Le guerre Cheyenne – 4

A cura di Pietro Costantini
Tutte le puntate dell’articolo: 1, 2, 3, 4.

Il Washita – Mappa 22. La Marcia verso Camp Supply
«Non c’era stato nulla che potesse darci indizi sulla posizione degli Indiani finché avevamo percorso la valle del Beaver Creek per parecchi giorni, quando le nostre guide indiane scoprirono la pista di un gruppo di guerra che ammontava, secondo le loro stime, a circa 100 – 150 guerrieri, a cavallo e che si spostavano in direzione nord est.
La traccia non era più vecchia di 24 ore e, seguendola fino al punto in cui essa attraversava il Beaver Creek, l’esatto numero e le caratteristiche del gruppo poterono essere quasi esattamente determinati dalle tracce fresche che si vedevano al guado. Ogni cosa indicava che si trattava di un gruppo guerriero mandato dalle stesse tribù che noi stavamo cercando…»

– Tenente Colonnello George Armstrong Custer
La colonna di Fort Dodge si mise in marcia il 12 novembre 1868 sotto il comando di Sully. Ne facevano parte il 7° Cavalleria di Custer, cinque compagnie del 3° Fanteria, comandate dal capitano John Page e una consistente carovana di carri, con l’accompagnamento di una mandria di bestiame. Il piano prevedeva l’incontro delle forze di Sully con il 19° Cavalleria Volontari del Kansas sul fiume Beaver. Per diversi giorni la colonna procedette in direzione sud. La prima notte si accampò lungo il Mulberry Creek e il giorno dopo riprese la marcia verso sud in direzione delle sorgenti del Bluff Creek. Il terzo giorno Sully fece fermare la colonna sul Bear Creek, appena a nord dell’attuale Ashland, nel Kansas, e il 15 novembre continuò la marcia verso il fiume Cimarron. Portare i carri con il loro pesante carico attraverso torrenti, paludi e fiumi richiedeva un grande impegno, mentre la neve, il ghiaccio e il forte vento aggiungevano ulteriori complicazioni ad ogni guado.
Indian War Party
Il 16 novembre le truppe si addentrarono in territorio indiano e, dopo aver marciato per 25 miglia, si fermarono per il bivacco sul fiume Beaver, non lontano dall’attuale Laverne, in Okahoma. Quella sera Custer e le sue guide rialzarono il morale con un festino a base di carne di bisonte e capra americana, prede uccise nella stessa giornata. Non è noto se il bottino fu condiviso con la fanteria, che aveva marciato duramente. Il 17 novembre Sully continuò la marcia nella valle del Beaver. Lungo il cammino la colonna avanzò pronta ad affrontare problemi, ponendo avanti due compagnie di cavalleria come avanguardia, con aggiunta di compagnie sui fianchi e due compagnie che agivano come retroguardia. I carri e la mandria del bestiame si muovevano all’interno del perimetro della cavalleria, controllati da vicino dalla fanteria. Ma fino a quel momento non vi furono segnali degli attesi Indiani ostili. Nel proseguire l’avanzata, il 18 novembre incrociarono una traccia recente lasciata da quello che si pensava fosse stato un gruppo di guerra, presumibilmente diretto a nord per attaccare villaggi Osage o Kaw (Kansas). Custer richiese il permesso di portare la sua cavalleria a risalire le tracce per attaccare il villaggio da cui era partito il gruppo guerriero.


Mappa 22

Ma Sully era riluttante ad autorizzare Custer a distaccarsi dal grosso della colonna. Egli giustificò la sua decisione dichiarando che pensava che l’accampamento indiano fosse in guardia e pronto, e avrebbe potuto facilmente tendere un’imboscata alla cavalleria di Custer. Un Custer deluso pensava che gli fosse stata negata “una buona opportunità”. Quello stesso pomeriggio, dopo aver marciato per quasi 110 miglia da Fort Dodge, la colonna si accampò nei pressi della confluenza fra il Beaver e il Wolf Creek.

Mappa 23. Il 19° Cavalleria del Kansas

Domenica 22 novembre 1868:
«Stamattina ci siamo svegliati coperti da parecchi pollici di neve…il Cap. Pliley con 60 uomini è stato incaricato di andare in cerca di cibo…»
Lunedi 23 novembre 1868:
«Oggi i nostri cacciatori sono fuori ma la neve è così accecante e il vento così freddo che sono tornati dopo poche ore senza successo. Non abbiamo cibo…»
Martedì 24 novembre 1868:
Samuel J. Crawford, governatore del Kansas e fondatore del 19° Cavalleria Volontari del Kansas
«Stamattina abbiamo marciato nella neve profonda 20 pollici, non sappiamo dove, ma sempre avanti, conducendo i cavalli…Solo adesso possiamo mangiare qualcosa…»
Mercoledì 25 novembre 1868:
«Abbiamo marciato fin dopo le 10, conducendo i cavalli per la maggior parte del tempo. Non abbiamo niente da mangiare e andiamo a letto non appena troviamo un buon posto per sdraiarci. E’ stato deciso di mandare cacciatori da entrambi i lati per cercare selvaggina.»
Giovedì 26 novembre 1868:
«Alcuni cavalli si sono indeboliti e noi dobbiamo avanzare lentamente e fermarci spesso.»
Venerdì 27 novembre 1868:

«Ci aspettavamo di trovare l’ accampamento vicino al punto in cui siamo arrivati al fiume, così siamo di nuovo rimasti delusi e dobbiamo rimanere affamati ancora un bel pezzo.»
– Soldato David L. Spotts, del 19° Cavalleria del Kansas.
Le rigide condizioni invernali causarono significative difficoltà alle altre colonne di Sheridan. La colonna di Fort Lyon agli ordini di Carr e quella di Fort Bascom comandata da Evans furono entrambe ritardate dal cattivo tempo. Il 19° Kansas Cavalleria era aspettato all’appuntamento con il 7° Cavalleria a Camp Supply non più tardi del 24 novembre, ma si imbatté in seri problemi a causa delle avverse condizioni atmosferiche. Dieci compagnie del Kansas Cavalleria, condotte dal colonnello Samuel Crawford (designato di recente governatore del Kansas), erano partite da Topeka il 6 novembre. L’unità non aveva razioni di cibo sufficienti e sperava di trovarne a Camp Beecher, vicino all’odierna Wichita, ma sfortunatamente queste provviste non erano disponibili. Ciò nonostante, il determinato contingente del Kansas lasciò Camp Beecher il 12 novembre, dirigendosi a sud ovest verso Camp Supply. Ben presto l’unità raggiunse il fiume Ninnescah, dove una bufera si riversò sul bivacco allestito, e questo provocò molte diserzioni. A questo punto l’unità aveva già consumato le sue magre razioni e i soldati sopravvivevano con la carne di bisonte che i cacciatori potevano procurare. Nei pressi di Medicine Lodge Creek il disastro colpì l’unità, quando 300 degli affamati cavalli della truppa fuggirono e gli stanchi volontari riuscirono a recuperarne solo un terzo. L’unità era disperata per la mancanza di alimenti. A peggiorare le cose, le guide non erano certe della loro posizione: l’unità si era persa nelle pianure del sud del Kansas.


Mappa 23

Crawford distaccò un gruppo che andasse a cercare aiuti sui pochi cavalli rimasti. Infine, il 26 novembre, l’esausta a e affamata colonna attraversò il fiume Cimarron, in zona nota alle guide, e girò a destra verso Camp Supply. Questo gruppo entrò, sfinito, a Camp Supply il 28 novembre. Il resto della truppa arrivò l’1 dicembre.

Mappa 24. Camp Supply

«Qui, come annuncia il generale Sully…deve essere allestito un campo di rifornimenti per le truppe operanti a sud del fiume Arkansas e fino a nuovo ordine deve essere designato come “Camp Supply”. Qui si deve erigere una struttura di tronchi per la protezione della fanteria, circa 150 uomini, che devono rimanere qui, e un magazzino per le provviste, mentre due colonne di cavalleria – una (comprendente 11 compagnie del 7° Cavalleria) sotto il generale Custer, e l’altra (comprendente 10 compagnie del 19° Cavalleria Volontari del Kansas) sotto il governatore, colonnello Crawford – dovranno marciare a sud, con provviste per 20 o 30 giorni, per punire gli Indiani…Le prospettive sono che noi saremo obbligati a restare qui per un paio di settimane, prima che ci venga permesso di partire, perché la fanteria non intende restare “senza protezione” prima che il nuovo avamposto venga completato.»
– Capitano Albert Barnitz, 7° Cavalleria


Camp Supply – Territorio Indiano

Mentre il 19° Kansas Cavalleria lottava per sopravvivere all’inverno del Kansas, le truppe che aspettavano alla confluenza del fiume Beaver e del Wolf Creek costruivano una base logistica. Gli ordini designavano la base come “Camp Supply”. Gli stessi ordini prevedevano che l’acquartieramento dovesse essere una costruzione in tronchi temporanea. Il piano contemplava anche che la fanteria occupasse la fortificazione e si ponesse a guardia delle provviste, mentre la cavalleria si portava a sud contro gli Indiani. Il lavoro cominciò il 19 novembre e progredì rapidamente. All’interno della palizzata costruita frettolosamente c’erano due casematte, una all’angolo di nord ovest e l’altra a quello di sud est. I depositi si allineavano sugli steccati a sud e ad est, mentre ulteriori provviste erano allocate in tende. I quartieri della fanteria erano appoggiati all’esterno delle palizzate, come rinforzo agli steccati.
La cavalleria di Custer si accampò a nord ovest dello steccato, lungo il fiume Beaver. Sembra che il tenente F. M. Gibson, della Compagnia A del 7° Cavalleria, non rimanesse troppo colpito da Camp Supply, infatti constatò: «Ora Camp Supply era diventato, come indica il nome, una base di rifornimento. Per molti aspetti si rivelò un nome sbagliato, perché mentre per ogni cosa c’era un parziale rifornimento, provviste adeguate non ce n’erano di nessun genere, almeno per una campagna prolungata e con lunghe distanze.»
La mutua animosità fra Sully e Custer si intensificò nel periodo trascorso a Camp Supply. Entrambi erano tenente colonnello nell’esercito regolare. Sully aveva maggiore anzianità nel grado sia per data di assegnazione sia per la sua carica di comandante del Distretto dell’Arkansas Superiore. Custer era solo comandante del 7° Reggimento Cavalleria. Tuttavia i due colonnelli rivali avevano compreso che il colonnello Crawford, comandante entrante del 19° Cavalleria Kansas, era superiore in grado ad entrambi; essi temevano che potesse sostenere il suo diritto a comandare tutte le truppe. Il codice dell’ordinamento militare complicava ulteriormente la situazione con il complicato sistema dei brevetti, o gradi onorari, applicati quando ufficiali volontari quali Crawford servivano come ufficiali dell’esercito regolare.


