Il massacro di Fort Rosalie, Mississippi 1729

A cura di Renato Ruggeri

Fort Rosalie
Fort Rosalie fu costruito nel 1716 dai Francesi su un promontorio che si affacciava sulla riva orientale del fiume Mississippi. Era situato nel luogo dell’odierna città di Natchez. Il forte, protetto da una palizzata in legno, era circondato dalle case dei coloni e da piantagioni di tabacco, cotone e riso.
Nel 1729 Fort Rosalie fu assalito e distrutto dagli Indiani all’inizio della Terza Guerra Natchez, Il numero dei morti fu stimato, a seconda delle testimonianze dell’epoca, tra 250 e 300 uomini, donne e bambini. mentre 80 donne e 150 bambini furono presi prigionieri, insieme a un uguale numero di schiavi Africani.
La distruzione di Fort Rosalie destò molto scalpore nelle colonie e in Francia.
Oggi è un episodio dimenticato.
Al tempo dei tragici eventi la capitale della Louisiana era New Orleans.
New Orleans, o Nouvelle Orleans, la “accidental city”, come fu chiamata, nacque dall’idea ambiziosa e visionaria di Jean Baptiste Le Moyne de Bienville, un esploratore e colonizzatore nato in Canada che passò buona parte della sua vita nel tentativo di civilizzare il selvaggio Territorio della Louisiana.


Jean Baptiste Le Moyne de Bienville

Bienville fu nominato nel 1701 Governatore della Louisiana, quando il totale della popolazione dell’intera provincia era di 180 coloni. Aveva, però, un sogno, voleva edificare una nuova capitale al posto di Biloxi. Iniziò a esplorare il delta del Mississippi alla ricerca del sito ideale.
Ogni luogo alla foce del grande fiume era fuori questione a causa dello smottamento del terreno che era formato da depositi alluvionali portati dal fiume ed era troppo cedevole per poter costruire una città. Una località troppo “upriver” toglieva la possibilità ai vascelli di poter risalire il Mississippi.
Il posto ideale doveva avere acqua abbastanza profonda per permettere l’attracco e essere tanto vicino al Golfo da consentire alle navi di raggiungere il porto, scaricare le merci portate dall’ Europa e tornare in Francia con le stive piene di pelli, cibo e tabacco della colonia.
Il luogo scelto da Bienville per fondare la sua città ideale fu, probabilmente, uno dei meno indicati lungo il corso del Mississippi.
New Orleans fu costruita sulla riva meridionale di Lake Pontchartrain, in un’area che era leggermente sopra il livello del mare, circondata da paludi che favorivano le inondazioni e le malattie e abbastanza vicino alle acque aperte del Golfo del Messico da essere esposta alla furia degli uragani tropicali.
Il luogo pullulava di serpenti, insetti velenosi, alligatori e vicino vivevano Indiani ostili.
Ma Bienville vide del potenziale e diede inizio al suo “folle” progetto.
Nel marzo 1718 assoldò un gruppo di 50 detenuti che iniziarono il duro lavoro di pulire la boscaglia e costruire il primo nucleo della città.

Un anno dopo Bienville incaricò due ingegneri, Pierre Le Blond del La Tour e Adrian de Pauger di progettare un piano urbanistico per una città lunga 11 blocchi e profonda 4 blocchi, in corrispondenza dell’odierno Quartiere Francese. Poi, dopo aver tenuto per sé due grossi appezzamenti di terreno, chiese alle autorità di trasferire la capitale da Biloxi a Nouvelle Orleans.

La rilocazione avvenne nel 1722, quando la città, o meglio, il villaggio era formato solo da alcune capanne con le pareti in legno e i tetti di paglia o di canna e da qualche tenda e era abitato solo da poche dozzine di abitanti, per lo più immigrati forzati, carcerati, prostitute, orfani, malati psichici. Una sorta di colonia penale.
Nel 1722 New Orleans fu colpita da un terribile uragano che quasi la distrusse.
Nel 1723 la popolazione era di 380 coloni e nel 1726 il totale degli abitanti era di 650 Francesi e 106 schiavi africani che dovevano lottare contro gli elementi naturali, il terreno e la vegetazione spietata.

Il luogo era assolutamente insalubre. La morte era così comune che nell’agosto del 1723 ci furono, anche, 7 o 8 funerali al giorno.
Praticamente ogni cittadino di New Orleans soffriva di malaria o febbre gialla portata dalle zanzare, di dissenteria causata dall’acqua non potabile e dalle condizioni igieniche e di scorbuto dovuto alla mancanza di cibo adeguato.
L’area era abitata da molti animali selvaggi: orsi, puma, linci e pullulava di serpenti velenosi.
Due erano, però, le creature più temute, gli alligatori e i mosquitos, le zanzare.
Mentre i Francesi avevano già incontrato i coccodrilli nelle loro colonie in Africa, Sud America e Caraibi, quasi nessuno degli immigrati li conosceva.
L’alligatore americano si trovava in tutti i laghi, fiumi e paludi della Louisiana. Quando New Orleans si inondava a causa delle forti piogge e dei tifoni, gli abitanti si dovevano difendere dagli alligatori che uscivano dalle paludi e invadevano le strade fangose e allagate. Spesso i passeggeri erano costretti a combattere contro gli esemplari che cercavano di salire sulle imbarcazioni.

Accamparsi sulle sponde del Mississippi richiedeva la presenza di guardie armate non solo per proteggere armi e provviste dai nativi e dai banditi, ma anche per difendesi dagli alligatori che di notte potevano entrare nell’accampamento e assalire e trascinare in acqua le persone mentre dormivano.
Il record per un esemplare, ai nostri tempi, appartiene a un “mostro” lungo 4, 8 m e pesante 458 kg. Fu ucciso nel 2014, in Alabama, dalla famiglia Stokes dopo cinque ore di lotta furiosa.
Prima dell’arrivo degli Europei con le loro armi da fuoco, gli alligatori non avevano predatori naturale e le frecce dei nativi potevano poco contro la loro corazza.
Quando i primi Francesi si stabilirono lungo i laghi e i fiumi della Louisiana, incontrarono animali enormi, lunghi fino a 6-7 metri.
Un alligatore era abbastanza forte da trascinare in acqua un bisonte che si stava abbeverando sulla riva di un fiume.
L’altra creatura più temuta erano i mosquitos, le zanzare, che si trovavano ovunque e da cui era impossibile fuggire. Le malattie portate da questi insetti erano mortali. Descrivendo le condizioni della prima New Orleans. Marcel Giraud scrisse “L’intera popolazione soffre di malattie propagate dalle acque stagnanti che inzuppano il terreno di New Orleans. Quest’acqua è particolarmente letale nella stagione calda quando diventa il terreno di riproduzione per sciami di zanzare che possono portare malaria e altre febbri tropicali, soprattutto la febbre gialla”.
I viaggiatori sul fiume si svegliavano all’alba solo per essere avvolti da nugoli di zanzare che li seguivano per tutto il giorno.
Dormire lungo il Mississippi durante il periodo caldo, che in Louisiana era in ogni periodo dell’anno, offriva la scelta tra due inferni. Uno era dormire chiuso in una tenda e soffrire il caldo, l’altro era lasciarla aperta e soffrire le punture delle zanzare.

