La lunga marcia di Mary Ingles
A cura di Gian Mario Mollar
Il rapimento di Mary Draper Ingles
Quando si parla di “grandi pionieri” della storia americana, i cosiddetti “trail blazers”, gli scopritori di piste, vengono in mente figure ormai leggendarie come quelle di Lewis e Clark, che seguirono il corso del fiume Missouri fino a raggiungere l’oceano Pacifico, o Jedediah Smith, che fu il primo uomo bianco ad avventurarsi tra le Montagne Rocciose, oppure ancora le incredibili gesta del trapper Hugh Glass, che compì una lunghissima traversata pur essendo stato ferito da un orso.
Oggi, però, vi racconteremo una storia meno nota, ma non per questo meno stupefacente: la grande fuga di Mary Ingles, una donna rapita dagli indiani Shawnee, che nel 1755 riuscì a tornare a casa dopo una lunga traversata di circa duemila chilometri in quarantatré giorni, attraverso terre fino ad allora inesplorate dai coloni europei.
Prima di tuffarci nell’avventura, dipingiamo con alcune pennellate lo sfondo storico: siamo nel West Virginia (sì, proprio quello della canzone di Joe Denver!), alle pendici dei monti Allegheny. Dal punto di vista storico, siamo alle porte di quella che verrà definita Guerra Franco-Indiana, un conflitto che si protrasse per quasi dieci anni, dal 1754 al 1753, e che vide contrapporsi Francia e Inghilterra per il controllo dei territori dell’America nord-orientale e del Canada. Fu una guerra cruenta (si stima circa un milione di morti in totale) e per molti versi una guerra “innovativa”, in quanto costrinse gli europei ad adottare nuove tecniche di combattimento. Se fino ad allora, infatti, nella vecchia Europa si combattevano battaglie in campo aperto, con grandi manovre di cavalleria e fanteria, le fitte e impenetrabili foreste americane richiedevano una tattica diversa, fatta di imboscate, incursioni e scaramucce. In questo cruento gioco al massacro, gli Europei ebbero dei grandi maestri: i nativi americani, impareggiabili conoscitori dei luoghi e delle tecniche di sopravvivenza in quegli scenari.
Mary Ingles
In questa fase storica, le tribù indiane non erano ancora considerate tout court come nemici da sterminare – come accadrà, ad esempio, nella seconda metà dell’800 con i Sioux e le altre tribù delle Grandi Pianure – quanto piuttosto come “potenze straniere”, con le quali stringere alleanze e accordi commerciali. Fu così che gli Inglesi si allearono con la Confederazione Irochese e i Cherokee, mentre i Francesi strinsero legami con le popolazioni Algonchine (Abenaki, MicMac, ecc..) e gli Shawnee, che, come vedremo, svolgeranno un ruolo importante nell’avventura che ci accingiamo a raccontare.
Le ostilità iniziano nel 1754 con delle incursioni francesi ai danni di alcuni avamposti inglesi, e con vicende alterne, saranno le colonie inglesi a vincere la guerra: non per molto, però, perché di lì, nel 1776, le tredici colonie americane firmeranno la Dichiarazione d’Indipendenza, e George Washington, che ai tempi della guerra contro i Francesi si distinse come colonnello, diventerà il primo presidente di una nuova nazione: gli Stati Uniti d’America. Lo scacchiere dello scontro tra Francia e Inghilterra è complesso, e la partita si svolge su due tavoli: non solo in America, ma anche nella Vecchia Europa, dove le due potenze sono contemporaneamente impegnate nella cosiddetta Guerra dei Sette Anni. Difficile riassumere in poche battute il complesso intreccio di battaglie e di attori, ma ricordiamo almeno alcuni episodi fondamentali. Tra questi, la battaglia di Fort Ticonderoga del 1758 (celebrata in un capolavoro a fumetti di Hugo Pratt che vi consigliamo di riscoprire), che vide contrapporsi due grandi strateghi: il generale De Montcalm sul fronte francese e il Generale James Abercrombie per gli inglesi. Ricordiamo anche la celebre Battaglia delle Racchette da neve, che vide all’opera i letali Roger’s Rangers, capitanati dal mitico Maggiore Robert Rogers.
