Le guerre di frontiera in Texas prima della Guerra Civile

A cura di Gian Carlo Benedetti

Quella del Texas Repubblicano e poi Federale era una vera “frontiera nella frontiera” poichè le minacce erano numerose: la guerra contro l’esercito regolare messicano, le faide interne, i fuorilegge e le turbolente tribù indiane autoctone. La neonata Repubblica era anche esposta alle incursioni di nativi, rinnegati, bandidos, guerriglieri e partigiani provenienti dal vecchio Messico nonché da quelle partite dai confinanti territori americani, in particolare dal selvaggio Territorio Indiano ove erano state ammassate molte scontente tribù.
Già sotto il dominio messicano gli Angloamericani stanziati nel Texas erano quasi sempre in conflitto con le tribù indiane dell’area.
La colonizzazione angloamericana era stata miopemente favorita dalle Autorità di Città del Messico verosimilmente per creare un cuscinetto difensivo contro le secolari incursioni dal Nord dei Comanches ed Apaches. La colonizzazione ispanica era diretta e favorita dal Governo mentre quella anglo era prettamente familiare, anarcoide ma più motivata. Uno dei primi scontri fu narrato dallo stesso Rezin Bowie (famoso duellatore di coltello) durante una sua visita a Philadelphia.
Rezin Bowie
Riferì che nel novembre del 1831 stava guidando un gruppo di undici americani partito da San Antonio e diretto alla Missione di San Saba, alla ricerca di una perduta miniera d’argento spagnola. Nel gruppo c’era anche suo fratello minore James “Jim” Bowie, destinato a divenire leggendario per la eroica morte avvenuta cinque anni dopo nella epopea di Alamo. Durante il tragitto incontrarono due Comanches ed uno schiavo messicano cui fornirono polvere da sparo e tabacco prima di proseguire ognuno per la propria strada. Il giorno successivo gli americani furono nuovamente raggiunti dal messicano, inviato dai suoi padroni indiani, per avvertirli che erano seguiti a distanza da 124 Tawakanis e 40 Wacos. Infatti, mentre stava per accamparsi presso una sorgente, ubicata a sei miglia dall’abbandonato forte San Saba, il piccolo gruppo fu attaccato. Gli uomini smontarono e si appostarono dietro improvvisati ripari. La situazione era disperata e decisero di vendere la pelle a caro prezzo. Durante gli otto giorni di assedio uccisero molti attaccanti. Quando gli indiani decisero infine che era meglio sgombrare, il gruppetto proseguì verso San Saba, lamentando un morto e tre feriti,
James “Jim” Bowie
La politica del Texas verso i nativi oscillava inizialmente tra la ricerca di accordi di pace e spedizioni di sterminio. Molti coloni texani della prima ora odiavano visceralmente gli indiani che saccheggiavano le loro case, rapivano donne e bambini, uccidevano e razziavano i preziosi cavalli e muli. Il bestiame allora non veniva derubato ma ucciso o disperso: soltanto più tardi, con la scomparsa delle grandi mandrie di bisonti i razziatori catturavano anche il bestiame. Ciò nonostante la politica illuminata ma ingenua cercava ancora di instaurare pacifiche relazioni grazie ad un eminente personaggio, il Presidente della Repubblica del Texas, che ben comprendeva ed aveva compassione degli indiani: Sam Houston. Da ragazzo cresciuto nel Tennesse e poi commerciando nel Territorio Indiano, prima di giungere pioniere in Texas, aveva vissuto a lungo in contatto con gli indiani ed addirittura preso una compagna mezza Cherokee: la bella Diana Rogers.
Sam Houston nutriva un sincero affetto per i Cherokees e gli indiani pacifici in genere ed aveva orientato la sua politica verso la pace ma i suoi intenti erano destinati ad essere frustrati dalle circostanze oggettive poiché il razzismo e l’appetito di terra dei coloni bianchi era inestinguibile, rivolto anche verso i vecchi padroni ispanici.
Il 4 gennaio 1838 a Live Oaks era stato concluso un trattato di pace con i Lipan Apache rappresentati dal capo Cuelgas de Castro. Solo venti anni dopo l’indipendenza, ottenuta dal Messico nel 1836, tutte le tribù stanziali sarebbero state scacciate da Texas che però ne avrebbe patito le ritorsioni per altri lunghi anni. I Cherokees non erano stanziali del Texas, vi erano giunti, guidati da Chief Bowl, verso il 1819/20 stabilendosi nella regioni boscose orientali. Sam Houston nel 1836 aveva cercato di legittimare il loro possesso di terre ma solo pochi anni dopo la situazione era precipitata. Nell’ottobre del 1838 diciotto membri della famiglia Killogh erano stati massacrati e pur se non vi erano prove circa la diretta responsabilità dei Cherokee i coloni li ritennero colpevoli.