Un viaggiatore scrisse che, a confronto con le zanzare, ogni altra cosa sembrava una ricreazione. “È certo che questi piccoli insetti hanno provocato più imprecazioni da quando i Francesi sono arrivati sul Mississippi, che in ogni altra parte del mondo”.
Navigando lungo il Mississippi, il primo “French post” che i viaggiatori incontravano, a 110 miglia da New Orleans, una settimana di viaggio risalendo il fiume, era Baton Rouge, l’attuale capitale della Louisiana.
A quei tempi non era altro che un agglomerato di capanne di legno e tende su un promontorio e un trading post sul fiume. Ma era il primo luogo dove riposare, ottenere informazioni e comprare nuove provviste, se necessario, compresa la carne di bisonte e di cervo portata al trading post dai cacciatori e dai nativi.
Jean Francois Dumont, che passò per Baton Rouge, raccontò un episodio che ben descrive i tempi turbolenti della Louisiana nei suoi primi anni.

“Il giorno in cui arrivammo a Baton Rouge il capitano di una delle nostre imbarcazioni rubò un barile di brandy e si ubriacò. Fu scoperto, e quando sbarcammo a terra fu riunito un tribunale. Fu esonerato dal comando, degradato a marinaio semplice e condannato alla fustigazione. Fu legato a un albero e tutti i soldati, a turno, lo frustarono sulla schiena. Lo fecero pesantemente, dal momento che il furto aveva ridotto le loro razioni di acquavite e lasciarono impresso sul malcapitato il marchio della loro rabbia “.
Navigando per altre 30 miglia “upriver” si arrivava a Pointe Coupee.

Sebbene Natchitoches, fondata nel 1714, sia riconosciuta come la più vecchia città della Louisiana, Pointe Coupee ha una storia che risale al 1708 quando alcuni mercanti Francesi fondarono un piccolo insediamento e si sposarono con le native locali. Un decennio dopo fu costruito un forte per proteggere coloro che risalivano il Mississippi.
A Pointe Coupee i viaggiatori potevano riposare e cacciare.
Molti animali erano nuovi per gli Europei da poco arrivati.
Uno di questi era un bell’animale bianco e nero che correva nel sottobosco.
Dopo un primo incontro più ravvicinato con la puzzola, i francesi impararono a tenersi a distanza da quella che chiamaromo “bete puante”.
Altri animali nuovi erano il procione, il coyote e l’opossum, “rat de bois”.
Moltissimi erano i cervi e i bisonti. Sebbene ora si trovino solo nell’ovest americano, i bisonti erano così tanti nella valle del Mississippi che un esploratore scrisse “I bisonti sono così numerosi che non puoi rimanere senza provviste se hai polvere e pallottole”.
I bisonti erano comuni lungo tutto il corso del fiume fino al Golfo del Messico ed erano una fonte primaria di sostentamento per i Francesi e gli Indiani.
Molti erano anche i puma e gli orsi. Marc Calliot scrisse “I puma e gli orsi sono molto grossi ma non particolarmente cattivi. Però se spari a questi animali, non devi mancarli, se no ti caricheranno e ti uccideranno”.
Dopo settimane di un viaggio ricco di insidie, fatiche e disagi, si arrivava finalmente a Fort Rosalie, costruito su un promontorio sulla riva orientale del Mississippi, 120 miglia sopra Pointe Coupee, Fort Rosalie, per i viaggiatori, era un paradiso in confronto alle zone malsane che avevano attraversato. Situato sul sito dell’odierna città di Natchez, il forte fu edificato nel 1716 al termine della Prima Guerra Natchez.
Come parte dei negoziati, Bienville chiese agli Indiani di procurare materiale e manodopera per costruire la palizzata e le abitazioni.

I coloni, con l’inizio della pace, si stabilirono intorno al forte e cominciarono a coltivare tabacco e cotone. Natchez divenne il più grosso, il più civilizzato e il più pacifico insediamento della Louisiana. Al confronto di New Orleans con le sue paludi, Baton Rouge e le sue misere tende e baracche e Pointe Coupee, niente più che una stazione di servizio per viaggiatori. Fort Rosalie era una metropoli di 500 abitanti che convivevano in modo pacifico con i nativi locali, i Natchez, la cui popolazione era stimata in circa 5000 individui.
Bienville la definì “il gioiello del Mississippi”.

I Natchez apparvero, agli occhi dei Francesi, come la società più progredita del Nord America.
Sebbene molte delle tribù dei Grandi Laghi e i Laurenziani fossero abili agricoltori, nessuno coltivava campi di mais, zucca, e fagioli estesi come quelli che vedevano intorno al Grand Village, il grande villaggio dei Natchez.
Il loro sistema politico centralizzato e i tumuli simili alle piramidi li facevano assomigliare ai potenti imperi del Centro e Sud America conquistati dagli Spagnoli, mentre il loro capo supremo, il Grande Sole, venne paragonato a un tiranno del vecchio mondo, un Faraone Egiziano o un Imperatore Romano.
Il popolo che i Francesi chiamavano Natchez viveva in una mezza dozzina di villaggi lungo la riva orientale del Mississippi. Non era, però, un gruppo omogeneo, ma un conglomerato di genti diverse, Natchez, Tiou e Grigra. che si erano unite a scopo difensivo. Ai Francesi sembrarono, però, un unico popolo.
I Natchez erano gli ultimi discendenti della cultura Plaquemine che si era sviluppata sul basso corso del Mississippi a partire dal 700. Al culmine della potenza, tra il tredicesimo e il sedicesimo secolo, la civiltà Plaquemine copriva un’area compresa tra l’Arkansas centrale e il Golfo del Messico e aveva edificato il grande centro cerimoniale di Emerald Mound, 11 miglia a nordest di Natchez, il secondo tumulo più grande degli Stati Uniti.
Prima del 1700 i Natchez abbandonarono, per motivi poco chiari, il sito, costruirono il Grand Village presso l’odierna Natchez, Mississippi e si distribuirono in 5 o 6 villaggi lungo la sponda del fiume.
Il Grand Village era il centro cerimoniale.

