Alla ricerca del Rio Tízon
A cura di Gianni Albertoli
Padre Silvestre Escalante scopre lo Utah Lake accompagnato dagli indiane
Dopo la metà del XVIII secolo, in tre brevi anni alcuni soldati, missionari e uomini di frontiera spagnoli erano riusciti a collegare la Sonora e l’alta California, stabilendo una colonia nella baia di San Francisco e riuscendo, almeno in parte, a collegare la California al Nuovo Messico. In quel momento critico, due sacerdoti francescani si offrirono di spingersi a ovest del Nuovo Messico nella speranza di collegare la isolata Provincia alla California. Gli spagnoli avrebbero seguito la rotta del Pedro de Rivera lungo il corso del Río Chama per evitare gli insediamenti degli Hopi, per spingersi a nord-ovest e poi voltare a sud-ovest attraverso il Great Basin per raggiungere le coste del Pacifico. Questo piano ambizioso nacque simultaneamente, e indipendentemente, “in due menti curiose e pie”.
Padre Silvestre Vélez de Escalante era nato a Treceño (Santander), nel nord della Spagna, nel giugno 1749, e aveva viaggiato fin dalla tenera età nel Nuovo Mondo, unendosi all’ordine francescano a Città del Messico nel 1767. L’Escalante, come è popolarmente noto, venne ordinato sacerdote e subito inviato nel lontano Nuovo Messico per servire la missione costruita nel pueblo degli indiani Zuñi. Il prelato sarebbe arrivato nel gennaio 1775, era ai bordi della frontiera e descrisse il suo incarico come “questo luogo fuori mano posto alla fine della cristianità in questo Nuovo Mondo”. Il missionario notava che la recente mappa del Nicolas de Lafora mostrava Monterey e Santa Fe quasi sulla stessa latitudine, “quindi, secondo me gli Yutas Payuchis sono sulla stessa latitudine di Monterey”. Poi continuava, “così il viaggio verso Monterey mi sembra più fattibile attraverso le terre degli Yutas che quelle dei Cojninas”, quest’ultimo un pueblo degli Hopi secondo il missionario, mentre invece era il nome indicante gli indiani Havasupais.
Il Rio Chama
I gruppi Payuchis degli Utes, ovviamente, dovevano essere raggiunti tramite il vecchio tracciato lungo il corso del Río Chama; inoltre, osservava che 20 uomini potrebbero formare un gruppo abbastanza grande e in grado di poter raggiungere il Río Tízon, anche se probabilmente non Monterey che, “secondo quello che suppongo, è a grande distanza dal Río del Tízon, e il carattere e il numero delle tribù del territorio sono sconosciute”. Fu in questo periodo che padre Francisco Atanasio Domínguez giunse nella Provincia di frontiera da Città del Messico, il suo compito era quello di ispezionare le missioni del Nuovo Messico. Originario della capitale della Nuova Spagna, era entrato a far parte dell’ordine francescano nel 1757 all’età di diciassette anni; anche di questo personaggio non abbiamo purtroppo alcun ritratto. Fu a Santa Fe che padre Domínguez e il governatore Pedro Fermín Mendinueta avrebbero discusso sul percorso migliore per raggiungere Monterey. Il Domínguez si sarebbe impegnato in una ispezione di tre mesi nelle missioni della Provincia, scrivendo poi un pungente Rapporto che gli sarebbe valso l’inimicizia dei suoi confratelli francescani. La storia di questi due coraggiosi missionari sarebbe stata proprio creata da diverse coincidenze. Il governatore Mendinueta avrebbe accettato di sottoscrivere il modesto costo del viaggio, con i missionari che già progettavano di partire il 4 luglio 1776, in piena estate. Gli eventi avrebbero comunque rimandato la partenza di tre settimane. Nelle settimane successive i due missionari spagnoli partirono da Santa Fe per spingersi nel profondo dell’interno sconosciuto del Nord America alla ricerca del Río Tízon e la “Tierra incognita al di là del fiume”. La fantastica geografia che avrebbero incontrato aveva affascinato per due secoli gli uomini di frontiera spagnoli.La mattina stessa in cui partirono, l’Escalante scriveva una lettera ai suoi superiori, “… non sono senza speranza di raggiungere