Ora che abbiamo delineato lo sfondo, anche se con pennellate grossolane, possiamo entrare nel vivo dell’azione: siamo nel luglio del 1755 (le fonti discordano sulla data esatta, c’è chi dice che fu l’8 e chi dice che fu il 30 luglio), a Draper’s Meadows, un villaggio abitato da una ventina di coloni di origini irlandesi e tedeschi provenienti dalla Pennsylvania. Fino ad allora, gli abitanti hanno convissuto pacificamente con i nativi dell’area, ma adesso la situazione è cambiata. La guerra tra francesi e inglesi è iniziata, e di recente, il 9 luglio, il generale Braddock e i soldati inglesi hanno subito una pesante sconfitta nella battaglia di Monogahela da parte delle truppe francesi, alleate con gli Shawnee. Galvanizzati dalla vittoria, i guerrieri Shawnee hanno ancora sete di bottino e di violenza, una sete che sfogano attaccando e saccheggiando le fattorie isolate.
Guerrieri Shawnee
In quel giorno fatidico, una banda di Shawnee irrompe nel piccolo villaggio, seminando il terrore. Due uomini e due donne (la madre e la cognata di Mary Ingles), vengono uccisi nella colluttazione, altri vengono gravemente feriti. Alla piccola figlia della cognata di Mary Ingles viene sfracellata la testa contro lo spigolo di un muro. Alcuni, tra cui il fratello di Mary, si salvano perché nel momento dell’attacco non sono presenti, stanno lavorando la terra. Il marito di Mary, William Ingles, viene ferito dagli indiani, ma riesce a fuggire e a nascondersi nella foresta.
La giovane Mary Draper ha soltanto ventitré anni, ma si è sposata a diciott’anni e ha già avuto due figli da suo marito: Thomas e George, di due e quattro anni. All’epoca dei fatti, una nuova vita sta crescendo di nuovo nel suo grembo. È nata nel 1732 a Philadelphia, in Pennsylvania, da una famiglia di immigrati irlandesi, che si sono successivamente spostati, come tanti, ad ovest, in cerca di terra e di fortuna. Oggi, però, di fortuna a Draper Meadow ce n’è ben poca.
Dopo le urla e il sangue, sul villaggio regnano il silenzio e il crepitio delle fiamme che divampano tra le case di legno. Gli Shawnee lasciano il villaggio carichi di un misero bottino: provviste, munizioni e qualche fucile. Portano con loro anche cinque o sei prigionieri, tra questi ci sono Mary e i suoi due figli. Uno dei rapitori ha legato alla cintura lo scalpo di Eleanor Draper, la madre di Mary.
Dopo appena un paio di chilometri, la banda si imbatte nella casa di tronchi di Caspar Barger, un vecchio solitario. Gli Shawnee lo decapitano e infilano la testa mozzata in un sacco. Con macabro senso dell’umorismo, la recapitano in un’altra fattoria che incontrano lungo il cammino, dicendo che un vicino è passato a trovarli.
I prigionieri vengono costretti a marciare per miglia e miglia attraverso le foreste, verso Nord Ovest in direzione dell’Ohio, perlopiù costeggiando le sponde del New River. Alle donne viene concesso di tanto in tanto di montare a cavallo, ma mai di fermarsi: la marcia deve continuare a tutti i costi.
Dopo tre giorni di cammino, in una notte nel cuore della foresta, Mary dà alla luce una bambina. Partorire in circostanze così precarie implicava un alto rischio: se Mary non fosse stata in grado di proseguire, il giorno dopo i rapitori avrebbero finito lei e la sua bambina a colpi di tomahawk. Ma la donna aveva una tempra eccezionale, e il mattino successivo era di nuovo pronta a riprendere il cammino. Probabilmente, gli Shawnee non infierirono su di lei anche perché speravano di poter intascare un riscatto maggiore barattando madre e figlia.
La lunga marcia di Mary Ingles
Dopo un mese di marce forzate, il drappello raggiunge un villaggio Shawnee di nome Sonnontio, all’imbocco del fiume Scioto, nei pressi dell’attuale città di Cincinnati. Durante la marcia, Mary si prende cura della neonata, dei suoi figli, ma anche della cognata, che ha un braccio rotto. Raccoglie erbe medicinali e bacche per curarla e nutrirla, e inoltre si guarda intorno, studia i punti di riferimento. Annodando le frange dello scialle, calcola i giorni di viaggio. Nei suoi pensieri, sta già pensando a una via di fuga.
Giunti al villaggio, una prova terribile attende i prigionieri: dovranno passare attraverso due file di guerrieri shawnee, pronti a colpirli con mazze e bastoni. Chi cade, o esita, viene costretto a ripetere il passaggio, chi affronta la prova con coraggio viene risparmiato. Si tratta di una sorta di rito di iniziazione: chi sopravvive a questa specie di forche caudine verrà integrato nella tribù, andando a rimpiazzare i membri morti in battaglia. A Mary viene risparmiata la terribile prova, ma non certo il dolore di separarsi per sempre dai suoi cari. La tribù, infatti, si spartisce il bottino e i suoi due figli vengono venduti, mentre la cognata viene data in sposa a un vecchio vedovo e trasferita in un altro villaggio.