Sam Houston

Il rancore dei pionieri della neonata Repubblica aumentò quando si seppe che partigiani irredentisti messicani, in particolare l’agente provocatore Juliam Pedro Miracle, avevano contattato Capo Bowl per indurlo a sostenere la loro lotta per riappropriarsi del Texas. A peggiorare di più la delicata situazione fu però l’elezione a nuovo Presidente del Texas del razzista Mirabeau Bonaparte Lamarr che odiava gli indiani e proveniva dalla Georgia ove già la tribù era stata pesantemente perseguitata. Sam Houston aveva trattenuto l’esercito dei miliziani texani guidato dal Gen. Thomas Jefferson Rusk che intendeva penetrare nel territorio dei neutrali Cherokees per dare battaglia ad una forza raccogliticcia di circa 600 uomini, tra secessionisti ispanici ed indiani loro alleati, capeggiata dall’ex giudice ed Alcade Vincente Cordova che voleva riannettere il Texas al Messico, visto anche come i nuovi padroni trattavano i messicani.
Il Presidente Lamarr, ignorando gli accordi assunti del predecessore, sordo al fatto che la tribù non aveva aderito alla ribellione, inviò un ultimatum ai capi Bowles e Big Mush secondo cui dovevano abbandonare il Texas e spostarsi nel futuro Oklahoma, aggiungendo che però sarebbero stati indennizzati per le proprietà lasciate.
L’ottantatreenne capo Bowles ben sapendo che un conflitto si sarebbe risolto con la distruzione del suo popolo accettò suo malgrado l’esodo ma pretese di non essere scortato nel viaggio dalle milizie e soprattutto di non consegnare prima le armi come imposto, temendo di subire una strage durante il percorso. Mentre Bowles stava trattando l’esercito texano attaccò il campo indiano trovandolo però vuoto.
La milizia si dette all’inseguimento dei fuggitivi e seguendo la facile pista dei travois il 14 luglio giunse in contatto con la retroguardia Cherokee attestata su una collina. Gli indiani attaccarono senza fortuna più volte la truppa guidata dal Rusk dall’alto di un crepaccio ma furono sempre respinti, Alla sera avevano avuto diciotto caduti a fronte di tre morti e cinque feriti tra i texani. Al mattino seguente Rusk proseguì nell’inseguimento e la sua avanguardia venne nuovamente in contatto col grosso dei fuggitivi attestato in una forte posizione su un promontorio presso il Fiume Nueces. I Texani smontarono per attaccare a piedi allorquando furono assaliti dai cavalieri indiani che uccisero un bianco e vari cavalli. Nonostante la fiera resistenza i Texani guadagnavano sempre più terreno. Dopo un ora e mezza di combattimenti i Cherokees erano in rotta ed ebbero molte perdite, stimate in un centinaio tra morti e feriti. Tra i caduti vi fu anche Capo Bowles che, montato su un bellissimo sauro dal mantello nero, vestito di seta con una sciarpa rossa alla vita, con un cappello militare, guidava le cariche brandendo una sciabola dono del suo vecchio amico Houston. Il coraggio del vecchio capo impressionò alcuni dei texani. Quando gli fu abbattuto il cavallo il capo si risollevò da terra ed iniziò a camminare ieraticamente verso le sue linee ma fu raggiunto da un proiettile nella schiena.
Il capo Cherokee, Bowles
Un texano, ammirato dalla sua fierezza, si slanciò verso il ferito per proteggerlo ma un capitano della milizia lo raggiunse prima e gli sparò in testa uccidendolo sul colpo. Si raccontò poi che fu scalpato e strisce della sua pelle usate per fare redini da un texano vittorioso.
Gli sconfitti Cherokees, inseguiti per alcuni giorni dai soldati, fuggirono, alcuni nel Territorio Indiano, altri in Arkansas ed un gruppo in Messico. Il Capo Big Mush si salvò e riparò nel Territorio Indiano stabilendosi presso il Fiume Canadian.
La vittoria texana fu completa e la intera tribù Cherokee fu scacciata dallo Stato della Stella Solitaria e le sue proprietà requisite o distrutte.