Monterey”. Il gruppo contava dieci uomini alla partenza, il 35enne padre Atanasio guidava la spedizione mentre il 27enne Escalante agiva come amanuense per il “diario” fortemente richiesto dalle autorità. Un cartografo veterano, ufficiale di artiglieria, il capitano don Bernardo Miera y Pacheco, nativo della Spagna e sulla cinquantina, desiderava assolutamente “spingersi nell’ignoto”, era al loro fianco; con un commerciante “genízaro” di Bernalillo, Andres Muñiz, che fungeva da interprete, quest’ultimo, l’anno prima, era entrato in contatto con gli Utes nella grande vallata del Río Chama. Al gruppo si univa poi anche suo fratello, l’Antonio Lucrecio Muñiz de Embudo, come il don Pedro Cisneros, sindaco alcalde del pueblo di “Zuñi”, e senza dimenticare il suo servo, il Simon Luceros. Alla spedizione si univa poi anche il don Joaquin Lain, un grande amico di padre Escalante a “Zuñi”, ed infine il Lorenzo Olivares di El Paso del Norte e il Juan de Aguilar di Bernalillo. Questi coraggiosi avrebbero intrapreso un viaggio estenuante di grandi distanze in “jornadas senza acqua, arroyos tempestati di cactus e ostacoli inimmaginabili”. Tuttavia, i due missionari, con “fede incrollabile”, e con la “necessità di salvare le anime native pagane”, riuscirono a conferire alla loro spedizione il “sapore di una Crociata minore”. Comunque, negli ultimi giorni di luglio, gli uomini effettuarono gli ultimi preparativi nella piazza di “Santa Rosa de Abiquiu” e, il 29 luglio risalirono il Río Chama con la loro “cavallada”, per poi svoltare a nord nell’ampio canyon del fiume, per raggiungere il corso superiore e dirigersi a nord-ovest seguendo una variante del percorso precedente del Rivera. Il meticoloso diario tenuto dall’Escalante permetteva una ricostruzione ravvicinata del loro percorso. Verso i primi di agosto la spedizione attraversava “i sette fiumi” (“Seven Rivers”) che drenano la Sierra de las Grullas (San Juan Mountains) e le contrafforti occidentali delle La Plata Mountains.
Il Dolores River
La spedizione continuava la marcia e raggiungeva la grande curva (“bend”) del Río Dolores, curva posta in un profondo canyon che girava in direzione nord-ovest; undici anni prima anche il Rivera si era accampato nelle vicinanze. Infatti, “… qui c’è tutto ciò di cui un buon insediamento ha bisogno per la sua istituzione e manutenzione, e per quanto riguarda i terreni irrigabili, i pascoli, il legname e la legna da ardere”, scriveva l’Escalante. In questo territorio altri due “genízaros” di “Abiquiu”, il Felipe e il Juan Domingo, si univano al gruppo, “i missionari acconsentirono a malincuore”, la loro avventura era appena iniziata. Tutti i pomeriggi i temporali estivi “inondavano gli uomini” e quando i fratelli Muñiz sembravano essersi persi lungo il percorso, l’Escalante li avrebbe derisi nel suo diario, “… ci siamo fermati a riposare presso un piccolo arroyo che le guide pensavano vi fosse acqua, era invece completamente asciutto”. Evidentemente i percorsi migliori mutavano senza dubbio di anno in anno e queste guide, come la maggior parte di loro, si affidavano alla loro memoria piuttosto che alle mappe geografiche. Forse il commento dell’Escalante “rifletteva parecchia ipocrisia” ma comunque illustrava la spaccatura esistente tra i due prelati e le loro “rozze guide”. Dopo questa situazione dove i missionari erano impazienti, e “mostravano un certo disprezzo per le guide”, il capitano Miera si spinse in avanti (16 agosto) per ritrovare la rotta migliore. Tre giorni dopo, su un altopiano posto a nord-ovest dell’attuale Dove Creek (Colorado), gli spagnoli furono obbligati a scegliere, le guide non erano assolutamente d’accordo nello spingersi in direzione nord-ovest, o nord-est, verso le terre degli Utes del gruppo Sabuagana. Gli spagnoli avrebbero deciso di puntare a nord-est per raggiungere le aree dei Sabuaganas. Su questa rotta abbiamo gli appunti del Jacobs, sentiamolo: << La spedizione Domínguez-Escalante