Chihuahua e Ulzana, Cosacchi della Sierra Madre

A cura di Anna Maria Paoluzzi. Articolo di Anton Nikonov
Le note sono raccolte a pagina 5. La bibliografia a pag. 6.

Poche sono le personalità importanti delle guerre Apache a cui non siano stati dedicati studi esaustivi dalla storiografia americana. Tra questi personaggi possiamo ricordare i leader dei White Mountain Apache Diablo e Pedro, gli scout (sergenti) Apache Alchise e Chato e i capi Chiricahua Loco, Nana e Kahtennay. Gli studiosi hanno anche trascurato – a mio avviso ingiustamente – altri due leader Chiricahua che ebbero un ruolo importante nella “Campagna di Geronimo”, ma finirono per essere messi in ombra da Geronimo stesso: il capo Chihuahua e il suo compagno Ulzana, meglio noto agli americani come Josanie.
Lo scopo del presente articolo è colmare questo vuoto.
La notte del 18 maggio 1885, un grande gruppo di Apache Chiricahua, guidati dai capi Chihuahua, Naiche, Geronimo, Nana e Mangus lasciarono la riserva di San Carlos diretti verso il Messico.
Iniziava così l’ultima guerra Apache, passata alla storia americana come la guerra di Geronimo che, per uno scherzo del destino, proprio per questo balzò agli onori della stampa dell’epoca.
Charles Lummis, un giornalista che seguiva la campagna militare, definì il gruppo Apache (di cui facevano parte soli 35 guerrieri) “la banda di combattenti più spietata mai ricordata a memoria d’uomo” (1).
Il giorno successivo tuttavia sorsero dei dissidi tra i capi, che finirono per separarsi: la maggioranza continuò a procedere verso il confine messicano, mentre uno di loro (Chihuahua), insieme alla sua gente, si diresse a nord-est, sperando di tornare senza troppo clamore alla riserva, seguendo un percorso circolare.


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Sfortunatamente per lui, quando gli scout del tenente Charles Baehr Gatewood alla ricerca dei ribelli raggiunsero il luogo in cui i due gruppi si erano separati, decisero di puntare a nord, pensando che chi avesse continuato la fuga in direzione del Messico sarebbe stato intercettato dalle truppe di stanza nel sud dell’Arizona. Quando Chihuahua e la sua gente si trovarono di fronte i loro inseguitori, dovettero abbandonare ogni speranza di tornare impuniti alla quiete della loro precedente esistenza e iniziarono una fuga disperata a sud, cercando rifugio nelle montagne della Sierra Madre. Il loro percorso tuttavia ora si snodava nelle aree sud-orientali del New Mexico, popolate da rancheri bianchi e pattugliate da reparti dell’esercito USA e scout indiani. L’unico modo per farsi strada era combattere.
Fu forse allora che la tragica stella dei fratelli Chihuahua e Ulzana iniziò a splendere. Il destino volle che questi guerrieri, che inizialmente erano i meno inclini allo scontro con gli americani, si trovassero coinvolti in raid e massacri che scatenarono il terrore in tutta l’Arizona e il New Mexico.
Fino a quel momento, i nomi del capo Chokonen [2] Chihuahua (nome Apache – Kla-esch, 1822 c.ca-1901 [3]) e del suo segundo [4] Ulzana erano praticamente sconosciuti ai bianchi. Edwin R. Sweeney nella sua biografia di Cochise riporta come Eve Ball (storica della divisione dei Chiricahua), in una corrispondenza privata, abbia affermato che Chihuahua “era già un giovanissimo leader quando Cochise era in età avanzata” e comandava il secondo gruppo per numero (dopo quello di Cochise) dei Chokonen, spostandosi lungo i confini dell’Arizona e del New Mexico, intorno allo Stein’s Peak.
Secondo quanto riportato in una delle lettere di Morris Opler (un celebre antropologo che condusse degli studi sugli Apache negli anni Trenta), Chihuahua divenne “un capo durante gli ultimi anni di Cochise” [18, 369].
Chihuahua intorno al 1884
Secondo Eugene, il figlio di Chihuahua, suo padre divenne un leader indipendente “quando era ancora molto giovane” e probabilmente ereditò il proprio rango dal padre. “Chihuahua non era un sotto-capo di Cochise. I Chokonen non avevano sotto-capi. Se lo desiderava, poteva unirsi ad altri capi come aveva fatto con Cochise, ma non aveva l’obbligo di farlo. Dipendeva interamente dalla volontà sua e dei suoi guerrieri combattere”, spiegò Eugene [2, 43].
Henry W. Daly, che servì il generale George Crook in qualità di responsabile principale degli approvvigionamenti, scrisse che nel 1886 i Chokonen erano divisi in tre gruppi politicamente indipendenti tra loro. Il primo (che rimase fedele al governo degli Stati Uniti), era sotto il comando di Chato e Martine, il secondo (costantemente ostile) era guidato da Naiche e il terzo (politicamente incerto) da Chihuahua. “Chihuahua aveva il suo seguito, composto da alcuni degli elementi più brillanti dei Chiricahua, tra cui Josanie e altri di quella stessa gente” – annotava Daly [8, 458]. La comunità raggiungeva a mala pena i 90-100 elementi, tra cui 25-30 guerrieri.
Secondo Woodward B. Skinner, Chihuahua era alto (circa 1.80 m) e robusto. Nonostante i suoi circa 90 kg di peso, “non aveva un grammo di grasso superfluo” [17, 226]. Un tratto interessante dell’aspetto del capo era la sua pelle, molto chiara per un Apache, e occhi grigio-chiaro.