Ma il problema indiano non era affatto risolto. Altre tribù erano presenti ed alcune assai più temibili. Mentre nel Nordest venivano sconfitti i Cherokees dalle milizie del Gen. Rusk i Rangers massacravano sistematicamente gli stanziamenti Comanche che trovavano nel Texas centrale ed occidentale. I Comanches avevano da sempre condotto razzie sino al cuore del Messico e proseguirono in questa guerra incessante non dichiarata anche contro i coloni angloamericani. All’inizio del 1800 la forza dei Comanches era incontrastata nel Texas, cuore della regione detta appunto Comancheria, e predava con successo le missioni, le cittadine, ranchos e presidi spagnoli e poi messicani che erano abbandonati a se stessi dall’incurante governo centrale. Per un altro mezzo secolo la potente e fiera tribù di cavallerizzi saccheggiò, schiavizzò, uccise e derubò la gli ispanici. La facilità nel soggiogare la derelitta e male armata popolazione fece ritenere ai guerrieri di poter prevalere impunemente su qualunque altro viso pallido, compresi i coloni angloamericani che nel Texas si stavano sostituendo ai vecchi padroni, stanziandosi anche sui percorsi di guerra usati da immemorabile per le razzie nel profondo sud. Presto i nativi si accorsero che questi nuovi arrivati dagli “occhi bianchi” appartenevano ad una razza diversa, ben armata, crudele, rapace e vendicativa. Si trattava per lo più di irriducibili coloni ex frontiermen e loro discendenti. Anche gli Anglos però dovettero presto rendersi conto che i Comanches erano una stirpe guerriera e la migliore cavalleria leggera del continente, se non del mondo. Lo scontro per la terra era inevitabile. Il primo rilevante incidente avvenne nel 1836 presso Mexia lungo fiume Navasota ove una l’intera famiglia dei Parker, originaria del Tennesse, venne massacrata. Benjamnin Parker uscì dal Rancho fortificato per parlamentare con una grossa banda di Comanches che si era avvicinata equivocamente. L’ingenuità del capo costò la vita al nucleo, salvo dei bambini che furono rapiti secondo un classico costume. Una delle ragazzine, Cinthia Ann Parker, divenne in seguito la più famosa indiana bianca della frontiera, madre dell’ultimo grande capo Comanche.
Molte famiglie in seguito furono sterminate nelle ricorrenti incursioni, tante donne violentate e scalpate, tanti bambini furono rapiti, uccisi oppure adottati dalle tribù delle pianure, soprattutto della coalizione Comanche e Kiowa. I coloni texani erano svantaggiati dalla sorpresa degli attacchi, operati soprattutto nei periodi della luna piena di settembre quando l’erba era rigogliosa e permetteva i lunghi spostamenti a cavallo dei raiders, dalle cavalcature meno resistenti e dalle armi all’epoca monocolpo, Mentre un bianco era intento alla ricarica del fucile un indiano poteva scagliare numerose e letali frecce, gap colmato solo quando venne in uso presso il revolver. L’arma, Colt Paterson Model, pur non scevra da difetti tanto che era stato rifiutata dalla Marina, in mano ad un manipolo di Rangers guidati dal leggendario Jack Hays mise in fuga un contingente di Comanches nella battaglia di Bandera Pass del 1841 la cui tattica era maturata contro le armi ad un colpo solo.
La politica del Presidente Lamarr era di sterminare gli indiani. Nel 1839 fu organizzata una spedizione contro i Comanches con una forza di 63 texani e 16 scout tra Lipan e Tonkawa. Partirono a gennaio dalla Contea di La Grange sotto il comando del Col. John H. Moore, In testa cavalcava Andrew Lockart la cui figlia Matilda era stata rapita dagli indiani. Dopo due settimane dall’attraversamento del Colorado le guide localizzarono un ignaro campo Comanche presso lo Spring Creek, un tributario del fiume San Saba. Il punto debole di tutti villaggi dei nativi era la mancanza di sentinelle. Un attacco appiedato al campo addormentato nel freddo pungente del 15 febbraio scatenò un pandemonio ma un contrattacco dei Comanches costrinse il Col. Moore ad ordinare la ritirata perdendo il vantaggio acquisito con grande disgusto del capo degli scout Lipan, Castro, che abbandonò la lotta con i suoi. I Rangers si ritirarono verso i loro cavalli ma una sessantina di equini era stata messa in fuga dal determinato nemico. Tanti miliziani dovettero quindi tornare a casa a piedi. Poco dopo la battaglia una squaw Comanche, emissario della tribù con una bandiera di tregua, propose uno scambio di prigionieri. Disgraziatamente i Lipans, acerrimi nemici dei Comanches, li avevano già massacrati, cosicchè fu impossibile recuperare Matilda Lockart ed altre quattro prigioniere bianche.


