La guerra di Mariposa
A cura di Federico Boggio Merlo
La notevole pressione dovuta all’aumento della popolazione della California per via della corsa all’oro del 1849 fu immediatamente percepita dagli indiani che popolavano le montagne e le colline della Sierra Nevada, e gli Yosemite, i Chowchilla e i Nootchu furono tra le numerose tribù di nativi americani che opposero una strenua resistenza all’occupazione delle loro terre da parte dei bianchi.
Il conflitto che ne derivò venne chiamato in seguito Guerra di Mariposa, e può essere suddiviso in tre fasi: la prima vide gli indiani attaccare i minatori bianchi, che furono obbligati a costituire una forza di polizia formata da cittadini; la seconda portò alla creazione del Mariposa Battalion (Battaglione di Mariposa) e all’arrivo dei commissari indiani federali; mentre l’ultima fase vide la stesura dei trattati di pace, che furono sottoscritti dalle varie tribù e sotto tribù. Le prime schermaglie avvennero a maggio del 1850, e l’ultimo colpo fu sparato nel giugno del 1851.
L’inizio del conflitto vide coinvolto soprattutto un uomo, James D. Savage. Savage, che era stato uno dei primi bianchi a insediarsi nell’area dello Yosemite, durante la guerra fu al comando della milizia locale, chiamata Mariposa Battalion.
Il “Mariposa Battalion”
Nato nel 1817, Savage era uno dei sei figli di Peter e Doritha Savage, originari della Morgan County, in Illinois. All’età di 16 anni James Savage si trasferì con la famiglia a Princeton, nella Morgan County, sempre in Illinois. Sebbene non avesse ricevuto un’istruzione scolastica adeguata, Savage era un giovane brillante, e non ci mise molto a imparare il tedesco e l’olandese, le due lingue prevalentemente parlate nella zona di Princeton. In quel periodo piaceva molto a tutti, e per dirla con le parole di Sarah Seton Porter, una vicina di casa, Savage era “una persona educata, piacevole e interessante”. Successivamente Savage si sposò e si traferì a Peru, in Illinois, dove nacque sua figlia. Nell’aprile del 1846 Savage, la sua famiglia e suo fratello Morgan decisero di migrare in California e raggiunsero Independence, in Missouri, dove si unirono alla spedizione verso la California organizzata dall’ex governatore del Missouri Liburn Boggs. Durante il viaggio, purtroppo, la moglie e la figlia di Savage morirono. Il viaggio verso ovest durò sei mesi, e la spedizione arrivò infine in California verso la fine di ottobre del 1846.
La spedizione di Boggs raggiunse Sutter’s Fort il 28 ottobre 1846, quattro mesi dopo l’inizio della rivolta dei Bear Flag (una ribellione di breve durata di un piccolo gruppo di coloni californiani contro il governo messicano), e Savage si unì immediatamente agli insorti nel Frémont’s Battalion (Battaglione di Frémont).
I documenti del tempo sottolineano come, durante questo conflitto, Savage si dimostrasse tutt’altro che un soldato modello. Fortunatamente per lui, la guerra terminò dopo poco tempo con la firma del Cahuenga Peace Treaty (Trattato di pace di Cahuenga) il 13 gennaio 1847, e nell’aprile dello stesso anno Frémont sciolse il battaglione. A quel punto Savage si spostò nella San Joaquin Valley, dove iniziò a vivere con gli indiani Tulareno.
La capacità di Savage di apprendere velocemente nuove lingue lo aiutò a guadagnarsi il rispetto dei Tulareno. Gli indiani scoprirono in breve tempo che Savage era molto comprensivo nei loro confronti e che si comportava come un vero amico. Dopo alcuni mesi, Savage sposò diverse figlie di capi tribù locali, allo scopo di consolidare i legami di amicizia con i pellerossa. Gli indiani iniziarono a chiamarlo El Rey Huero (il Re Biondo), ma in breve tempo Savage fece loro capire che avrebbero dovuto chiamarlo El Rey Huero (il Re dei Tulareno). Per gli indiani i suoi desideri erano veri e propri ordini, e così i suoi amici divennero suoi sudditi. Savage iniziò a guidare i Tulareno in battaglie contro le tribù e le sotto tribù confinanti riportando diverse vittorie, il che contribuì ad accrescere non poco la sua influenza sugli indiani.