Mappa 24

Ragion per cui, nell’assumere il suo comando, Sully avvertì che avrebbe esercitato la sua autorità basandosi sul suo brevetto di brigadiere generale dell’esercito regolare. In cambio Custer reclamò il diritto al comando sulla base del suo brevetto di maggiore generale dell’esercito regolare. Nonostante ciò, nessuno poteva mettere in pratica queste posizioni di comando finché non fossero arrivate le truppe del Kansas, così Sully continuò ad avere il comando come tenente colonnello senior.

Mappa 25. La decisione del generale Sheridan

«Questi ordini sono di carattere generale e potranno essere variati a seconda delle circostanze o del nostro giudizio. L’oggetto di questo movimento è di operare contro gli Indiani ostili. Se si dovessero incontrare, devono essere attaccati, i loro villaggi distrutti e il bestiame ucciso. Se ci dovesse essere una resa, la stessa dovrà essere incondizionata e alcuni dei capi principali o uomini di spicco dovranno essere impiccati; poi condurrete i sopravvissuti, con donne e bambini, a Fort Cobb.»
– Ordini del dipartimento del Missouri.

Sheridan arrivò a Cramp Supply il 21 novembre. La campagna invernale era un suo esperimento, così pensava che la sua presenza fosse necessaria per valutare la condotta delle operazioni. In viaggio verso Camp Supply, le sue truppe incontrarono diversi piccoli gruppi di Indiani e, durante un bivacco notturno, avvenne uno scambio di colpi d’arma da fuoco con dei guerrieri. La spedizione di Sheridan incrociò le tracce di un gruppo di guerra che andavano a nord est, forse le stesse tracce scoperte da Custer e Sully pochi giorni prima. Sheridan era d’accordo con Custer che Sully aveva mostrato una cautela ingiustificata nel non seguire le tracce. Egli mise un punto fermo alla questione del comando ordinando a Sully di tornare a Fort Harker per riprendere le sue responsabilità di comandante del distretto. Poi mise Custer al comando della colonna di Fort Dodge.
Sheridan scrisse in una lettera a Sherman che Sully era “incompetente”. Rese pubblica la sua opinione che, se Sully avesse permesso a Custer di seguire le tracce del gruppo di guerra, probabilmente si sarebbe ottenuta la cattura di un grande villaggio, ubicato da qualche parte sul fiume Canadian. Anche riluttante, Sheridan era il punto di riferimento del 19° Cavalleria Volontari del Kansas. Nella lettera a Sherman, egli riassunse correttamente la situazione scrivendo: «Le truppe del Kansas non sono ancora arrivate. Temo che la neve le abbia portate fuori strada.» Ciò nonostante, Sheridan decise di non aspettare i volontari e diede ordine a Custer di dirigersi a sud, verso la posizione dove si sospettava fossero i villaggi indiani. Gli ordini di Sheridan a Custer stabilivano che egli dovesse muovere a sud verso Fort Cobb, quindi ad ovest nei Monti Wichita, verso le sorgenti del Fiume Rosso, e poi girare a nord verso Camp Supply.
Nel tardo novembre 1868 la campagna di Sheridan con le colonne convergenti chiaramente non aveva centrato lo scopo che lui aveva immaginato. Il 19° Cavalleria del Kansas si era perso ad est, quasi alla fame e ancora ad una settimana dal raggiungere Camp Supply. La colonna di Fort Lyon di Carr era stata ritardata dalle condizioni invernali a 200 miglia a nord ovest e non si sarebbe mossa fino al 2 dicembre. La colonna di Fort Bascom di Evans si trovava 200 miglia ad ovest. Avendo lasciato Fort Bascom il 18 novembre, si era trovata in difficoltà ad est, sul fiume North Canadian, in condizioni di bufere di neve e non sarebbe entrata nell’area degli obiettivi fino al 15 dicembre.


Mappa 25

Nondimeno Custer preparò le sue truppe per l’azione. Il 23 novembre 1868 l’unità ebbe la sveglia alle 3 e fece i preparativi finali per muoversi. Quindi, alle 6, i trombettieri suonarono il buttasella e la colonna a cavallo si mise in viaggio, con la banda del 7° Cavalleria che suonava un brano classico della Guerra Civile, “The girl I left behind me”.

Mappa 26. La marcia sul fiume Canadian

«Mi ricordo che avevamo giusto un momento per cercare di asciugarci davanti ai fuochi accesi con canne secche, cespugli e erba della prateria, e ogni cosa che potesse accendersi.»
– Soldato John Ryan, 7° Cavalleria.
Il 23 novembre le truppe di Custer marciarono in mezzo a una tempesta di neve accecante, di altezza pari a circa un piede. La bufera impedì alle guide di individuare punti di riferimento in distanza, tanto che finirono ben presto per perdere la strada. A quel punto Custer prese personalmente la guida della colonna e, usando una bussola che teneva in mano, guidò l’unità a sud ovest. Erano circa le 14, quando la colonna passò sul lato occidentale del Wolf Creek, con i carri al seguito che erano rimasti molto indietro. In mattinata la bufera si era ridotta d’intensità, ma la marcia di 14 miglia nella neve pesante era estremamente faticosa per uomini e animali. Per fortuna degli stanchi soldati, lungo il torrente si trovavano in abbondanza tronchi d’albero per i fuochi e conigli per incrementare le loro razioni. Anche con la presenza del fuoco, per la maggior parte di loro fu una notte infelice, che passarono con indosso vestiti bagnati o gelati. La sveglia per i soldati suonò presto, la mattina dopo. Si svegliarono con un ulteriore accumulo di neve di 18 pollici. Custer voleva una partenza rapida, così la truppa consumò in fretta la colazione e si preparò per la marcia. Tuttavia molti guidatori di carri non si erano mossi con quella che Custer giudicava una velocità sufficiente. Poiché essi avevano ritardato la partenza delle truppe, Custer li aveva arrestati e, come punizione, quando l’unità aveva ripreso la marcia poco dopo l’alba, li aveva obbligati a camminare a fianco dei carri, senza riparo dalla fitta nevicata.
Il 24 novembre la colonna ebbe un’altra marcia difficoltosa di 16 miglia, dovendo anche guadare parecchie volte il Wolf Creek. Il torrente era gelato, ma il ghiaccio non era abbastanza spesso da sostenere il peso dei cavalli. Infatti si rompeva ogni volta che la compagnia di testa attraversava il torrente e i soldati dovevano continuare con i piedi e le gambe gelati. Anche quella notte accamparsi fu un’impresa difficile.
Il mattino dopo Custer decise di portarsi a sud per raggiungere il fiume Washita. La sua decisione era basata sul piano di operazioni generale e sulla sua convinzione che avrebbe potuto trovare gli Indiani da qualche parte nel bacino del corso superiore del Washita. Subito dopo l’alba la colonna riprese la marcia, con le guide che puntavano a sud verso il corso del South Canadian.
Durante il percorso la colonna attraversò un ambiente naturale molto ricco di selvaggina, dove gli animali selvatici, durante la bufera, avevano cercato riparo fra i tronchi e i cespugli, in vicinanza dei molti corsi d’acqua presenti nella zona. Quando la colonna si imbatté in una numerosa mandria di bisonti, l’atmosfera quasi festaiola che si ingenerò dimostrava la mancanza di rispetto che l’esercito nutriva nei confronti dell’avversario nativo. Nessuno sembrava preoccuparsi dei piccoli gruppi di soldati o ufficiali che si distaccavano dalla colonna. Custer permise alle truppe di allontanarsi in piccole formazioni per sparare alle grandi bestie in modo tale da integrare le razioni della spedizione. Lo stesso Custer e altri alti ufficiali approfittarono dell’opportunità di fare sport cacciando e uccidendo i bisonti.


Mappa 26

Dopo circa nove miglia dall’inizio della marcia vennero avvistate in distanza le Antelope Hills, che annunciavano la certezza di riuscire a evidenziare la posizione degli Indiani. Era il terzo giorno di una lunga marcia e alcuni dei muli e dei cavalli davano chiari segni di sfinimento. Specialmente il treno dei carri aveva problemi a tener dietro alla colonna. A volte si doveva raddoppiare il traino dei muli per poter portare i carri al di là di piccoli torrenti o permettere il transito su terreni difficili. Sebbene le truppe fossero ormai a circa un miglio dal fiume Canadian, Custer ordinò l’alt per quel giorno, nel quale grosso modo erano state percorse 18 miglia, permettendo all’unità di porre un bivacco in mezzo alla neve.

Mappa 27. La scommessa di Custer

«Il giorno giovedì 26 novembre la sveglia venne data, come al solito, due ore prima del sorgere del sole e, appena prima dell’alba ci mettemmo in moto, con i reparti “G”, “M” e “H” che procedevano verso monte, comandati dal maggiore Elliot, mentre il resto del reggimento, sotto il generale Custer, marciava verso valle insieme alla carovana dei carri (1). La mattinata era veramente fredda e incombeva una fitta nebbia…Molto spesso era necessario smontare e camminare in modo di permettere ai nostri piedi di non congelare. Dato che la neve era profonda un piede e aveva una dura crosta, che si rompeva sotto i nostri piedi, camminare era veramente difficile e stancante.»
– Capitano Albert Barnitz, 7° Cavalleria

(1) In realtà le due colonne, prendendo due direzioni in apparenza opposte, non si allontanavano di molto una dall’altra, in quando nel punto in cui i reparti si sono separati il Canadian forma l’apice un angolo che racchiude, fra il suo corso immediatamente superiore e inferiore, la valle del Washita (vedi mappa 27).

Custer era convinto che Cheyenne e Kiowa stessero razziando a nord i villaggi Osage. Lo aveva dedotto perché, a questo punto dell’operazione, erano state trovate tracce di gruppi di guerra che tornavano ai loro accampamenti. Il possibile fallimento preoccupava Custer che, allora, consultò le guide per stabilire quale fosse il migliore piano d’azione. Quella sera decise di rischiare, dividendo il reggimento. Il maggiore Joel Elliot avrebbe comandato le compagnie G, H ed M, mentre Custer sarebbe stato alla testa del resto del reggimento. La sua decisione di dividere gli effettivi offriva flessibilità e raddoppiava le possibilità di trovare tracce di Indiani. Il rischio incombente era che i distaccamenti così separati sarebbero stati più vulnerabili nel caso gli Indiani concentrassero le loro forze contro l’uno o l’altro dei due. Custer restò fermo nella sua convinzione che alla fine avrebbe trovato gli Indiani a sud, nella valle del Washita. Perciò stabilì di prendere otto compagnie e i carri, attraversare il Canadian e superare le Antelope Hills, continuando a spingersi verso l’affluente superiore del Washita.


