Virginia City e l’argento della Comstock Lode

A cura di Davide Castelli


Minatori di Virginia City
“Poco fa ho sentito chiaramente cinque spari giù in strada… li ho contati! Due miei amici sono stati feriti gravemente… nel giro di tre minuti sono morti entrambi. La pistola ha fatto il proprio sporco lavoro.”
Così Samuel Clemens descriveva la vita a Virginia City in una lettera indirizzata alla madre. Trasferitosi in città nel 1862 per lavorare come corrispondente presso il giornale locale Territorial Enterprise, un anno dopo, il 3 febbraio 1863, cominciò a firmare gli articoli con lo pseudonimo che lo renderà famoso: Mark Twain.
A parte aver dato i “natali” ad uno degli scrittori americani più in vista del XIX secolo, Virginia City fu anche il centro intorno al quale per decenni ruotarono le fortune, e le disgrazie, di migliaia di minatori. Nelle sue vicinanze, infatti, fu trovata la vena argentifera che farà la storia della città e dell’allora territorio dello Utah occidentale, la Comstock Lode.
Nel 1850 una carovana di emigranti mormoni, diretti in California verso il sogno di ricchezza promesso dalla Gold Rush, calcolò male i tempi di viaggio ed arrivò troppo presto per valicare la catena della Sierra Nevada, impraticabile per via delle nevi ancora sui passi. Si accamparono così nei pressi del fiume Carson, vicino all’attuale Dayton City.


I mormoni diretti in California

Decisi a non rimanere con le mani in mano nell’attesa della primavera, alcuni di loro iniziarono a campionare l’area e trovarono piccole quantità d’oro, ma convinti che ne avrebbero trovato in maggior quantità sul versante ovest della Sierra, la valicarono all’arrivo della bella stagione e proseguirono la loro ricerca in quella direzione.
Nonostante l’abbandono iniziale da parte dei mormoni, le prospezioni continuarono pigramente con scarsi risultati fino alla primavera del 1859, quando due cercatori, Peter O’Riley e Patrick McLaughlin, si imbatterono in un nuovo deposito sempre nella stessa zona, e più precisamente all’inizio del Six Mile Canyon, poche miglia a sud-est di quella che diventerà Virginia City.
Ma la storia dell’uomo e della frontiera americana è colma di opportunisti e approfittatori. Appena venuto a sapere della scoperta, un altro prospettore di nome Henry Tompkins Paige Comstock la reclamò perché, a parer suo, avvenuta su di un terreno di sua proprietà adibito al pascolo di bestiame. I due cercatori gli credettero, facendo entrare nella storia il nome Comstock come il più grande giacimento argentifero mai rinvenuto sul continente nord-americano.
Esatto, argento… Benché inizialmente minatori, prospettori e avventurieri fossero arrivati in zona per approfondire le ricerche sull’oro, ciò che venne alla luce fu un’immensa vena d’argento. Gli scavi iniziali furono duri e difficoltosi in quanto la pesante argilla si attaccava a picconi e pale rallentando il lavoro. Molti cominciarono a domandarsi se ne valesse veramente la pena, fino a quando uno sconosciuto ebbe la brillante idea di far analizzare quel terreno faticosamente scavato e ne scoprì il valore: ben 2000 dollari alla tonnellata.


Argento!