Dopo la scoperta dell’oro, ma prima della grande corsa del 1849, Savage convinse circa 500 indiani a lavorare per lui a Wood’s Crossing sul Tuolumne River, nella grande Oak Flat. Diede agli indiani il compito di svolgere il duro lavoro nelle miniere d’oro, ricompensandoli con coperte, perline, whiskey e altri oggetti di scambio. Grazie ai suoi commerci e alle miniere, Savage ebbe l’opportunità di accumulare un notevole capitale, e verso la fine del 1849 fondò una stazione commerciale sul Merced River, sole 25 miglia a valle della Yosemite Valley. In risposta a questo sconfinamento nelle loro terre native, gli indiani Yosemite iniziarono a essere ostili nei confronti di Savage. Gli Yosemite (chiamati così dai primi coloni bianchi della zona) si erano nuovamente stanziati nella regione dopo un’assenza di alcuni anni. Avevano lasciato la Yosemite Valley trasferendosi nella regione del Mono Lake nel 1833, in seguito a un’epidemia di malaria che aveva colpito la maggior parte delle popolazioni indiane della California centrale.
Il loro reinsediamento fu in gran parte opera di Tenieya, il figlio di un capo tribù, che aveva scelto 200 indiani tra i Mono, i Paiute e gli Yosemite per ripopolare la zona. Questa tribù si chiamava Ahwanheechee ed era suddivisa in due gruppi; la parola “Yosemite” deriva dal termine Ahwanheechee “Uzumati”, il nome con cui veniva identificato il più grande dei due gruppi.
Uno dei primi bianchi
Nel maggio del 1850 gli Yosemite attaccarono la stazione commerciale di Savage sul Merced River. Savage, con l’aiuto dei suoi mercenari nativi, riuscì a respingere l’assalto e si lanciò all’inseguimento, ma, quando il gruppo giunse nelle vicinanze della Yosemite Valley, gli indiani al seguito di Savage gli chiesero di non procedere oltre, perché la valle era un luogo perfetto per un’imboscata.
Savage fu d’accordo con loro, e il gruppo fece ritorno alla stazione commerciale. Poco tempo dopo, temendo un altro attacco da parte degli Yosemite, Savage abbandonò il Merced River e stabilì una nuova stazione commerciale vicino ad Agua Fria, sul Mariposa Creek. Aprì anche una filiale (gestita da un tale chiamato Greely) sul Fresno River, cinque miglia a monte di Coarse Gold Gulch.
Nell’autunno del 1850, una delle mogli indiane di Savage riferì di avere saputo che gli indiani della regione si stavano organizzando allo scopo di scacciare i bianchi dai loro territori. A capo di questa alleanza delle tribù di nativi americani c’era sempre Tenieya, degli Yosemite. Nel tentativo di evitare un altro attacco dannoso per i suoi commerci, Savage condusse Jose Suarez, il capo dei Tulareno, a San Francisco, affinché si rendesse conto di persona della portata della dominazione della California da parte dei bianchi. Savage fece vedere a capo Juarez il grande numero di navi, cannoni e soldati, per non parlare della numerosa popolazione di bianchi presente in città. Pare che capo Juarez fosse ubriaco per tutto il viaggio; a un certo punto, nel corso di una discussione sul suo stato di ubriachezza, Savage finì per colpire capo Juarez diverse volte, umiliandolo profondamente. La spedizione di Savage lasciò infine la città, dopo essersi trattenuta a San Francisco in occasione delle celebrazioni per l’ingresso della California negli Stati Uniti, il 29 ottobre 1850, con festeggiamenti che videro la città testimone di una baldoria senza precedenti.
