L’oro del sud-ovest
A cura di Angelo D’Ambra
La corsa all’ora in Arizona
Verso la fine del 1850, la maggior parte dell’oro facilmente accessibile in California era stata raccolta e i cercatori volsero allora la loro attenzione alla ricerca di oro nelle regioni limitrofe, portando in tutto il sud-ovest la loro febbre dell’oro.
I conquistadores arrivarono in Arizona alla ricerca di oro e trovarono invece argento. L’oro fu scoperto molto più tardi, intorno al 1774, dal un prete spagnolo, Manuel Lopez, ma una vera e propria corsa all’oro in Arizona non ebbe inizio se non dopo la definitiva acquisizione del territorio da parte degli Stati Uniti nel 1853.
Ricordiamo infatti che una parte dell’Arizona, quella situata a nord del fiume Gila, fu ottenuta in virtù del trattato di Guadalupe Hidalgo già il 2 febbraio 1848, ma la parte situata a sud del Gila, fu comprata dagli USA, in base al trattato fatto da James Gaddsen, solo il 30 dicembre 1853. Nel 1850, dunque, l’unica parte accessibile del territorio era quella attorno ai vecchi insediamenti messicani di Tucson e Tubac. Qui furono compiute considerevoli ricerche e vennero aperte diverse miniere d’argento e di rame, ma non fu affatto rinvenuto oro. Tutto cambiò nel 1858, quando si rinvenne oro presso il fiume Gila. La corsa all’oro che ne derivò portò alla fondazione di Gila City con un primo nucleo di quattrocento abitanti. Nel giro di un anno oltre millecinquecento persone si accamparono presso le rive del fiume, sfidando il caldo ed i pericoli del deserto, in cerca del prezioso metallo. Gli scavi erano situati su colline di sabbia a volte distanti un miglio dal fiume. Non essendoci acqua a portata di mano, il lavaggio a secco veniva affidato ad indiani e messicani pagati da uno a due dollari al giorno.
L’attraversamento del Gila River
Gila City fu una meteora, una luce fugace: quando una inondazione la spazzò via, nel 1862, i cercatori d’oro se ne erano già dimenticati e si erano spostati altrove, seguendo il corso del fiume Colorado, e trovano oro presso l’El Dorado Canyon e nella laguna di La Paz.
Come in California, ovunque venisse scoperto un granello d’oro, centinaia di minatori accorrevano a metter su un campo che sarebbe presto divenuto una città, con un saloon, una casa da gioco, prigioni, magazzini, mulini e fonderie. Più di 5000 cercatori d’oro si erano così riversati in questi territori portando con sé centinaia di mercanti che percorsero il Colorado con barche cariche di merci. La Paz, nel giro di pochi mesi, contò centocinquantacinque case di mattoni, numerose altre di legno, tanti negozi. Ehrenberg, sei miglia più in là sul fiume, a causa della suo migliore accessibilità alle navi a vapore, nel 1863, portò via la popolazione a La Paz, facendone una polverosa dimora per gufi e coyote.
Ricerca di oro nei dintorni di Prescott
Queste città furono tutte un focolaio di prostituzione, gioco d’azzardo, alcol e disperazione. I minatori vivevano con la costante consapevolezza che da un giorno all’altro i giacimenti in cui erano impegnatisi sarebbero prosciugati lasciandoli senza lavoro. In realtà l’oro della regione del Colorado Plateau si mostrò di scarsa qualità, si trovava altamente concentrato e fuso nel rame ed era difficile da estrarre, decisamente migliore era invece l’oro delle vene sotterranee della regione, incastonato nel quarzo.
Nel frattempo, a partire dal 1858, seguendo il fiume Colorado, migliaia di persone finirono risucchiate in un nuovo vortice di speranze, fortune ed illusioni, provocando il popolamento di quello che è l’attuale Stato del Colorado, la nascita di moltissime città tra cui Denver, Boulder, Black Hawk, Breckenridge e Central City e la rovina di Cheyenne, Ute e Arapaho perché il governo degli Stati Uniti fece di tutto per appropriarsi dei territori su cui erano stati individuati i siti auriferi.
Che in queste zone ci fosse oro lo si era sempre sentito dire. Cacciatori di pelli come James Purcell avevano riferito di aver trovato oro nei torrenti e le loro voci avevano pure attirato qualche esploratore solitario. Tra questi c’era Zebulon M. Pike che, nel 1807, aveva incontrato Purcell a Santa Fe e, sollecitato dai suoi racconti, si era precipitato tra le Montagne Rocciose trovando l’oro in una località che aveva poi preso il nome di Pikes Peak. Quasi quarant’anni dopo William Gilpin, che accompagnava la spedizione di John C. Fremont, rinvenne oro nelle insenature del nordest del Colorado. Cinque anni più tardi i membri del distaccamento del capitano Randolph Marcy trovarono oro a Cherry Creek, vicino alla confluenza con il South Platte River. In contemporanea Foglia Caduta, una guida delaware, scovò pepite d’oro vicino al futuro sito di Denver. Più eccitazione si scatenò nell’estate del 1858 quando i fratelli William, Oliver e Levi Russel, insieme a John Beck e ad un gruppo di cherokee e bianchi della Georgia, raggiunsero Ralston Creek rinvenendo altro oro. Questo gruppo si spinse sino al Little Dry Creek recuperando ancora oro. Tutto ciò funse da premessa a quanto si scatenò nell’estate del 1858, una sfrenata corsa all’oro: la “Colorado Gold Rush”.
