Le guerre Cheyenne – 3
A cura di Pietro Costantini
Tutte le puntate dell’articolo: 1, 2, 3.
La Guerra di Sheridan – Mappa 16. Sheridan prende il comando
«Allo scoppio delle ostilità io avevo in tutto…una forza di truppe regolari ammontante a circa 2,600 uomini – 1.200 a cavallo e 1.400 di fanteria – Con queste poche truppe bisognava presidiare tutte le postazioni dello Smoky Hill e dell’Arkansas, scortare le carovane degli emigranti e proteggere gli insediamenti, le vie di comunicazione e i gruppi impegnati nella costruzione della ferrovia Kansas – Pacific. Poi, ancora, queste stesse truppe dovevano fornire piccole colonne mobili sul campo, sempre pronte all’azione. Si può agevolmente arguire che ogni uomo disponibile risultava occupato dalla metà di agosto fino a novembre; specialmente in questo lasso di tempo gli ostili attaccarono oltre 40 postazioni disperse in lungo e in largo, in quasi tutti i casi rubando cavalli, incendiando abitazioni e uccidendo coloni.»
— Maggiore Generale Phillip H. Sheridan
Sfortunatamente il Trattato di Medicine Lodge non aveva portato la pace nelle Pianure Meridionali. L’intento del trattato era stato quello di convertire i Cheyenne e le altre tribù nomadi alla vita sedentaria dei coltivatori. Invece questi popoli orgogliosi non avevano intenzione di cedere le loro terre o cambiare il loro modo di vivere senza combattere. Molti capi Cheyenne rifiutarono di controfirmare il trattato e continuarono a spostarsi all’interno dei loro territori tradizionali tra i fiumi Platte e Arkansas. Anche quei leaders che riconoscevano l’inutilità di resistere al governo degli Stati Uniti non avevano l’autorità per costringere il loro popolo a sottomettersi. Black Kettle e altri difensori della pace spostarono le loro bande a sud del fiume Arkansas. Tuttavia molti dei loro giovani si opponevano strenuamente alla vita in riserva e frequentemente si univano ai loro fratelli del nord per razziare gli insediamenti bianchi nel Kansas.
Le incursioni complicavano i rapporti di relazione fra le due culture e rendevano difficile distinguere tra le bande Cheyenne che desideravano la pace e quelle che effettuavano e appoggiavano i raids. Nei mesi di agosto e ottobre guerrieri appartenenti a bande dei territori sia a nord che a sud del fiume Arkansas attaccarono ripetutamente il Kansas centrale e occidentale. Si lanciavano contro fattorie e centri di allevamento, stazioni di posta e viaggiatori sulle piste degli emigranti. I predoni sottrassero centinaia di capi di bestiame e muli e uccisero 79 coloni. Il maggiore generale Philip H. Sheridan rimpiazzò Hancock come nuovo comandante del dipartimento del Missouri. I suoi amici, con riferimento alla sua bassa statura, si riferivano a lui come a “Little Phil”. Però non c’era niente di piccolo nella sua reputazione. Come Hancock, egli era un eroe della Guerra Civile Americana, con la reputazione di comandante brillante e di combattente determinato. Egli reagì in modo rapido alle nuove incursioni nel Kansas e adottò la politica della punizione che deve seguire al crimine. Tuttavia, con nella testa il fallimento di Hancock e di Custer del 1867, era riluttante a muovere un’altra spedizione su larga scala contro i guerrieri delle Pianure, rapidi ed elusivi. Gli mancavano anche le risorse per allestire una campagna di maggior peso contro gli Indiani.
Ciò nonostante, era sua responsabilità proteggere la strada di Smoky Hill e la pista di Santa Fe, assicurare la sicurezza dei lavoratori della ferrovia Kansas – Pacific e proteggere gli insediamenti del Kansas. In più, era contro la sua natura rimanere passivo sulla difensiva senza rispondere a quello che definiva “il lavoro del demonio” dei “diavoli rossi.”