Custer e i suoi

Comunque, per limitare il danno derivante dal fatto che gli Indiani potessero trovarsi più lontano verso ovest di quanto ci si aspettava, Custer fece pattugliare a Elliot la riva nord del Canadian, e lo autorizzò a procedere per 15 miglia a sud ovest cercando ogni segno di eventuali gruppi di guerrieri in ritorno. Se uno dei due gruppi avesse trovato una traccia, doveva riferire all’altro il numero stimato e la direzione di marcia dei nemici e continuare l’inseguimento. Dopo aver ricevuto il rapporto, l’altro gruppo doveva raggiungere il primo e unirsi alla caccia.
Il distaccamento di Elliot si mosse prima dell’alba del 26 novembre; il reparto di Custer partì subito dopo. Custer trovò il Canadian bloccato da fanghiglia e blocchi di ghiaccio. Mentre i soldati faticavano per portare i carri dall’altra parte, Custer con qualche ufficiale attraversava il fiume e saliva sulle vicine colline per visionare il tracciato da seguire. La vista panoramica verso sud del succedersi senza fine di colline innevate dovette apparire scoraggiante.
Ci vollero circa tre ore per far attraversare il fiume ai carri. Poi Custer si preparò a riprendere la marcia ma, prima che potesse impartire gli ordini, arrivò un corriere dalla colonna di Elliot con una preziosa notizia: gli scout Osage avevano rilavato parecchie tracce di Indiani a circa otto miglia sul Canadian.


Mappa 27

Stimavano che 150 guerrieri si stessero spostando a sud-sud ovest attraverso il Canadian verso il bacino del Washita. Avevano anche stabilito che la traccia non fosse più vecchia di 24 ore. Custer fornì al corriere un cavallo fresco e lo rimandò da Elliot con ordini di seguire le tracce e riferire ogni informazione importante. Elliot si stava muovendo per riprendere il cammino, mentre contemporaneamente la colonna di Custer partiva per raggiungerlo. Se non fosse stato raggiunto da Custer per le 20, Elliot doveva fermarsi e aspettarlo.

Mappa 28. L’avvicinamento

«Io li misi al corrente del rapporto ricevuto da Elliot e nello stesso tempo li informai che dovevamo subito metterci in caccia, una caccia che poteva e doveva finire solo con la sconfitta del nemico.»
– Tenente colonnello George Armstrong Custer.
Operando in accordo con le sue istruzioni originali, Elliot aveva già ripreso la marcia quando il messaggero di Custer lo raggiunse, nel tardo pomeriggio. Egli attraversò il Canadian con il suo distaccamento e si portò sull’altopiano che sovrasta la valle del Washita.


Berretto da soldato semplice del 7° Cavalleria (Compagnia F) – Kansas Museum of History – Topeka

Il maggiore seguì le tracce del gruppo guerriero per tutto il giorno senza fermarsi fin quando, qualche minuto dopo le 15, arrivò il messaggero di Custer. Nel frattempo Custer analizzava l’informazione che aveva ricevuto e formulava un piano d’azione. Ragionava sul fatto che la velocità era un fattore critico, perché adesso avevano una traccia evidente da seguire e il peggiorare del tempo avrebbe potuto facilmente cancellarla. Quindi decise di lasciare indietro l’ingombrante treno di carri, che seguisse le truppe come meglio poteva. Per provvedere alle necessità logistiche immediate della colonna militare, diede disposizioni al primo tenente James Bell di organizzare una piccola carovana composta da due carri di provviste e quattro ambulanze, e di prenderne il comando. Valutando che ci sarebbero voluti dai due ai tre giorni prima di essere raggiunto dalla carovana principale, Custer distribuì rifornimenti presi dai carri alle truppe. Ciascun soldato portava (100 rounds of ammunition) 100 cartucce di munizioni per la sua carabina Spencer, nonché gallette, caffè e foraggio sufficienti per un paio di giorni. Sia ufficiali che soldati indossavano degli strati addizionali di indumenti per proteggersi dal freddo della notte. Per garantire la sicurezza dei carri che seguivano, Custer diede ordine ai suoi ufficiali di formare un distaccamento di un’ottantina di uomini, presi fra quelli che avevano i cavalli più stanchi.
Custer assegnò all’ufficiale di giornata, capitano Alexander Hamilton, il commando della scorta ai carri. Hamilton implorò Custer di non separarlo dalla sua compagnia, per cui Custer tornò sulla sua decisione e permise ad Hamilton di cercarsi un sostituto. Il tenente Edward G. Mathey, che soffriva per essere stato accecato temporaneamente dalla neve, accettò di rimanere indietro come comandante della scorta. Convinto di aver fatto ogni cosa possibile per porre la basi di un successo, Custer diede l’ordine di movimento alla colonna. Per il resto del giorno proseguì la marcia in direzione del Washita, a sud.
Nel tardo pomeriggio del 25 novembre le guide di Custer identificarono le tracce di Elliot. Quel giorno Custer fece marciare i suoi uomini per 30 miglia, per cui la colonna principale si unì finalmente al bivacco del maggiore alle 21 circa. Mentre quella notte la maggior parte della nazione festeggiava con manicaretti il Giorno del Ringraziamento, le esauste truppe di Custer celebravano con le loro scarse razioni di caffè e gallette. Custer era ansioso di proseguire l’inseguimento e concesse ai suoi stanchi uomini solo un’ora di riposo; alle 22 la colonna si mise in marcia seguendo il Washita verso sud est. Nonostante la sua fretta di riprendere l’azione, l’organizzazione che aveva dato alla colonna dimostrava cautela. Il primo rango, gli scouts Osage di maggior esperienza, marciava molto avanti, lontano dal rumore della colonna principale. Questo permetteva loro di controllare con calma ed ascoltare anche i minimi segnali del villaggio. Custer e le rimanenti guide formavano il secondo rango, che marciava qualche centinaio di metri dietro il primo.


Mappa 28

La posizione centrale gli permetteva di verificare i progressi delle guise del primo rango e controllare i movimenti del terzo rango, quello formato dal corpo principale della spedizione, che seguiva a mezzo miglio in retroguardia. Venne presa ogni precauzione per ridurre il rumore e minimizzare il pericolo di essere scoperti. I sottufficiali controllavano che fosse ben fissato ogni equipaggiamento che potesse produrre tintinnii; Custer aveva anche proibito suoni di tromba e di fumare. Aveva anche dato disposizioni che ogni discorso dovesse avvenire solo a voce molto bassa.

Mappa 29. Pausa tattica

«Presi con me parecchie guide, fra cui Joe Jack Corwin, e andai per scoprire l’esatta posizione del villaggio. Arrivammo abbastanza vicini da vedere il fumo che usciva dalla cima delle tende e annotammo che il villaggio si trovava sulla riva sud del fiume. Era un punto eccellente per un accampamento, in una grande ansa del fiume, su un terreno piano.»
– Ben Clark, capo delle guide di Custer.
Poco dopo le 2 del mattino del 27 novembre 1868 la colonna attraversò il Washita e risalì un’altura abbastanza elevata. L’odore del fumo fu il primo segnale ad avvisare gli scouts Osage che erano giunti vicino ad un villaggio, davanti a loro in distanza.


Il tenente colonnello G. A. Custer con le sue guide Osage – 1868

Le guide continuarono la loro cauta avanzata e si imbatterono ben presto nelle ceneri quasi spente di un fuoco abbandonato di recente. Avevano pensato che il fuoco abbandonato fosse stato probabilmente usato, per scaldarsi, da ragazzi indiani di guardia ad una mandria di cavalli, il che avrebbe significato che il villaggio si trovava nelle vicinanze. Appena ricevuta la notizia, Custer fermò la colonna, per dare tempo alle guide di procurarsi informazioni più approfondite. Gli scouts risalirono cautamente una bassa collina, che sovrastava la valle del Washita. Da quella posizione scorsero una grande mandria di cavalli vicino al fiume. Quando Custer raggiunse le guide, sulle prime non era convinto che quella avvistata fosse una mandria di cavalli, ma pensava potesse trattarsi di bisonti. Ma subito il chiaro suono di cani che abbaiavano e il tintinnio di una campanella confermarono che quella era una mandria di cavalli. Poi il pianto di un bambino confermò che lì vicino c’era proprio un accampamento indiano. L’oscurità celava l’esatta posizione del villaggio, che era nascosto dagli alberi lungo il fiume.
Custer si ritirò dalla cresta alla base dell’altura per conferire con le guide.
Diede istruzioni alle guide Ben Clark, Jack Corbin e Rafael Romero di controllare l’esatta posizione del villaggio. Le tre guide avanzarono cautamente e scoprirono, a circa un miglio dalla base dell’altura, molte tende lungo la riva sud del fiume. Temerariamente Romero si avvicinò al villaggio e contò le tende, poi tornò con i suoi compagni a riferire a Custer la scoperta. Clark affermò che, nascoste tra gli alberi, vi erano 51 tende, stimando che nell’accampamento non vi fossero più di 150 guerrieri. Era un facile obiettivo per gli 800 uomini di Custer. Questo rapporto sorprendentemente accurato sulla zona delle operazioni fornì a Custer le informazioni necessarie per formulare un piano d’azione. Assicurato l’elemento sorpresa, Custer ordinò che il reggimento rimanesse in posizione nascosta. Era preoccupato che il piccolo ma rumoroso convoglio di Bell che avanzava sulla scia della colonna di cavalleria potesse mettere in allarme il campo. Mandò a dire a Bell di fermarsi sul posto fino all’alba e poi di avanzare non appena si fossero udite le prime scariche di fucileria.


Mappa 29

Poi radunò gli ufficiali per effettuare una ricognizione. Dopo essersi disfatti delle sciabole per ridurre il rumore, come da istruzioni ricevute, gli ufficiali seguirono cautamente Custer fino alla sommità della collina. Accovacciato nell’oscurità, Custer riferì a bassa voce agli ufficiali la sua analisi della situazione. Anche se l’oscurità continuasse a nascondere l’esatta posizione del villaggio, i rumori che si potevano percepire dalla valle per lo meno ne davano un’idea, anche per quel che riguardava la mandria dei cavalli. Custer diede istruzioni a due ufficiali giovani e agli scouts di restare sull’altura e continuare ad osservare la valle. Quindi ordinò al resto del gruppo di tornare alla base della collina, dove avrebbe dato istruzioni per l’attacco.

Mappa 30. Il piano d’attacco

«L’attacco doveva essere portato allo spuntar del giorno e nel frattempo ogni colonna doveva trovarsi il più vicino possibile al villaggio senza generare allarmi. Comunque, se a dispetto di tutte le precauzioni, gli Indiani avessero scoperto la nostra avanzata e avessero cercato di scappare o di aprire il fuoco contro i nostri reparti, l’attacco doveva scattare immediatamente; altrimenti il segnale d’attacco sarebbe stato dato all’alba dalle trombe, che dovevano suonare dalla sommità dell’altura dalla quale doveva avanzare la colonna del generale Custer; istantaneamente, al segnale convenuto o allo sparo di un fucile, l’avanzata sarebbe avvenuta da tutte le direzioni – tutti dovevano correre e questo in particolare fu fatto presente a tutti gli ufficiali dal generale Custer, poiché egli comprendeva pienamente l’importanza della concentrazione.»
– Capitano Albert Barnitz, 7° Cavalleria
Custer radunò gli ufficiali dietro la collina – osservatorio e formulò un piano generale di attacco. Assegnò a Elliott tre compagnie: le compagnie H e M del battaglione del capitano Frederick Benteen e la compagnia G del capitano Albert Barnitz. Diede ordine a Elliott di aggirare le Red Hills e posizionare le sue truppe ad est del villaggio.


