Lewis, Clark e i grizzly

A cura di Angelo D’Ambra

L’incontro con un grizzly
Ci sono diverse pagine dei diari del viaggio di Lewis e Clark che ancora oggi destano interesse, per esempio quelle in cui si apprende la bizzarra vicenda di come, nell’arco di poche ore, presso le Great Falls, Lewis sia stato attaccato da un serpente a sonagli, da un ghiottone, da un bisonte e da un orso grizzly. Quella notte, nel suo quaderno, scrisse con ironia: “L’intero regno animale ha cospirato contro di me!”.
Di grizzly, i due esploratori avevano sentito strani racconti dai mandan e dagli hidatsa. Pensavano si trattasse di superstizioni, di mostri del folklore nativo. Dovettero cambiare opinione nell’attraversare il Montana. Qui, Lewis si imbatté in un orso che descrisse “dall’aspetto tremendo e estremamente arduo da uccidere nonostante avesse cinque palle nei polmoni e in varie altre parti del corpo”. Alle Great Falls gli andò bene perché l’animale si ritirò dopo aver emesso un potente ruggito.
Andò diversamente ad alcuni suoi uomini, il 14 maggio 1805.  Erano in sei, a guidarli c’era il sergente Ordway e stavano navigando un fiume in canoa. Scorsero un enorme orso d’una specie mai vista e stettero acquattati a osservarlo. Il gigantesco grizzly dormiva a trecento metri dal fiume e si fermarono.
Questi membri del Corps of Discovery, incaricato dal presidente Jefferson a trovare un percorso fluviale verso l’Oceano Pacifico, erano in viaggio da quasi due anni.
Era un pomeriggio senza nuvole con un asfissiante sole alto nel cielo. Lasciata la canoa, gli uomini si avvicinarono all’animale che russava, con un’ape che gli ronzava attorno alla testa e le orecchie che si alzavano e si abbassavano. Ordway si accovacciò nell’erba alta, imitato da altri due compagni. Un cenno e spararono.


Gli esploratori vedettero parecchi orsi

In pochi secondi la bestia si issò sulle zampe con un ruggito che fece gelare il sangue ai cacciatori che si videro quella massa di muscoli e grasso lanciarsi con le fauci spalancate verso di loro. Poco distanti, altri due membri della spedizione aprirono il fuoco. Un colpo parve spaccargli la spalla perché l’orso barcollò, e tutti provarono a ricaricare le loro armi. Fu un’illusione, quei proiettili sembravano innocui, generavano solo insignificanti ferite nell’animale e il grizzly riprese il suo galoppo.
Due uomini riuscirono a raggiungere la canoa, inseguiti dall’orso, ormai vicino. Ordway e un altro tentarono di soccorrere gli amici nascondersi dietro alcuni salici, ricaricando i fucili, mirando e facendo fuoco. La spuntarono, ma poi l’orso destinò a loro le sue attenzioni.
La velocità con cui il grizzly caricò fu incredibile. Gettarono da parte i fucili e saltarono nel fiume per poi nuotare verso la riva più lontana nel tentativo di mettersi in salvo. Fu tutto inutile, l’animale avanzò anche nell’acqua, accorciando le distanze dagli uomini con un impeto inarrestabile. Gli altri spararono e l’orso crollò privo di vita.
Nessuno parlò. Erano ancora terrorizzati, poi presero a camminare cautamente verso l’orso. Lo afferrarono con una corda e lo trascinarono a riva, passando a macellarlo. Gli avevano scagliato addosso otto colpi e due gli avevano forato i polmoni. L’ultimo colpo, sparato dalla riva dal sergente Ordway, era esploso direttamente nella testa dell’orso, fermando la sua furia per sempre.

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