La scorreria dei Comanche contro San Sabà

A cura di Matteo Pastore

L’assalto alla missione
Molto prima che terrorizzassero i coloni americani in Texas, i Comanche rendevano la vita difficile non solo ai coloni spagnoli ma anche agli Apache. La distruzione di una missione spagnola vicino al fiume San Sabá nel marzo 1758 dimostrò quanto potessero essere aggressivi e feroci i Comanche, sebbene il numero di morti a San Sabá avrebbe potuto essere molto maggiore se non fosse stato per un vicino presidio.
Né i Comanche né gli Apache erano originari dell’area che divenne il Texas. Alla fine del XVII secolo, gli Apache adottarono i cavalli che gli spagnoli portarono nel Nuovo Mondo e si trasferirono nelle pianure a cacciare i bufali. All’inizio del XVIII secolo, i predoni Apache iniziarono ad assalire i soldati e i sacerdoti spagnoli provenienti dal Messico.
Gli spagnoli avevano incontrato pochi nemici così selvaggi, ma gli Apache erano nulla in confronto al terrore scatenato al nord. I Comanche, si recavano nelle pianure meridionali per cacciare bufali e fare razzie e gli Apache sopportarono tutti i loro attacchi e furono cacciati dalle pianure del Texas prima che i primi coloni angloamericani attraversassero il fiume Sabine.
Missionari spagnoli tra gli indiani
Gli spagnoli, non riconoscendo ancora la minaccia dei Comanche, si rifiutarono di commerciare armi con gli Apache. D’altra parte, i Comanche ottennero armi da fuoco da commercianti francesi provenienti dalla Louisiana, e per questo motivo erano molto più potenti. Secondo gli spagnoli gli Apache avrebbero rinunciato alle loro vecchie abitudini e sarebbero venuti da loro per protezione.
Un giorno del 1749, un gruppo di Apache si recò a San Antonio de Bexar desiderosi di ottenere la pace con gli spagnoli e chiedendo ai sacerdoti di costruire una missione sul fiume San Sabá a circa 150 miglia a nord-ovest di San Antonio. I sacerdoti erano felicissimi, i soldati sospettosi. Sarebbero passati sette anni prima che gli spagnoli si stabilissero lungo il San Sabá (vicino all’attuale Menard, Texas). Il proprietario della miniera, Don Pedro Romero de Terreros, offrì al governo spagnolo 150.000 pesos per costruire la missione e lo convinse a costruire e gestire anche un presidio nelle vicinanze. La sua azione non era causata da una preoccupazione di proteggere gli Apache ma con il presidio voleva difendere i suoi interessi minerari. Si riuscì a far nominare suo cugino, padre Fray Alonso Giraldo de Terreros, presidente della missione.
Forse gli Apache speravano che l’insediamento degli spagnoli nel loro vecchio territorio avrebbe fornito una certa protezione. Forse speravano di provocare una guerra tra i Comanche e gli spagnoli. In entrambi i casi stavano mentendo quando rivendicarono la terra lungo il San Saba come loro. I Comanche li avevano cacciati da quella regione anni prima. Gli spagnoli stavano cadendo in una trappola.


