, si sapeva, ma il cacciatore se la sarebbe cavata, mentre i suoi compagni avrebbero continuato a catturare castori. Non erano nei territori di arikara e piedi neri, mentre gros ventre e corvi stavano sicuramente cacciando bufali nelle pianure al confine con il Missouri. C’era dunque da stare tranquilli.
Le cose, però, neppure questa volta andarono come previsto. Una sera, circa mezz’ora dopo che i due compagni l’avevano lasciato per andar a mettere trappole, Smith udì una serie di colpi esplosi in rapida successione e un miscuglio di grida selvagge. Capì subito che si trattava di un attacco indiano e che, comunque fosse andata ai suoi amici, i guerrieri nativi si sarebbero messi a cercare il loro accampamento. Afferrò il fucile e il corno da polvere, e, sfidando il dolore delle ferite, si trascinò al riparo tra i cespugli proprio mentre una dozzina di indiani, coi visi dipinti per la guerra, sopraggiungevano al galoppo. Smontarono, ispezionarono l’accampamento, presero i cavalli dei cacciatori e si appropriarono di coperte, pentole e borse per poi passare a esaminare i dintorni.


L’orso assale Jedediah Smith

Avevano trovato tre cavalli, dunque sapevano che doveva esserci un altro bianco oltre ai due che già avevano incontrato. Smith pensò sul serio che la sua ora era giunta eppure, a un comando di uno del gruppo, gli indiani saltarono in sella e scomparvero. Non prima però che il nostro cacciatore potesse notare due scalpi gocciolanti tra le mani d’un guerriero.
Inorridì, ma tirò un sospiro di sollievo. Almeno lui era vivo. Sapeva che sopravvivere, nel suo stato, sarebbe stato impossibile. Quella note non poté neppure accendere un fuoco per affrontare meglio il freddo penetrante nel timore che gli indiani potessero vederlo e tornare. Aveva fucile e polvere da sparo, riuscì a trovare la pietra focaia e pure la sua Bibbia. I salmi gli diedero coraggio, la notte passò, all’alba accese un piccolo falò e s’assopì. Quando si svegliò, pensò che i castori delle trappole poste dai suoi compagni gli avrebbero fornito cibo a sufficienza e si trascinò lungo il torrente, trovando effettivamente quello di cui aveva bisogno. Trascorse un’altra notte e poi un giorno ma in completo digiuno. Pregò, recito i salmi, lesse passi del vangelo. Cercò in Dio la sua forza.
Un ritratto di Jedediah SmithCalarono di nuovo le tenebre e i morsi della fame non permisero a Smith di chiudere occhio poi apparve presso il torrente un cervo maschio intento a bere. Senza perder tempo, prese il fucile, puntò ebbe il suo cibo.
Trascorsero altri due giorni, la carne del cervo divenne putrida e una nuvola di corvi se ne impossessò. Si demoralizzò, cadde nello sconforto. Il giorno dopo giunse un gruppo di trapper della Missouri Fur Company guidato da Charles Keemle, noto per esser sopravvissuto al cosiddetto massacro della foce di Pryor Creek, un sanguinario attacco dei piedi neri di capo Iron Shirt, nella primavera precedente, quando Michael E. Immel e Robert Jones, per conto di Lisa, avevano tentato di allacciare rapporti con i nativi ma eran finiti trucidati. Smith fu posto su una rudimentale branda fatta di pelliccia e legno e trascinato da cavalli sino ad un accampamento cheyenne. Lì arrivarono Fitzpatrick e i suoi uomini. Smith era salvo.
Questa era l’avventurosa vita dei trapper. Libertà, spirito d’iniziativa, natura selvaggia, capacità di resistenza.

Per i Commenti è possibile usare il nostro forum