Prima di proseguire, diciamo qualche parola a proposito degli Shawnee, che in questa storia giocano inevitabilmente il ruolo di “cattivi”. Di fatto, come in ogni storia di guerra, non ci sono buoni e cattivi in senso assoluto, ma semplicemente uomini che lottano per sopravvivere. Attraverso il complesso gioco delle alleanze, i nativi cercarono di difendere le loro terre e il loro diritto ad esistere. Come ben sappiamo, entrambi vennero progressivamente erosi e infine negati dalla voracità dell’uomo bianco.
La logica del rapimento dev’essere analizzata alla luce di questo contesto. La storia di Mary ci offre una panoramica di esiti a cui un rapimento poteva giungere: i prigionieri potevano essere semplicemente torturati e uccisi, per dare sfogo a un desiderio di vendetta, scambiati o restituiti in cambio di un riscatto, oppure ancora adottati dalla stessa tribù che li aveva rapiti.
La pratica dell’adozione dei nemici può apparire “strana” per la sensibilità occidentale, ma in realtà corrisponde a un bisogno primario di qualsiasi consorzio umano: quella di avere un numero di membri attivi in grado di contribuire alla sua prosperità. La guerra e le malattie imposero un grande tributo ai nativi, lasciando dei buchi all’interno delle tribù che, in qualche modo, bisognava riempire. L’adozione di “stranieri” rispondeva a questa esigenza e permetteva di acquisire in breve tempo dei nuovi membri attivi. Di fatto, attraverso le adozioni, anche i confini tra gli schieramenti si andavano sfumando: sono stati documentati diversi casi in cui i prigionieri europei avevano assorbito così a fondo la cultura dei nativi da non voler far ritorno.
Mary Ingles prigioniera degli Shawnee
Dopo questa precisazione, ritorniamo alla storia di Mary Ingles: dopo essere stata separata dai suoi cari sopravvissuti, la donna rimane tra gli Shawnee con la bambina. È affranta, ma non si dà per vinta. Dopo qualche giorno, arrivano al villaggio dei commercianti francesi. Barattano con gli Shawnee delle pezze di stoffa in cambio di pelli: la prigioniera dimostra di essere abile nel cucito, creando delle camicie che vengono indossate con orgoglio da alcuni guerrieri. Sfilano tronfi tra le capanne dell’accampamento con le camicie che ha cucito la donna bianca. L’episodio accresce molto il suo prestigio e il suo valore di schiava.
Dopo qualche settimana, un drappello lascia l’insediamento per andare a fare scorta di sale. Portano con loro alcuni prigionieri, tra cui Mary. La meta è Big Bone Licks: una sorgente salina che deve il nome alle grandi ossa di mammuth che si trovano nei dintorni, che venivano utilizzate come pali per le tende tanto dagli indiani quanto dai primi esploratori che visitarono quelle zone. Mary probabilmente non ebbe il tempo di apprezzare le suggestioni del luogo: lei e le altre prigioniere erano costrette ad alimentare continuamente il fuoco per far bollire l’acqua e raccogliere il sale che si depositava sul fondo dei pentoloni. Nel frattempo, i guerrieri cacciavano la selvaggina che era attratta dalle concrezioni saline intorno alla sorgente.
Le prigioniere non vengono sorvegliate: la loro è una gabbia senza sbarre, le circonda un inferno verde che si estende quasi all’infinito, pieno di animali selvaggi e anche feroci. Dove mai potrebbero andare? Mary, però decide di scappare. Non sapeva se suo marito fosse ancora vivo, ma probabilmente la fatica di raccogliere legna e bollire acqua deve averla convinta a tentare la sorte.
Riesce a convincere una sua compagna di sventura a seguirla. La donna ha origini olandesi, è più anziana e robusta di Mary. Prima di scappare, le due donne riescono a sottrarre di nascosto due coperte, un tomahawk e un coltello.
Prima di partire, però Mary ha un importante dilemma da risolvere: la bambina neonata non può venire con lei, non sopravvivrebbe agli stenti e ai rischi della fuga. Decide così, a prezzo di una sofferenza straziante, di lasciarla dietro di sé, pur sapendo che gli Shawnee, una volta scoperta la sua fuga, avrebbero potuto facilmente ucciderla.
Mary e la donna olandese partono in un tardo pomeriggio, dirigendosi verso il fiume Ohio e risalendone il corso: non hanno bussole o altri punti di riferimento, sanno soltanto che il fiume, prima o poi, le porterà a casa.