Era composto da due tumuli e qualche abitazione, Bienville ne contò otto, al centro di una vasta area piatta e erbosa, circondata dagli alberi e confinante, su un lato. con il St Catherine Creek.
Il mound più a nord, la casa del Grande Sole, il capo supremo dei Natchez, era fatta da pali verticali e da un tetto di paglia.
Il tumulo più a sud era il tempio e luogo di sepoltura. La costruzione era lunga 22 metri e larga 16 e era divisa in una stanza più grande e una più piccola.
Intorno al Grand Village c’erano cinque (o forse più) villaggi dove risiedevano le tribù confederate.
Il villaggio Flour (Farina) era il più vicino. Si trovava a sudest, sul lato opposto del St Catherine Creek. Si crede che gli abitanti fossero Natchezan.
Una mappa dettagliata del 1723 del cartografo Ignace Francoise Broutin mostra un villaggio Natchez chiamato Canard (Anatra) a circa 1, 5 miglia a est del Grand Village, situato su un torrente chiamato Riviere des Canard.
È possibile che fosse un estensione del villaggio Flour.
I Tiou e i Grigra erano gente Tunican che si era rifugiata presso i Natchez per sfuggire ai cacciatori di schiavi Chickasaw.
La mappa del 1723 pone il villaggio Tiou sul fiume St Catherine, 3 miglia a sudovest del Grand Village.
Anche i Grigra erano rifugiati Tunican che si erano stabiliti a Fort Rosalie più tardi, probabilmente agli inizi del 1700. La mappa di Broutin collocava il loro villaggio sulla Riviere des Natchez Grie, il Kittering Creek, 4 miglia a nordest del Grand Village.
Il White Apple (Mela Bianca) Village, chiamato, anche, White Earth (Terra Bianca) e Jenzenaque erano abitati, probabilmente, da gente Natchezan.
Si trovavano in un’area compresa tra l’Upper St Catherine Creek, chiamato in una mappa Riviere de la Pomme, e il fiume Fairchilds. Emerald Mound sorge nell’area Jenzenaque.
Dal momento che i villaggi erano abitati da popoli differenti, non vi era un unico capo supremo sopra di loro. Esisteva, piuttosto, una non facile collaborazione di “Uomini Nobili”, i capi villaggio che lavoravano insieme sotto la supervisione del Grande Sole. Questi gruppi non avevano le stesse alleanze o simpatie. I due villaggi più vicini al Mississippi, Flour e Tiou, erano pro-Francia, mentre White Apple, Grigra e Jenzenaque erano più favorevoli ai mercanti Inglesi della Carolina che cercavano di estendere i loro interessi commerciali nella valle del Mississippi.
Questi Indiani, alti e orgogliosi, suscitarono un misto di ammirazione e paura nei primi Francesi che li incontrarono. Gli uomini furono descritti come “ben proporzionati, le donne generalmente di bell’aspetto e estremamente pulite”.
I Natchez, nei villaggi, giravano praticamente nudi, ad eccezione di una corda intorno alla vita a cui era attaccato un pezzo di stoffa;nella stagione fredda le donne indossavano abiti che le coprivano dal collo ai piedi, gli uomini pantaloni e giacche di pelle. Quando iniziarono a commerciare con i Francesi, incorporarono abiti europei nel loro abbigliamento.
I guerrieri si foravano le orecchie;alcuni di loro avevano nei lobi buchi così grandi che ci poteva passare un uovo.
Tra gli uomini, i tatuaggi erano segno di coraggio.
Si tatuavano la faccia, le gambe, le braccia con linee di vari colori, nero, rosso, blu, giallo e l’addome con figure che rappresentavano il sole, i serpenti e altri animali e figure geometriche. I Francesi li accostarono agli antichi Britanni e ai Pitti.
I guerrieri che si erano più distinti in battaglia si tatuavano sulla spalla destra una mazza da guerra, come simbolo del loro valore.
I Francesi trovarono i Natchez intriganti e affascinanti, ma anche infidi e bugiardi.
Padre Jean Francois de St Cosme, che servì da missionario presso di loro per sette anni, a partire dal 1699, raccontò a un amico che i Natchez praticavano la poligamia e erano ladri e viziosi, le donne e le ragazze più degli uomini.


Natchez

Non solo, secondo alcuni racconti erano particolarmente promiscui.
Andre Penicaut definì le donne libidinose oltre ogni limite e scrisse
“Il padre e la madre delle giovani ragazze raccontano loro, secondo i dettami della religione, che quando giungerà il momento della dipartita dal mondo terreno, per raggiungere il Grande Villaggio dell’aldilà, dovranno oltrepassare un ponticello stretto e difficile. Ci riusciranno solo quelle di loro che, durante la vita, avranno tenuto un comportamento allegro con i maschi”. Penicaut concluse “Tutte lo valicheranno facilmente”.
L’usuale tradizione presso i Natchez, che fu portata avanti anche con i Francesi, era che il padre offriva al visitatore, in segno di ospitalità, la propria figlia per la notte.
Tra i Natchez esisteva, anche, un terzo sesso. Dumont raccontò che, mentre le donne rimanevano al villaggio, prendendosi cura della casa e coltivando il terreno, quando gli uomini andavano a caccia portavano con loro un uomo.
“Era utile a loro quando il desiderio d’amore contrastava con la voglia di cacciare. Quest’Indiano si vestiva come una donna e portava i capelli nello stesso modo, si vestiva come una donna e veniva considerato come il capo delle donne del villaggio
Quando ritornava dalla caccia, gli era concesso, nelle notti di luna piena, di recarsi dalle mogli degli uomini con cui aveva avuto una relazione. In questo modo restituiva parte delle cose che aveva subito e alleviava la gelosia delle donne nei suoi confronti. Per il resto del ciclo lunare era considerato una femmina e lavorava insieme alle donne”.
La struttura sociale dei Natchez era divisa in due classi, i nobili e la gente comune, i “plebei” chiamati stinkards. Quando si sposava, un membro della nobiltà doveva trovare il proprio partner tra la gente comune, e viceversa, e la discendenza del Gran Sole, il capo supremo dei Natchez, era matrilineare.