Truppe di Custer, 1867

Elliott partì alle 3 circa con la sola compagnia di Barnitz. Il battaglione di Benteen stava molto indietro, a scorta della carovana di Bell e sarebbe stato chiamato in avanti per mezzo di un messaggero. Custer assegnò le compagnie B e F al capitano William B. Thompson. Il suo compito era di tornare indietro seguendo il cammino già percorso, attraversare il fiume, quindi girare ad est attraverso le colline e posizionare la sua unità a sud dell’accampamento.
Al capitano Thompson vennero anche date istruzioni perché collaborasse con l’unità di Elliott alla sua destra e prevenisse eventuali fughe di Indiani a sud. Anche Thompson si mosse alle 3. Le truppe del capitano Edward Myers erano costituite dalle compagnie E e I. Il suo compito era di muovere a sud ed attraversare il fiume Washita. Custer aveva incaricato Myers di schierare le sue compagnie sia nei boschi che nel campo aperto a sud del fiume, ad evitare fughe verso ovest. Custer si mise al comando delle unità che avrebbero condotto l’attacco principale. Divise queste unità in due battaglioni, con il capitano Louis M. Hamilton a comandare l’ala sinistra con le compagnie A e D, e il capitano Robert M. West a comandare l’ala destra con le compagnie C e K. Custer conservò il controllo personale della sua unità, della banda e delle guide. Posizionò anche una compagnia di 40 fucilieri a piedi, sotto il tenente William W. Cooke, sul fronte dell’attacco principale e diede ordine alla sua colonna di occupare le posizioni a nord ovest del villaggio. Il piano prevedeva che all’alba tutte le unità fossero in posizione per l’attacco. Il segnale per l’attacco sarebbe stato dato dalla banda, che avrebbe suonato l’inno del reggimento, “Gary Owen.” Custer aveva inoltre dato ordine che tutte le unità attaccassero immediatamente nel caso fossero state scoperte prima che fosse stato dato il segnale. L’intento di Custer era di “prevenire la fuga di ogni abitante del villaggio.”
Nonostante le precauzioni, si trattava di un piano complicato, che richiedeva precisione di coordinamento e di tempistica. Fino a questo punto dell’operazione la famosa “fortuna di Custer” lo aveva servito egregiamente.


Mappa 30

Tuttavia, considerando le difficoltà presentate dal terreno, il tempo limitato a disposizione delle quattro colonne per portarsi in posizione e la non riuscita della completa osservazione dell’area circostante, sembra chiaro che egli continuasse a contare sulla buona fortuna per portare a casa la vittoria.

Mappa 31. Attacco all’alba

«Quando mio padre uscì dalla sua tenda udì i cani abbaiare. Un momento dopo una donna arrivò di corsa dal bosco al di là del torrente per riferire a Black Kettle che i soldati stavano cavalcando verso il nostro accampamento. Ricordando il massacro del Sand Creek e temendo che questa potesse essere una replica di quella tragedia, Black Kettle diede immediatamente ordine che donne e bambini si mettessero in salvo. Aveva appena finito di parlare, quando i soldati riversarono sull’accampamento una raffica di colpi e vennero alla carica attraverso il torrente. Io avevo appena finito di vestirmi con pochi abiti e stavo allacciandomi alla cintura una delle pistole di mio padre, quando la raffica spazzò l’accampamento…Con due compagni mi diressi a cercare riparo nel torrente (il Plum Creek), a circa un quarto di miglio ad ovest. Avevamo percorso solo metà della distanza, quando ci imbattemmo nei soldati che piombavano sul villaggio da quella direzione (si trattava dello squadro-ne di Myers che andava a prendere posizione). Noi voltammo a sud, buttandoci infine in una depressione del suolo poco profonda…Una grandinata di pallottole ci disse che il nostro nascondiglio era stato scoperto. Una di queste pallottole mi colpì appena sotto il ginocchio sinistro…Nonostante la ferita, saltai su e raggiunsi i miei compagni di fuga, pressati da vicino dai soldati. Proprio mentre pensavo che ci avrebbero ucciso tutti, i soldati notarono un grosso gruppo di donne e bambini che provenivano dal lato sud est del villaggio. Smisero immediatamente di dare la caccia a noi per lanciarsi sul gruppo più grande di fuggitivi. Noi corremmo oltre l’altura a sud, oltre quelle due collinette…»
– Magpie, nipote di Black Kettle


Una ricostruzione del villaggio sul Washita

Il mattino del 27 novembre faceva parecchio freddo, con una fitta nebbia che insisteva sulla valle. Qualche momento prima dell’alba una stella mattutina illuminò il cielo a levante. Custer pensò che fosse un presagio di vittoria e la battezzò “la stella del Washita.”
Nonostante l’ottimismo di Custer, nell’oscurità regnava parecchia confusione fra le truppe. L’unità di Elliott si era spostata ore prima, attraversando le Red Hills. Il suo percorso lo aveva portato tra Sugar Loaf e l’altopiano che stava subito dietro. Benteen aveva perso la strada nell’oscurità e non raggiunse Elliott se non qualche minuto prima dell’alba. In aggiunta, la banda del reggimento, che si supponeva essere con Custer, aveva seguito Elliott per errore e dovette tornare sui suoi passi per unirsi alla formazione principale dell’attacco, quella di Custer. La truppa di Thompson, che aveva la maggior distanza da coprire e il terreno più aspro da attraversare, non si trovava nella posizione assegnatale, appena sud del villaggio. Alle 6 del mattino circa, la testa della sua colonna era ancora ben più a sud, rispetto al villaggio. La colonna di Myers si era mossa alle 6 e aveva attraversato il fiume. Egli aveva condotto l’unità sulla riva sud, tra gli alberi, e attendeva che facesse giorno. Però, al buio, aveva sottostimato la distanza del villaggio e, invece di trovarsi in posizione per sbarrare il lato ovest del villaggio, era finito circa un miglio più ad ovest.
Custer era ignaro delle difficoltà in cui si erano imbattute le altre colonne. Quindi continuò a portare avanti il suo piano. Posizionò i battaglioni di Hamilton e West dietro Observation Ridge e si preparò per l’attacco alla luce del giorno. Nonostante il freddo, ordinò a tutti di disfarsi degli ingombranti soprabiti e dispose che ogni compagnia ponesse una sentinella a guardia dei mantelli lasciati a terra. Le sentinelle dovevano attendere il convoglio leggero di Bell e quindi caricare il bagaglio sui carri. Quindi i due battaglioni di Custer scollinarono dall’altura e mossero verso il villaggio. Giunsero in vista delle tende proprio mentre stava sorgendo il sole. Come Myers, anche Custer aveva sottostimato la distanza dal villaggio e probabilmente fu sorpreso di scoprire che esso si trovava quasi un miglio avanti, più lontano di quanto si aspettasse. Il silenzio del mattino fu rotto da un singolo colpo di fucile dal villaggio. La banda diede subito la carica con le note di apertura di “Gary Owen” e le colonne di Custer caricarono. Erano circa le 6,30 del mattino.


La carica al villaggio

L’attacco principale di Custer fu lanciato dall’altura posta a nord ovest del villaggio. I cespugli e le alte rive del fiume in breve frenarono l’attacco. Ciò nonostante il battaglione di Hamilton attraversò il corso d’acqua e piombò nel cuore del villaggio subito dopo l’alba. Le compagnie di West giunsero sul lato meridionale del villaggio, mentre la compagnia K del tenente Edward Godfrey si occupava di disperdere la mandria dei cavalli. La compagnia di fucilieri di Cook stazionava sulla riva nord. La gente di Black Kettle, spaventata dalla carica di cavalleria, fuggì dall’accampamento. La maggior parte di loro cercò scampo a valle, usando le rive del Washita come copertura. Altri fuggirono verso ovest, verso il Plum Creek o a sud, sulle colline. Sebbene la gente di Black Kettle non avesse alcuna possibilità contro il travolgente attacco dell’esercito, il combattimento non fu completamente a senso unico. Una delle prime perdite dell’esercito si ebbe lungo la linea di arbusti del fiume, appena le colonne all’attacco attraversarono il fiume per piombare sul villaggio. Hamilton, che proprio alcune ore prima aveva implorato Custer di permettergli di accompagnarlo nell’attacco, cadde nei primi momenti della battaglia. Egli era un ufficiale popolare e, purtroppo, la sua morte destò parecchia sensazione. Il rapporto medico stabilì con chiarezza che egli morì all’istante, a seguito di una ferita da arma da fuoco vicino al cuore. Anche così, alcuni credono che egli venne ucciso accidentalmente da un colpo sparato dai suoi stessi uomini, in quanto c’era un foro di pallottola sul retro della sua giubba, ma nessuno sul davanti. Ma forse il capitano aveva la giubba sbottonata, ed è questa la ragione per cui non vi sono fori sul davanti.
Vi è un grande dibattito storico ed emotivo che circonda gli eventi del Washita, quando si discute se quegli avvenimenti debbano essere considerati una battaglia o un massacro. Senza dubbio gli eventi associati al 27 novembre 1868 costituirono una grande tragedia nella storia americana.


Mappa 31

La persona più addolorata dagli avvenimenti del Washita fu il capo Cheyenne Black Kettle. Il sessantasettenne capo era da lungo tempo un sostenitore della pace. Egli riconosceva l’inutilità di una resistenza armata agli sconfinamenti dei coloni nei territori indiani e aveva cercato di promuovere un percorso di coesistenza pacifica. Black Kettle aveva spostato il suo popolo nella valle del Washita, lontano dagli insediamenti del Kansas e dalle piste degli emigranti per evitare controversi contatti con i bianchi. Proprio pochi giorni prima dell’attacco era tornato da un viaggio di 100 miglia a Fort Cobb, dove aveva negoziato senza successo con il colonnello William B. Hazen per ottenere una promessa di pace e la protezione dell’esercito. Hazen non disponeva dell’autorità necessaria a stipulare una pace con gli Cheyenne, considerato che Sherman e Sheridan avevano deciso che le “azioni passate” degli Cheyenne dovevano essere “sia punite che vendicate.” Nonostante ciò il vecchio capo pensava che il suo popolo sarebbe riuscito a trascorrere in pace l’inverno nella remota valle del Washita. Era consapevole che unità dell’esercito americano stavano manovrando nella regione cercando Indiani ostili per il governo. Tuttavia, poiché egli non considerava ostile la sia banda, non pensava che l’esercito costituisse una grande minaccia per il suo accampamento. Per ironia della sorte, la sera precedente l’attacco, Medicine Woman Later, moglie di Black Kettle, aveva supplicato il marito di spostare il campo in zona più vicina ai più grandi accampamenti Cheyenne, Arapaho e Kiowa più ad est. Black Kettle, non essendo al corrente della vicinanza del 7° Cavalleria di Custer, aveva considerato che ci sarebbe stato tutto il tempo il giorno dopo, per fare lo spostamento. Sfortunatamente Black Kettle e gli altri capi anziani delle Pianure Meridionali non erano riusciti a controllare la voglia di razziare nel Kansas dei loro giovani guerrieri. Quegli stessi giovani avevano condannato il vecchio capo e il suo popolo. Infatti Custer e il suo reggimento avevano seguito le tracce del gruppo di guerra che, tragicamente, portavano all’accampamento di Black Kettle.