non è riuscita a trovare il valico degli Ute del Colorado River scoperto dal Rivera. L’Escalante ha cercato di seguire le tracce del Rivera, poiché aveva a disposizione una copia del Diario e una intima conoscenza di esso, non aveva una guida Payuchi e quindi aveva perso il campeggio del Rivera presso il Dolores River... In questo modo avrebbe perso parecchie giornate verso Monterey (California), ha così perso molte preziose settimane nelle sue continue deviazioni attraverso le montagne del Colorado >>. Poi il Jacobs continuava affermando che i missionari sapevano che il Rivera aveva viaggiato in direzione est, a circa sei miglia da un accampamento chiamato “el Puerto de San Francisco”, per poi volgersi a nord attraverso un ripido canyon. Non sapendo dove fosse “El Puerto”, dovettero stimare e preferirono girare a nord, erano “circa un miglio a oriente”, come affermava il Jacobs. Comunque, dopo aver disceso il Summit Canyon verso le Dolores, gli spagnoli avrebbero perso completamente la rotta. La piccola spedizione avrebbe poi guadato i fiumi Dolores e San Miguel, per poi attraversare l’estremità meridionale dell’Uncompahgre Plateau, nel Colorado occidentale. Un indiano Tabehuache si mosse in avanscoperta e, il giorno successivo, sarebbe ritornato con diverse famiglie di etnia Utes, “… pensavano che fossimo qui per commerciare, quindi avevano portato pelli di daino ben curate e altre cose da barattare”. Le due parti avrebbero comunque condiviso doni reciproci di carne di cervo essiccata, “manzanita” (mele di granchio, “crab apples”) essiccata e pane. Poi gli spagnoli regalarono due coltelli e sedici perline, in cambio volevano essere guidati fin nelle terre dei Sabuaganas. La spedizione discese allora il fianco settentrionale dell’altopiano per raggiungere un fiume “che gli Yuta chiamato Ancapagari”, oggi conosciuto come Uncompahgre, dove trovarono “un sentiero molto largo e ben battuto”. L’Escalante scriveva, “… la Sierra de las Tabehuachis, che abbiamo appena finito di attraversare, corre verso nord… abbonda di buoni pascoli ed è molto umida, ma con buoni terreni per l’agricoltura senza irrigazione. Il territorio produce abbondantemente piñon, pino ponderosa, abeti rossi, querce, vari tipi di frutta selvatica e in alcuni luoghi anche lino. In questa terra selvaggia si riproducono cervi, caprioli e altri animali, ed anche alcuni tipi di polli… a ovest di questa sierra si trova una parte delle La Sal, e a ovest-sud- ovest vi è una sierra che chiamano Sierra de Abajo”. Sebbene in quel tempo gli spagnoli conoscessero la Sierra de las Grullas e La Plata, i nomi familiari delle montagne La Sal e Abajo, che portavano al guado del Colorado River, sembrano indicare che vi erano state delle precedenti spedizioni anche prima di quelle del Rivera e del Domínguez-Escalante. All’insaputa dei francescani, il territorio tra la Sierra de la Sal e la Sierra de Abajo avrebbe portato alla traversata del fiume Colorado che tanto cercavano.
Il Gunnison River
Il Domínguez e l’Escalante raggiunsero invece il Gunnison River, che chiamarono “el Río de San Francisco Xavier”, e annotarono che gli Utes lo chiamavano “Tomichi”, un nome conservato oggi per un ramo superiore dello stesso fiume. In queste terre gli Utes li avrebbero avvertiti del pericolo cui andavano incontro, gli Yamparica Comanches “li avrebbero uccisi se avessero continuato la marcia”. Il fiume Yampa, che scorre attraverso lo Steamboat Springs e Craig (Colorado), potrebbe riflettere con il suo nome, buona parte di questa fascia di territorio appartenente ai Comanches. I missionari erano comunque ben consci dei pericoli, tuttavia, speravano di raggiungere gli indiani “Timpanogotzis”, o “Laguna Utes”, stanziati più a ovest, ed allora inviarono in avanscoperta il Muñiz e l’Atanasio, con la guida Sabuagana, per avvisare i fratelli di quest’ultimo accampati nel territorio, dovevano avvisare il grosso dei Sabuagana che stavano avvicinandosi.
