L’avanzata spagnola verso nord

A cura di Gianni Albertoli

De Soto e gli indiani
Con la disfatta degli Aztechi il Cortés si mosse rapidamente per consolidare il controllo sul Messico centrale, ormai la sua intenzione era quella di voltarsi a ovest per porre fine alla potenza degli indios Tarascan, il cui epicentro era a Tzintzuntzan, nella regione del lago Pátzcuaro. L’ultimo “cazonci” (sovrano) venne brutalmente ucciso dalle truppe del Nuño Beltrán de Guzmán nel 1528. Qualche anno prima, nel 1522, il Cortés raggiungeva la “tierra de Colima” sulle coste del Pacifico; poi, due anni dopo, il capitano Francisco Cortés de Buenaventura entrava nel Sinaloa meridionale, una terra ben organizzata con larghe popolazioni e, soprattutto, genti bellicose.
Dopo l’opera missionaria dei francescani, nel 1525-1526, il Guzmán prendeva il comando e lanciava varie campagne sulle coste occidentali per poi, nel tardo 1530, entrare nuovamente nel Sinaloa; lo spagnolo era, in fondo, “una specie di uomo medievale con capacità medievale di credere a storie inverosimili”. Aveva sentito parlare di un regno amazzonico chiamato “Ciguatán” e posto da qualche parte a nord e, chiaramente, la sua incursione lungo la costa occidentale aveva lo scopo di conquistare questa misteriosa provincia. Il Guzmán rimase comunque deluso da “Ciguatán”, era in effetti molto simile ai piccoli “stati” circostanti. Un’altra storia che avrebbe influenzato gli spagnoli per almeno un decennio, venne raccontata al Guzmán da un indiano di nome “Tejo” che viveva nella vallata di Oxitipar, nel Messico orientale. Il Tejo affermava che suo padre aveva commerciato in “sette grandi città”, tutte di dimensioni simili a Tenochtitlan, una delle quali era sita a circa quaranta giorni di viaggio a nord-ovest di Oxitipar. Poi continuava ricordando che il padre aveva barattato piume con oro e argento.


Francisco Vázquez de Coronado

Questo fatto avrebbe probabilmente motivato il Guzmán a credere a questa favola a causa di una durevole leggenda europea sulle mitiche “sette città di Aucillia” e, secondo la storia, Aucillia era un vasto territorio a ovest del Portogallo – senza specificare se fosse un’isola o semplicemente terraferma, il tutto non sarebbe mai stato chiarito -, che era stato colonizzato nel 714 d.C. da profughi portoghesi sfuggiti all’avanzata dei Mori. Stando alla leggenda, questi profughi cristiani erano guidati dall’arcivescovo di Porto e da altri sei vescovi, ognuno dei quali fondò una città così, nel XVI secolo, le “sette città di Aucillia” erano diventate una di quelle utopie che tanto affascinarono la mente europea durante il primo periodo delle esplorazioni. Le operazioni del Guzmán furono eccessive per la corona spagnola e al “conquistador”, o presunto tale, venne ordinato di rientrare in Spagna per affrontare il processo ed anche la prigione. Nel frattempo il Cortés, che stava operando dalle coste occidentali inferiori del Messico, iniziò ad inviare navi in esplorazione lungo la costa messicana. Nel 1532, una di queste navi sotto il comando del Diego Hurtado de Mendoza, andò perduta da qualche parte intorno alla foce del fiume Sinaloa, e l’equipaggio finì nella zona del Río Fuerte, dove tutti i partecipanti vennero uccisi dagli indiani locali. Un anno dopo, nel 1533, uno degli ufficiali del Diego de Guzmán, lanciava una ennesima spedizione schiavistica in direzione nord partendo da San Miguel de Culiacán; lo spagnolo raggiunse il basso corso dello Yaqui River, era questa la prima esplorazione di un’area del Sud- ovest.


Hernán Cortés

I marinai dell’Hurtado erano già stati assassinati, ma il Diego de Guzmán trovò l’equipaggiamento della nave, inclusi oggetti di ferro che erano entrati nella rete commerciale e venivano passati a nord e a sud dalla località del fiume Sinaloa, proprio dove gli spagnoli erano sbarcati. I primi spagnoli ad attraversare effettivamente il territorio del basso Sud-ovest entrarono in scena nel 1535, e nel 1536, quando un gruppo di quattro uomini guidati dall’Alvar Nuñes Cabeza de Vaca completavano il loro viaggio che, dalla costa del Texas, li aveva portati nelle aree costiere del Messico occidentale. Cabeza e i suoi avevano preso parte alla famosa spedizione del Pánfilo de Narváez in Florida (1528).