Guerrieri Comanche

Nel 1757 gli spagnoli fondarono la Missione Santa Cruz de San Sabá, insieme al Presidio San Luis de las Amarillas, comandato dal colonnello Diego Ortiz Parilla, situato tre miglia a valle. I pochi Apache che si presentarono alla missione mostrarono scarso interesse per la salvezza delle loro anime. Quell’estate un folto gruppo di Apache si accampò vicino al recinto della missione ma solo per poi recarsi a caccia di bufali e probabilmente combattere contro i Comanche e non entrarono nella missione. All’inizio del 1758 rimasero solo pochi Apache a Santa Cruz.
Il 15 marzo 1758 un folto gruppo di nativi a cavallo, sconosciuti alla gente del posto, scacciò il branco di cavalli spagnoli che pascolava tra il forte e la missione. Il colonnello Parilla esortò padre Terreros ad abbandonare la missione ma il sacerdote scelse di rimanere.
Il giorno successivo, quasi 2.000 nativi cavalcarono verso la Missione San Sabá, che ospitava circa 35 uomini. Non sapendo esattamente chi fossero queste tribù, gli spagnoli le chiamavano Norteños (quelli del Nord). Essi erano i Comanche e i loro alleati. I nativi imostravano pitture per il viso rosse e nere ed alcuni erano armati con armature e moschetti europei (indossare corazze europee era estremamente raro) oltre a lance, archi e frecce. I soldati che Parilla aveva lasciato alla missione chiesero a padre Terreros il permesso di aprire il fuoco e respingere le forze indiane, ma lui rifiutò. Era un uomo di Dio. I Comanche e i loro alleati forzarono ad aprire i cancelli e presto completarono la missione.
Terreros e i suoi sacerdoti li salutarono, offrendo doni come tabacco e altri ninnoli, assicurarando loro che tutti gli Apache erano scomparsi. In effetti, alcuni Apache si nascondevano negli alloggi di Terreros, ma se scoperti sarebbero stati sicuramente uccisi. Nonostante i doni, i Norteños iniziarono a saccheggiare tutto ciò che volevano: pentole, utensili, tabacco, vestiti e cavalli. Terreros, per salvare la missione, assicurò al capo dei Comanche che al presidio avrebbe trovato più beni ma soprattutto cavalli.


Mentre un gruppo di guerrieri a cavallo si recò verso il Presidio San Sabá, Parilla, nervoso per l’incolumità di Terreros, Joseph Santiesteban e degli altri sacerdoti, inviò alla missione alcuni soldati. Qualche ora dopo i nativi che si stavano recando verso il presidio e i soldati si scontrarono. In netta inferiorità numerica rispetto ai guerrieri indigeni, gli spagnoli furono massacrati. Gli indiani presero gli scalpi ai soldati morti e tornarono alla missione sventolando i loro sanguinosi trofei.
I resoconti di ciò che accadde dopo il ritorno alla missione sono contraddittori. Padre Miguel de Molina, un sopravvissuto al calvario, dichiarò che i Comanche erano arrabbiati perché i soldati spagnoli avevano sparato su di loro ferendoli e uccidendone alcuni. Altri resoconti dicono che i guerrieri volevano solo più scalpi. In ogni caso, nella missione scoppiò un’ondata di violenze. Lo stesso Terreros fu tra i primi a morire, abbattuto da un Comanche. Quando i Norteños caddero sui compagni di Terreros, padre Molina e altri trovarono temporanea sicurezza negli alloggi di Terreros. Rimasero lì mentre Juan Leal, uno dei servitori civili di Terreros, e alcuni altri difensori rispondevano al fuoco contro gli attaccanti. Ma fiaccare le difese, i Comanche, diedero alle fiamme l’edificio.
Molina e gli altri furono costretti a fuggire in un altro edificio, lasciando dietro di sé un compagno ferito, Juan Antonio Gutiérrez. I nativi erano più intenti a rubare ciò che potevano piuttosto che finire i difensori. Joseph Vasquez, l’unico sopravvissuto della forza a cavallo che aveva incontrato i nativi sulla strada del presidio, si trascinò verso la missione mentre il saccheggio e l’incendio erano ancora in corso. Diversi Comanche cercarono di gettarlo nel fuoco, ma ancora una volta sopravvisse, solo con una mano bruciata da mostrare come prova. Gli aggressori, alla fine, ripartirono per il presidio, lasciando Molina e altri 27 uomini ancora vivi nella missione. I soldati erano meglio armati e meno fiduciosi dei preti, mentre Comanche e i loro alleati avevano già perso almeno una dozzina di uomini mentre alcuni si erano divisi per tornare nei loro villaggi I Norteños, nonostante il loro numero superiore, decisero di non attaccare.


Le rovine del presidio militare posto a pochi chilometri di distanza

Dopo alcuni giorni, i guerrieri se ne andarono, lasciando gli spagnoli, scossi, a seppellire i loro otto morti, inclusi due sacerdoti. San Saba, la missione più settentrionale istituita in Texas dagli spagnoli, non fu ricostruita. I Comanche avevano mostrato agli spagnoli i limiti del loro potere. Sebbene il numero di uomini uccisi durante lo scontro fu limitato, i guerrieri ottennero una vittoria ben più grande: avevano appena bloccato la diffusione di uno degli imperi più forti al mondo di quel secolo.

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