Lo Yampa River
Avendo raggiunto i limiti delle conoscenze delle loro guide, gli spagnoli avevano ora il grande bisogno di una guida, e così il Muñiz e l’Atanasio rientrarono nel campo con cinque indiani Sabuaganas e un Timpanogotzis. Gli avvertimenti sulla presenza dei Comanches furono ripetuti nuovamente, ed allora i due missionari dovettero intervenire offrendo all’indiano Timpanogotzis una “coperta di lana e alcune perline di vetro”, in cambio chiedevano di condurli avanti. L’Ute avrebbe accettato ma avrebbe anche insistito, voleva che gli spagnoli visitassero per la prima volta un importante accampamento dei Sabuaganas. Il gruppo attraversava così il Gunnison River e poi risaliva la forcella settentrionale del fiume nelle vicinanze dell’odierna Paonia (Colorado); infine, svoltarono a nord per risalire l’odierna Grand Mesa, la cui vetta venne raggiunta il primo giorno di settembre.
A caccia dei bisonti
Davanti ad “uno splendido panorama”, gli spagnoli furono accolti da “ottanta guerrieri” Utes, “ci hanno detto che stavano andando a caccia, ma abbiamo pensato che si fossero riuniti per mostrare la loro forza guerriera o per scoprire se altri spagnoli stavano arrivando dietro di noi”. Come riferiva l’Escalante, “… tutti hanno ascoltato con piacere e quando il padre ha visto l’evidente gioia con cui lo hanno ascoltato, ha suggerito al capo principale… che se… avessero accettato il cristianesimo, saremmo venuti ad istruirli e ad insegnargli a vivere per poi essere battezzati. Il capo rispose che lo avrebbe proposto alla sua gente, ma non è tornato per tutto il pomeriggio per fornirci almeno una probabile speranza nell’accettazione della proposta”. I francescani ammonirono la guida Timpanogotzi perché aveva nomi di animali e aveva preso più mogli, a cui doveva dar loro nomi spagnoli. Poi, chiesero di scambiare i loro cavalli malati con cavalcature fresche ma, “il capo, ed alcuni uomini molto anziani, e molti altri… hanno iniziato a cercare di persuaderci a tornare indietro, esagerando di nuovo e con maggiore sforzo le difficoltà e i pericoli a cui ci stavamo esponendo”. La caparbietà dei missionari prevalse comunque e, il giorno dopo, lasciarono l’accampamento degli Ute con “il massimo piacere”; padre Domínguez avrebbe portato sul suo cavallo un ragazzo della tribù Laguna Ute, il quale desiderava rientrare nelle sue terre. Il gruppo discese allora il fianco nord della mesa e raggiunse il Colorado River, “che i nostri chiamano San Rafael e gli Yutas Fiume Rosso… lo attraversammo e ci fermammo sul suo bordo settentrionale, su un bel prato… su questo lato vi è una catena di alte mesas di terra bianca che, dall’alto verso il basso, sono uniformemente striate di giallo, bianco e di rosso ocra non troppo intenso”. Erano queste le austere Roan Cliffs, vicino all’attuale Debeque (Colorado) che, “sotto il sole cocente dell’estate queste scogliere possono giungere ad ipnotizzare un viaggiatore”. La traversata del fiume venne probabilmente effettuata da qualche parte tra le attuali città di Grand Valley e Debeque ma, ricordiamo sempre che queste descrizioni prese dalle fonti sembrano essere molto fuorvianti. Si trovava però quasi sicuramente nell’attuale Parco Nazionale delle Montagne Rocciose (“Rocky Mountain National Park”), molto a nord delle San Juan Mountains. Continuando, gli Utes continuavano guidare la spedizione sul Roan Creek, dove avrebbero incontrato un gruppo di indiani Sabuaganas, i quali dissero loro che i Comanches si erano trasferiti verso est, in direzione del Río Napestle (Arkansas River).