I nativi, non vedendole tornare, pensano che le due siano state vittime di un incidente, magari l’assalto di un orso o una caduta in un precipizio. Non considerando la possibilità che siano fuggite, non si mettono neanche ad inseguirle, ma le due donne non lo sanno e quindi cercano di mettere più distanza possibile tra loro e gli inseguitori.
La fuga di Mary Ingles e della sua compagna non si svolge su strade o sentieri battuti, per il semplice fatto che non ci sono. Per avanzare, devono farsi strada a colpi di tomahawk nella foresta più profonda, fatta di rami, arbusti ed edera velenosa. I vestiti si lacerano per primi, poi la pelle. In breve, i loro mocassini si trasformano in cenci inutilizzabili, ma le due donne cercano di ripararli utilizzando pezzi dei loro vestiti e delle loro coperte. Le magre scorte di cibo che erano riuscite a mettere da parte finiscono altrettanto in fretta. Raccolgono noci, bacche e radici che trovano lungo il cammino, arrivando a masticare anche cortecce tenere ed erba nel vano tentativo di placare i morsi della fame. Quando le trovano, mangiano le carogne di animali morti.
La casa di Mary Ingles
All’improvviso, dopo cinque giorni, un colpo di fortuna: le due donne si imbattono in una catapecchia abbandonata sulla riva del fiume. All’interno, c’è un sacco di grano e, nel giardino sul retro, un vecchio cavallo. Mary e l’olandese si appropriano di entrambi e per alcuni giorni cavalcano a turno l’animale, alleviando così, almeno in parte, la fatica del cammino.
Nella loro marcia, le due donne attraversano ben cento quarantacinque ruscelli e corsi d’acqua, fatto ancora più notevole se si pensa che nessuna delle due era in grado di nuotare. La ricerca di guadi, però, le costringe spesso a fare lunghe deviazioni, allungando ulteriormente un percorso già di per sé titanico. Proprio durante l’attraversamento di un fiume, le donne perdono il cavallo. Siamo a novembre, fa freddo e inizia a cadere la prima neve.
Per l’olandese, indebolita dal freddo e dalla fame, è la goccia che fa traboccare il vaso: scoraggiata e frustrata, accusa Mary di averla costretta a fuggire contro la sua volontà. Mary cerca di blandirla, assicurandole che all’arrivo le darà una ricompensa in denaro. Ma nel frattempo il granturco è finito, e Mary Ingles teme per la propria vita: l’olandese la aggredisce di nuovo. Vuole ucciderla per nutrirsi di lei.
Una sera, la compagna si avventa su di lei. Potrebbe avere facilmente la meglio, visto che è più grossa, ma Mary è più giovane e veloce, e riesce a sfuggirle e a nascondersi nella foresta. Mentre scappa, trova una canoa abbandonata sulla riva del New River. La usa per attraversare il fiume, frapponendo così un ostacolo insormontabile per la sua compagna, e poi continua la sua marcia lungo la riva del fiume, in direzione sud-ovest.
Qualche giorno dopo essersi separata dall’olandese, Mary raggiunge finalmente la casa di Adam Harmon, un amico di famiglia. In breve, sarà finalmente ricongiunta con il marito e una spedizione di ricerca riuscirà anche a trovare l’olandese, ancora vagante nella foresta. Anche lei farà ritorno tra i suoi cari, ma il suo nome non ci è stato tramandato.
La statua eretta in memoria di Mary Ingles
Era – probabilmente – il 1 dicembre del 1755. La lunga marcia di Mary Ingles era durata quaranta giorni, lungo un percorso di circa 800-1000 km, che l’aveva portata ad attraversare fiumi, colline e la catena degli Appalachi, con una media di circa 30 km al giorno. Dopo questa impresa incredibile, tornò a vivere con suo marito, ma continuava a temere le incursioni degli Shawnee: per questa ragione, l’anno successivo la coppia si trasferì presso un forte, Fort Vausee, dove la presenza di una guarnigione militare dava maggiore sicurezza. La donna ebbe altri quattro figli e morì di vecchiaia nel 1815.
Dei due figli che erano stati prigionieri con lei, uno morì tra gli Shawnee, mentre Thomas, che all’epoca del rapimento aveva quattro anni, venne riscattato nel 1768 e fece ritorno in Virginia.
Chiudiamo così il sipario su questa eroica storia di sopravvivenza e su un’eroina come Mary Ingles. La sua memoria, però, rimane viva nell’immaginario collettivo degli americani, che le hanno dedicato libri, diversi film (tra cui ricordiamo un non imprescindibile Follow the river del 1995 e The Captives del 2004) e una bella statua in bronzo nella cittadina di Radford, in West Virginia.