Razziatori Comanche

Le ripetute incursioni sui fiumi Brazos, Colorado e Trinity costrinsero il Congresso del Texas, sempre a corto di fondi, ad organizzare varie compagnie di Rangers con ferma di tre mesi. Una di queste compagnie, formata presso Austin, forte di 69 uomini e comandata dal Cap. John Bird, nel maggio del 1839 si mise all’inseguimento di una banda di razziatori Comanche ma solo più tardi scoprì che era composta da circa 240 guerrieri. I Rangers si attestarono su una dirupo e riuscirono a fermare le cariche perdendo però sette uomini prima che i raiders desistessero, tra cui lo stesso comandante. Questo genere di scontri si verificherà innumerevoli volte in seguito, anche coinvolgendo le “posse” di coloni che tallonavano i razziatori per recuperare cavalli, bestiame o ragazzi rapiti. Raramente gli inseguitori bianchi prevalevano e molto spesso erano costretti a precipitose fughe lasciando dei membri sul terreno destinati ad essere uccisi e scalpati, non sempre in questo ordine temporale. Anche i coloni prendevano scalpi. Una delle ragioni è da cercare nella maestria equestre dei nativi che seminavano gli inseguitori, nella perfetta conoscenza del terreno per gli agguati, ma soprattutto per la consolidata tecnica adottata dai gruppi di razziatori.
Per colpire più obiettivi contemporaneamente il consistente gruppo iniziale si divideva in molti sottogruppi di una dozzina circa di guerrieri, ricongiungendosi poi sulla via del ritorno col bottino e le prede. Un team di volenterosi ed inesperti bianchi inseguitori si poneva, ad esempio, sulle tracce di una decina di razziatori ma poteva, tardivamente e con sconcerto, scoprire che nel frattempo erano divenuti oltre un centinaio, cosicchè il cacciatore diveniva la preda. D’altro canto il capo o guerriero eminente che guidava il raid non poteva permettersi di perdere inutilmente troppi seguaci, difficilmente rimpiazzabili per la sua tribù che, data l’alta mortalità, rimpinguava la sua forza numerica con rapimenti di ragazzi messicani od angloamericani che poi adottava. Il suo prestigio di leader sarebbe scaduto e non avrebbe trovato più seguaci. Pertanto in caso di resistenza, fallita sorpresa o per semplice timore, i guerrieri solitamente si ritiravano cercando un altro obiettivo più facile. E’ noto il caso di una coraggiosa donna sola con ragazzi barricati in casa che, seppur armata solo di un vecchio fucile, fece desistere i razziatori inducendoli a credere di essere una preda troppo pericolosa, calcando ai bambini cappellacci da adulti e mostrando bastoni dalla finestra scambiati da lontano per le canne di molti fucili.
Matilda Lockart torturata
I Comanches, forse stanchi delle incessanti persecuzioni di Lamarr, agli inizi del 1840 inviarono a San Antonio di Bexar tre capi per chiedere la pace. I texani aderirono ed il 19 maggio successivo giunsero, attesi dai delegati bianchi, numerosi fieri capi col loro seguito montati su splendidi cavalli. Li guidava il capo Mook Var Rut (Spirito Parlante) che fece subito capire che non venivano a trattare per timore e sudditanza ma su basi di parità. Non deposero le armi ed entrarono nel concilio. La preliminare richiesta dei bianchi fu la restituzione di tutti i prigionieri ma i nativi ne avevano condotto soltanto una che mostrarono credendo di far cosa gradita. Ottennero invece l’effetto contrario poichè la ragazza, Matilda Lockart, mostrava i segni di molti abusi ed aveva anche il naso tagliato.