All’interno delle Rocky Mountains
Quella notizia avrebbe allentato le tensioni e gli spagnoli risalirono un ramo del Roan Creek, smontarono e si arrampicarono su un pendio che chiamarono “La Cuesta del Susto”, poi oltrepassarono un passo che oggi è ricco di imponenti pioppi secolari. Il gruppo cadde allora in un “incredibile” labirinto di torrenti, il cui ramo principale portava a nord, infatti, verso “la metà di questo canyon, in direzione sud, vi è una rupe rocciosa piuttosto alta su cui abbiamo visto, rozzamente dipinti, tre scudi”, e dopo, “ancora più in basso, sul lato nord, abbiamo visto un altro dipinto che presumibilmente rappresentava due uomini in combattimento”. Per questo motivo gli spagnoli lo chiamarono “El Cañon Pintado”; altri pittogrammi, anche se forse non questi, sono ancor oggi visibili sulle pareti del canyon di Douglas Creek; erano pittogrammi realizzati dai cosiddetti indiani Fremont, che ebbero contatti con gli Anasazi della regione dei “Four Corner” nel periodo 900-1300 d.C. Dopo aver attraversato il Río Blanco a est di Rangely (Colorado), gli spagnoli si diressero a nord-ovest verso il Green River, attraversandolo a monte dell’attuale Jensen (Utah); spingendosi poi ulteriormente a ovest, lungo il corso dello Strawberry River, alla base delle Uinta Mountains, raggiunsero i villaggi dei Laguna Utes nelle vicinanze dello Utah Lake (Utah). Là, i nativi descrissero ai missionari il Gran Lago Salato (Great Salt Lake) e gli indigeni stanziati lungo le sue rive; più tardi, l’Escalante avrebbe equiparato questo lago al Copala Lake. Il gruppo si sarebbe poi diretto in direzione sud-ovest, incontrando gli “Yutas barbones”, gli “Ute barbuti”.
I francescani scoprono lo Utah Lake
Durante i primi di ottobre una spaventosa tempesta di neve si sarebbe abbattuta sulla spedizione; la fame, il freddo e lo sconosciuto territorio avrebbero fermato i due coraggiosi missionari, mentre il Lain, il Miera e l’Andres Muñiz erano fortemente intenzionati a continuare. Le frustrazioni, il cameratismo forzato, le difficoltà del viaggio accentuavano ora le differenze tra il piccolo ma eterogeneo gruppo e il dissenso divenne veramente amaro. Fu così che i missionari ricorsero al sorteggio onde evitare una pericolosa e disastrosa spaccatura; gli uomini “misero il broncio su due foglietti di carta in un cappello”, uno con la scritta “Monterey” e un altro con “Cosninas”, per gli Hopi, il che implicava un ritorno a Santa Fe. Il sorteggio favorì ancora una volta i missionari, che “tornarono a sud, poi a est e a sud-est fino ad un remoto guado sul Río de el Tízon, dove costruirono dei gradini sulla roccia per poter raggiungere il fiume ed emergere sulle sue sponde opposte”. Le acque del lago Powell avrebbero poi seppellito questo sito, conosciuto come “Crossing of the Fathers”. Infine, il gruppo avrebbe proseguito verso gli insediamenti degli Hopi, degli Zuñi e degli Acoma in rotta verso il Río del Norte e Santa Fe, che avrebbero raggiunto il secondo giorno del gennaio 1777. La spedizione aveva fatto un incredibile viaggio di circa cinquecento leghe (più di mille miglia), in un periodo di cinque mesi; gli spagnoli avevano incontrato numerose tribù e territori ancora inesplorati di una regione, che si riteneva ormai matura per poter costruire missioni e insediamenti. Tuttavia, avrebbero mancato il guado degli Utes sul Río Tízon, e non riuscirono a scoprire un sentiero praticabile per raggiungere il corso inferiore del Colorado River e la California. Ripercorrere correttamente le tracce del Rivera fino al guado, e prendere il “Sabuagana Trail” a sud-ovest, attraverso gli affluenti settentrionali fino al Colorado potrebbe aver aperto quello che in seguito divenne noto come lo “Spanish Trail” dell’era coloniale, circa mezzo secolo “prima che mercanti e cacciatori di pellicce messicani e americani facessero la connessione”.
Old Spanish Trail
Era questa un’opportunità monumentale per gli spagnoli, ma era ormai andata persa. Le raccomandazioni del Domínguez e dell’Escalante per nuove missioni e insediamenti sulla frontiera settentrionale del Nuovo Messico sarebbero state ignorate. L’impero era a corto di armi e la Provincia del Nuovo Messico era fortemente preoccupata per la sua difesa contro gli attacchi dei Comanches.