Sulla via del ritorno Savage fece sosta a Quartsburg, dove fu informato che tra gli indiani della regione c’erano inquietudine e malcontento. In particolare una delle tribù, quella dei Kahweah, esigeva il ‘pagamento di una tassa’ da parte dei migranti che attraversavano il suo territorio. C’era stato anche l’omicidio di un bianco, attribuito agli indiani che risiedevano vicino alla stazione commerciale di Savage sul Mariposa Creek. Avendo sentito alcune voci che sostenevano che gli indiani si stavano ammassando dalle parti del suo agente sul Fresno Creek, Greely, Savage lo informò che, sebbene da una parte gli indiani sembrassero tranquilli, dall’altra aveva notato alcune attività per loro insolite, come quella di avere perso interesse nel commercio dell’oro. Considerando questi sviluppi come un segno inequivocabile di imminenti problemi, Savage invitò numerosi indiani alla stazione commerciale con lo scopo di interrogarli.
James D. Savage
Dopo avere detto di essere al corrente dei loro piani di scacciare i bianchi dai loro territori, Savage pregò gli indiani di non dare seguito a questi propositi, sostenendo che i bianchi erano troppo numerosi e che la guerra sarebbe stata per gli indiani un suicidio. Chiese inoltre a capo Juarez, presente anche lui alla riunione, di avvalorare le sue parole fornendo un resoconto di ciò di cui egli stesso era stato testimone a San Francisco. Capo Suarez, ancora offeso per quando era accaduto durante il suo soggiorno a San Francisco, iniziò il suo discorso così:
“Molte delle cose che Nostro Fratello ha detto ai suoi amici indiani sono vere; abbiamo visto tantissime persone di pelle bianca; gli uomini bianchi sono molto numerosi, ma sono uomini bianchi di tribù diverse, non appartengono alla tribù che scava l’oro sulle montagne. Non aiuteranno i cercatori d’oro se gli indiani muoveranno guerra contro di loro”.
Sentendo queste parole, Savage capì immediatamente che il viaggio a San Francisco era stato un fallimento. Capo Suarez aveva capito che i bianchi che vivevano nel “grande villaggio” non avrebbero aiutato i minatori, perché essi erano interessati soltanto all’oro che i minatori portavano in città, e non al loro benessere. Il capo indiano proseguì il suo discorso affermando che:
“…le tribù dei bianchi non faranno la guerra contro gli indiani delle montagne. Non possono trasportare le loro grandi navi e i loro cannoni fin qui; non abbiamo ragione di temerli: non ci faranno alcun male”.
Capo Juarez continuò a parlare perorando la guerra contro i bianchi che vivevano ai piedi delle montagne. Savage tentò di confutare quanto il capo aveva detto, e chiese nuovamente agli indiani di non scatenare una guerra, ma un altro capo tribù, Jose Rey dei Chowchilla, appoggiò la mozione di guerra e confermò la partecipazione del suo popolo al conflitto. Non essendo riuscito a persuadere i nativi a non combattere contro i bianchi, Savage fece ritorno alla sua stazione commerciale sul Mariposa Creek e iniziò a reclutare una piccola forza di minatori preparandosi alle ostilità.
Il governatore Peter H. Burnett, che era stato messo al corrente dei dissidi tra i minatori e gli indiani, incaricò un agente indiano, il colonnello Adam Johnston, di saperne di più e di tentare di risolvere i problemi esistenti tra le due parti. La sera del 17 dicembre 1850 il colonnello Johnston, che aveva raggiunto Savage, notò che quasi tutti gli indiani che vivevano solitamente nei pressi della stazione commerciale sul Mariposa Creek se ne erano andati via improvvisamente.