I texani arrabbiati accerchiarono la tenda del concilio ed iniziarono a sparare uccidendo molti capi e loro familiari che si erano accampati nella piazza. Donne e bambini indiani furono presi prigionieri e nella lotta i texani ebbero sette morti e dieci feriti. La moglie di un capo fu inviata con la richiesta di uno scambio di ostaggi ma i Comanches incuranti uccisero tutti i bianchi loro prigionieri. Trecento guerrieri si avvicinarono gridando e sfidando per liberare i loro parenti ma la posizione fortificata della missione di Alamo li fece desistere da attacchi suicidi. La ineluttabile vendetta avrebbe dovuto attendere. Tra i nuovi capi del gruppo meridionale era emerso il determinato Pochenaquaheip (Buffalo Hump) che con una ingente forza invece di attaccare la ben protetta cittadina sciamò sugli indifesi stanziamenti posti a sud est di San Antonio portando devastazioni e morte arrivando sino alla città costiera di Victoria.
Si diressero poi verso Port La Vaca uccidendo e distruggendo ciò che non potevano asportare. A Linneville saccheggiarono i magazzini e la spedizione vittoriosa si apprestò a tornare alle basi come un esercito variopinto di sete, calicò, cappelli, gonne, trine ed ombrellini, oltre che di prigioniere, cavalli e bottino. Il capo commise però l’errore di ritornare passando vicino a San Antonio. Il 12 agosto 1840 a Plum Creek era atteso da una forza in agguato di Rangers, miliziani ed indiani Tonkawa, raccolta in tutta fretta per l’emergenza e capeggiata dal famoso Ben Mc Culloch.
Buffalo Hump
Gli indiani ebbero circa ottanta caduti e persero molto bottino ma uccisero i prigionieri. Fu comunque un raid, o meglio un “war party” di vendetta indiana, memorabile che restò indelebile nella storia texana.
Nel settembre – ottobre dello stesso 1840 il solito Col. Moore guidò un’altra spedizione composta da 90 volontari e 12 guide Lipan. Dopo tre settimane di caccia le guide individuarono un villaggio di circa 60 tende a trecento miglia da Austin sul fiume Colorado. Facendo tesoro dei pregressi errori questa volta attaccò stando a cavallo ed all’alba, dichiarando poi di aver ucciso 48 Comanches. Ritornò trionfante ad Austin con cinquecento ponies e delle merci sottratte a Linnville.
Nel 1841 il Texas ebbe a scontrarsi con soldati e banditi messicani, cosa che limitò la lotta ai Comanches. Il leggendario capitano dei Rangers John Coffee “Devil” Hays attaccò un gruppo di indiani presso il Canyon Uvalde, uccidendone dieci e facendo due prigionieri.
Sorprese poi ed attaccò con 25 uomini un gruppo di un centinaio di guerrieri Comanches mentre si spostavano con le loro famiglie, uccidendone tredici.
Nel 1841 fu rieletto Sam Houston, a causa di una maldestra spedizione ordinata dal Lamarr nel New Mexico che fu catturata dall’esercito messicano. Questi cercò di ricucire i rapporti pacifici con le tribù della frontiera grazie all’aiuto del famoso mezzo sangue apripiste Jesse Chisolm.
Riuscì ad indire nel 1843 un concilio sul Tehuacana Creek, poi ribattezzato Council Springs, incontro dipinto dall’artista John Mix Stanley. Erano presenti delegati Delaware, Shawnee, Anandarko, Wako, Tawakonis, Caddo, Kichais e Wichita ma non i Comanches che non si fidavano.