Ciò vuol dire che il Gran Sole non poteva passare il suo titolo al figlio ma, bensì, al nipote, il figlio della sorella.
Tutti i villaggi avevano un “big man”, un capo, il più potente era, però, il Gran Sole che viveva nel Grand Village. Il suo braccio destro era il fratello, il Serpente Tatuato, che aveva una carica paragonabile a un segretario di stato odierno. Era il responsabile dei rapporti diplomatici e dei negoziati con le tribù vicine e gli europei.
I Natchez erano, anche, famosi per la crudeltà verso i nemici.

Dumont descrisse la loro brutalità nelle sue memorie “Il prigioniero fu portato nella piazza principale di fronte al Tempio. Si decise di non farlo schiavo, ma di bruciarlo. Fu spogliato nudo e gli staccato lo scalpo. Poi gli legarono le mani e i piedi a una struttura in legno a forma di cornice. Quindi una ventina di selvaggi, tenendo in mano una torcia accesa, iniziarono a bruciare la vittima prima da un lato e poi dall’altro, le braccia, le gambe, i genitali, il dorso, la faccia, mentre lo sventurato li copriva di insulti. Durante il barbecue la tortura veniva, a volte, sospesa e il prigioniero rifocillato, in modo da riprendere vigore, poi il tormento ricominciava”.
Dumont fu testimone della tortura di una giovane donna di circa 16 anni, che subì il martirio per quattro ore senza emettere un lamento o versare una lacrima.
Se il supplizio non causava sofferenze visibili agli occhi dei Natchez, iniziavano a strappare la carne della vittima e la masticavano davanti ai suoi occhi.
Considerando il grado di violenza che permeava la cultura dei Natchez, e cosa sorprendente che, almeno all’inizio, abbiano potuto convivere abbastanza pacificamente con i Francesi.
Gli eventi che portarono massacro di Fort Rosalie iniziarono nel 1725, quando i Francesi persero, con la morte del Serpente Tatuato, un alleato fidato. Tre anni dopo anche il fratello più anziano, il Gran Sole, morì.
Il nuovo Gran Sole, chiamato dai Francesi Saint Cosmè, in onore del missionario che aveva fondato la prima missione tra i Natchez nel 1699 ( o forse perché era suo figlio), era giovane, immaturo e inesperto. Come conseguenza Old Hair, il capo del villaggio di White Apple, favorevole agli Inglesi, assunse il vero potere .
Nel frattempo la popolazione di coloni intorno a Fort Rosalie era cresciuta.
Nel 1729 abitavano nei pressi del forte circa 500 Francesi e 200 schiavi neri che lavoravano nelle piantagioni
Inversamente, il numero do soldati di guarnigione era diminuito da 60 nel 1720 a 30 nel 1729, mentre nei villaggi indiani circostanti vivevano circa 5000 persone, 900 di queste erano guerrieri.
Erano state fondate due concessioni. La St Catherine Plantation era situata sulla sponda occidentale del fiume che prese, poi, il suo nome, circa due miglia sopra il Grand Village.

La concessione più piccola, Terre Blanche, era localizzata quattro miglia a sud di Fort Rosalie, sul lato opposto del St Catherine Creek, vicino al villaggio Tiou. Entrambe le piantagioni coltivavano tabacco, cotone, grano e indaco.
L’aumento della popolazione francese fu un vero boom per i Natchez e i loro commerci.
Scambiavano armi, pallottole, polvere da sparo, brandy in cambio di pelli, mais e provviste.

Alcuni Indiani trovarono lavoro presso i coloni, aiutandoli a disboscare la foresta, a lavorare i campi e costruire le case. Altri cacciavano e pescavano per i Francesi, vendevano pollame, olio, pane e trascinavano le imbarcazioni su e giù per il fiume.
Inoltre, alcune donne Indiane divennero amanti dei Francesi e andarono a vivere presso di loro, cucinando e occupandosi delle case. Sembrava una simbiosi quasi perfetta.
Nel 1729 fu inviato a Fort Rosalie il nuovo comandante, un Basco di nome Chepart. Il suo cognome è. però, incerto. In alcuni documenti è chiamato Chopart, ma anche Chepare e Detcheparre. Il suo nome, invece, ci è sconosciuto. Era un uomo rapace, arrogante e tirannico. che si fece subito odiare dai coloni.
In altre parole fu un despota che con il suo comportamento scriteriato provocò il massacro.
Nel 1730 un ufficiale chiamato de Laye scrisse “Non ci fu un solo buon comandante, non avemmo altro che alcolizzati, tiranni e miserabili“.
È un mistero il motivo per cui Natchez, il più grosso, il più importante e il più ricco insediamento della Francia in Louisiana, non ebbe mai un comandante all’altezza.
Chepart, in particolare, era un alcolizzato e un uomo brutale. Sotto il suo comando la disciplina al forte si deteriorò e le regole vennero meno.
Gli ufficiali ricevevano la paga per poi pensare, solo, ai loro interessi e la guarnigione, poco sorvegliata, “tirava a campare”. Come conseguenza di questo totale lassismo, anche il forte si rovinò ulteriormente. “Era poroso su tutti i lati, non era che una palizzata di tronchi vecchi per metà marci” scrisse un viaggiatore, ”chiunque poteva entrare liberamente in quello che una volta era chiamato forte”.
Un ufficiale, Jean Francois Dumont, ebbe alcune discussioni violente con Chepart, “che credeva di essere il padrone di tutti gli abitanti e che nessuno poteva opporsi ai suoi ordini e desideri”.
In un’occasione Dumont prese le difese di un colono con cui Chepart si era indebitato. Il comandante aveva bruciato 42 note di credito, minacciandolo e intimandogli il silenzio. Chepart li spedì tutti e due in prigione, in catene, per due mesi.
Il Governatore Perier fu informato del comportamento del suo ufficiale. Lo richiamò a New Orleans e lo redarguì pesantemente ma poi, invece di sollevarlo dall’incarico, lo perdonò e lo rimise al suo posto.
Chepart si comportò da tiranno megalomane anche con i Natchez.
Aveva disegni personali e quando arrivò al forte iniziò a esplorare l’intera area che lo circondava. Voleva la sua piantagione.
Decise che la terra più desiderabile apparteneva al villaggio White Apple.
Convocò al forte Old Hair, il capo villaggio, e gli intimò “come parlasse a uno schiavo”, con un tono di assoluta autorità, di abbandonare la terra e cercare un altro posto per la sua gente.
Old Hair, stupito, rispose che quella era la loro terra ancestrale, dove avevano sepolto i padri, e che c’era spazio per tutti, Natchez e Francesi. Ma Chepart si infuriò e disse al capo che se non si fosse mosso dal villaggio entro pochi giorni, li avrebbe scacciati con la forza.
Old Hair rispose, per guadagnare tempo, che avrebbe riunito il consiglio degli anziani per discutere in merito alla richiesta.
Sembra che Chepart avesse mire anche sul Grand Village. Voleva bruciare il tempio e la casa del Gran Sole.
Old Hair si riunì con gli anziani a White Apple e si decise la risposta da dare a Chepart. Non era il momento giusto per partire, il grano stava spuntando dal terreno e le galline non avevano ancora depositato le uova. In caso di spostamento forzato immediato, il raccolto sarebbe stato perduto anche per i Francesi.
I Natchez proposero a Chepart di rimandare la partenza fino all’inizio dell’inverno, dopo il raccolto del grano. Nel frattempo avrebbero pagato un tributo mensile, un cesto di grano e del pollame. Chepart accettò, ma a condizione che la tassa fosse ben più alta in pollame, grano, olio e pelli, come interesse per il ritardo.
I Natchez acconsentirono e l’accordo fu siglato. Chepart disse a Old Hair che gli stava concedendo un grande favore.
La richiesta di Chepart ebbe un effetto disastroso sui Natchez.
Ci furono altre riunioni. Le relazioni con i Francesi erano state, dapprincipio, vantaggiose, ma ora venivano trattari come schiavi che avevano perso la loro dignità e libertà.
L’unica alternativa era la guerra.
I Natchez di White Apple non erano mai stati favorevoli ai Francesi come altri villaggi e, dopo la morte del Serpente Tatuato e del Gran Sole, il capo più influente era diventato Old Hair.
Il giovane Gran Sole, Saint Cosme, era inesperto e fu facilmente convinto dal capo di White Apple a aderire alla congiura per salvare il suo popolo dai perfidi disegni di Chepart.
Si discusse, anche, se invitare altre tribù a unirsi alla rivolta, e alcuni storici hanno supposto che ci fu un piano per un attacco pan-Indiano a tutti gli insediamenti in Louisiana, nel tentativo di distruggere non solo Natchez, ma anche Fort St Pierre, sul fiume Yazoo (odierna Vicksburg, Mississippi), Pointe Coupee, Baton Rouge e perfino New Orleans.
Per alcuni mesi i Natchez pagarono il tributo e continuarono a comportarsi normalmente con i coloni, commerciando e lavorando per loro. Ma un segreto è difficile da mantenere, soprattutto per le donne che vivevano con i Francesi.
Un ufficiale fu informato dalla sua amante che si stava preparando una sommossa.
Un altro, il Lt Massè fu avvicinato da Tattooed Arm, la madre del Gran Sole, la “mother queen” dei Natchez, che era fermamente contraria alla rivolta.
Il 25 novembre due uomini si presentarono davanti a Chepart e gli riferirono dei rumors che avevano percepito su un imminente attacco. Chepart si infuriò, li chiamò traditori, codardi e disturbatori della quiete pubblica.
Tutti coloro che si presentarono davanti a Chepart furono ridicolizzati, chiamati vigliacchi e messi in catene, compreso l’ufficiale che era stato informato da Tattooed Arm.