Mappa 17. La spedizione di Sully
«Sembrava che gli Indiani pensassero di averci battuto e che ogni giorno dovessero ricevere dei rinforzi. Diventavano ogni giorno più arditi, e quando divenivano troppo numerosi e audaci, il colonnello Sully spuntava lentamente dalla sua ambulanza e veniva regolarmente aiutato a salire a cavallo. Poi si guardava in giro e qualche volta ordinava l’effettuazione di una carica. Questo stato di cose continuò giorno per giorno per qualche tempo, poi finalmente gli Indiani cominciarono a sparire. Non so perché, a meno che non pensassero che noi non volessimo sprecare più munizioni.»
– Soldato Anthony C. Rally, 1° Compagnia del 7° Cavalleria.
Nei mesi di agosto e settembre 1868 Sheridan operò diverse limitate azioni offensive per provvedere misure di protezione per le piste degli emigranti, le ferrovie e gli insediamenti del Kansas. Il tenente colonnello del 3° Fanteria e comandante del distretto dell’Arkansas superiore, Alfed Sully, che aveva il grado onorario di Brigadiere Generale, fu il primo a scendere in campo. Per l’operazione Sully raccolse circa 500 uomini. L’obiettivo della spedizione erano i villaggi Cheyenne e Arapaho che si pensava si trovassero lungo il fiume Cimarron.
Sheridan pensava che un movimento di truppe nel Territorio Indiano avrebbe allontanato gli Indiani ostili dagli insediamenti del Kansas, per proteggere il loro stesso popolo. Sully aveva una reputazione ben meritata come buon soldato ed esperto combattente contro gli Indiani. Egli aveva condotto una campagna molto positiva contro i Sioux nel 1863 e aveva sconfitto in maniera decisiva i Santee Sioux nella battaglia di Killdeer Mountain del 1864. Tuttavia il quarantottenne Sully guidò la campagna del 1867 da un’ambulanza. Egli non esibì nessuno dei suoi marchi di aggressività e non riuscì mai a minacciare gli accampamenti ostili sul fiume North Canadian. Le sue nove compagnie del 7° Cavalleria, una compagnia del 3° Fanteria, un obice da montagna e 30 carri di rifornimenti partirono il 7 settembre da Fort Dodge. Il primo giorno la colonna marciò per 30 miglia e si accampò per la notte in una diramazione del Crooked Creek. Il giorno dopo i soldati si diressero a sud e nel tardo pomeriggio scoprirono tracce di Indiani. Continuarono l’inseguimento nei due giorni seguenti e il 10 settembre raggiunsero il fiume Cimarron. Quel giorno e il giorno successivo bande di guerra Cheyenne e Arapaho impegnarono i soldati parecchi piccoli scontri. Il 12 settembre la colonna di Sully si diresse al fiume Beaver e lì ebbe uno scontro più importante con gli Indiani. Il giorno 13 guerrieri ostili impegnarono la colonna per tutto il giorno. Il 14 settembre un esausto Sully pose il bivacco alla confluenza tra il Wolf Creek e il Beaver. Qui riesaminò la situazione e decise che i villaggi Cheyenne e Arapaho erano stati, senza dubbio, messi in guardia del suo avvicinamento. Concluse che non sarebbe riuscito a sopraffarli e decise di tornare a Fort Dodge per rifornimenti.
Il 15 settembre marciò a nord. Il maggiore Joel Elliott sulla spedizione scrisse a un amico: «Io avevo l’onore di comandare la cavalleria di quella spedizione e, se allora fossimo riusciti a combattere, dopo per noi le Guerre Indiane sarebbero state un grande gioco.»
Mappa 18. Le guide di Forsyth
«Io ero determinato a trovare e attaccare gli Indiani, senza badare alle probabilità che c’erano contro di noi. Se non li avessimo sconfitti, avremmo potuto mostrare loro che il governo non permetteva che essi dovessero restare impuniti solo per una mancanza di energia del dare loro la caccia. Io pensavo che con 51 uomini, anche se non avessimo potuto sconfiggerli, loro non avrebbero potuto annientarci. E in più ci si aspettava che le truppe avrebbero combattuto gli Indiani e io intendevo farlo.»
