Chato, indomito guerriero Apache
A cura di Mirko Di Bella
Chato
Nel firmamento della frontiera americana vi sono astri che brillano fulgidamente e in eterno. Altri, invece, sono obnubilati dai nembi della rinnegazione, addensatisi per onte ingiustamente affibbiate o che, quantomeno, meriterebbero delle oneste analisi e revisioni. Fra le vittime di questa ingenerosa damnatio memoriae, figura Chato: amico, prima, e nemico, poi, di un’assoluta icona americana che risponde al nome di Geronimo.
Nato nel 1854 in seno alla banda di apache chiricahua guidata da Cochise, Chato (termine spagnolo per “naso piatto”, ma viene utilizzato anche Chatto) aveva solo sette anni quando il suo capo dichiarò guerra agli americani, dopo che questi avevano ingiustamente accusato i chiricahua di una razzia nei confronti di un ranchero.
Chato crebbe cavalcando al fianco di Cochise, suo zio Mangas Coloradas e Geronimo, contribuendo a trasformare il Territorio dell’Arizona in una terra selvaggia e desolata.
Era un diciottenne già duramente temprato dalla vita, quando Cochise firmò il trattato di pace della “Freccia Spezzata” e si stabilì con la sua gente in una riserva ricavata fra i Monti Chiricahua, il loro territorio d’origine.
Lì, Chato si sposò e mise su famiglia. Ma la pace non durò a lungo.
Cochise morì per cause naturali nel 1874. Tre anni dopo, il governo degli Stati Uniti accorpò le riserve, spostando i chiricahua e altre bande di apache nella calda, detestata e insalubre riserva di San Carlos.
Un ritratto di Cochise
Chato si rifiutò di partire.
Si unì quindi a Geronimo, più anziano di lui di venticinque anni, intraprendendo un’efferata carriera come predone in Messico.
Sotto la guida del condottiero apache e di Juh, Chato razziò diversi villaggi, ranch e miniere messicane prima che lui e Geronimo venissero catturati nel Territorio del Nuovo Messico e condotti in catene a San Carlos.
Entrambi se la cavarono nella riserva, nonostante la carenza di viveri causata dalla corruzione incontrollata e le malattie che decimavano gli apache.
Un punto di svolta avvenne quando, nel 1881, l’esercito americano arrestò Nockaydetklinne, un rinomato uomo della medicina, e lo uccise.
Questa scintilla innescò una rivolta. Geronimo, Chato e circa trecento apache di San Carlos, temendo che loro sarebbero stati i prossimi, si fiondarono di nuovo in Messico per riprendere le razzie.
Durante uno di questi raid, un evento tragico funestò la vita di Chato.
Nel febbraio 1883, un distaccamento di truppe volontarie messicane, composto prettamente da indiani tarahumara del Chihuahua, assaltò l’accampamento dei ribelli mentre gli uomini si erano allontanati, facendo prigionieri circa trentacinque apache fra donne e bambini.
La moglie di Chato, Ishchosen, insieme ai figli Bedisclove e Naboka, rispettivamente di nove e sei anni, erano fra i prigionieri.
La notizia distrusse il guerriero apache. Il pensiero di ritrovare la sua famiglia divenne un’ossessione.
Fu in questo periodo che Chato divenne noto ai più per la prima volta.
Chato in una famosa fotografia
Gli apache necessitavano di un maggior quantitativo di armi e munizioni per combattere i messicani; il guerriero chiricahua avrebbe quindi compiuto scorribande per recuperarle.
Chato, insieme a ventuno apache, colpì quasi quaranta obiettivi e non lasciò superstiti.
Il 28 marzo 1883, fra Silver City e Lordsburg nel Territorio del Nuovo Messico, la loro strada si incrociò con quella del rinomato giudice Hamilton McComas, il quale, insieme alla moglie e al figlio seienne, Charlie, era in viaggio per raggiungere Lordsburg.
Un nugolo di piombo crivellò il giudice, mentre la moglie fu picchiata a morte con un grosso sasso. Del piccolo Charlie, invece, non fu più trovata traccia.
L’accadimento scatenò un notevole clamore nazionale, accompagnato da accese richieste di sterminio nei confronti di tutti gli apache.
Poco tempo dopo, Chato radunò un manipolo di guerrieri per colpire gli indiani del Chihuahua. Il suo obiettivo era fare prigionieri, così da poterli usare come merce di scambio per riavere indietro la propria famiglia.