Jesse Chisholm

Il Capo dei Wacos, Kakatish (Shooting Star), a nome delle piccole tribù lamentò le spoliazioni e tradimenti patiti dai coloni texani, Dopo molti discorsi e doni fu raggiunto l’accordo di pace ma tutti sapevano che senza i Comanches era inutile. Nell’estate del 1843 Sam Houston inviò coraggiosi emissari con la guida John Connor dai Comanches. Incontrarono sulle Wichita Mountains il capo principale Pahhahuco (Amorous Man) che impedì con la sua autorità che la delegazione fosse fatta a pezzi dai parenti dei caduti di San Antonio.
Nessun accordo fu raggiunto, neppure in altro tentativo fatto in novembre dall’Agente Indiano Butler presso Cache Creek sul Red River.
Gli sforzi del delegato furono vanificati dall’assenza del capo principale Pahhahuco in lutto per l’uccisione di un figlio durante un raid in Messico mentre era presente il pericoloso capo di guerra Buffalo Hump, fatto che consigliò il Butler ad andarsene senza indugi.
Solo in ottobre i Comanches aderirono alla richiesta di incontrarsi a Council Spring con la delegazione guidata dal Presidente Sam Houston in persona, che si presentò vestito da generale e su un bel cavallo. Si scusò con Buffalo Hump per la strage di San Antonio ma nei fatti era impossibile trovare un accordo territoriale tra texani e Comanches e neppure i forti creati sul confine potevano impedire il transito delle spedizioni indiane. Con l’annessione del Texas nel 1845 il problema passò agli USA. Questo fatto cagionò la guerra col Messico del 1846 -1848 che intendeva recuperare non solo il Texas ma anche altri territori occupati dagli USA. La guerra si risolse in un disastro per il Messico attaccante ed il corpo di invasione americano guidato dal gen. Zachary Taylor occupò la stessa capitale sino al trattato di pace Guadalupe-Hidalgo. Nel 1846 intanto il solito agente Pierce Butler ed il Col. M. G. Lewis riuscirono a portare al tavolo delle trattative a Comanche Peak i capi Pahhahuco, Mopechucope (Old Howl), Buffalo Hump e Santa Anna.
I capi riconobbero lo Stato Federale, promisero di rilasciare i prigionieri e consegnare criminali e bestiame rubato. Per impressionare i leaders indiani il Governo fece visitare a loro delegazioni New Orleans e poi la stessa Washington dove il capo Santa Anna incontrò nella Casa Bianca il Presidente Polk.
La pace era comunque impossibile perché gli stanziamenti dei coloni avanzavano incessantemente ed i Comanches si erano dovuti ritirare oltre il Red River per proteggere le loro famiglie.
Nell’autunno del 1845 il Lt. James W. Abert di ritorno da una esplorazione nelle Montagne Rocciose lungo i corsi del Canadian e Washita incontrò vari gruppi di Kiowas e Comanches, dai primi fu avvertito di tenersi alla larga dal Capo Comanche Red Jacket, accampato ad Antelope Hills, che stava progettando un’incursione nel Texas. Durante gli anni ’40 il Territorio texano era diventato insicuro per i nativi a causa dei Miliziani e dei Rangers che attuavano la politica di sterminio di Lamarr. L’avanzata incessante dei coloni occupava i terreni su cui prima le tribù vagavano indisturbate. Gli Stati Uniti stipularono altri trattati con i nativi, in particolare un concilio sul San Saba che vide arrivare lunghe carovane di doni provenienti da Ft. Martin Scott guidate da Jesse Chisolm e John Connor. I negoziati furono condotti dagli agenti John Neighbours e John S. Ford e da parte indiana dal capo principale Buffalo Hump. Si stabilì di bandire le razzie, la vendita di alcool, di consegnare i criminali e la liberazione degli schiavi in cambio di versamenti annuali e di invìo di artigiani per educare ai mestieri manuali gli indiani.
Lo stesso Buffalo Hump accettò l’accordo e restituì molti prigionieri, soprattutto messicani. Alcuni ragazzi bianchi erano però attaccati alle nuove famiglie indiane ed alla vita libera tanto che si rifiutavano di tornare a quelle originarie.
L’accordo di San Saba non fu rispettato ed i raids avverso i coloni non cessarono ne’ diminuirono di intensità. Anche indiani Delaware, Kickapoo, Seminole, Cherokee e Creek attaccavano i coloni che li derubavano della terra ed uccidevano la selvaggina. Alcune bande abitavano in Texas e nel 1853 le autorità decisero di riunirle e scortarle oltre il Red River nel Territorio Indiano. La diminuzione delle mandrie di bufalo fece concepire agli indiani stanziali il piano di scacciare le tribù ultime arrivate ed una forte coalizione di Comanches. Kiowa, Apache, Osage, Cheyenne, si radunò a Pawnee Fork sul fiume Arkansas per scacciare i nuovi venuti. Intercettarono una banda di Sauk e Fox che si rifugiò in un crepaccio ma, essendo ben armata di fucili, rintuzzò l’attacco causando molte perdite agli aggressori di quella guerra tra poveri.
Nel 1854 per stroncare i furti, omicidi e le aggressioni gli Stati Uniti crearono sul corso superiore del fiume Brazos due grosse riserve sotto la responsabilità dell’agente indiano Neighbours. Alcuni nativi vi si stabilirono ma molti si rifugiarono nel Territorio Indiano. Molti texani erano scontenti e contavano di scacciare anche quelli stanziati nella riserve sul Brazos che ritenevano basi di partenza dei raids.
La costruzione di una rete forti e presidi militari si era rivelata assolutamente inadatta ad impedire che i raiders indiani si infiltrassero causando morte e distruzione nelle retrovie abitate dei coloni, essendo questo comportamento connaturato col sistema di vita e di valori delle tribù delle pianure e pertanto il governo USA, che aveva assorbito la Repubblica del Texas, decise su input del Lt. Gen. David Twiggs, che era più pagante portare la guerra all’interno del territorio indiano.