Il cippo che ricorda Panfilo De Narvaez

Quest’ultimo aveva perso il suo esercito ai tempi del Cortés, a Vera Cruz, era ora ben determinato a riprovare ma, sfortunatamente, le sue capacità di leadership non erano migliorate, così come il suo giudizio. Dopo aver esplorato una parte della Florida settentrionale, con un grossolano errore di calcolo, a dir poco “quasi incredibile”, tentò di andare via mare su barche costruite a mano dalla Florida a Pánuco, nel Messico. Riuscì così a farsi uccidere con la maggior parte della sua spedizione durante una tempesta marina al largo della Louisiana occidentale e lungo la costa orientale del Texas.


Rodrigo Gutierrez

Uno dopo l’altro, i restanti membri della spedizione caddero sotto i colpi degli indigeni ostili, ma anche per fame ed esposizione, lasciando infine solo il piccolo gruppo del Cabeza de Vaca a raggiungere la Nuova Spagna. Il de Vaca, con altri due spagnoli, l’Andrés de Dorantes e l’Alonso de Castillo Maldonado, ed un quarto membro che aveva avuto un certo ruolo nella prima “entrada” spagnola nel basso Sudovest, era uno schiavo negro chiamato “Esteban de Dorantes”. Durante la lunga marcia dal Texas al Sinaloa l’Esteban, che conosceva qualche parola nativa e fungeva da interprete, avrebbe assunto un ruolo importante. Così, nella seconda parte del 1535, il gruppo del De Vaca raggiungeva le aree di La Junta, proprio nelle terre poste presso la confluenza del Concho River nel Río Grande. Comunque, la ormai piccola spedizione entrava nella Sonora Valley dove, nella primavera del 1536, visitava un territorio che gli spagnoli chiamarono “Corazones” (cuori) perché avevano ricevuto seicento cuori di cervo essiccati.


Il deserto di Sonora

Questo territorio era probabilmente occupato da indigeni di lingua Piman, con gruppi di Opata in insediamenti posti più a nord. Da “Corazones”, con un gruppo di indiani Pima, il De Vaca e i suoi poterono raggiungere Culiacán, sulla costa occidentale del Messico. La storia del Cabeza suscitò grande entusiasmo a Città del Messico, dove il viceré appena arrivato, l’Antonio de Mendoza, iniziò a pensare seriamente ad una spedizione nello sconosciuto nord. La notizia della conquista dell’impero Inca da parte del Pizarro si stava riversando in tutto il Messico e sembrava che vi fosse oro in ogni orizzonte. Uno dei capitani del Pizarro, durante la conquista dell’impero degli Inca peruviani, era l’Hernando de Soto, un personaggio che sicuramente non ebbe molti scrupoli nelle sue azioni. Ritornato in Spagna nel 1536, lo stesso anno in cui il Cabeza raggiungeva il Messico, il de Soto presentò una petizione al re Carlos per ottenere concessioni territoriali in Ecuador e nel Guatemala. Le sue richieste furono chiaramente rifiutate ma, nel 1537, il de Soto otteneva il permesso di guidare una spedizione in Florida; così, nel maggio 1539 lasciava l’Avana con circa seicento soldati e probabilmente un centinaio di servi e schiavi. La spedizione era equipaggiata con duecento cavalli, muli, maiali da mangiare e molte altre provviste. Per i successivi quattro anni, gli spagnoli sotto il de Soto – e dopo la sua morte (1542) sotto il Luis de Moscoso – esplorarono parti degli odierni Stati Uniti orientali e meridionali ma, alla fine, la spedizione si sarebbe rivelata un vero e proprio fallimento colossale, e gli spagnoli giunsero a perdere più della metà dei loro uomini.


Coronado e le sue truppe

Nella primavera del 1539 il viceré inviava due “uomini prudenti”, il Coronado e il Mendoza, con la guida di un francescano chiamato “Marcos de Niza”, da poco era rientrato dal Perù. Spingendosi a nord, al suo fianco vi era ancora l’Esteban de Dorantes, affiancato da alcuni mezzosangue messicani e qualche indio Tlaxcalan, subito rinforzati da indiani Pima giunti a sud assieme al Cabeza de Vaca tre anni prima. Inoltre, se l’affermazione del Coronado è corretta, il Marcos aveva con sé una ottantina di indigeni della regione a nord di Culiacán, tra cui probabilmente gruppi di lingua Tahue che Cáhitan. Spingendosi e proseguendo la marcia verso nord, si sarebbe mantenuto sempre abbastanza vicino alla costa, attraversando i vari fiumi che scendevano dalla Sierra Madre.