Domenica 27 novembre, il giorno prima della rivolta, arrivò a Natchez, proveniente da New Orleans, un batteau, un barcone a fondo piatto, che trasportava rifornimenti per la guarnigione, provviste, beni da scambiare con i nativi e alcune casse di brandy.
Sull’imbarcazione viaggiavano Jean Daniel Kolly, il ricco proprietario di St Catherine Concession, e suo figlio, venuti a ispezionare la proprietà. Il battello, svuotato dal suo carico, doveva essere poi riempito con balle di tabacco destinate al mercato europeo.
Quella stessa sera Chepart, il giudice del forte Bailly e il responsabile del magazzino Pierre Ricard cenarono insieme e poi si recarono in visita al Grand Village, portando vino e brandy, per un festino notturno. Era costume degli Indiani dimostrare la loro ospitalità offrendo le loro figlie agli ospiti, e i Francesi erano ben lieti di approfittare di questa usanza.
Dumont de Montigny raccontò che “Chepart e i suoi amici furono ben accolti dai Natchez e dal loro capo e iniziarono a bere e fumare, dopo di ciò scelsero alcune donne Indiane con cui passare la notte in debaucheries, mescolando Bacco a Venere”. In poche parole la notte passò in dissolutezze e bagordi.
Fu soltanto alle 4 del mattino di lunedì 28 novembre che Chepart e i suoi compagni di baldoria ritornarono ai loro alloggi.
La mattina seguente iniziò come una normale giornata d’autunno.
Fr Paul de Poisson, un gesuita in visita da Arkansas Post, aveva ritardato la partenza per poter celebrare la messa della domenica, il primo giorno d’Avvento, dal momento che Fr Philibert, il frate cappuccino di Natchez, era assente. Stava scendendo lungo la collina per celebrare la prima messa del mattino nella cappella situata in riva al Mississippi. Pierre Ricard, il responsabile del magazzino che aveva passato la nottata al Grand Village, era già al fiume insieme a alcuni marinai che stavano scaricando l’imbarcazione arrivata da New Orleans. Altri coloni nel villaggio si erano alzati, stavano facendo colazione e preparandosi per una giornata di duro lavoro nei campi. Chepart era al forte profondamente addormentato.
Alle 9 del mattino il Gran Sole, alla testa di una trentina di guerrieri, marciò in processione attraverso il cancello del forte, portando a Chepart il pagamento mensile.