Ancora un ritratto di Chihuahua

Eugene Chihuahua ricordava come un giorno un distaccamento messicano giunse nella loro riserva per scambiare degli indiani catturati con dei prigionieri messicani. Non appena videro lui e suo padre, dissero che li avrebbero portati via entrambi, perché non erano Apache. “Chihuahua era folle di rabbia. Quando stava per scacciare i messicani dall’accampamento, una vecchia si avvicinò e disse loro in spagnolo che, al momento della nascita di Chihuahua, era con sua madre e che era certa fosse un Indio puro . Un’altra disse la stessa cosa, e che sapeva che anch’io ero un Apache purosangue. Per loro fortuna, quei soldati messicani non provarono più a portarci via. ” [2, 47]. Oltre a questo, un‘altra caratteristica per cui Chihuahua differiva molto dai suoi compagni Apache erano i suoi modi gentili e l’ordine e la pulizia dei suoi abiti, tanto che il tenente Hugh Lennox Scott, agente della riserva militare di Fort Sill negli anni Novanta, lo definì un “Apache Chesterfield” [7, 374] (dal nome del conte di Chesterfield, gentiluomo inglese celebre per i consigli sui comportamenti da tenere in pubblico contenuti nelle “Lettere al Figlio, N.d.T).


Un bel primo piano di Ulzana

Ulzana [5] (Ulzan[n]a, 1821–1909) era fratello maggiore, capo militare e vice-segundo di Chihuahua. Negli archivi della riserva di San Carlos, Ulzana è descritto come un uomo robusto, ma piccolo, alto circa 1.65 m. [14, 254]. Era “coraggioso quanto Chihuahua”, ma al momento di scegliere il capo, la maggioranza dei guerrieri diede il proprio voto al minore dei due fratelli; “Ulzanna non provò alcun rancore per Chihuahua, ma divenne il suo segundo e gli fu sempre fedele e leale”, come riferirono Eugene Chihuahua e Richard Josanie (figlio di Ulzana) [2, 45]. Quando si doveva eleggere il capo di una comunità, gli Apache tenevano in considerazione vari fattori, tra cui non ultimo veniva il cosiddetto “Potere” (inteso come particolari capacità magiche) dei candidati. Il “potere” poteva mostrarsi in vari modi: Cochise e Juh erano celebri per le loro capacità di comandanti e l’abilità nel tendere imboscate e Geronimo aveva la facoltà di prevedere il future. Il “potere” di Chihuahua si manifestava sui cavalli. Era in grado infatti di domare cavalli selvaggi e curare le loro ferrite e malattie. “Una volta lo vidi risanare un cavallo che stava morendo per il morso di un serpente a sonagli”, ricordava Aca Daklugie, figlio del capo Juh [2, 61].
Chihuahua viene menzionato per la prima volta nelle memorie di Frederick G. Hughes, impiegato presso l’ufficio dell’agente indiano per la riserva dei Chiricahua, che riporta come il capo avesse vissuto nella riserva fino al 1876, aiutando poi Taza ( figlio e successore di Cochise) nel trasferimento della sua gente alla riserva di San Carlos.


Chihuahua in un altro ritratto fotografico di Ben Wittick (1884)

Tuttavia Eve Ball smentisce decisamente questo fatto e così non ci è dato sapere se Chihuahua si sia effettivamente trasferito alla riserva di San Carlos o sia fuggito in Messico con Juh e Geronimo. In ogni caso nel 1880, second Henry Daly, Chihuahua era sergente capo della compagnia di scout indiani al comando del tenente James A. Maney, del Quindicesimo Fanteria [8, 458]. Eugene Chihuahua conferma: “Quando stavamo a Fort Apache, mio padre si arruolò come scout; allora essere scout non era una cosa di cui vergognarsi, perché non erano stati usati contro la propria gente. Quando questo accadeva, quelli che stavano con l’esercito venivano considerati traditori”. Persino allora però il comportamento di Chihuahua risultò insolito per un capo Chiricahua. Ecco come Eugene descrisse la situazione: “Mio padre fu l’unico dei capi a diventare scout….non gli piaceva vivere nella riserva; essere uno scout gli permetteva di andarsene via di tanto in tanto. Inoltre, gli avevano dato un fucile e una cartuccia di munizioni, oltre a qualche indumento (anche se indossava solo camicia e giubba). La cosa migliore di tutte per mio padre era però sapere che, quando era via, sua moglie e i suoi figli sarebbero stati protetti” [2, 47].
Aca Daklugie ricordò: “So che c’era un alone di mistero che circondava Chihuahua, anche se non sapevo con esattezza a cosa fosse riferito. Mi accorsi però che, nonostante fosse uno scout, quel capo veniva comunque rispettato” [2, 31]. Secondo il celebre storico delle guerre Apache Dan L. Thrapp, anche Ulzana prestò servizio come scout durante la campagna contro Victorio nel 1880 [20, v.1].