Mentre era assente, truppe americane colsero di sorpresa il campo base di Chato, sito nelle aspre montagne della Sierra Madre.
Tutti i capi accettarono l’invito del generale Crook di fare ritorno alla riserva di San Carlos. Circa trecento apache partirono subito insieme all’esercito; altri duecento li avrebbero raggiunti poco dopo.
Chato rimase indietro, nella speranza di riuscire a ritrovare i suoi cari.
Le negoziazioni con i nativi messicani, però, si interruppero, e infine il guerriero chiricahua decise di tornare anch’egli a San Carlos nel 1884. Altri, incluso Geronimo, presto lo seguirono.
Chato si adattò velocemente alla vita nella riserva, ma il pensiero dei suoi familiari continuava a tormentarlo.
In questo periodo, realizzò che non sarebbe riuscito a ritrovarli proseguendo sulla strada finora battuta.
Quando, nel maggio 1884, incontrò il generale Crook, Chato gli chiese aiuto per liberare la sua gente detenuta in Messico.
Nel corso del successivo anno, l’ufficiale fece tutto ciò che era in suo potere, chiedendo agli alti papaveri a Washington di relazionarsi con le autorità messicane in merito alla questione dei prigionieri.
Per mostrare la sua gratitudine, Chato avrebbe servito l’esercito come scout e si sarebbe speso per mettere un punto alle Guerre Apache.
Il mentore del guerriero chiricahua, ora, non era più Geronimo, bensì il generale Crook.
Chato adempì con zelo ai suoi oneri di scout. Aiutò l’esercito a tenere sott’occhio gli apache della riserva e il loro eccessivo consumo di tiswin (una bevanda alcolica che i nativi ottenevano dal granturco fermentato).
Contestualmente, però, Geronimo e altri iniziarono a chiamarlo spia e traditore.
Le due personalità avevano visioni diametralmente opposte in merito al futuro.
Geronimo credeva che tutti gli apache fossero destinati a scomparire; tanto valeva che morissero da uomini liberi piuttosto che confinati in una riserva.
Chato riteneva che il modo in cui un apache morisse non importasse tanto quanto il modo in cui avesse vissuto.
Essere conciliante divenne il suo nuovo mantra.
Per sbarazzarsi di Chato, ai fini del suo prossimo tentativo di fuga, Geronimo ordinò a due suoi cugini di assassinarlo. Ma i sicari del capo apache non ebbero il coraggio di svolgere il compito richiesto.
Dopo avere appreso del piano sventato, Chato si adoperò alacremente per sconfiggere Geronimo. Condusse una squadra di scout nelle regioni selvagge, cercando individuare i ribelli, nel corso di settimane e mesi, attraverso deserti e montagne.
Anni dopo, avrebbe così ricordato quei tempi: “Indossavo una doppia bandoliera con una cinquantina di cartucce ciascuna. Il fucile carico e il dito pronto sul grilletto, seguivo le tracce fresche dei nemici, incurante di se e quando un proiettile mi avrebbe trapassato la fronte”.
Lo scout apache riuscì con successo a trovare il campo di Chihuahua, capo chokonen-chiricahua e alleato di Geronimo. Ulzana, fratello del capo, venne ferito. La famiglia di Chihuahua venne fatta prigioniera insieme a una delle mogli di Geronimo.
La reazione non si fece attendere: Ulzana guidò scorribande nel Territorio dell’Arizona per trovare e uccidere Chato; Geronimo assaltò Fort Apache per ritrovare sua moglie.
A seguito di queste rappresaglie, le istanze di eliminazione di tutti i chiricahua si fecero sempre più accese e pressanti.
Quando Chihuahua e il suo sparuto manipolo si arresero nel 1886, il governo li spedì immediatamente nelle prigioni di Fort Marion, Florida.
Anche Geronimo e Naiche, il più giovane dei figli di Cochise, concordarono, in un primo momento, nel deporre le armi, ritrattando tuttavia la decisione dopo poco.
L’esercito ritenne quindi di rimuovere Crook dall’incarico, nominando al suo posto l’intransigente generale Nelson Miles. Chato e gli altri scout vennero altresì congedati.
Geronimo e i suoi cinquemila soldati continuarono a scorrazzare a lungo prima di arrendersi, il 4 settembre 1886.
Essendo stato Geronimo un instancabile nemico, per lungo tempo in guerra con gli Stati Uniti, spedire lui e i suoi seguaci in gattabuia era del tutto comprensibile; il trattamento che venne riservato al pacifico Chato, invece, fu assolutamente ingiustificabile.