Il capo teneva in mano un calumet. Sveglato dal rullo dei tamburi, Chepart uscì in vestaglia dal suo alloggio. Vedendo la processione degli Indiani che portavano pollame, pelli di cervo, ceste di grano e giare di olio, ordinò a un soldato di liberare gli uomini che aveva fatto mettere in catene nei giorni precedenti, per provare loro che i Natchez erano amichevoli e che lo consideravano un comandante rispettato e temuto.
Nello stesso momento altri Indiani si avvicinarono alle case dei coloni intorno al forte, portando doni, pane, pesci e selvaggina, ai Francesi che conoscevano di persona, chiedendo in prestito fucili, polvere da sparo e pallottole per una grande caccia, con la promessa che sarebbero ritornati con carne e pelli anche per loro. Un altro gruppo di Natchez si avvicinò, furtivamente, alla riva del fiume, dove era situata la cappella e dove si stava scaricando la barca arrivata da New Orleans.
Quando il Gran Sole alzò il calumet e lo offrì a Chepart, si udirono alcuni colpi di fucile provenienti dal fiume. A questo segnale, gli Indiani che erano penetrati nel forte anche attraverso i varchi nella palizzata decrepita, assalirono di sorpresa i soldati, alcuni dei quali erano ancora a letto.
Fuori dalla cappella Fr de Poisson fu afferrato da un Indiano che lo gettò a terra, lo colpì, con il tomahawk e poi lo decapitò. Vicino al padre si trovava Monsieur du Cadere, il comandante di Fort St Pierre sul fiume Yazoo che si trovava in visita a Fort Rosalie. L’ufficiale sguainò la spada nel tentativo difendere Poisson, ma fu ucciso da una palla di moschetto.
Gli uomini sulla sonda del fiume che stavano scaricando il batteau furono assaliti da un nutrito gruppo di Indiani che li caricarono con i tomahawks e i coltelli. Il capitano dell’imbarcazione e tutti i marinai furono uccisi.
Pierre Ricard si gettò in acqua e nuotò fino al centro del fiume, mentre le pallottole gli fischiavano intorno. Riuscì a raggiungere una palude di cipressi e si nascose fino a notte fonda poi, col favore delle tenebre, si incamminò verso la capanna di un vasaio.
Trovò. nella capanna, tre Indiani Yazoo che erano venuti a Natchez con Fr Poisson. Non avevano sentito nulla, ma nutrirono Ricard, gli fasciarono le ferite e gli diedero una canoa. Non conoscendo il comportamento dei nativi lungo il fiume, Ricard non si fermò fino a quando raggiunse New Orleans, il primo a dare la notizia del massacro.
Al forte Chepart fu ferito ma, in un primo momento, risparmiato. I guerrieri lo disprezzavano a tal punto che non volevano abbassarsi ad ucciderlo. Lo misero in disparte, in attesa di farlo uccidere da uno stinkard, un membro della classe più bassa. Fu costretto a guardare mentre i suoi soldati venivano massacrati. scalpati e decapitati. La scena fu la stessa in tutte le case del villaggio Francese.
I Natchez, che si erano comportati amichevolmente fino a un istante prima, improvvisamente scatenarono tutta la loro furia in un inimmaginabile bagno di sangue.
Gli uomini furono uccisi a colpi di accetta, di coltelli e di mazze da guerra, mentre le donne e i bambini, terrorizzati, guardavano impotenti. Le donne che cercarono di aiutare i mariti furono brutalmente massacrate.
Ogni donna gravida fu sventrata, come tutte quelle che stavano allattando o accudendo i figli piccoli, dal momento che i Natchez erano infastiditi dalle loro urla e pianti.
Molti dei coloni non ebbero la possibilità di combattere. Due, chiamati Jappio e Brusebois, riuscirono a difendersi “tenendo a distanza 50 Natchez, che respinsero uccidendo tre guerrieri”. Riuscirono, poi, a fuggire rubando una piroga, davanti agli occhi dei selvaggi infuriati che gli sparavano, inutilmente, contro.
L’unico soldato che si salvò, si nascose in un grosso forno che si trovava sulla riva del fiume. Aspettò fino a notte fonda. poi fuggì verso sud, attraverso i boschi. fino a un villaggio Tunica.
In meno di un’ora il villaggio Francese di Natchez fu completamente distrutto. Nello stesso tempo un grosso gruppo di Indiani assalì le due piantagioni, Terre Blanche e St Catherine.
Sieur de la Loire des Ursins, il tenutario di Terre Blanche, viveva in una fattoria con la moglie Indiana. Udì i tamburi e cavalcò verso il forte per vedere cosa stava accadendo. “Ma un terribile spettacolo si offrì ai suoi occhi, i soldati uccisi e scalpati e i corpi nudi sparsi qua e là”.
Subito voltò il cavallo. Voleva difendere la sua vita, quella della moglie. dei figli, dei servi e degli schiavi dal terribile pericolo che si stava avvicinando. Ma fu colpito da un nugolo di proiettili e cadde a terra senza vita.
Jean Paul Kolly e il figlio, che erano arrivati dalla Francia il giorno prima per ispezionare le loro proprietà a St Catherine, cavalcarono verso il forte di prima mattina per una visita di cortesia a Chepart. Videro un uomo chiamato Baliff che correva verso di loro. per poi accasciarsi al suolo prima di raggiungerli. I due cavalcarono a rotta di collo verso la piantagione solo per vedere “250-300 guerrieri che stavano arrivando, portando scalpi infilzati su bastoni di canna e armati fino ai denti”.
Kolly si nascose in una botte di vino vuota, ma fu scoperto e ucciso.

Il figlio si difese con la spada “e riuscì a uccidere sette o otto Indiani prima di soccombere per le ferite e la perdita di sangue”.
Il comandante Chepart, che con la sua arroganza aveva provocato questi eventi sanguinosi, rimase in vita fino alla fine del massacro. I guerrieri lo guardavano come fosse un ratto, ma non volevano abbassarsi a ucciderlo.
Scelsero un uomo anziano, uno stinkard appartenente alla classe più umile, gli misero in mano una mazza da guerra e osservarono mentre Chepart veniva ucciso a bastonate.
A mezzogiorno tutto finì. Non più di 20 Francesi riuscirono a fuggire. Sebbene sia impossibile stabilire in modo preciso il numero dei morti, probabilmente tra 250 e 300 Francesi perirono.
La lista ufficiale fatta da Fr Filibert, il cappellano di Natchez, fu di 138 uomini, 35 donne e 56 bambini. Secondo le prime testimonianze 80 donne, 150 bambini e un ugual numero di schiavi neri furono presi prigionieri.
Alcuni degli schiavi erano stati avvertiti in anticipo della rivolta, ma mantennero il segreto e furono complici della morte dei Francesi. I Natchez avevano promesso loro la libertà. Furono messi a lavorare guidando i carri che portavano beni, armi e provviste dall’insediamento francese ai villaggi indiani. Secondo Fr Philibert furono poi venduti ai Chickasaw.
Le perdite dei Natchez, secondo gli stessi racconti, furono lievi. Solo 12 guerrieri.
Quando la furia del massacro si placò, gli Indiani passarono attraverso il villaggio per finire i feriti, decapitare i morti e spogliarli dei vestiti. Le teste dei caduti furono messe in fila e i corpi di Chepart e di alcuni notabili furono disposti in cerchio, mano nella mano, davanti al Gran Sole.
Il capo iniziò a parlare come fossero ancora in vita, per più di un’ora. Disse loro che avevano, con il loro comportamento, causato il disastro e che la loro morte era il risultato di disprezzo, arroganza e tirannia.