– Maggiore George A. Forsyth
La sorpresa
Nello stesso tempo in cui Sully era impegnato nella campagna a sud di Fort Dodge, Sheridan conduceva un’altra campagna nel Kansas occidentale. Diede disposizioni al maggiore George A. Forsyth di reclutare una compagnia di scout indipendenti «da impiegare come guide contro gli Indiani ostili.» Forsyth arruolò «50 resistenti uomini di frontiera di prima classe» presso i forti del Kansas (30 da Fort Harker e 20 da Fort Hays). Ufficialmente, le guide erano impiegati del quartier generale. Come tali, essi erano pagati un dollaro al giorno più 35 cents di sussidio quotidiano per il mantenimento dei loro cavalli. Molti erano veterani della Guerra Civile ed esperti delle Pianure. Forsyth e il suo comandante in seconda, tenente Frederick H. Beecher, insistettero perché ogni uomo scelto avesse capacità di tiratore al di sopra della media. L’unità era equipaggiata in modo tale da consentirle rapidità di movimento. Ciascun uomo aveva un fucile a ripetizione Spencer e una pistola tipo Colt dell’esercito, con 140 cartucce da fucile e 30 rounds of pistol ammunition. In più la compagnia degli scouts aveva una piccola carovana di quattro muli che trasportavano 4.000 cartucce, rifornimenti medici e alcune razioni extra. I muli trasportavano anche picconi e pale per eventuali scavi alla ricerca di acqua nei torrenti in secca, comuni nella regione. Le pale si sarebbero in seguito dimostrate utili nel predisporre le posizioni difensive a Beecher Island.
Il 29 agosto 1868 l’unità partì da Fort Hays e si diresse ad ovest. L’obiettivo erano le tribù ostili che frequentemente compivano azioni di disturbo contro gli operai della Ferrovia Kansas Pacific e razziavano le proprietà terriere nel Kansas. Le truppe arrivarono a Fort Wallace il 5 settembre. Lungo il percorso avevano trovato molte tracce di attività da parte degli Indiani, ma non ne avevano visto. Dopo qualche giorno Forsyth ricevette notizia, dal vicino insediamento di Sheridan, nel Kansas, di un’incursione indiana contro una carovana che aveva provocato la morte di molti guidatori dei carri. Le guide si diressero verso Sheridan, trovarono le tracce degli assalitori e si posero immediatamente all’inseguimento. Le tracce portavano al fiume Republican. Forsyth continuò a seguire quella pista che diventava sempre più ampia, finché divenne evidente che era segno di un numero significativo di Indiani.
Egli era a corto di rifornimenti e qualcuno fra gli uomini cominciava ad essere preoccupato del numero di guerrieri che si sarebbe trovato a fronteggiare. Ciò nonostante Forsyth era determinato a continuare l’inseguimento. Il 16 settembre 1868 le guide arrivarono alla biforcazione Arikaree del fiume Republican. Quel giorno Forsyth fermò la truppa a mezzogiorno circa, per far riposare gli uomini e i cavalli. Fecero il campo sulla rive del fiume che fronteggiava un’isoletta.
Quella notte il maggiore prese misure straordinarie per essere sicuro che i cavalli fossero ben custoditi e mise delle sentinelle addizionali. Egli credeva di essere vicino al villaggio degli ostili e intendeva spingerli a dare battaglia il giorno dopo. A sua insaputa, poche miglia ad ovest vi erano diversi grandi accampamenti di Arapaho, Cheyenne e Sioux. Gli Indiani avevano avvistato gli scouts ed anche loro aspettavano di dare battaglia il giorno dopo.
Mappa 19. La battaglia di Beecher Island
«Giovedì 17 settembre 1868 una dozzina di Indiani catturarono 7 dei nostri cavalli. Dieci minuti dopo fummo attaccati da circa 600 Indiani, che uccisero Beecher, Culver e Wilson, ferirono 19 uomini e uccisero tutti i cavalli. Noi eravamo senza né cibo né acqua e per tutto il giorno scavammo ripari nella sabbia con le mani. Il venerdì 18 settembre alla notte scavai ancora la mia trincea e tagliai pezzi di carne dai cavalli morti e la appesi ai cespugli. Gli Indiani effettuarono una carica all’alba, ma poi si ritirarono, continuando a tenerci sotto tiro per quasi tutto il giorno. Piovve tutta la notte. Sabato 19 gli Indiani tornarono e ci tennero in tensione sparando tutto il giorno. Due ragazzi dei nostri partirono per Fort Wallace. Piovve tutta la notte. Sabato 20 morì il Dott. Moore. Dapprima piovve per una parte del giorno, poi nevicò e la neve era spessa circa 1 pollice. Gli Indiani continuavano a sparare.»
