York, lo schiavo di Clark

A cura di Angelo D’Ambra
York tra gli indiani
Il suo nome era York. Il cognome non l’aveva, come tutti gli schiavi.
La sua data di nascita è sconosciuta, ma aveva pochi anni in meno del suo padrone. Da bambini i due giocarono insieme felicemente, ma si conoscono pochi dettagli sulla sua vita. Sicuramente era da sempre con Clark. Infatti, suo padre, Old York, e sua madre, Rose, erano entrambi schiavi da John Clark III, padre di William, nella contea di Caroline, in Virginia, e lo seguirono quando questi si trasferì in Kentucky nel 1784. Probabilmente, Old York, era stato a sua volta ereditato dal nonno di William.
York doveva essere intelligente, estremamente intraprendente, nonché abile come cacciatore. Doveva avere un fisico robusto ed un carattere scherzoso e altruista. Clark lo volle con sé proprio in virtù di queste sue qualità e lo lasciò vivere come tutti gli altri membri della spedizione, da uomo libero, quindi armato e in facoltà di muoversi liberamente, in tutto pari agli altri. Votava come gli altri, mangiava e dormiva con gli altri. Commerciava con gli indiani esattamente come gli altri, a volte in totale autonomia, e raggiunse una posizione di totale fiducia e rispetto tra i membri del corpo di spedizione.


York con la selvaggina

Gli indiani ne erano incuriositi, lo ritenevano una sorta di divinità. Non avevano mai visto nessuno come lui e credevano che la sua pelle fosse semplicemente tinta di qualche sostanza che sarebbe andata via con un semplice bagno.
I nasi forati, volevano uccidere tutti i membri della spedizione quando si imbatterono in loro all’uscita dalle montagne Bitterroot. Fu la presenza di questo uomo nero a fermarli e a incutere loro curiosità e paura. Non credendo che il colore della sua pelle fosse reale, cercarono di cancellarlo con un bagno di sabbia, fermandosi solo quando il sangue cominciò a fuoriuscire dalla carne cruda. Lo chiamarono “Figlio di Corvo”.
Gli Shoshone addirittura non furono disposti a barattare nulla con Lewis se prima non gli avesse fatto dare un’occhiata da vicino all’uomo nero. I Mandan lo chiamarono “Grande Medicina” cioè l’appellativo che avevano per Dio e tutto ciò che consideravano misterioso e soprannaturale.
York con Lewis e Clark
La curiosità degli indiani gli guadagnò anche favori sessuali. Annotò Clark che “un ricara lo invitò a casa sua e, presentandogli la moglie, si ritirò fuori dalla porta: mentre si presentò uno dei compagni di York che lo cercava, il marito non permise nessuna interruzione prima che fosse trascorso un tempo ragionevole”.
York ebbe anche una parte di rilievo durante i difficili giorni del viaggio di ritorno, quando i membri della spedizione erano vicini alla fame. Gli fu affidato il compito di scambiare i pochi oggetti di valore rimasti con i nativi in cambio delle provviste disperatamente necessarie. Così garantì la sopravvivenza dei suoi compagni.
Per anni, gli storici hanno raccontato che Clark concesse a York la sua libertà in compenso per i suoi servizi sulla spedizione, tuttavia non andò così. Nel 1988 sono stati scoperti alcuni documenti che hanno rivelato una realtà più amara. Clark non liberò York al ritorno a St. Louis, non gli diede nulla come compenso e lo tenne come suo schiavo sino al 1816, punendolo anzi severamente per la sua volontà di essere libero.
In effetti York aveva un sogno: ricongiungersi con sua moglie, che era stata in schiavitù a Louisville, Kentucky, e dalla quale si era separato seguendo il suo padrone nella spedizione. In quanto schiavo, York infatti non aveva avuto scelta su dove andare o cosa fare. Aveva dovuto accettare la volontà del padrone di aderire al progetto esplorativo e quindi allontanarsi per forza da sua moglie. Portata a termine l’impresa, suppose che gli spettasse la liberazione come compenso materiale per il suo impegno. Avrebbe potuto così ritrovarsi con sua moglie, ma Clark non accettò la sua richiesta, gli concesse solo di fare visita alla sposa di tanto in tanto. E ciò che avvenne, ma l’atteggiamento di York iniziò ad essere scontroso, indocile e indisponente, così Clark lo punì in vari modi, pensando di poter “correggere” il suo carattere, lo picchiò soprattutto.


Con la spedizione

Clark non poteva fare a meno del suo schiavo che lo seguì a St. Louis quando assunse l’incarico di agente statunitense per gli affari indiani.
Ciò che York non riusciva ad accettare era il ritorno alla normalità della schiavitù dopo mesi trascorsi da uomo libero. Come a tutti gli individui ridotti in schiavitù, ora gli era proibito l’uso di armi da fuoco, non poteva andare a caccia, non aveva libertà di movimento e verso i bianchi doveva avere un atteggiamento di sudditanza. Dopo l’ennesimo litigio, Clark lo allontanò da sé e lo affidò alla famiglia di un suo cugino, John H. Clark, proprietari di una fattoria di Lousville, città dove risiedeva anche sua moglie. Da quel momento in poi Clark non menzionò più York. Lo fece solo vent’anni dopo, rivelando d’averlo liberato assieme ad altri schiavi.
In realtà cosa ne fu di York non si sa bene.
Pare che sua moglie seguì i suoi padroni nel Mississippi ed è probabile che York non la vide mai più. Secondo alcuni documenti, tornato da Clark, continuò ad essergli ostile e alla fine quegli si rassegnò a disfarsi di lui e lo liberò, anzi addirittura lo aiutò lavorativamente, gli donò un carro e sei cavalli e lo avviò ad un’attività di trasporto merci tra Nashville e Richmond. Gli affari di York, però, andarono male e allora l’ex-schiavo rinunciò all’idea di essere libero. Tentò di ritornare dal suo padrone, ma fu ucciso dal colera prima che potesse farlo.


Tra gli indiani

Un’altra versione dei fatti è quella fornita dal trapper Zenas Leonard che incontrò un afroamericano nelle Montagne Rocciose nel 1832, che viveva con i corvi e sosteneva di essere arrivato per la prima volta nel territorio con Lewis e Clark.
Restano tanti interrogativi e tutto è avvolto nel mistero. Certamente da uomo libero, York scivolò nell’anonimato, lottando per sopravvivere, continuò ad essere un uomo senza cognome, un nero in una società razzista.

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