Un cippo che ricorda Marcos de Niza

Resta il fatto che vi sono parecchi disaccordi riguardo al percorso della spedizione. Stando ad alcuni il Marcos, e i suoi, aveva attraversato il basso paese desertico tra le montagne e l’oceano, nel nord del Sinaloa e della Sonora; alla fine tagliando verso l’interno oltre il Río Sonora, avrebbe raggiunto grossi insediamenti di indiani di lingua Piman da qualche parte nei bacini dei fiumi Altar e Magdalena. Fu proprio in queste terre che il francescano dette inizio alla raccolta di varie storie popolari riguardanti importanti province, o “regni” della zona, in particolare quelle note come “Totonteac, Marata e Acus”. Il Marcos annotava anche le terre poste più a nord documentando le “sette città di Cíbola”, in pratica i “pueblos” degli indiani Zuñi nella estremità occidentale del Nuevo Mexico.


Coronado e gli Zuni

Comunque il Marcos si mosse all’interno delle aree del fiume Magdalena, per poi attraversare il corso del San Pedro. Chiaramente, questa era una delle rotte commerciali del periodo che, dalle terre dei Pima, portava al Golfo della California, dove venivano smerciati turchesi, pelli e ceramiche. Avrebbe poi seguito il fiume San Pedro, tagliando infine verso nord-est fino al corso del Gila River. Fu nelle aree del fiume Gila che il Marcos de Niza ricevette una triste notizia, l’Esteban era stato ucciso a “Cíbola”.


Il fiume San Pedro

Resta il fatto che non è chiaro nemmeno cosa abbia esattamente fatto il Marcos dopo la notizia allarmante dell’omicidio dell’Esteban; stando al prelato, avrebbe raggiunto “Cíbola”, dove vide il primo degli insediamenti dell’area, “una città più grande di Tenochtitlan- Città del Messico” (sic!). Vi sono buone probabilità che il frate abbia effettivamente visto una delle “città di Cíbola”, vale a dire una del paese degli indiani Zuñi, o il pueblo più orientale di “K’iakima”, non è ancora chiaro. Non è neppure chiaro il motivo per cui Marcos abbia esagerato le dimensioni di qualunque pueblo vedesse. Ricordiamo che ai tempi del viaggio del Marcos, gli europei avevano esplorato il Golfo della California fino alla foce del Colorado, e di conseguenza, una parte dell’attrezzatura e, soprattutto, il cibo e i vestiti necessari agli spagnoli sotto il Coronado furono inviati via mare.


Gli Spagnoli nel Gran Canyon

Nel gennaio 1540 il Coronado – nuovo governatore della Nueva Galicia -, divenne capitano-generale della spedizione organizzata dal viceré Mendoza. Il Coronado comandava circa 350 soldati europei e circa 1.300 alleati indiani. La maggior parte degli europei erano spagnoli, ma vi era anche una manciata di uomini provenienti da altre parti d’Europa, in particolare Portogallo, Francia, Italia, Germania e Scozia; e molti di loro sono conosciuti per nome, tutti affiancati da nativi del Messico centrale. La spedizione aveva millecinquecento animali da bestiame, cavalli, muli, pecore e probabilmente anche bovini. Chiaramente, per il suo tempo e il suo luogo, era davvero un’impresa ambiziosa. Il cauto viceré, dopo aver ascoltato i racconti del Marcos de Niza, decise di inviare un’altra spedizione esplorativa verso nord per verificare la storia del missionario. Il viceré avrebbe scelto per questa esplorazione lo “alcalde mayor” di Culiacán, il Melchior Díaz. Questi, con quindici cavalieri, lasciava Culiacán nel novembre 1539 per svernare da qualche parte nel nord della Sonora, e nella regione meridionale dell’Arizona.


La spedizione di Coronado in Arizona

Il suo Rapporto, certamente meno entusiasta di quello del Marcos, riportava però sostanzialmente gli stessi dettagli, sarebbe arrivato nel marzo 1540, quindi troppo tardi per avere un certo effetto sul corso della spedizione. Nell’aprile 1540 il Coronado lasciava Culiacán con una forza, di cui la maggior parte a cavallo, e con alcuni indiani alleati; altre forze armate, sotto la guida del Tristán de Arellano, seguivano la spedizione partendo almeno venti giorni dopo.


Tristán de Luna de Arellano

Nel frattempo, una forza marittima sotto il capitano Hernando de Alarçón, si dirigeva verso Acapulco per poi, nel maggio 1540, entrare nella foce del Colorado River in agosto; non possiamo escludere che la flotta abbia raggiunto anche la foce del Gila, trovandosi di fronte al triste fatto che “Cíbola” si trovava ancora a centinaia di miglia attraverso aspre montagne e infiniti deserti. L’Alarçón, con le scorte di cibo dell’esercito, con attrezzature e abbigliamento invernale, sarebbe ritornato nel Messico.