Il governatore Pedro Fermín de Mendinueta, tra gli altri, avrebbe sottolineato la assoluta inutilità di nuove terre, ormai l’impero non poteva nemmeno proteggere le terre già colonizzate. In seguito l’Escalante avrebbe prestato servizio nel pueblo di San Ildefonso, dove avrebbe scritto lo “Extracto de Noticias”, la storia della Provincia a partire dalla grande rivolta dei Pueblos fino al 1717. Nel 1779 l’Escalante avrebbe lasciato il Nuovo Messico per raggiungere Città del Messico, dove poteva avere cure renali, sarebbe comunque deceduto a Parral nell’aprile 1780, all’età di circa trent’anni. Invece il Domínguez trascorse – dal 1777 al 1788 – la sua vita ad El Paso del Norte, per poi servire come cappellano a Carrizal, nella Nuova Spagna. In effetti, come aveva osservato uno storico, “il suo meticoloso Rapporto sulle missioni del Nuovo Messico venne archiviato con una notazione sarcastica e dimenticata”. Negli anni 1790 il Domínguez sarebbe nuovamente rientrato ad El Paso del Norte e poi a Janos dove morì nel 1805, all’età di sessantacinque anni. Molto probabilmente l’eredità più duratura di questa spedizione fu stata la mappa del capitano Miera, subito prodotta dopo il suo ritorno nel Nuovo Messico, il cartografo l’avrebbe modestamente intitolata, “Carta geografica della regione recentemente scoperta a nord, nord-ovest e ovest del Nuovo Messico, rilevata da me, don Bernardo de Miera y Pacheco, che è entrato in questa terra per effettuare la sua scoperta”. Questa straordinaria mappa raffigura con un sorprendente grado di precisione il Río del Norte e le sue aspre montagne, con le posizioni della Sierra de las Grullas, del Río Napestle, della Sierra Mojada (Wet Mountain), e persino del Río de las Animas (Purgatoire River) che taglia le pianure orientali del Colorado. Le pianure sono punteggiate di tipis marcati “Cumanche”, e una leggenda ne descrive l’origine e il pericolo per la Provincia; inoltre, la mappa spazia verso ovest e mostra la “Provincia de Nabajoo” a nord-ovest del Nuovo Messico, e al di là di esso i “Seven Rivers” della Sierra de las Grullas che sfociano nel Río de Nabajoo, il quale si unisce al Río de Zaguagana, e poi al Río Colorado.
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Nella foresta
Il Miera individuava abbastanza precisamente gli indiani Moache, Payuchi, Sabuagana e “Ute Barbones” dove li hanno incontrati il Domínguez e l’Escalante; con la vetta delle Montagne Rocciose ben segnata, “questa catena montuosa è la spina dorsale del Nord America, poiché i numerosi fiumi che ne derivano sfociano nei due mari, il Mare del Sud (Pacifico) e il Golfo del Messico”. Nell’angolo sud-ovest della mappa appare questa annotazione, “questo fiume scorre attraverso un canyon di scogliere rosse, rocciose e ripide”, il Grand Canyon. Il Miera ha sicuramente commesso degli errori ma, onestamente, non poteva resistere all’esagerazione; El Cerro Azul, noto anche come “Sierra Azul”, ricercato per lunghi secoli, compare sulla sua mappa appena a valle del territorio degli Yutas Payuchis, e a nord degli Hopi. Riassumendo, la mappa del Miera mostra che gli spagnoli sapevano molto di più sulla frontiera nord-occidentale di quella raccolta dal viaggio dei padri francescani del 1776. Gli uomini di frontiera del Nuovo Messico devono aver contribuito generosamente alle conoscenze del Miera, poiché la sua mappa sembra riflettere molto sui viaggi non registrati attraverso il confine settentrionale della Provincia.
Indiani in esplorazione
Un’iscrizione recita, “Gli indiani Timpanogos dicono che le persone che vivono dall’altra parte del loro lago, e in un’alta catena di montagne che possono vedere dalle loro case … fanno le punte delle loro frecce, delle lance e delle spade con un metallo giallo, secondo vecchi Rapporti”. I funzionari spagnoli non avrebbero assolutamente tenuto conto di questa vaga allusione come avrebbero potuto fare nei secoli precedenti. Comunque, dobbiamo ricordare che la mancanza di denaro e di manodopera, in tutta la Nuova Spagna, avrebbe paralizzato il Nuovo Messico. La caccia alle chimere era veramente passata di moda. Ormai, le incursioni dei Comanches richiedevano tutte le risorse che si potevano raccogliere. Man mano che l’inchiostro si asciugava sulla mappa del Miera, la rivalità Hispano-Comanche sarebbe giunta al culmine.