“Alba cremisi” – dipinto di Harvey Pratt

Il vecchio capo era sopravvissuto all’infame Massacro del Sand Creek nel 1864 e aveva immediatamente riconosciuto i suoni e i rumori della carica della cavalleria. Aveva quindi potuto facilmente immaginare cosa c’era in serbo per lui e per la sua gente. La sua tenda si trovava sul lato ovest del villaggio. Egli sapeva che la gente si sarebbe dispersa e che ogni aspettativa di una difesa valida era senza speranza. Black Kettle e sua moglie montarono subito su di un unico cavallo e iniziarono una corsa verso la salvezza. L’attacco principale dell’esercito era avvenuto sul lato occidentale del villaggio, così appare logico che il capo tentasse di fuggire verso est. Sebbene non sia noto il luogo esatto in cui trovò la morte, con tutta probabilità egli tentò di attraversare il Washita o di cercare riparo tra le sue sponde, in vicinanza del punto dove il fiume curva verso est. Era in quel punto che la compagnia di fucilieri di Cooke sparava dalla riva nord e probabilmente furono loro a uccidere il capo e la moglie. E’ stato calcolato che, dei 200 o 300 abitanti del villaggio, nella sparatoria morirono 40 uomini, 12 donne e sei bambini. Alcuni rapporti parlano di corpi mutilati, feti estratti dal grembo delle madri e persone scalpate. Secondo la guida Ben Clark, la maggior parte di queste azioni venne compiuta dagli scout Osage, che lo stesso Clark vide uccidere donne e mutilare i loro corpi. Però non tutte le atrocità possono essere attribuite agli Osage: nel suo racconto della battaglia, il soldato semplice John Ryan si vantava di avere preso lo scalpo a un guerriero morto.
Quasi contemporaneamente alla carica di Custer sul lato ovest, l’unità di Elliott attaccava il lato est. Le sue truppe scendevano dalle Red Hills, a circa mezzo miglio ad est del villaggio, e poi svoltavano ad ovest verso l’obiettivo. Durante la carica di Elliott, il battaglione di Benteen conduceva una carica a cavallo dalla riva nord del fiume mentre la compagnia di Bernitz smontava da cavallo e forniva fuoco di supporto dal lato sud. Con tutta probabilità il colpo di fucile isolato che fu udito e che anticipò i tempi della carica di Custer fu sparato dal lato est del villaggio. Sembra che l’avanzata dell’unità di Elliott sorprendesse parecchi ragazzi indiani a guardia della mandria di cavalli sul confine orientale del villaggio. Forse furono queste sentinelle a sparare quel primo colpo. Molti di quelli che fuggivano dalla carica di Custer da ovest trovarono la via di fuga sbarrata dalle truppe di Elliott. La storia di una ragazza Cheyenne di 14 anni, Donna-che-va-Indietro, dà un’idea del terrore suscitato da quell’attacco mattutino:
«Udimmo una donna dire a bassa voce: ”Attenti! Attenti! Uomini bianchi! Ci sono uomini bianchi! I soldati si avvicinano all’accampamento!” Noi ci spaventammo e non sapevamo cosa fare. Ci alzammo subito. Udimmo subito i soldati gettare grida terribili e provenire da loro detonazioni di fucili. Mia zia mi chiamò ma. mentre stavo per uscire, la ragazza che aveva dormito con me quella notte mi afferrò per il braccio e mi tirò indietro, dicendo: Non uscire, stai dentro; gli uomini bianchi ti vedranno, fuori, e ti spareranno!” Mia zia mi chiamò di nuovo e mi disse di affrettarmi ad uscire. Ero così spaventata che tremavo, ma uscii all’aperto…Molti Indiani erano stati uccisi nella battaglia. L’aria era piena del fumo degli spari ed era quasi impossibile fuggire, perché volavano pallottole dappertutto. Tuttavia, in qualche modo cominciammo a correre e continuammo finché non trovammo un riparo.»

Mappa 32. Il posto di osservazione di Custer

«Le trombe suonarono la carica e l’intera armata si gettò rapidamente sul villaggio. Gli Indiani vennero colti nel sonno ma, rendendosi immediatamente conto della situazione di percolo, superarono subito la loro sorpresa iniziale e in un istante presero fucili, archi e frecce e saltarono dietro gli alberi più vicini, mentre alcuni si lanciavano nell’acqua, che arrivava alla vita, e usando la riva come appoggio per i fucili iniziarono una difesa vigorosa e determinata. Mescolate con le grida di esultanza dei miei uomini si potevano udire le fiere urla di guerra dei guerrieri, che fin dall’inizio combatterono con una disperazione e un coraggio che nessun’altra razza umana può sorpassare. L’effettivo possesso del villaggio e delle sue tende da parte nostra si realizzò pochi momenti dopo l’effettuazione della carica, ma questa era una vittoria priva di significato finché non avessimo sbaragliato gli ultimi occupanti, che stavano riversando un volume di fuoco rapido e ben diretto dai loro ripari dietro gli alberi e le rive. Al primo assalto un considerevole numero di Indiani saltò fuori dalle vicinanze del villaggio, nella direzione dalla quale attaccavano le truppe di Elliott. Alcuni riuscirono a passare attraverso le linee, mentre altri vennero in contatto con le truppe e cavallo e furono uccisi o catturati.»
– Tenente Colonnello George Armstrong Custer.
Custer attraversò il villaggio, raggiungendo l’altura che stava a sud, e là, su di una collinetta, posizionò il gruppo di comando. Probabilmente era compiaciuto del successo dell’attacco principale, che aveva condotto personalmente.
Stemma del 7° Reggimento Cavalleria
L’assalto iniziale aveva richiesto circa 30 minuti. Adesso aveva bisogno di concentrarsi nel consolidare l’obiettivo. Dalla sua posizione sopraelevata poteva controllare il teatro delle operazioni e valutare la situazione. Aveva conquistato il villaggio e la sola seria opposizione erano state poche sacche di resistenza lungo il fiume e nelle gole a sud del villaggio. Un gran numero di profughi stava fuggendo a est lungo la valle del Washita e altri andavano a sud est, sud e sud ovest. Le sue truppe avevano catturato una consistente mandria di cavalli, ma un certo numero di altri ponies si poteva vedere in fuga sulla riva nord del fiume.
Fu più che volentieri che Custer si mise a rivedere e aggiornare le sue stime originali sulla consistenza del nemico. Il villaggio nella valle conteneva solo 51 tende con, al massimo, poche centinaia di abitanti. La stima numerica di Sheridan sulle forze nemiche contemplava in modo approssimativo che nella regione vi fossero diverse migliaia di Arapaho, Kiowa e Cheyenne. Custer potrebbe essersi domandato dove si trovava il gran numero di Indiani che si sospettava fossero in quell’area. Dalla sua posizione in zona sopraelevata, Custer riusciva anche ad avere la consapevolezza della situazione delle sue unità guardando le insegne della compagnia.
Ebbe così modo di vedere che non tutte le colonne avevano incontrato il suo stesso successo. L’unità di Elliott era visibile sul lato est del villaggio, ma il battaglione di Myers si stava mettendo troppo lentamente in posizione per sbarrare il lato occidentale dell’accampamento, mentre il battaglione di Thompson, che avrebbe dovuto occupare il terreno rialzato che si trovava a sud, non era in posizione. Quasi certamente Custer non rimase a lungo nella sua posizione sopraelevata. Probabilmente prese una decisione su come consolidare la vittoria e quindi si portò in mezzo alle sue compagnie impartendo ordini. Diede quindi disposizioni alle quattro compagnie e ai fucilieri di Cooke di occupare il villaggio e catturare i cavalli. Dal canto suo, West inviò il plotone di Godfrey della compagnia K ad inseguire i cavalli che erano fuggiti a nord est. Custer ordinò che la truppa di Elliott, di tre compagnie, andasse in supporto per ridurre al silenzio le sacche di resistenza lungo le sponde del fiume e accerchiare i fuggitivi che andavano ad est. I battaglioni di Myers e di Thompson, entrambi in ritardo, ricevettero forse l’ordine di occuparsi dei fuggitivi verso sud.
Furono gli scontri lungo le rive del fiume che probabilmente attirarono maggiormente l’attenzione di Custer. Guerrieri, donne e bambini che non erano fuggiti prima che il cordone di cavalleria tagliasse le vie di fuga, adesso erano intrappolati. Young Bird, una ragazza Cheyenne di 14 anni, riportò: «Noi spingevamo tutte le nostre donne, le ragazze e i bambini di famiglia lungo le rive del fiume Washita in cerca di salvezza, ma non trovammo la salvezza. I soldati erano su entrambe le sponde del fiume, sparando un fuoco incrociato. Non c’era via di scampo…»
Anche se sopraffatti senza speranza, i guerrieri combattevano con fanatica determinazione per proteggere le loro famiglie. La guida Ben Clark partecipò al combattimento. Le sue parole descrivono vividamente la disperazione della battaglia:
«Udivo lungo il fiume una forte sparatoria in direzione dei fucilieri di Cooke. Corsi rapidamente in quella direzione e trovai un piccolo gruppo di guerrieri, con donne e bambini, nell’insenatura sotto il terrapieno…Gli Indiani sparavano ai soldati che stavano sull’altra sponda del fiume. Questi non riuscivano a sloggiarli, ma scaricavano una grandine di pallottole contro di loro. I colpi degli Indiani diminuirono gradualmente finché cessarono del tutto. I guerrieri erano morti. Fu allora che vidi un terribile esempio della disperazione di una madre Cheyenne. La donna si alzò da dietro la barricata, tenendo un bambino a debita distanza. Nell’altra mano aveva un lungo coltello. I fucilieri pensarono che il bambino fosse un prigioniero bianco e cominciarono a gridare: “Uccidete la squaw. Vuole uccidere un bambino bianco!” Ma prima che potesse essere sparato un colpo di fucile contro la madre, questa con un colpo di coltello sventrò il bambino e poi affondò il coltello nel proprio petto fino all’impugnatura ed era morta.»