Chihuahua è il secondo da sinistra e Ulzana il primo da destra

A quanto sembra, Chiricahua non si lasciò suggestionare dalle profezie di Nock-ay-det-klinne, sciamano degli Apache Cibecue, la cui dottrina si era diffusa in tutte le riserve Apache nel 1881. Aca Daklugie ricordò tuttavia che Juh, Chihuahua, Nana, Kaytennae e molti altri capi e guerrieri famosi si incontrarono con i seguaci del profeta. Sempre secondo Daklugie Chihuahua, Geronimo e Naiche erano presenti al momento dell’arresto del profeta e ai fatti successive che culminarono nella battaglia di Cibecue Creek il 30 agosto 1881 e nella successiva ribellione degli scout Apache. Daklugie non riferisce però che Chihuahua, o alcuno dei suoi uomini, abbia preso parte alla battaglia [2, 53-55]. In ogni modo la rivolta degli scout provocò una grande concentrazione di militari nella riserva, e voci allarmanti cominciarono ad agitare le menti e gli animi dei Chiricahua. Nonostante l’agente Joseph C. Tiffany rassicurasse gli Apache sul fatto che le manovre militari non avessero come obiettivo gli indiani, i sospetti dei Chiricahua, che iniziavano a credere che il governo volesse chieder loro conto delle loro azioni ostili passate, crescevano in proporzione al numero delle truppe presenti nella loro riserva.
Alla fine, il primo ottobre, tutti i Chiricahua che vivevano in una sottodivisione dell’agenzia di San Carlos (circa 250 persone) presero la via per il Messico guidati da Juh e Naiche. La comunità di Chihuahua e di Ulzana probabilmente faceva parte di quest’ultimo gruppo, a meno che non si fosse già unita al piccolo gruppo Chihenne guidato da Nana che già vagabondava fuori dalla riserva.
Il 18 aprile 1882, un gruppo di ribelli guidati da Chihuahua, Nana e forse Geronimo fece ritorno in Arizona, dove tagliò i fili del telegrafo, provocando un tumulto all’agenzia di San Carlos. Il tenente Thomas Cruse affermò che Chihuahua e otto dei suoi guerrieri [19, 236] facevano parte di questo gruppo. Il capo della polizia indiana Albert D. Sterling e l’agente Sagotal furono uccisi subito dopo il loro arrivo sulla scena dei tumulti, non lontano dal campo del capo Loco. Secondo uno dei rapporti gli indiani, che nutrivano un odio profondo nei confronti di Sagotal, giocarono con la sua testa prendendola a calci. Dopo questi eventi, il gruppo di ribelli si diresse verso l’accampamento di Loco e convinse (secondo alcuni resoconti, sotto la minaccia delle armi [4, 56]) i suoi pacifici Apache a scendere sul sentiero di guerra.
Chihuahua in un quadro a olio
L’esercito organizzò rapidamente l’inseguimento, ma i fuggiaschi a quel punto si erano già scontrati diverse volte con le truppe e si erano fatti strada verso il Messico. Tuttavia una sorpresa fatale li attendeva lì: nelle prime ore della mattinata del 29 aprile 1882, gli Apache, in fuga dalle truppe del colonnello George A. Forsyth e del capitano Tullius Tupper, penetrarono nelle montagne della Sierra en Medio, dove li attendevano 250 soldati al comando del colonnello Lorenzo Garcia, del settimo fanteria dell’esercito messicano. La maggior parte dei guerrieri era alla retroguardia e il terribile impatto ricadde su donne e bambini. Fu il rapido raggruppamento delle loro forze a salvare gli Apache dallo sterminio completo. Jason Betzinez, uno dei pacifici Chihenne del capo Loco, disse che in quella situazione disperata fu la rapida ed efficiente organizzazione della difesa da parte di Chihuahua e Geronimo a salvarli [4, 71-75]. “La gente mi parlò di mio padre, dicendo che era stato lui a salvare la tribù,” ricordò Eugene Chihuahua ” Furono lui e Fun [6] a salvare la nostra gente. Mio padre era disteso su un fianco e sparava contro i messicani. Le pallottole gli passavano così vicino che la ghiaia sollevata da esse gli colpiva il petto, lasciandogli una serie di segni rossi – sembrava quasi avesse il viruelas [vaiolo]” [15, 39].

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