Solo due Francesi furono presi vivi. Uno era un sarto di nome Lebeau, che i Natchez misero al lavoro per rammendare i vestiti che avevano tolto ai cadaveri.
L’altro era un fabbro e un conducente di carri, Pierre Mayeux, Fu impiegato nel trasporto di mercanzie e equipaggiamenti militari, compresi tre pezzi di artiglieria, da Fort Rosalie ai due forti che i Natchez avevano iniziato a costruire lungo il fiume St Catherine, in attesa del contrattacco francese.
Le donne e i bambini superstiti furono rinchiusi in un magazzino che non era stato dato alle fiamme.
Quando finirono le uccisioni, iniziò il saccheggio. Poi le case dei coloni, il forte e le concessioni furono incendiate e ridotte in cenere.
I vestiti dei Francesi furono caricati sui carri insieme alle provviste, alle armi, alle pentole e a tutti gli utensili che potevano servire ai Natchez.
Anche il battello arrivato da New Orleans, che portava 30000 libbre di vestiti, cappelli, scarpe, polvere da sparo, pallottole, farina e brandy fu svuotato del suo carico.
Sebbene l’attacco pan-indiano contro tutti gli insediamenti francesi in Louisiana non si materializzò, i Natchez riuscirono a convincere altri villaggi a unirsi alla rivolta.
Il giorno dell’attacco alcuni Francesi riuscirono a raggiungere il villaggio Tiou, a sud di Fort Rosalie, sperando che questa tribù, sebbene parte della confederazione. non fosse partecipe del massacro.
Furono ben accolti, ma dopo essersi consultati con i Natchez al Grand Village, i guerrieri Tiou ritornarono e uccisero i rifugiati, poi attraversarono il Mississippi in direzione del Black River fino alla piantagione del Marquis de Mezieres, dove uccisero 18 persone.
Un altro gruppo di superstiti arrivò a un accampamento di Yazoo che stavano tornando a nord dopo un incontro con gli Houma. Dapprima gli Yazoo aiutarono i Francesi, dando loro cibo e vestiti. Ma il giorno dopo cambiarono idea e li bruciarono. Erano stati informati da alcuni Natchez che i Choctaw avevano assalito New Orleans e che non c’era più un Francese vivo in tutta la Louisiana.
Credendo a queste bugie, tornarono sul fiume Yazoo, presso l’odierna Vicksburg, e l’11 dicembre 1729, insieme ai Koroa, assalirono Fort St Pierre massacrando la guarnigione composta da 17 soldati.

Le donne prigioniere furono trattate come schiave, alcune presso famiglie indiane, ma la maggior parte fu affidata alla moglie del Gran Sole, White Woman.
Le più fortunate furono quelle che sapevano cucire, furono impiegate a rammendare e a fare vestiti.
Le altre furono mandate nei campi a raccogliere il grano, che veniva poi pestato per preparare il sagamite (uno stufato di grano, pesce, carne, riso e verdure di vario tipo). Oppure erano costrette a lavare, a raccogliere e tagliare la legna, o a prendere l’acqua.
Alcune donne furono violentate e “trattate con ogni forma di indegnità”, altre furono uccise perché avevano sposato Francesi importanti, come nel caso della moglie dell’interprete Rene Papin ( forse perché poteva capire le conversazioni) e di madame Massè, la consorte del Luogotenente che era stato avvertito da Tattooed Arm. Fu riempita di frecce.
Tutte le volte che un Natchez moriva, una donna Francese veniva sepolta viva con lui e quando un bambino indiano moriva, anche un bambino francese veniva ucciso. Le donne superstiti raccontarono a Calliot che i bambini venivano gettati in aria e infilzati su bastoni appuntiti, oppure afferrati per i piedi e sbattuti al suolo.
Il trattamento più crudele fu riservato a una donna tedesca.
“Quando una giovane donna morì. i Natchez afferrarono una giovane Tedesca che stava per partorire. Le tagliarono il naso, le labbra e le orecchie che le furono messe in bocca. Poi le aprirono l’addome con il coltello e estrassero il neonato. gli tagliarono la testa e lo rimisero nell’addome, che fu ricucito e la seppellirono viva“.
Alcune donne erano già legate al palo per essere bruciate, ma furono salvate all’ultimo istante dall’intervento di White Woman, la regina dei Natchez.
Gli Indiano continuarono a festeggiare il massacro per alcuni giorni, bevendo il brandy e cibandosi del bestiame dei coloni, mentre tra le rovine fumanti del forte i cani e gli avvoltoi si cibavano dei cadaveri delle vittime.
Quando la notizia del massacro arrivò a New Orleans, provocò sgomento e terrore.
Nel 1729 la città aveva, circa, 800 abitanti, era grande come Natchez. Se un attacco così distruttivo era stato lanciato dai Natchez contro Fort Rosalie, la stessa cosa poteva succedere a New Orleans.
Il Governatore Perier si pose alcune domande. I Natchez avevano agito da soli o insieme a altre tribù? A chi bisognava credere? Come agire con gli Indiani che camminavano liberamente nelle vie della città?
A quel tempo New Orleans era difesa da 145 soldati, ma solo 60 erano pronti a combattere, e nell’intera colonia non vi erano più di 400 uomini.
I Choctaw erano circa 18000, molto più numerosi dei Natchez. Erano alleati dei Francesi, ma come si sarebbero comportati? Per prima cosa Perier organizzò una milizia cittadina di quattro compagnie per difendere la città, e ordinò agli schiavi neri di scavare trincee intorno al perimetro.
Arrivarono notizie da Mobile. Due Francesi erano stati uccisi, anche se i colpevoli non erano stati trovati, e si era sparsa la voce che i Choctaw fossero in procinto di attaccare il forte e le case dei coloni.
Inoltre vi erano rumors di una rivolta degli schiavi e che gli Indiani e gli Africani si erano alleati per spazzare via i bianchi.
Perier non sapeva cosa fare. Prese la decisione di mandare un gruppo di schiavi armati di coltelli, accette e bastoni, a assalire un pacifico villaggio di Indiani Chaouachas che vivevano in una trentina di capanne a sud di New Orleans.
Ma, poi, la temuta rivolta non si concretizzò e i Francesi passarono al contrattacco.
Nel dicembre 1730 una spedizione guidata dallo stesso Governatore Perier lasciò New Orleans. L’obiettivo era trovare e distruggere il nuovo Grand Village dei Natchez che, nel frattempo, erano passati sulla riva occidentale del Mississippi, in quella che è l’odierna Louisiana.