– Diario della guida Sigmund Shlesinger (la traduzione è approssimativa, in quanto il testo è scritto in un inglese spesso non corretto e senza segni di punteggiatura).
Naso Romano conduce una carica a Beecher Island – dipinto di George Capps
Memori del massacro della gente di Black Kettle a Sand Creek nel 1864 e dell’incendio del villaggio a Pawnee Fork da parte di Hancock nel 1867, i Cheyenne non volevano permettere che i soldati si avvicinassero alle loro donne e ai bambini. Si radunò un grosso gruppo di guerra composto da centinaia di guerrieri Cheyenne, Sioux e Arapaho e attaccarono l’accampamento delle guide all’alba. Le guide avevano formato un perimetro difensivo su un’isoletta nel mezzo del fiume. Gli scout lavoravano a coppie, con un uomo che proteggeva l’altro mentre questi scavava una posizione difensiva. In quel primo giorno i guerrieri effettuarono parecchi attacchi in massa contro gli uomini di Forsyth. Ogni volta il volume di fuoco disciplinato da parte dei fucili a ripetizione Spencer delle guide respinse gli attaccanti. Il secondo giorno gli Indiani tentarono qualche attacco senza convinzione, ma poi si affidarono principalmente al tiro in distanza per impegnare le guide e inchiodarle nelle loro posizioni. Gli Indiani abbandonarono il loro obiettivo di annientare i soldati e lasciarono la zona il 21 settembre, avendo già posto al riparo le loro famiglie e acquisito tempo sufficiente per un loro tranquillo abbandono dell’area.
All’inizio del combattimento Forsyth aveva richiesto dei volontari che andassero in cerca di aiuti. Fortunatamente alcuni di questi riuscirono a raggiungere Fort Wallace, 85 miglia a sud, e il 25 settembre una spedizione di soccorso formata da uomini del 10° Cavalleria arrivò in aiuto dei disperati difensori. Forsyth e 15 delle sue guide rimasero feriti nello scontro, mentre sei dei suoi uomini, compreso il suo secondo, Beecher, e il chirurgo, John H. Moore, furono uccisi. Tutti i cavalli della truppa erano stati uccisi. Non sono certe le perdite degli Indiani. Forsyth stimò che il nemico avesse riportato 35 morti e un centinaio di feriti. Fonti indiane riconobbero successivamente solo nove morti: sei Cheyenne, due Sioux e un Arapaho. Tra le perdite era incluso l’eminente guerriero Cheyenne Naso Romano, caduto nel corso di una delle cariche in massa del primo giorno di combattimenti. Gli Indiani avevano ottenuto una vittoria a caro prezzo. Si era trattato di uno scontro relativamente piccolo, rispetto alle battaglie che sarebbero state poi sostenute dagli Indiani nelle Pianure. I Cheyenne e i loro alleati avrebbero raramente tentato ancora attacchi diretti contro un tiro ordinato e disciplinato. Questo rafforzava la convinzione dell’esercito che, nelle guerre indiane, i numeri contavano poco. L’esercito pensava che piccoli gruppi di soldati disciplinati potevano tenere testa a un grande numero di guerrieri che attaccavano in disordine.
Comunque, anche se i soldati erano riusciti a respingere gli attacchi in massa degli Indiani a Beecher Island, Sheridan non riteneva che lo scontro fosse stato una vittoria. Riconosceva che le sue guide erano sopravvissute a stento alla battaglia. Si convinse che la compagnia di scouts adoperata sperimentalmente come unità indipendente era stata un fallimento e fece progetti di usare forze più grandi per arrivare alla pace nelle Pianure Meridionali.
Mappa 20. Scaramucce a Beaver Creek
«A questo punto il coinvolgimento divenne di carattere generale. Gli Indiani, nella loro disposizione di combattimento aperta, si scagliavano di qua e di là, senza riguardo per un ordine disciplinato, sparando quando ne vedevano l’opportunità, appesi di lato ai loro cavalli.»
– Rapporto del Dipartimento del Missouri
Fino al tramonto le unità di Sheridan rimasero attive sul territorio per tenere gli insediamenti del Kansas al riparo da possibili scorrerie degli Indiani.