Gli scout di Custer festeggiano la vittoria

In molti casi i soldati cercarono di risparmiare i non combattenti. Benteen si imbatté in un giovane Indiano che tentava di fuggire attraversando le linee. Il ragazzo coraggiosamente si lanciò contro il capitano, brandendo una pistola. Benteen, non volendo far del male al ragazzo, lo incoraggiò ad arrendersi. Il ragazzo fece fuoco tre volte contro di lui. Ogni volta il capitano cercò senza riuscirci di convincere il “piccolo capo bruno” a gettare l’arma. Alla fine il giovanetto arrivò così vicino che Benteen capì che il prossimo colpo probabilmente lo avrebbe centrato. Quando il giovane guerriero alzò la pistola per sparare il quarto colpo, Benteen, sebbene riluttante, gli sparò. Anche il capitano George Yates cercò di dimostrare compassione durante il combattimento lungo le rive del fiume. A un certo punto la sua attenzione fu attratta da qualcosa che luccicava nel sottobosco. Quando si avvicinò alla vegetazione, venne aperto il fuoco contro di lui. Allora con i suoi uomini si allontanò dal bosco e si avvicinarono a quel nascondiglio da una direzione differente. Appena giunto di nuovo vicino alla boscaglia si imbatté in una donna indiana che stava in piedi nell’acqua, con una gamba rotta e tenendosi vicino un bambino. Egli constatò che “l’odio maligno nei suoi occhi era qualcosa peggiore di ogni altra espressione velenosa che avesse mai visto.” Nonostante la gamba rotta, la donna lottò fieramente e resistette a tutti i tentativi di catturarla. Alla fine i soldati ne ebbero ragione e la condussero dal chirurgo perché si prendesse cura della sua gamba, ma non prima che, in un ultimo gesto di sfida, lei gettasse la sua pistola nel fiume piuttosto che farla cadere nelle mani dei suoi carcerieri.
Mentre Custer si stava concentrando sulla battaglia sul fiume, aveva perso il controllo di altri elementi dispersi delle sue unità. Alcuni dei suoi ufficiali si erano occupati a guidare squadre di unità in azioni limitate anziché comandare le loro compagnie o battaglioni. Gli esempi più rilevanti sono Barnitz, Myers e Elliott. Nell’attacco Barnitz incontrò un gruppo di fuggitivi che si spostavano nelle colline a sud del villaggio. Alle 7 circa distaccò un sergente e 10 soldati ad inseguire il gruppo. Poi decise di seguire la squadra per determinare la posizione del battaglione di Thompson, che non si vedeva. Un’azione ragionevole, di per sé stessa, ma la decisione di lasciare la sua compagnia e muoversi da solo durante il consolidamento dell’obiettivo era opinabile. Da qualche parte, nelle colline a sud dell’area della battaglia, ebbe uno scambio a fuoco con un Indiano, riportando una grave ferita d’arma da fuoco.


“Carica di cavalleria” – dipinto di William T. Trago

Tutto solo e rendendosi conto delle asperità del terreno, tentò di ritornare al villaggio, ma in breve la sofferenza lo obbligò a smontare e a cercare riparo tra alcuni macigni. Presto apparvero altri Indiani e probabilmente lo avrebbero ucciso se non fosse stato per il tempestivo arrivo del battaglione di Thompson, circa alle 8, il quale peraltro era in ritardo rispetto a quanto ordinatogli.
Altra mancanza di Custer fu di non riuscire a mantenere il controllo del battaglione di Myers. La missione del capitano era quella di attaccare dalla riva sud del fiume Washita ed evitare che gli Indiani fuggissero verso ovest. Avendo mal calcolato, nell’oscurità, la distanza dal villaggio, Myers non partecipò all’assalto iniziale contro il villaggio e, invece, deviò a sud per inseguire dei fuggitivi. Nell’inseguimento, egli permise ai suoi uomini di abbattere molti degli Indiani in fuga invece di radunarli e riportarli al villaggio. L’insuccesso nell’assicurare la disciplina nel suo battaglione richiedeva l’intervento di Custer con provvedimenti che riguadagnassero il controllo della truppa.
Il deleterio fallimento nel mantenere l’effettivo comando e controllo del suo reggimento è determinato dalle azioni Elliott. Questi aveva condotto felicemente le sue truppe attraverso le Red Hills a nord del villaggio in una difficile marcia notturna e quindi aveva posizionato le sue compagnie sul lato orientale del villaggio, in accordo con gli ordini di Custer.
Subito dopo l’apertura delle ostilità, Elliott si era posizionato su una bassa collina appena ad est del posto di osservazione di Custer. Come per lo stesso Custer, quella era una posizione eccellente per osservare e supervisionare le operazioni delle sue tre compagnie, sul lato est del villaggio. Poi, attorno alle 8, il maggiore osservò un gruppo di fuggitivi che si muoveva sull’altipiano, verso l’attuale Cheyenne, in Oklahoma. Fu a questo punto che il maggiore mancò nell’operare come avrebbe dovuto fare l’ufficiale comandante di un battaglione di cavalleria. Il suo grado lo aveva chiamato a dirigere e coordinare il combattimento sulla parte est del villaggio e ad organizzare l’inseguimento degli Indiani in fuga. Invece abbandonò le sue responsabilità di comando per impegnarsi personalmente in un inseguimento organizzato male e scoordinato. Insieme con il suo sergente maggiore Walter Kennedy, cavalcò verso il battaglione di Benteen per chiedere volontari. La formazione di questa unità specifica, che includeva 18 soldati dei battaglioni sia di Myers che di Benteen, dimostra che molti dei comandanti di battaglione e di compagnia avevano perso il controllo delle loro unità, un fallimento generale nel comando la cui responsabilità ricade su Custer.


Mappa 32

La mediocre decisione di Elliott e il mancato intervento di Custer per bloccare il maggiore ebbe tragiche conseguenze per il distaccamento approntato per l’inseguimento. Elliott profetizzò il suo destino quando disse al comandante della compagnia M, tenente Owen Hale: «Qui si prende una promozione o una bara.» Il distaccamento di Elliott lasciò l’area del villaggio e rimontò l’altopiano che stava a sud del villaggio, poi voltò ad est nell’avventato inseguimento dei fuggitivi.

Mappa 33. Circostanze impreviste

«Erano circa le 10 del mattino e il combattimento stava ancora infuriando quando, con nostra sorpresa, vedemmo un piccolo gruppo di Indiani raccogliersi su una collinetta a più di un miglio sotto il villaggio. Scrutandoli con il binocolo da campo, potei appurare che erano tutti guerrieri a cavallo; non solo, ma erano armati e bardati in pieno assetto di guerra…quasi tutti portavano copricapi di piume vivacemente colorati e lance con decorazioni svolazzanti. E si poteva vedere che altri ne stavano arrivando da dietro la collina su cui stavano i guerrieri. Tutto questo sembrava inspiegabile. Solo pochi Indiani potevano essere fuggiti attraverso le nostre linee quando era cominciato l’attacco al villaggio, e di questi pochissimi potevano essere in possesso di qualcosa più che il fucile e forse una coperta. Cosa potevano essere questi nuovi gruppi di guerra e da dove venivano?»
– Tenente Colonnello George Armstrong Custer.


War Party on the snow

Nell’assalto iniziale, il tenente Godfrey, che comandava un plotone della Compagnia K, aveva la missione di catturare la mandria dei cavalli. Dopo aver attraversato il villaggio, Godfrey continuò ancora per circa un miglio, radunando i cavalli sparsi sulla riva del fiume. In quest’azione notò numerosi fuggitivi che si dirigevano ad est. Decise allora di mandare al villaggio i cavalli catturati, in modo da poter inseguire gli Indiani che aveva visto. Alle 8 circa, dopo aver consegnato la mandria ad un altro plotone, Godfrey portò la sua unità al di là del Washita, sulla riva nord, e iniziò la caccia agli Indiani che andavano ad est. Scoprì un altro grande gruppo di cavalli nascosto in una gola boscosa a circa un miglio a nord est del villaggio, ma decise di continuare con l’inseguimento. Due miglia a sud del villaggio incontrò una loggia funeraria e si accorse di due Indiani che stavano segnalando la sua presenza, dal che Godfrey desunse che dovessero esserci altri Indiani ancora più ad est. In quel punto un’altura che si protendeva sulla valle gli bloccava la visuale della valle stessa verso est.
Godfrey avrebbe voluto continuare l’inseguimento, ma due dei suo sottufficiali più esperti erano di avviso contrario e misero in guardia il tenente sui possibili pericoli di un’imboscata. Godfrey prestò loro ascolto e fermò il plotone. Continuò ad andare avanti con un piccolo gruppo di uomini per condurre personalmente una ricognizione. Anni dopo Godfrey descrisse la vista inaspettata dall’altura con queste parole: «Fui meravigliato di osservare, fin dove potevo vedere, che nella boscosa e tortuosa valle c’erano tepee…non solo vedevo tende, ma guerrieri a cavallo che galoppavano nella nostra direzione.»
Godfrey capì immediatamente l’importanza di quella scoperta e che era necessario informare Custer al più presto possibile. Tornò immediatamente al suo plotone e ordinò alle truppe di tornare indietro. I guerrieri che sopraggiungevano superavano numericamente di gran lunga il plotone dell’esercito. Nella ritirata Godfrey, perché la sua unità non fosse sopraffatta, dovette spesso ordinare il dietro-front allo scopo di formare una linea di combattimento con fuoco di sbarramento per respingere gli Indiani che sopraggiungevano. Alle 9 circa e a mezza strada del percorso di ritorno al villaggio di Black Kettle, udì da sud del Washita provenire intense scariche di fucileria, che presto si smorzarono.


Mappa 33

Il suo plotone stava manovrando sui fianchi delle colline e non poteva vedere attraverso gli alberi e la boscaglia che stavano sulle rive chi fosse implicato nello scambio di colpi. Dopo aver raggiunto l’accampamento, circa alle 10, Godfrey mise al sicuro i cavalli catturati e fece rapporto a Custer. Godfrey ricordò che, quando menzionò il grande villaggio a valle, Custer esclamò: «Cos’è quello?» e lo sottopose a una raffica di domande. Il rapporto era appena terminato, che apparvero Indiani a cavallo sulle colline a miglio ad est. Custer capì che la situazione era cambiata drasticamente e che ora bisognava agire, non solo per consolidare la vittoria, ma anche per proteggere le proprie truppe.

Mappa 34. Una promozione o una bara

«La battaglia non durò più del tempo che occorre a un uomo per fumare quattro volte la sua pipa.»
– Capo Tuono Naso Romano
Il rapporto di Godfrey sugli spari uditi a sud del Washita diede origine a domande su quale fosse la posizione del distaccamento di Elliott. All’inizio Custer aveva respinto l’illazione di Godfrey che gli spari uditi in precedenza potessero essere dovuti all’incontro di Elliott con gli Indiani più a valle. Custer aveva diverse compagnie che stavano combattendo sul lato est del villaggio, e queste non avevano riportato niente di insolito. Decise allora che il mistero del maggiore scomparso richiedesse un’indagine approfondita. Per ironia della sorte Elliott e i suoi uomini più che probabilmente erano già morti al momento in cui Custer cominciò a indagare sulla loro scomparsa. Custer ebbe conferma che Elliott non era tra i morti e i feriti raccolti sul campo e che l’ultima volta in cui fu visto stava inseguendo i fuggiaschi verso est. Custer aveva calcolato che il maggiore era partito qualche minuto dopo le 8. Nella speranza di trovare gli uomini scomparsi, Custer diede ordini alla compagnia di Myers di cercarli ad est. Myers riferì di aver effettuato ricerche a due miglia verso est, ma per la crescente probabilità di un contrattacco indiano, non si era spinto al di là del Sergeant Major Creek. In più, qualche minuto dopo le 12, in una aggressiva difesa del perimetro del villaggio, Benteen aveva caricato gli Indiani che lo circondavano e battuto fino in fondo il Sergeant Major Creek. Né Myers né Benteen avevano trovato traccia degli uomini scomparsi. La storia di ciò che era accaduto a Elliott si seppe solo settimane dopo, all’inizio del dicembre 1868, quando furono scoperti i cadaveri dei componenti del suo distaccamento. Benché l’esatta posizione della sua ultima battaglia sia sconosciuta, si pensa che fosse nella zona appena a nord dell’odierna città di Cheyenne, in Oklahoma.
Una testimonianza indiana assicura che il distaccamento di Elliott, inseguendo diversi gruppi di fuggitivi verso est, a circa due miglia dal villaggio si imbatté in un piccolo gruppo di sette donne e bambini, con due ragazzi che facevano la guardia. Nell’inseguimento i soldati uccisero i due ragazzi e catturarono gli altri. Elliott dislocò Kennedy a scortare i prigionieri al villaggio e poi continuò la caccia con il resto dei suoi uomini. Il sergente maggiore si trovava in difficoltà nel portare i prigionieri e, sulla riva occidentale del Sergeant Major Creek, quattro guerrieri Arapaho del villaggio di Little Raven lo attaccarono. Kennedy fece uno scarto verso ovest per sfuggire ai guerrieri, ma non servì: gli Arapaho lo abbatterono e lo uccisero.


