Razzismo, schiavitù e violenza contro gli indiani nella California della Gold Rush
A cura di Angelo D’Ambra
Violenza contro gli indiani
Prima dell’arrivo dei coloni europei, circa 300.000 nativi vivevano in California. Violenza, malattia e fame li travolsero soprattutto con la corsa all’oro. Nel 1870, i nativi in California erano appena 30.000 persone, la maggior parte chiuse in riserve.
L’orrore più grande s’era raggiunto nel 1850 con una legge dello Stato che prevedeva lavoro forzato per gli indiani vagabondi e orfani.
Qualsiasi bianco avrebbe potuto accusare un indiano d’essere un vagabondo, portarlo d’avanti al giudice e vedere l’imputato condannato ad essere venduto in un’asta pubblica. Il suo stesso accusatore avrebbe persino potuto comprarlo e garantirsi i suoi lavori, gratis, per almeno quattro mesi. Lo stesso John Sutter, proprietario della terra in cui fu scoperto l’oro nel 1848, non sarebbe mai diventato ricco e potente se non grazie ai suoi schiavi indiani che usò come forza lavoro.
Per non parlare poi dei gruppi di vigilanti armati che si costituirono spontaneamente per cacciare i “diavoli rossi” dalle aree in cui c’era o si pensava ci fosse oro. I nativi americani in California, naturalmente, tentarono di resistere agli assalti ai loro villaggi, ma avevano poche speranze, troppe erano le differenze d’armamento anzitutto.
Molti villaggi di minatori pagavano grandi cifre per avere teste, orecchie o scalpi di indiani ed una legge dello Stato garantiva un fondo per più di un milione di dollari destinati a rimborsi per “spese aggiuntive” che i cacciatori di indiani potevano contrarre. Si pensi che una mano o del cuoio capelluto di un indiano potevano essere pagati 25 dollari, 5 nel caso si trattasse di parti di corpi di bambini o donne. Tali usi e leggi furono abrogati solo dopo il 1900. Ai volontari si unirono le milizie statali che attaccavano gli avamposti tribali in risposta a minaccie ed attacchi: nel 1850, ad esempio, circa 400 persone Pomo, tra cui donne e bambini, furono massacrate dalla cavalleria statunitense e da volontari locali a Clear Lake, a nord di San Francisco.
Coi massacri e la schiavitù, arrivò pure una serie di malattie, come vaiolo, varicella, febbre…, che decimarono le popolazioni indigene.
Il picco di violenza contro gli indiani si svolse durante la corsa all’oro
Pensiamo agli indiani Me-Wuk di Tuolumne, una tribù oggi stanziata ai piedi della Sierra Nevada nella Tuolumne Rancheria, istituita il 26 ottobre del 1910, oggi con circa 200 membri. Questa tribù si vide sottrarre l’acqua, distrutte le aree di raccolto e di pascolo, conobbe nuove malattie ed alla fine cercò rifugio in aree più isolate. Prima della Gold Rush erano in circa 10.000. Nel 1910 erano 679.
Anche l’istituzione di riserve fu un dramma, sia perchè spostava gli indiani dalle loro terre native, sia perchè li relegava in aree cui non erano abituati. In più il lungo tragitto col quale gli emissari governativi raccolsero i nativi dalle zone pedemontane, specialmente sopra Sacramento, riportandoli a valle, poi oltre le Sutter Buttes ed attraverso il Sacramento River, vide parecchi indiani morire, soprattutto per annegamento nei fiumi. Così nacque la riserva di Round Valley. In molti riuscirono a non farsi prendere, nè censire, restando nascosti ed integrandosi con cognomi ispanici, spacciandosi per messicani. Fu così che la Gold Rush costrinse gli indiani ad abbandonare le loro zone tradizionali ed a cambiare completamente il loro stile di vita identitario.
A fare le spese dell’odio razziale in quei giorni furono anche messicani e cinesi.
Nel momento in cui fu scoperto l’oro, circa 800 famiglie messicane gestivano fattorie e negozi. Alcuni dei loro ranch erano grandi oltre 200.000 acri e, in qualche caso, si era soliti misurare i confini delle proprietà in base a quanto un cavallo potesse cavalcare in un giorno. Per costoro, soprattutto per quelli che restarono estranei al mondo dei minatori, la vita nella Gold Rush cambiò poco. Per i messicani di bassa estrazione invece cambiò molto.
Indiani e cercatori d’oro bianchi a contatto
Un altro aspetto interessante della California Gold Rush fu infatti il razzismo. A patirlo furono in primo luogo i messicani, poi soprattutto i cinesi.
Numerosi furono i raid di minatori bianchi contro gli stranieri e fu pure approvata una tassa sui minatori privi di cittadinanza, in prevalenza messicani, che furono obbligati a pagare venti dollari al mese a differenza dei loro colleghi bianchi con cittadinanza.
Se i messicani riuscirono ad integrarsi lentamente nella nuova California statunitense, l’immigrazione cinese ebbe problemi maggiori.
Un censimento del 1848 riferisce che a San Francisco c’erano tre cinesi, l’anno dopo se ne contavano 54 e 791 nel gennaio 1850 e… 4000 sul finire di quell’anno. La notizia della scoperta dell’oro in California raggiunse la Cina nel 1848 e i cinesi si fiondarono in California raggiungendo il numero di 20.000 nel 1852.
Erano grandi lavoratori, spesso si ritagliavano un importante ruolo da mercanti al seguito dei minatori perché le leggi di buona parte di quelle contee vietavano riconoscimenti di reclami e possibilità di scavo a chi non avesse la cittadinanza americana. Ci si immagini che solo nel 1854, grazie ad una legge della Corte Suprema della California, i cinesi poterono fungere da testimoni nei processi giudiziari. Ciò non rappresentò una inversione di rotta, il razzismo continuò e decretò la fine dei loro sbarchi nel 1882, con il Chinese Exclusion Act, praticamente una vera e propria legge raziale (atto rimasto in vigore sino al 1943!).
Un discorso a parte merita la schiavitù.
Schiavi di colore apparvero da subito nelle miniere della California. I loro proprietari, principalmente provenienti da Mississipi, Missouri e Arkansas, li facevano lavorare per conto proprio nelle miniere. In gran parte i minatori bianchi ritenevano un vantaggio ingiusto il poter usufruire di schiavi.
Indiani ridotti in schiavitù
La questione era più delicata di quanto si pensasse perché se gli Stati Uniti si dividevano equamente tra 13 stati con schiavitù e 13 senza, la California poteva alterare questo equilibrio a favore dell’una o dell’altra giurisdizione. Mentre a Washington il Congresso ne discuteva, quarantotto delegati californiani si ritrovarono a Monterey e votarono per aderire all’Unione con una costituzione antischiavista. Questa presa di posizione fu però zittita dal Congresso che lasciò entrare California, New Mexico e Utah nell’Unione senza però determinarne la giurisdizione in materia di schiavitù.
Il fatto che la schiavitù fosse vietata in California non voleva dire affatto che fossero riconosciuti diritti civili agli afroamericani, anzi ai neri restavano negati il diritto di voto ed il diritto di testimoniare in tribunale, restava pure il diritto di un proprietario di reclamare i propri schiavi fuggiaschi.