Guerrieri Cheyenne attaccano i Buffalo Soldiers del 10° Cavalleria
Il 7° Cavalleria, ancora una volta sotto la guida di Custer, pattugliava il territorio a sud del fiume Arkansas. Sully, Sheridan e Sherman avevano richiesto che a Custer fosse revocato l’anno di sospensione. Anche se l’esercito stava effettuando un attivo controllo, i guerrieri continuavano le razzie a nord del fiume Arkansas. Quindi Sheridan inviò altre unità ad operare in quelle zone. Colonne militari pattugliavano il Republican e in ottobre si scontrarono spesso con i Dog Soldiers di Toro Alto. Le due scaramucce più importanti avvennero a Beaver Creek: con 10° Cavalleria il 18 ottobre e il 5° Cavalleria il 25 e 26 ottobre.
Gli eventi che portarono ai due combattimenti cominciarono all’inizio di ottobre, quando il maggiore William Royall condusse una folta truppa del 5° Cavalleria a pattugliare il corso del Republican. Il maggiore Eugene Carr, nuovo comandante assegnato al 5° Cavalleria, era arrivato a Fort Wallace il 12 ottobre. Egli partì dal forte due giorni dopo per andare a congiungersi alle sue nuove truppe. La sua scorta consisteva di due compagnie del 10° Cavalleria. Il 18 ottobre gli Indiani attaccarono il piccolo gruppo di Carr mentre discendeva il Beaver Creek. Gli Indiani attaccanti sovrastavano numericamente di molto i soldati, così Carr stabilì un perimetro difensivo su di una piccola altura.
Per tutto il giorno gli Indiani punzecchiarono i soldati e non cessarono il combattimento finché non calò la sera. Carr ebbe due uomini feriti e riferì che gli Indiani ebbero 10 morti. Il soldati catturarono anche un Indiano ferito, che rivelò alla guida di Carr la posizione di un grande accampamento Cheyenne. Dopo lo scontro del 18 ottobre Carr tornò a Fort Wallace e subito dopo si unì al 5° Cavalleria.
Il 23 ottobre si diresse a nord con sette compagnie del 5° Cavalleria e la compagnia “scout” di Forsyth. Ora al comando del tenente Lewis Pepoon. Il suo obiettivo era il grande accampamento Cheyenne identificato dal prigioniero Cheyenne ferito. Il pomeriggio del 25 ottobre la colonna ebbe una scaramuccia con guerrieri Cheyenne e Sioux sul Beaver Creek. Circa 200 guerrieri impedirono l’avanzata dei soldati incendiando l’erba secca della prateria e sparando su di loro con tiri a lungo raggio. Il giorno dopo Carr continuò l’avanzata. Ancora i guerrieri cercarono di ostacolare i soldati. Carr diede ordine ad un battaglione di caricare e disperdere i guerrieri. Il battaglione inseguì gli Indiani in fuga per circa tre miglia. Gli Indiani contrattaccarono e Carr impegnò le guide di Pepoon nella battaglia. I Cheyenne erano stati colti nel momento di mantellare il campo e i guerrieri stavano conducendo azioni di disturbo allo scopo di prendere tempo, mentre le loro famiglie fuggivano. Carr continuò l’avanzata e trovò una gran quantità di oggetti abbandonati. Egli distrusse le provviste cadute in mano sua e continuò l’inseguimento per altri quattro giorni, ma poi perse le tracce. Nello scontro Carr aveva avuto quattro uomini feriti, mentre 10 erano i feriti fra gli Indiani; 70 i cavalli catturati.
Mentre l’armata di Sheridan continuava la campagna contro Arapaho, Cheyenne e Sioux, il colonnello William B. Hazen venne inviato a negoziare con le altre tribù delle Pianure Meridionali. L’obiettivo di Sheridan era convincere i Kiowa e i Comanche a rimanere in pace e non sostenere i Cheyenne nelle loro razzie contro gli insediamenti del Kansas. Hazen persuase alcuni capi, prima Kiowa e poi Comanche, a far spostare la loro gente nelle vicinanze della riserva di Fort Cobb, lontano dalla zona di guerra.