Colorado Gold Rush
In Colorado arrivarono migliaia di cercatori d’oro in lunghe file di carri con equipaggiamenti e viveri, scodelle, picconi, pale e sacchi di farina. Via via che si scavava, la roccia diveniva più dura e i cercatori dovevano estrarla, immetterla in una macina di origine spagnola chiamata “arrastra” per frantumarla e ridurla in polvere e poi aggiungervi il mercurio che separava l’oro dallo scarto. A quanto sembra passarono di lì oltre centomila minatori e la quantità d’oro estratta fu pari a 1,25 milioni di once d’oro. Tuttavia, la scoperta dell’oro da sola non fu l’unica ragione per quanto accadde. Bisogna tenere in considerazione che l’instabilità economica di quegli anni e la pacificazione con gli indiani, grazie ai trattati di Fort Laramie e Fort Atkinson, concorsero ad aprire le porte del Colorado ai migranti. Infine, nel 1857, la notizia della vittoria di Edwin V. Sumner su una banda di indiani cheyenne in Kansas creò la percezione che i nativi americani non fossero più una minaccia. Fu l’insieme di tutti questi eventi a spingere i bianchi ad inoltrarsi tra le Montagne Rocciose alla ricerca di oro.
Pikes Peak finì menzionata sui giornali di tutti gli States come il cuore di quanto stava avvenendo così la Colorado Gold Rush risulta spesso chiamata “Pike’s Peak Gold Rush”.
Pike’s Peak Gold Rush
Sin dai primi giorni del 1859, migliaia di cercatori d’oro, spinti da cattivi raccolti e dalla pressione dei debiti, si radunarono nelle città lungo il fiume Missouri, nel Kansas orientale, e iniziarono il loro viaggio verso Pikes Peak. La Pike’s Peak Gold Rush portò in queste terre migliaia di persone come loro, di avventurieri e di famiglie dell’Est speranzose di cambiare vita. Avevano lasciato le comodità di casa e si erano spinti in territori selvaggi, alcuni addirittura a piedi. Non si sa il numero di quanti non sopravvissero al viaggio, ma le stime in merito sono molto alte. Diverse lettere e documenti risalenti al periodo della Gold Rush parlano di fame, scorbuto, disidratazione ed alcolismo. Rapidamente si scatenò una caccia a tutto ciò che poteva dare nutrimento, scoiattoli, cani della prateria, pecore, bisonti. Le aspettative di questa gente erano tante ma, come tutte le avventure, anche la Pike’s Peak Gold Rush fu destinata a tramontare in un battito d’ali, meno di sette mesi, da gennaio a luglio, quando la delusione dei minatori prese il sopravvento e si sparsero notizie di nuovi rinvenimenti d’oro. Mentre in migliaia risalivano verso est attraverso le pianure, altri si rivolgevano a nuove mete. Ricche miniere d’oro erano in attività a ovest di Boulder a Gold Hill e lungo Clear Creek ed i cercatori d’oro si spostarono lì come uno sciame d’api. Tutti questi ritrovamenti non erano però sufficienti a soddisfare i cercatori che continuavano a riversarsi nel Colorado. A maggio tutti s’erano già spostati a Gregory Gulch vicino North Fork di Clear Creek, città fondata dal cercatore John H. Gregory. Vi si potevano vedere tende e rifugi di rami di pino che ospitavano circa 5000 persone. Dal mese successivo si calcola che ogni giorno giunsero a Gregory oltre 500 persone. La maggior parte dei cercatori erano giovani uomini, più del 90% di loro nati negli Stati Uniti. Gli altri provenivano principalmente dall’Irlanda, dall’Inghilterra e dalle aree di lingua tedesca dell’Europa. Un censimento del 1860 mostra più di venti uomini per ogni donna nella parte del territorio del Kansas che sarebbe poi diventata Colorado. Il grosso di essi restò deluso.
In cerca di giacimenti d’oro
Come John Gregory, anche George A. Jackson si spinse oltre i territori esplorati trovando oro a Chicago Gulch, vicino all’odierna Idaho Springs. Ovviamente tutti si diressero in quell’area, speranzosi di rinvenire oro. Verso la metà degli anni 1860 la zona era ufficialmente riconosciuta come centro del settore minerario del Colorado, ma tramontata questa nuova chimera tutti corsero a vicino a quello che è diventato Gold Hill.
Questa corsa all’oro attirò robusti agricoltori, avidi avventurieri, ladri e teste calde. Ovunque essi si spostassero sorgevano città attorno ad empori di melassa, farina, whisky e zucchero. Nel giro di pochi giorni una manciata di tende di minatori si trasformavano in un agglomerato urbano ricco d’affari. L’emblema di tutto questo resta Denver, la più grande città del Colorado. Denver sorse su iniziativa del generale William Larimer, uno speculatore terriero, e deve il suo nome a James Denver, governatore del Kansas. Fu il frutto dell’unione di tanti piccoli insediamenti di minatori che accettarono la proposta, a quanto pare, in cambio di un barile di whisky. Denver divenne una città di frontiera, con un’economia basata sulla fornitura ai minatori locali di gioco d’azzardo, saloon, bestiame e merci di scambio.