Un bel gruzzolo a quei tempi. La notizia della scoperta si sparse a macchia d’olio in pochissimo tempo ed uno sgangherato agglomerato di tende e baracche vide la luce sul versante orientale della Sierra Nevada. Arrivarono da ogni parte del continente. Gli stessi cercatori e minatori che avevano dato vita alla corsa all’oro della California, poco più di dieci anni prima, ritornarono sui loro passi e valicarono ancora una volta la Sierra in una sorta di migrazione all’incontrario. Tra questi ci fu un personaggio dal nome Old Virginny, preso dal suo paese natio, che un bel giorno fece cadere la sua bottiglia di whiskey sul terreno di quell’accampamento improvvisato. Quel luogo venne così battezzò Old Virginny Town, che in seguito divenne Virginia City.
Nemmeno al presidente Lincoln sfuggì l’importanza che la città e il territorio stavano acquisendo. Avendo bisogno di argento e oro per pagare le spese sempre più consistenti della guerra civile,il 3 Marzo 1861 istituì il Territorio del Nevada staccandolo da quello dello Utah e il 31 Ottobre 1864 firmò il decreto per farlo divenire uno stato a tutti gli effetti, anche se sotto l’aspetto costituzionale non avrebbe potuto farlo in quanto la regione non ospitava abbastanza cittadini da poter diventare uno stato dell’Unione.
Dai suoi inizi stentati e poco fortunati, Virginia City nel 1862 contava già circa 4000 abitanti e continuò questa tendenza fino a raggiungere i 30.000 al picco della sua gloria nel 1876. Tedeschi, canadesi, scozzesi, irlandesi, italiani e cinesi diedero vita a quel melting pot tipico dei campi minerari del west americano.


Virginia City

Ricchezza e benessere confluirono in città sotto forma di lussuose tenute, vestiti europei alla moda, cibo raffinato, suppellettili signorili per le case e molto altro ancora. Come ci si potrebbe aspettare nemmeno i divertimenti mancarono: ben 150 saloon e il classico quartiere a luci rosse, il tutto vigilato da cinque distretti di polizia e da dieci di vigili del fuoco. Rappresentazioni portate in scena da compagnie teatrali inglesi ed americane animavano le serate nelle 20 sale da ballo e teatri sparsi per le vie della città, il più famoso dei quali, il Piper’s Opera House, è un teatro tutt’oggi ancora attivo. Virginia City fu anche una delle poche città di frontiera ad avere una propria rete elettrica, del gas ed una idrica.
Con l’incremento dell’attività estrattiva e della città stessa si rese necessario anche lo sviluppo di un’adeguata rete viaria per ottimizzare i trasporti.


Comstock Lode

Inizialmente merci, prodotti, persone e minerale estratto venivano movimentati su carri trainati da 10/16 cavalli o muli. Le miniere lungo tutta la vena però non potevano più sostenere gli alti costi di trasporto e alcune di esse, quelle meno remunerative, dovettero chiudere. Fu così che nel febbraio del 1869 William Sharon e William Ralston diedero inizio ai lavori per la costruzione di una linea ferroviaria che prese il nome di Virginia and Truckee Railroad, tredici miglia di curve e tornanti che portavano il minerale grezzo verso gli impianti di lavorazione più a valle, sulle rive del fiume Carson. L’ovest del Nevada si stava civilizzando e Virginia City diventò il centro più importante di quel distretto minerario che comprendeva anche Gold Hill e Silver City, entrambe poco più a sud.
Inevitabilmente la vena andò ad esaurirsi e dal 1877 in poi Virginia City declinò sempre più, fino ad arrivare a contare poco più di duemila abitanti all’inizio del nuovo secolo. Dal 1859 al 1919 le sue colline diedero alla luce minerale prezioso per un controvalore di 700 milioni di dollari, una vera fortuna che però solo pochi riuscirono a capitalizzare e molti invece la sfiorarono appena, come l’uomo che diede il nome a quel fortunato giacimento.


Comstock Silver Mines

Per ironia della sorte, Henry Tompkins Paige Comstock non ne vide nemmeno un centesimo. Dopo aver reclamato il terreno come proprio, non fu in grado di reperire i fondi necessari per approfondire le scoperte e, non essendo particolarmente convinto delle dimensioni della vena, se ne liberò e si trasferì prima nell’Oregon sempre in cerca di giacimenti metalliferi e successivamente nel Montana. Lì, depresso e senza più un dollaro, si suicidò 27 settembre 1870.

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