Guerrieri Kiowa

Il Governatore del Texas H. D. Runnel autorizzò il Cap. John Salmon “Old Rip” Ford a reclutare una compagnia di Ranger, ben montati ed armati di buoni fucili e revolvers Colt, per attaccare il territorio indiano. Erano 102 rangers e 113 guerrieri di tribù collaborazioniste, soprattutto Tonkawas, guidati questi dall’agente Cap, Shapley P. Ross.
Il 22 aprile 1858 il forte distaccamento partì da Camp Runnels, attraversò il Red River e giunse ai confini della regione del Panhandle texano. Il 10 maggio gli scouts individuarono una pista di travois che li condusse ad un ignaro piccolo accampamento Comanche sul fiume Canadian. All’alba dell’11 lo attaccarono scoprendo presto che un campo più grande si trovavo poco oltre, a circa tre miglia sul Little Robe Creek .
La carica dei Rangers sorprese gli indiani nel sonno ed iniziò il massacro. Un fiero capo Comanche montato su un bel cavallo grigio, girava in cerchio, sfidava gli aggressori e pareva insensibile ai numerosi colpi che lo attingevano, sino a quando cadde morto. Fu scoperto poi che si trattava di Poebits Quasho (Iron Jacket) che indossava un’armatura pettorale appartenuta ai conquistadores tramandatagli dai suoi avi.
Lo scontro non era ancora terminato poiché vi era un altro accampamento poco distante i cui guerrieri, allertati dalla fucileria, erano giunti sul posto e si erano attestati su una collina prospiciente lanciando sfide, offese ed improperi soprattutto agli indiani collaborazionisti ma timorosi di attaccare. Fuggirono sui loro ponies freschi di fronte alla nuova carica dei Rangers. Furono catturate numerose donne e bambini, trecento cavalli ed uccisi 76 Comanches, verosimilmente non solo guerrieri ma anche non combattenti. Gli assalitori ebbero due sole perdite: il Ranger Robert Nickels ed un indiano Waco. Si scoprì solo dopo che non molto lontano vi era anche il campo del capo Buffalo Hump. I texani esultarono della vittoria dei loro miliziani sentenziando che l’esercito regolare era incapace di ottenere simili vittorie.
Un mese dopo le truppe federali, pungolate nell’onore, sottratte al teatro di guerra in corso nell’Utah contro i Mormoni e separatamente una coalizione di tribù amiche Choctaw, Chiskasaw e Cherokee comandate dall’agente Douglas H. Cooper, guidate dal famoso scout Delaware Black Beaver, fecero un’altra incursione nel cuore della Comancheria senza però trovare alcun nemico.
La battaglia del Little Robe Creek fu importante poiché rese insicuri i Comanches nelle loro un tempo inaccessibili roccaforti e dette inizio alla tecnica di attaccare a cavallo, a testa bassa i villaggi individuati senza chiedere la resa e massacrarne gli abitanti senza distinzioni di sesso ed età. Questa lezione sarà poi appresa dai vari Chivington e Custer.


La battaglia di Little Robe Creek

Il Secondo Reggimento di Cavalleria, creato per il servizio di frontiera, era stanziato nel Texas. Suoi ufficiali furono pure il Col. Albert Sidney Johnston ed il Ten. Col. Robert E. Lee destinati a posti di comando durante la Guerra Civile. Ciascun soldato era montato su un costoso cavallo del Kentucky, armato di carabina, sciabola da cavalleria e revolver Colt.
Dopo l’esploit dei rangers il generale Twiggs ordinò al Col. Van Dorn del Secondo US Cavalry, di stabilire una base nel territorio indiano per le operazioni contro i Comanches. Una forza di indiani collaborazionisti Caddo e Tonkawa delle riserve fu inviata in avanscoperta sotto il comando del ventenne Sul Ross, destinato in seguito a divenire governatore. Ross, seguito poi dalle truppe regolari, si attestò sulle Wichita Mountains in un luogo chiamato Camp Radzminsky, in onore di un ufficiale polacco da poco deceduto. I Wichitas erano neutrali ma ma furono forzati dal Governo Federale ad invitare i Comanches con la scusa di fare una grande festa offrendo doni e cibarie. Diverse centinaia di Comanches con le famiglie accettarono l’invito nel tardo settembre del 1859. L’arrivo fu notato dalle spie indiane di van Dorn che con un viaggio di 75 miglia a marce forzate portò sul posto 4 compagnie del Secondo Cavalleria. Come al solito il campo indiano non aveva sentinelle. Fu inviato il Cap. N. Evans con una Compagnia ad aggirare il villaggio per attaccarlo dal retro mentre Sul Ross doveva mettere in fuga la grossa mandria di cavalli. Van Dorn, con le restanti tre Compagne, avrebbe attaccato dopo la carica dell’Evans. I Comanches furono sopresi del tutto e pur appiedati opposero una fiera resistenza. Nel massacro furono uccisi tra i 75 ed 80 guerrieri, bruciate 120 tende e catturata la mandria dei preziosi cavalli. Una freccia nel cuore attinse il L.Ten. Cornelius Van Kamp che cadde insieme a quattro soldati. Lo stesso Van Dorn fu ferito da quattro frecce, una nello stomaco, ma sopravvisse.
Fu la seconda grave disfatta dei Comanches nelle loro terre, ma anche i Wichitas ebbero seri danni economici dalla Cavalleria e si attirarono l’odio dei fieri Comanches, tanto che dovettero spostarsi sotto la protezione di Ft. Arbuckle ove patirono la fame per il sovraffollamento.
Nel 1859 una forza di 50 soldati ed altrettanti Wichitas durante una esplorazione si scontrò con una grossa forza di Comanches ed entrambe le fazioni ebbero due morti. Più tardi si diffuse la notizia che i Comanches intendevano assalire Ft. Arbuckle. Una compagnia diretta dal Cap. Eugene A. Carr partita in soccorso da Ft, Leavenworth nel Kansas non incontrò ostili ma presso Ft. Arbuckle la truppa del L.ten. D. S. Stanley ebbe uno scontro uccidendo otto Comanches e perdendo un soldato ed avendo due feriti leggeri.
A Camp Radminzky l’inverno era molto duro ed i soldati alloggiati solo in tende. Il Col. Van Dorn dopo una convalescenza in Mississippi rientrò nella primavera del 1859 alla base, raggiunto dal Cap. Edward Kirby Smith e dal L.Ten Fitzhug Lee, destinati entrambi e divenire famosi generali confederati.