Accettando un invito del governo, una delegazione di dieci apache della riserva, incluso Chato, visitarono la capitale della nazione per discutere un possibile trasferimento verso un’altra riserva fuori dal Territorio dell’Arizona. Chato e la sua gente incontrarono il Presidente degli Stati Uniti Grover Cleveland insieme ai Segretari alla Guerra e degli Interni, e li informarono che non erano intenzionati ad abbandonare i luoghi nei quali avevano con fatica messo in piedi le proprie case e allevato le proprie mandrie.
Gli ufficiali diedero a Chato una “medaglia d’argento dell’amicizia” con la promessa che, se la sua tribù avesse proseguito lungo il sentiero della pace, avrebbe potuto continuare a vivere pacificamente lì dove era stanziata.
Chato, Mickey Free, Coonie e altri guerrieri
Qui si consumò uno dei più riprovevoli voltafaccia che si possa immaginare.
Quando Chato saltò giù dal treno, si aspettava di trovarsi a casa, nel Territorio dell’Arizona, ma il governo aveva indirizzato il treno verso la Florida.
Qui, Chato e la sua delegazione furono rinchiusi come prigionieri di guerra a Fort Marion per ventisette lunghissimi anni.
Un vile episodio che va a fare compagnia a tanti altri simili accaduti in passato.
Basti pensare a quando nel 1837 Osceola, capo dei seminole, presentatosi con la bandiera bianca per negoziare la pace, fu catturato con l’inganno, oppure al trattato di New Echota, sottoscritto da un ristretto gruppo di cherokee, non dal loro capo, che costrinse, nel 1838, lo spostamento forzoso dell’intera tribù lungo il tristemente noto “Sentiero delle Lacrime”.
Il governo radunò il resto della pacifica riserva chiricahua.
Le mogli e i figli di Geronimo e Naiche vennero rinchiusi a Fort Marion; gli uomini vennero separati dai loro cari e spediti a Fort Pickens.
Fort Marion, avente una capienza di settantacinque posti, ospitò quasi cinquecento indiani che vissero e morirono lì.
I bambini furono costretti a frequentare la Carlisle Indian Industrial School in Pennsylvania, mentre un’alta percentuale di loro morì di tubercolosi, incluso Horace, il figlio di Chato, e Chappo, il figlio di Geronimo.
Chato sposò la quindicenne Helen per evitarle di dover andare alla Carlisle. La donna rimase con lui per il resto della sua vita e gli diede tre figli.
Chato, in quel momento, era morto per il mondo.
L’importanza della sua figura riemerse grazie a un pungente rapporto investigativo inerente la condizione delle prigioni ad opera dell’Associazione per i Diritti degli Indiani. Chato divenne un testimone di rilievo, difensore e portavoce della sua tribù.
Questo e le pressioni da parte di Crook portarono il governo ad applicare misure meno gravose nei confronti dei prigionieri apache, per prima cosa spostandoli nella caserma di Mount Vernon in Alabama e infine a Fort Sill nel Territorio dell’Oklahoma.
Chato in tarda età
Sebbene Chato si adoperò per migliorare il trattamento riservato alla sua gente, i ribelli apache e i loro discendenti ripudiarono Chato per il resto della sua vita.
Ma, cosa ancor più dolorosa, nonostante la promessa di Crook, il guerriero apache non rivide mai più la moglie Ishchosen e i suoi figli.
Nel 1913, quando ai chiricahua venne offerta la possibilità di scegliere se rimanere a Fort Sill o trasferirsi nella riserva di Mescalero nel Territorio del Nuovo Messico, Chato, Helen, Morris – il loro unico figlio sopravvissuto – e altri centotrentasei, ora non più prigionieri di guerra, scelsero Mescalero.
Il fu guerriero e scout chiricahua continuò ad essere un leader amante della pace.
Chato sopravvisse a innumerevoli peripezie nel corso della sua lunga e turbolenta vita.
Il 13 agosto 1934, in un tempo in cui l’epopea del Selvaggio West era ormai archiviata negli scaffali della Storia e della Leggenda, si compì l’ultimo atto della vita di Chato.
Lì dove avevano fallito le pallottole del nemico, riuscì un banale incidente tipico della vita “civilizzata”.
La Ford Model T guidata da Chato finì fuori strada a Whitetail, Nuovo Messico, uccidendolo sul colpo.
I discendenti di questa controversa figura vivono ancora nella riserva di Mescalero.