Mappa 21. La campagna invernale di Sheridan
«Avendo compreso che la sottomissione degli Indiani sarebbe stato un compito difficile, mi proposi di limitare le operazioni militari durante le stagioni del pascolo e della caccia, in modo da proteggere la gente dei nuovi insediamenti e le piste di pianura e poi, all’arrivo dell’inverno, assalire gli Indiani senza tregua, perché in quella stagione i loro cavalli sarebbero stati più magri e indeboliti dalla fame; con il freddo e la neve, senza forti cavalli per il trasporto dei villaggi e delle masserizie, i loro movimenti sarebbero stati così impacciati che le truppe avrebbero potuto sopraffarli.»
– Maggiore generale Philip H. Sheridan.
La statua di Philip H. Sheridan a Washington
Prima del mese di novembre, tutte le azioni di Sheridan erano state poco più che atti difensivi esercitati per contenere i razziatori. Egli capiva il vantaggio che avevano gli Indiani sull’esercito in primavera, estate e autunno. I guerrieri potevano colpire dove e quando volevano e poi disperdersi al primo segnale di pericolo. Egli pensava che le colonne dell’esercito, che dipendevano da cavalli alimentati con cereali, non potevano competere con la resistenza dei ponies indiani che si nutrivano dell’erba della prateria. Per cui si propose di portare guerra agli Indiani con un’audace campagna invernale e pianificò di mettere in pratica una tecnica di guerra totale, con la quale individuare i villaggi indiani e distruggerli. Sheridan aveva pensato che, se i rifornimenti, i cavalli e i rifugi degli Indiani avessero potuto essere distrutti o catturati, i Nativi sarebbero stati alla mercé dell’esercito e degli elementi naturali, per cui non avrebbero avuto altra risorsa che la resa. Intendeva colpire gli accampamenti indiani che pensava si trovassero a sud del fiume Canadian. Non intendeva ripetere gli errori di Hancock della guerra del 1867, in cui gli Indiani erano riusciti ad evitare facilmente il contatto con la singola colonna di Custer che li stava inseguendo.
La strategia di Sherman prevedeva, invece, di impiegare tre colonne convergenti. Perciò, anche se una colonna in avanzamento non avesse trovato gli Indiani ostili, avrebbe contribuito a spingerla in bocca all’altra colonna. Carr conduceva una colonna da Fort Lyon, nel Colorado. Le sue truppe consistevano nel suo 5° Cavalleria, quattro compagnie del 10° Cavalleria e una compagnia del 7° Cavalleria; in tutto, circa 650 uomini. La sua missione era di muovere verso le sorgenti del Fiume Rosso. Il maggiore Andrew Evans conduceva la seconda colonna, proveniente da Fort Bascom, New Mexico. Aveva 563 uomini: sei compagnie del 3° Cavalleria, due compagnie del 37° Fanteria e quattro obici da montagna. Sheridan gli aveva comandato di spingersi ad est lungo il fiume South Canadian. La terza colonna, la più consistente, era quella di Fort Dodge, comandata da Sully. Consisteva di 11 compagnie del 7° Cavalleria e cinque compagnie di fanteria. Sheridan aveva programmato che il 19° Cavalleria dei Volontari del Kansas si unisse alla colonna nell’area interessata all’azione. Egli stesso avrebbe accompagnato la colonna di Fort Dodge. Nello stesso momento in cui Sheridan lanciava le sue colonne contro i Cheyenne, Black Kettle e il capo Arapaho Big Mouth si recavano a Fort Cobb per chiedere ad Hazen pace e protezione. Hazen riconosceva in Black Kettle un capo rispettato dei Cheyenne e un propugnatore di pace; ciò nonostante, c’era poco che Hazen potesse fare.
Guerrieri Cheyenne e Arapaho, alcuni dei quali appartenevano alle bande di Black Kettle e Big Mouth, continuavano a razziare nel Kansas. Di conseguenza l’esercito si considerava i guerra con tutti i Cheyenne e i loro alleati. Hazen disse ai capi che non potevano portare la loro gente a Fort Cobb a cercare protezione, ma li incoraggiò a parlare di pace con Sheridan. I capi, delusi, ritornarono ai loro accampamenti sul fiume Washita, sperando che la vastità delle Pianure Meridionali e le condizioni del tempo in inverno avrebbero protetto il loro popolo dall’esercito.