Il cippo che ricorda la spedizione di Hernando De Alarcon

Alla fine, il viaggio del Coronado verso nord sarebbe stato relativamente tranquillo. Le malattie europee e le incursioni schiavistiche spagnole avevano colpito drasticamente le popolazioni native del Sinaloa e della Sonora meridionale, e gli indiani rimasti in quelle terre non avevano proprio voglia di fronteggiare la grande forza del Coronado. Anche quando l’avanguardia del Coronado raggiunse i bellicosi “staterelli” del Río Sonora, sembra che non abbia trovato molta ostilità. Ciò era probabilmente dovuto al fatto che il Coronado, sotto severi ordini del viceré Mendoza, teneva i suoi uomini lontani dai villaggi nativi e coltivava vistosamente un buon comportamento nei suoi rapporti con i nativi. Però, il grosso dell’esercito che seguiva il generale era molto, ma molto meno scrupoloso. Il comandante aveva ordinato la costruzione di un insediamento permanente come stazione di passaggio tra il Messico e il territorio del Sud-ovest, questo venne collocato a “Corazones”, proprio nel sito visitato qualche anno prima dal Cabeza de Vaca. L’Arellano sarebbe rimasto a Corazones durante i piovosi mesi estivi e poi, a corto di cibo, spostò l’insediamento a San Gerónimo de los Corazones poche miglia a nord. Gli spagnoli incontrarono gruppi di nativi di cacciatori-raccoglitori, probabilmente indiani di etnia Seri, ma nessun segno di eventuali navi spagnole. Verso la fine di maggio, il Coronado lasciava il corso del Río Sonora, quindi si diresse a nord attraversando la pianura a nord di Cananea fino alle sorgenti del San Pedro, dove il Coronado avrebbe intersecato il percorso utilizzato dal Marcos l’anno precedente. Continuando la marcia, raggiunsero l’Aravaipa Canyon per poi girare a nord-est tra le Pinaleño e le Santa Teresa Mountains, dove trovarono le imponenti rovine di “Chichilticalli”, la “casa rossa”.


L’Aravaipa Canyon

Fu a Chichilticalli, mentre la rotta girava ancor più a nord-est, che il Coronado iniziò a rendersi conto di allontanarsi sempre più dal Golfo della California. Ma l’obiettivo immediato della spedizione era pur sempre quello di raggiungere Cibola. Il Coronado entrò nella Gila Valley seguendo il fiume poi, attraversando il Gila, si spinse alle sorgenti del fiume San Francisco, chiaramente in direzione nord. Fu allora che gli spagnoli virarono nuovamente verso ovest per seguire il Carrizo Wash e raggiungere la sua confluenza con lo Zuni River. Nel frattempo le provviste erano ormai esaurite, così come la grande quantità di pane di mais raccolto a Corazones e Señora, e ricavato dal raccolto dell’anno precedente, ovvero la semina del mais primaverile del tardo inverno del 1540, semina che non era ancora maturata nella valle della Sonora.


Memorie di Jose Cortes

La fame cominciò a perseguitare il campo, e i tentativi di vivere sui frutti della terra non ebbero particolare successo; infatti, molti degli alleati, due schiavi neri e un soldato spagnolo morirono per aver mangiato erbe velenose del deserto. Fu sicuramente un esercito disperatamente affamato che, alla fine seguì il Carrizo Wash verso ovest. Nel territorio gli spagnoli videro i loro primi nativi di Cíbola; giunti poi al fiume Zuni, il Coronado attraversò un sentiero che collegava i vari paesi “Cíbola-Zuñi” con il luogo sacro degli indiani Zuñi chiamato “Ko:thluwala:wa”. Questo sito si trovava presso la confluenza dei fiumi Zuni e Little Colorado, circa trenta miglia a sud-ovest del gruppo dei “pueblos” degli Zuñi, in una terra che sembra essere stata il fulcro di una delle più importanti cerimonie estive che coinvolgevano vari insediamenti. L’intrusione spagnola in un momento così sacro avrebbe portato ad una raffica di continue ostilità.


La battaglia di Hawikuh

Queste non avrebbero comunque rallentato gli spagnoli e, il 7 luglio 1540, l’esercito avrebbe raggiunto l’insediamento più occidentale di Cíbola, vale a dire il pueblo degli Zuñi di “Hawikuh”. Ma questo fa parte di un altro capitolo.

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