La spedizione era composta da circa 700 uomini, tra cui 190 soldati delle Troupes de Marine, arrivate da Brest, Francia, 200 mercenari reclutati dalla Compagnia delle Indie, 180 Indiani Tunica, Acolapissa e Ouchita e 84 schiavi africani.
Il 28 dicembre i Francesi e gli alleati iniziarono la navigazione sul Red River in barca e in canoa.
Durante il viaggio furono raggiunti da rinforzi provenienti da Natchitoches e da Fort Rosalie che, nel frattempo era stato ricostruito.
Perier non conosceva l’esatta posizione del nemico. Le sue migliori informazioni le aveva ottenute da un prigioniero Natchez di dieci anni. Seguendo le sue informazioni, la spedizione entrò, il 2 gennaio 1731, nel Black River e continuò a muovesi lentamente verso nord. Quando i Francesi raggiunsero l’odierna città di Jonesville, invece di proseguire lungo l’Ouachita River, piegarono a est entrando nel Tensas River. Perier era convinto che il nuovo Grand Village fosse situato in un’area compresa tra il fiume, il Tensas Lake e il Macon Ridge.
Un piccolo affluente del Tensas River era il Fool River. Fu sulla sponda di questo fiumiciattolo, in corrispondenza dell’odierna città di Sicily Island, che gli esploratori incontrarono un gruppo di cacciatori Natchez. Seguendo le loro tracce, scoprirono il villaggio e avvisarono i soldati Francesi, che si avvicinarono al nemico passando attraverso una palude di canne.
La stagione invernale e l’alto livello delle acque permise alle imbarcazioni di avvicinarsi al villaggio, formato dalle abitazioni dei Natchez e da una postazione fortificata che Perier chiamò “Fort Valeur”.
I Natchez, all’arrivo dei francesi, abbandonarono le capanne e si rifugiarono all’interno del forte.
Il 21 gennaio 1731 Perier, sventolando una bandiera bianca, si avvicinò alla palizzata e domandò il rilascio degli schiavi africani. I Natchez risposero a colpi di moschetto, gridando che non volevano parlare con cani come loro.
I Francesi avevano portato alcuni mortai in legno e iniziarono a lanciare granate all’interno del forte, provocando le grida e i pianti di donne e bambini. Nello stesso tempo Perier ordinò di scavare trincee intorno alla roccaforte nemica.
Il 24 gennaio, dopo tre giorni di bombardamento, un emissario Natchez uscì dal forte. Parlava un po’ di Francese. Il Governatore gli chiese il rilascio immediato degli schiavi neri e disse al messaggero che avrebbe discusso di pace solo in presenza del Gran Sole.
Gli schiavi africani, 18 uomini e 1 donna, furono liberati un’ora dopo.
Perier non voleva sentire ragioni, pretendeva di parlare solo con il Gran Sole. Probabilmente credendo di godere di immunità diplomatica, il leader dei Natchez uscì, finalmente, dal forte e attraversò le linee francesi.
Insieme a lui vi era il capo del villaggio Flour. Perier li fece rinchiudere, immediatamente, in una capanna. Il Gran Sole cercò di discolparsi, disse che il vero ispiratore della rivolta era stato il capo del villaggio Apple, poi ucciso dai Choctaw, e che lui non aveva colpe. Aveva poca influenza sul suo popolo per la giovane età e l’inesperienza. Chiamò usurpatore il capo del villaggio Flour. Durante la notte scoppiò un violento temporale e il capo Flour ne approfittò per fuggire. La mattina del 25 gennaio un emissario Natchez disse a Perier che il capo Flour era entrato nel forte prima dell’alba e era, poi, fuggito con 10 guerrieri e le loro famiglie.
Perier, infastidito per l’accaduto e per l’assedio, promise al Gran Sole che i Natchez, in caso di resa, non sarebbero stati uccisi. In caso contrario, era pronto a far riprendere il bombardamento e non ci sarebbero stati prigionieri. Il capo, convinto dalla minaccia e dalla prigionia, si avvicinò al forte per fare opera di convincimento. Durante la giornata White Woman, la moglie, Tattooed Arm, la madre e molti difensori uscirono dal forte in piccoli gruppi.
In tutto 46 uomini e 450 donne e bambini si arresero, mentre una settantina di guerrieri si rifiutarono di uscire. Durante la notte, approfittando di una pioggia torrenziale, si dileguarono.

Perier fece imbarcare i prigionieri e li portò a New Orleans. Alcuni di loro furono venduti nelle piantagioni lungo il corso del Mississippi.
Nel maggio del 1731 291 uomini e donne Natchez, tra cui il Gran Sole e la moglie, furono imbarcati sulla nave Venus e deportati a Santo Domingo per lavorare come schiavi nelle piantagioni di canna da zucchero.
Il 5 ottobre 1731 i Natchez, che si erano, nel frattempo, spostati a ovest, assalirono la cittadina di Natchitoches, al confine con il Texas, costringendo gli Indiani Natchitoches e i coloni a abbandonare i loro villaggi e a rifugiarsi all’interno di Fort Jean Baptiste.
L’assedio fu spezzato, il 14 ottobre, dall’arrivo di 250 guerrieri Caddo e 16 soldati spagnoli provenienti da Los Adaes.
I Caddo inseguirono i Natchez fino quasi al fiume Ouachita, uccidendo 30 guerrieri, tra cui il capo Flour, e prendendone prigionieri un egual numero.
Questa disfatta fu un colpo mortale per i Natchez. Alcuni andarono a vivere presso i Cickasaw, altri si rifugiarono dai Cherokee e fondarono un villaggio chiamato Notchee Town sul fiume Hiwassee, in North Carolina.
I Cherokee li consideravano dei maghi e delle streghe, forse a causa della loro particolare religione. Riuscirono a mantenere, per qualche tempo, la loro identità culturale e il loro linguaggio, per poi essere assimilati all’interno di questi due popoli.
Du Pratz scrisse nelle sue memorie: “E così questa nazione, la più numerosa della colonia e la più utile ai Francesi, fu distrutta”.

Ho tratto le informazioni per questo articolo dai seguenti libri:

– 1729, The True Story of Pierre & Marie Mayeux,
– the Natchez Massacre and the Settlement of French Louisiana di Kenneth Myers (2017),
– The Natchez Indians. A History di James Barnett (2007),
– Natchez Country, Indians, Colonists and the Landscape of Race in French Louisiana di George Edward Milne (2015),
– The Memoir of Lieutenant Dumont 1715- 1747 di Gordon Sayre e Carla Zecher (2012),
– Southeastern Indians Life Portraits di Emma Lila Fundaburk (2006),
– The Annotated Pickett’s History of Alabama di James Albert Pickett (2018).

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