Ft. Arbuckle

Fu organizzata dal Van Dorn una nuova campagna con il concorso di 58 indiani delle riserve e le capaci guide Delaware Jack Henry e Shawnee Jim. Con sei compagnie del Secondo Cavalleria e gli alleati si diresse verso il fiume Washita. Preceduto di dieci miglia dagli scouts che catturarono un ragazzino indiano costringendolo a guidarli al villaggio. Il fiume Canadian era in piena e le truppe lo guadarono a 30 miglia dalle Antelope Hills. Attraversarono il confine del Kansas e, mentre stava dando la caccia ad un piccolo gruppo di indiani, il Lt. William Royal catturò un ingente mandria di cavalli segno che un villaggio era in prossimità. Van Dorn affrettò la marcia ed attaccò il campo sito presso il Crooked Creek con gli ostili in grossa difficoltà perchè non avvezzi a combattere appiedati. Si seppe poi che il villaggio ospitava una parte della banda del capo Buffalo Hump. Furono uccisi 46 guerrieri e 31 presi prigionieri con una sola perdita dell’esercito. Sia Kirby Smith che Fitzhug Lee, nipote di Robert E. Lee, furono feriti ed alla fine della convalescenza avrebbe aderito alla Secessione.
Intanto nel Texas da parte dei coloni era in corso una vera isteria antindiana e si moltiplicavano le aggressioni ad innocenti nativi dei quali si chiedeva la totale estromissione dall’intero territorio, accusando inoltre di partecipare ai saccheggi anche le tribù stanziate nelle riserve, nonostante il fermo diniego degli agenti governativi Ford e Neighbours. Nel maggio del 1859 il vecchio agente indiano dei Comanche ed indian fighter John R. Baylor guidò un gruppo di 250 uomini fin dentro la riserva sul Brazos attaccando i villaggi per poi essere fermato dall’intervento dell’esercito regolare. L’agente Neighbours si rese conto che la scelta del Brazos era pericolosa e si fece promotore a Washington per lo spostamento all’interno del Territorio Indiano. Il primo agosto del 1859 le due Riserve sul Fiume Brazos furono chiuse ed ebbe luogo penoso un esodo su carri verso nord di 1400 indiani.
Gli attacchi ai villaggi Comanches del 1858 e 1859 pur severi non li avevano debellati militarmente casomai li avevano resi furiosi ed assetati di vendetta cosicchè i sanguinosi raids contro i coloni texani non cessarono affatto. Il 18 dicembre 1860 una formazione di Texas Rangers guidata da Sul Ross attaccò a sorpresa un piccolo villaggio Comanche presso il Red River (oggi Ford County).


I rangers attaccano un campo dei Comanches

Vari guerrieri furono uccisi, compreso il capo Peta Nocona. Tra le donne indiane catturate vi era la di lui amata moglie Cinthya Ann Parker con la figlioletta. La donna, ormai assuefatta alla vita dei nativi e felicemente sposata, fu “liberata” suo malgrado e non rivide mai più i suoi figli maschi uno dei quali, Quanah Parker, diverrà il capo principale della intera Nazione Comanche, ed infine un ricco allevatore, strenuo difensore della sua tribù ormai debellata ed ospiterà il Presidente T. Roosevelt.
La solida coalizione Comanche Kiowa oltre a predare i bianchi, razziava pure le tribù stanziali del Lease District ed i viandanti della Santa Fè Trail facendo base nei rifugi del Panhandle e del Territorio Indiano, attuale Oklahoma.
Tra la fiera tribù serpeggiava la voglia di vendetta contro i Texani quando nella primavera del 1861 accadde un fatto nuovo ed importante che modificò le carte in favore degli indiani: la Guerra di Secessione.

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