La morte di Walter Kennedy in un’illustrazione dell’epoca

Nel frattempo Elliott aveva concentrato il suo inseguimento su un gruppo di circa 20 donne e bambini guardati da tre guerrieri: Little Rock e She Wolf, Cheyenne, e Trails the Enemy, Kiowa. Questi combatterono valorosamente per fare da scudo a donne e bambini. Nello scontro Little Rock abbatté uno dei cavalli dell’esercito prima che i soldati lo uccidessero. Gli altri due guerrieri scortarono i non combattenti nella boscaglia che costeggia il Washita. Prima che Elliott potesse raggiungere il gruppo, scorse un grosso gruppo di guerrieri che risaliva il fiume. A quanto pare Elliott tentò una ritirata, probabilmente avvalendosi degli argini e della boscaglia lungo il fiume per ripararsi. Ma i guerrieri riuscirono a spingere Elliott lontano dall’acqua, in terreno aperto. Nello scontro i guerrieri abbatterono molti cavalli dei soldati, intralciando così ulteriormente i tentativi di fuga di Elliott. Il destino di Elliott fu segnato quando i guerrieri Arapaho che in precedenza avevano ucciso Kennedy arrivarono sul luogo e gli sbarrarono la via di fuga.


Mappa 34

All’incirca alle 9 (l’ora in cui Godfrey aveva udito la sparatoria) e a meno di 200 metri ad est del torrente, Elliott fu costretto ad attestarsi. I soldati formarono un cerchio approssimativo, con nessun’altra copertura che quella dell’erba alta. Il combattimento finale probabilmente durò solo pochi minuti, prima che i guerrieri circondassero completamente i soldati e li uccidessero tutti.

Mappa 35. Guerra totale

«Cosa si doveva fare? Io non avevo bisogno che qualcuno mi dicesse che noi saremmo certo stati attaccati, e per di più da un nemico di molto più numeroso di noi, proprio mentre gli Indiani magari stavano facendo i preparativi per questo: e probabilmente erano occupati a fare questi preparativi sin da quando il primo rumore della nostra sparatoria li aveva raggiunti di primo mattino…Avevamo ottenuto un grande e importante successo sulle tribù ostili…Il problema adesso era come sfruttare il vantaggio e portare a termine l’operazione attraverso le difficoltà che sembravano circondare la nostra posizione. Gli Indiani avevano subito una sconfitta significativa, con grandi perdite in vite umane e beni di proprietà. Potevano riuscire, comunque, a privarci del treno di carri e di rifornimenti e, nel fare questo, il fatto di distruggere o catturare la scorta avrebbe di gran lunga compensato il danno che noi avevamo loro inflitto e avrebbe reso la nostra vittoria un guscio vuoto. Mentre valutavo su questi elementi nel tentativo per capire quale sarebbe stata la mossa migliore da fare, potevo guardare in quasi tutte le direzioni e vedere i guerrieri che in distanza di radunavano in gruppi sulla cima delle colline più alte, apparentemente aspettando e spiando, nell’attesa di muoversi secondo quelli che sarebbero stati i nostri prossimi movimenti.»
– Tenente Colonnello George Armstrong Custer.
La comparsa di numerosi guerrieri indiani al limite del villaggio appena catturato preoccupava grandemente Custer. Gli Indiani presero rapidamente posizione a nord, sud ed est dell’accampamento.

Custer interrogò ancora Godfrey su quanto aveva visto nella sua incursione verso est e in breve comprese che la crescente minaccia che costituivano gli Indiani che si stavano radunando attorno al villaggio necessitava di un’azione immediata. Allora interrogò i prigionieri, affinché confermassero il rapporto di Godfrey sugli altri villaggi. Con la guida Romero che faceva da interprete, Custer convinse gli ostaggi che non sarebbe stato fatto loro alcun male. Essi gli fornirono quindi informazioni dettagliate sul villaggio e le altre bande indiane presenti nell’area.
Custer apprese dai prigionieri, principalmente da Mahwissa (cugina di Black Kettle), che il villaggio apparteneva alla banda dei Cheyenne di Black Kettle. Lei spiegò come Black Kettle fosse morto nell’attacco e fornì anche i nomi di parecchi altri eminenti guerrieri che erano caduti nel combattimento. Cosa più importante, confermò gli avvistamenti di Godfrey: cioè l’accampamento di Black Kettle era solo uno dei molti villaggi ubicati lungo il fiume Washita. Più a valle vi erano Arapaho, Kiowa ed altre bande Cheyenne, che tutte insieme contavano diverse migliaia di indiani ostili. I prigionieri informarono Custer che il villaggio più vicino si trovava a circa due miglia di distanza (in realtà erano quattro miglia), e gli altri sorgevano ancora più a valle per molte altre miglia.
Con l’imminente prospettiva di ulteriori combattimenti, fu una fortuna per Custer che la situazione logistica del reggimento migliorasse decisamente verso mezzogiorno, con l’arrivo del convoglio di carri di Bell. Il convoglio consisteva di due carri di provviste e quattro ambulanze.In accordo con gli ordini di Custer, i carri di Bell trasportavano razioni e foraggio per tre giorni e un supplemento di medicinali. Molto previdente, l’intraprendente Bell aveva caricato sui carri 20.000 pacchetti di munizioni Spencer. Aveva fatto avanzare i carri all’alba e, appena udita la sparatoria, si era affrettato a raggiungere il reggimento. Avendo solo pochi armati, Bell era preoccupato della sicurezza dei carri; si rendeva conto della necessità di ricongiungersi rapidamente con le truppe prima che una banda vagante di guerrieri si imbattesse nella sua vulnerabile carovana. Il tenente era anche preoccupato che il reggimento potesse avere necessità delle munizioni di riserva. Bell arrivò dove c’erano i soprabiti abbandonati e inizialmente aveva pensato di caricarli sui carri. La comparsa di Indiani nei dintorni della sua posizione lo convinse ad abbandonare quell’idea e partire prima di aver completato il carico. Bell passò rapidamente oltre il Punto di Osservazione e arrivò di corsa nel campo un po’ prima di mezzogiorno. Nella corsa a testa bassa per raggiungere il villaggio, dietro lo scudo protettivo delle compagnie di cavalleria, il lubrificante di uno degli assi delle ruote di un carro si surriscaldò e facendo scintille minacciava di generare una fiammata. I soldati dell’accampamento improvvisarono rapidamente una soluzione sollevando e puntellando il carro, e quindi estinguendo le prime fiamme con la neve.
In entrambi i suoi rapporti ufficiali e in altri scritti riguardanti questa seconda fase della battaglia del Washita, Custer affermava implicitamente che il suo reggimento fronteggiava una minaccia soverchiante e che la situazione era estremamente critica. La realtà dei fatti non poteva essere così disperata come appariva ad una prima occhiata. Il villaggio era conquistato e il terreno circostante era difendibile. Il reggimento aveva subito relativamente poche perdite, con due morti, 18 dispersi e 15 feriti, solo pochi dei quali in modo serio. La situazione logistica contingente era buona per effetto dell’arrivo dei carri di rifornimenti di Bell. Benché numerosi, probabilmente i guerrieri che stavano lì attorno non avrebbero sovrastato più di tanto le forze del reggimento. Essi sembravano riluttanti a minacciare aggressivamente il perimetro difensivo attorno al villaggio, comunque Custer decise di dispiegare il reggimento in difesa del villaggio. Durante questo tempo ci fu una scaramuccia significativa attorno al villaggio, tra i soldati in difesa e gli Indiani che attaccavano. Inizialmente i guerrieri si ammassarono sulle colline a nord e nord est del villaggio. Essi testarono la forza del perimetro difensivo cercando un punto debole nello schieramento dei soldati. In breve tempo avevano circondato l’intero accampamento. Custer oppose una decisa difesa e all’inizio ordinò ai battaglioni dei capitani Weir e West di condurre un contrattacco per respingere la minaccia da nord (Weir aveva preso il comando del battaglione di Hamilton). Allora il pericolo più grosso da parte indiana si presentò da est. A quel punto Benteen prese il comando del battaglione di Myers (quest’ultimo era fuori combattimento per cecità da neve) e contrattaccò contro il nemico sul lato orientale del villaggio. Ironia della sorte, l’attacco di Benteen avvenne a meno di un miglio dal luogo dove più tardi fu trovato Elliott, ma sfortunatamente, Benteen non vide segni del distaccamento disperso. Gli Indiani, a quel punto, cominciarono un fuoco di disturbo a lunga distanza da nord. Custer fece cessare quei tiri piazzando le donne e i bambini catturati lungo il lato nord del villaggio, in linea con il fuoco nemico. Questa discutibile e inaccettabile tattica di usare donne e bambini come scudi umani, causò effettivamente la quasi totale cessazione degli spari da parte indiana. Tuttavia, alcuni dei tiratori spostarono la mira sulle parti ovest e sud dell’accampamento.
Custer assegnò il compito di distruggere il villaggio a West e, ben presto, gli uomini di West avevano ammassato tutte le strutture e masserizie dell’accampamento in grandi cataste. Anni dopo Godfrey ricordava: «Quando i fuochi si svilupparono, tutti gli articoli di proprietà personale – abiti di pelle di bisonte, coperte, cibo, fucili, pistole, arche e frecce, stampi per pallottole, eccetera – vennero gettati alle fiamme e distrutti.» La distruzione del villaggio venne completata alle 14 circa. Custer aveva capito che distruggere il villaggio e privare i Cheyenne dei cavalli rendeva gli Indiani impotenti; la strategia di guerra totale avrebbe inevitabilmente costretto i Cheyenne ad accettare la volontà del governo e a rassegnarsi alla vita nella riserva.


Mappa 35

Nello stesso tempo, il possesso della mandria dei cavalli era un problema pressante per Custer; egli mancava delle risorse necessarie a guidare i cavalli catturati fino a Camp Supply con successo. Riconobbe quindi che i cavalli dovevano essere tutti uccisi. Il dilemma era come portare a termine questo compito. A West, fra cavalli e muli, vennero portate un numero stimato di 875 bestie. I suoi uomini rinchiusero gli animali in un recinto lungo il terrapieno che correva a sud est del villaggio. Le truppe scelsero circa 225 animali da impiegare nell’unità militare: Custer aveva permesso che ciascun ufficiale scegliesse due cavalli, le guide ricevettero diversi ponies ciascuna e ai soldati le cui cavalcature si erano rese inservibili venne permesso di scegliersi un rimpiazzo. Anche il tenente Bell rimpiazzò molti dei muli, ormai logorati, che trasportavano i carri dei rifornimenti e l’ambulanza.
Custer ordinò a West di uccidere gli equini restanti. Il sempre attivo Godfrey partecipò alla distruzione delle mandrie e più tardi ricordò: «Tentammo di imbrigliarli per tagliare loro la gola, ma i cavalli si agitavano all’avvicinamento di un uomo bianco e si ribellavano energicamente.» Il procedimento dell’uccisione dei cavalli si rivelò molto lungo e Custer divenne impaziente. L’arrivo dei carri di Bell con il provvidenziale carico di 20.000 munizioni calibro 50 Spencer fornì a Custer la possibilità di sparare alle bestie. Venne posizionata una compagnia al di sopra del terrazzamento a sud, in posizione sopraelevata rispetto ai cavalli, e poi un’altra compagnia, insieme ai tiratori scelti, ad anello intorno agli animali. Queste due ultime unità sparavano raffiche su raffiche contro gli animali dentro il recinto. Anche così, l’uccisione dei cavalli richiese tempo e gli sparatori non terminarono il loro lavoro che verso le 16. L’annientamento del loro patrimonio in cavalli fece infuriare i guerrieri che circondavano il perimetro difensivo dei militari. Sembrava che si stessero preparando ad un attacco e incrementarono il fuoco di disturbo contro i soldati. Comunque, sia che fosse il timore di colpire le donne e i bambini prigionieri nel villaggio, oppure la mancanza di forze sufficienti a sfidare le compagnie di cavalleria, gli Indiani non fecero nessun serio tentativo di fermare il massacro.


La compagnia del tenente Godfrey elimina i cavalli non utilizzabili

«Ora comincia il massacro dei cavalli. Raffiche su raffiche vengono sparate contro di loro da uomini troppo frettolosi e, loro, zoppicando, si spostano solo per trovare la morte portata da una mano più sicura. Il lavoro procede! Il bottino che è stato raccolto viene accatastato in fretta; le tende sono stata abbattute e gettate sulle cataste e presto il tutto sarà una sola massa fiammeggiante. Di quando in quando si sente uno scoppio allarmante, con l’emissione di una massa di fumo quando il fuoco raggiunge una sacca di polvere da sparo e così le gloriose azioni di valore compiute al mattino sono celebrate dai falò fiammeggianti nel pomeriggio.»
— Capitano Frederick Benteen

Mappa 36. La vittoria di Custer

«Per portare le mie truppe fuori dalle difficoltà che proprio allora sembravano affliggerle, feci ricorso a ciò che soprattutto un buon comandante insegna a fare, cioè quello che il nemico non si aspetta e che non vorrebbe lui facesse.»
– Tenente Colonnello George Armstrong Custer
Il perimetro del villaggio di Custer era sicuro, ma egli riconosceva che la sua situazione complessiva era vulnerabile; c’era un gran numero di guerrieri che circondava il villaggio e il vulnerabile treno dei carri era pericolosamente esposto sul lato nord. Custer decise che l’azione migliore fosse la ritirata. Tuttavia riconosceva anche che, una volta che i soldati avessero abbandonato il perimetro difensivo, sarebbero stati seriamente minacciati dai guerrieri indiani, estremamente mobili. Soppesò la situazione mentre gli uomini completavano la distruzione del villaggio e dei cavalli. La guida Ben Clark suggerì che le truppe preparassero un finto campo fortificato all’interno dell’accampamento; poi, più tardi, nella notte, sarebbero sgattaiolate via verso nord.
Lo scout Ben Clark
L’idea avrebbe potuto fare presa su Custer ma, invece, con il possibile aiuto dello stesso Clark, concepì un ardito stratagemma. Custer progettò di ingannare prima gli avversari, assumendo una posizione difensiva; poi, con la copertura delle tenebre, sganciarsi dal contatto con il nemico e portare il reggimento fuori pericolo. Egli pensava che, se avesse minacciato un attacco contro i villaggi più a valle, i guerrieri si sarebbero ritirati dalle loro posizioni, che attualmente circondavano il reggimento, per correre a difendere le case e le famiglie. Fece richiamare le compagnie disperse e, con tutta la pompa e lo sfarzo di cui le truppe potevano disporre, le stesse furono organizzate in una grande colonna che fronteggiava le posizioni ad est.
Subito dopo le 16 il reggimento si mosse con bandiere e gagliardetti al vento, mentre la banda suonava a tutto spiano. La colonna attraversò il fiume Washita approdando sulla riva nord e poi si incamminò verso valle in direzione degli altri villaggi. Custer ricordava: «…gli Indiani sulle colline rimanevano spettatori silenziosi, evidentemente incapaci inizialmente di comprendere le nostre intenzioni, con quell’assetto a quell’ora della sera…» Custer aveva posto pattuglie distaccate davanti e dietro per assicurare protezione alla colonna. Egli intendeva anche risolvere il mistero della scomparsa di Elliot e diede istruzioni alle unità più esterne di cercare tracce del distaccamento scomparso. All’inizio i guerrieri che stavano tutt’attorno lanciavano contro le unità ai fianchi della colonna ripetuti finti attacchi, ma non facevano nessun serio tentativo di impedire l’avanzata. Potrebbe anche essere stata la presenza di 53 fra donne e bambini in ostaggio che camminavano in mezzo ai soldati a scoraggiare i guerrieri dall’aprire il fuoco contro la colonna militare. In ogni caso, l’azione di disturbo dei guerrieri impedì alle pattuglie di cercare verso sud in maniera bastante a trovare il luogo dell’ultima battaglia di Elliot. In breve tempo, il determinato spostamento di Custer verso est inquietò gli Indiani. Essi temevano che i soldati avessero progettato di attaccare i loro villaggi e molti si ritirarono per proteggere le loro famiglie. Custer continuò la finta marcia per diverse miglia verso valle e poi, con la copertura delle tenebre, invertì il senso della marcia.


Mappa 36

Ritornò al sito del villaggio distrutto di Black Kettle e da quel momento si mosse in direzione nord per incontrare il treno di carri che egli sapeva muoversi verso sud dal fiume Canadian. Qualche guerriero incrociò il cammino di Custer e volle continuare a infastidire la colonna. Ma lo stratagemma aveva funzionato magnificamente. Gli occupanti dei villaggi a valle avevano fatto rapidamente i bagagli ed erano fuggiti. Era troppo tardi per i rimanenti pochi guerrieri richiamare i combattenti che accompagnavano l’esodo dei villaggi fuori della valle del Washita.

Mappa 37. Ritirata per la salvezza

«La colonna marciava fieramente davanti al generale Sheridan, che, quando gli ufficiali che gli passavano davanti lo salutavano, ricambiava la loro cortesia formale sollevando con grazia il cappello e con uno sguardo di compiacimento degli occhi, che dimostrava la sua approvazione in un linguaggio ben più potente rispetto a quel che avrebbero potuto fare delle parole ben studiate.»
– Tenente Edward Mathey.
Le truppe marciarono per tutta la notte e si fermarono per un breve riposo alle 2 del mattino dopo. Custer mandò il battaglione di West, senza farlo riposare, a cercare il treno dei carri per dargli appoggio. All’ alba del 28 novembre, il reggimento di Custer era di nuovo in movimento e agganciò i carri alle 10 circa. Dopo una breve sosta, le truppe proseguirono verso nord e poco dopo mezzogiorno attraversarono il Canadian e posero il campo a Hackberry Creek. Non erano stati avvistati Indiani e Custer permise agli uomini di piantare le tende, dissellare i cavalli ormai stanchi e cucinare il pasto. Nell’accampamento Custer discusse con i suoi ufficiali del combattimento, poi mandò California Joe Milner e Jack Corbin a Camp Supply con un suo rapporto sulla battaglia. Il 29 novembre la colonna marciò per altre 22 miglia seguendo il Boggy Creek fino alla confluenza col Wolf Creek e si accampò a meno di dieci miglia da Camp Supply. Il giorno dopo, Custer predispose le truppe con abbigliamento da parata e marciò a Camp Supply, davanti a Sheridan che passava in rivista la colonna. Questa aveva in testa le guide Osage, seguite dagli scouts bianchi con gli Indiani prigionieri. Poi veniva la banda reggimentale, che suonava “Garry Owen”. Seguiva la banda il resto del reggimento, con in testa i tiratori scelti di Cooke. Gli ufficiali salutavano formalmente Sheridan con le sciabole passandogli davanti in rivista. Il generale ricambiava il saluto sollevando il cappello.
Dopo la parata, Sheridan e il suo comando intervistarono ciascun ufficiale del 7° Reggimento, per avere una dettagliata conoscenza della battaglia. Sheridan era interessato in particolare ad ogni notizia riguardante i Cheyenne nelle recenti incursioni in Kansas, delle quali non c’era ancora effettivamente una conferma diretta. Un argomento difficile probabilmente fu la falsa affermazione di Custer di aver salvato due ragazzi bianchi. Sfortunatamente l’informazione era già stata trasmessa a Sheridan e presto sarebbe comparsa sui giornali. Custer e Sheridan non corressero mai ufficialmente la falsa notizia; invece passarono sotto silenzio l’esistenza dei due bambini negli altri rapporti inviati successivamente. Sheridan era anche preoccupato profondamente dal destino del maggiore Elliott e del suo distaccamento. In privato accusò Custer di aver abbandonato il campo senza aver risolto il mistero. Era chiaro comunque ai più che la decisione di ritirarsi era basata su solide ragioni militari. Ciò nonostante la questione si sviluppò rapidamente in un’assillante controversia, che intaccò la reputazione delle doti di comando di Custer e contribuì grandemente al clima di divisione che prendeva corpo all’interno del reggimento.
Per Black Kettle e il suo popolo la battaglia del Washita fu tragica e infausta. Come uomo di pace, egli aveva influenzato la maggioranza del suo popolo perché si evitasse il confronto, ma qualcuno dei suoi giovani ribelli aveva partecipato alle recenti incursioni e, inavvertitamente, aveva condotto l’esercito al villaggio.


Mappa 37

La politica di Sheridan di ritenere tutti i Cheyenne responsabili delle azioni di pochi di loro aveva un costo, perché Thomas Murphy, dell’Ufficio Affari Indiani, compiangeva «uno dei migliori e più sinceri amici che i bianchi abbiano mai avuto tra gli Indiani delle Pianure.» La stampa ben presto paragonò la battaglia del Washita al brutale massacro di Chivington a Sand Creek. Tuttavia Sherman e Sheridan difesero vigorosamente l’operato di Custer e continuarono a sviluppare i loro piani per continuare la campagna.

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