La mappa degli eventi – clicca per INGRANDIRE
Sia lui che Savage interpretarono questo fatto come un segno di grossi problemi in arrivo, e pertanto Savage e il colonnello Johnston partirono con 16 uomini per cercare di localizzare gli indiani. L’intenzione di Savage era quella di raggiungere il gruppo di fuggitivi prima che questi avessero la possibilità di unirsi a un’altra banda di indiani. Dopo avere seguito le loro tracce per 30 miglia, Savage e Johnston raggiunsero infine gli indiani all’alba del giorno successivo. L’uno di fronte all’altro sulla sommità di due alture vicine, Savage e capo Baptiste, che guidava la banda di nativi, iniziarono a parlarsi. Il colonnello Johnston riportò la loro conversazione nel rapporto che fece al governatore:
“Questa conversazione dalla cima di due colline tra il signor Savage e il capo indiano ebbe inizio e durò per qualche tempo, e capo Baptiste disse a Savage che erano stati loro a uccidere gli uomini sul Fresno e a saccheggiare il campo. Savage tentò di convincere gli indiani a fare ritorno al loro accampamento, e sottolineò il fatto che gli indiani non erano mai stati grandi lavoratori per quanto riguardava l’estrazione dell’oro. Capo Baptiste replicò dicendo che “si trattava di un lavoro estremamente duro, e che loro potevano comunque avere l’oro molto più facilmente rubandolo ai bianchi”. Una volta fallito qualsiasi tentativo di indurre gli indiani a ritirarsi, Savage e i suoi uomini se ne andarono. Mentre stavano partendo, altri 200 nativi si unirono agli indiani sulla collina”.
Savage e la scorta giunsero alla stazione commerciale sul Mariposa Creek la sera del 19 dicembre, e al loro arrivo ebbero conferma dei tragici eventi accaduti alla stazione commerciale sul Fresno River. Il giorno seguente, il colonnello Johnston guidò un gruppo di 40 volontari fino al Fresno per rendersi conto personalmente della situazione e seppellire i cadaveri. Il colonnello descrisse la stazione come “una scena terribile di crudeltà selvaggia”. Tre uomini erano morti e tutte le merci erano state rubate; tutto ciò che gli indiani non avevano potuto portare via era stato bruciato.
A questo punto James Burney, lo sceriffo di Mariposa, organizzò una spedizione punitiva contro gli indiani. Il gruppo, costituito da 75 uomini, elesse lo sceriffo come “Maggiore” e J. W. Riley ed E. Skeane rispettivamente come primo e secondo luogotenente. La spedizione lasciò Mariposa il 7 gennaio 1851, con Savage come guida. Alle due di notte dell’11 gennaio vennero localizzati circa 400 indiani accampati a circa 50 miglia da Agua Fria, vicino all’odierna Oakhurst. L’accampamento si trovava sul fianco di una montagna, a circa tre quarti dalla cima. Gli uomini di Burney procedettero con estrema cautela in direzione del campo, avvicinandosi fino a una distanza di poco più di 100 metri. Arrivato a quel punto, Burney fece fermare i suoi uomini, in attesa dell’alba per sferrare l’attacco. Sebbene la maggior parte degli indiani stesse dormendo, nell’accampamento c’era comunque un minimo di movimento, e in effetti uno degli indiani ancora svegli si accorse dell’arrivo dei bianchi e diede l’allarme: mancava ancora un’ora all’alba quando la battaglia ebbe inizio.
Il combattimento durò tre ore e mezzo. Iniziò quando la compagnia di Burney caricò il villaggio “facendo scappare gli indiani, ma il nemico continuava a rispondere, non soltanto con il lancio di frecce, ma anche con armi da fuoco. Numerosi bianchi rimasero feriti, e, poiché molti uomini furono impegnati nel prendersi cura di essi (forse in modo troppo imprudente), gli indiani ne approfittarono riuscendo infine a riconquistare il ranchero…”.
Dopo essere stato costretto ad abbandonare l’accampamento, Burney radunò nuovamente i suoi uomini e ordino una seconda carica contro gli indiani. L’attaccò ebbe successo e i nativi furono costretti a trovare riparo dietro un gruppo di rocce, una buona posizione da dove potevano battere il campo aperto con un fuoco molto nutrito. Il fuoco degli indiani da dietro le rocce provocò disordine tra le fila dei bianchi, ma Burney riuscì a raggruppare di nuovo i suoi uomini per un’ultima carica, che obbligò gli indiani ad abbandonare i loro ripari e a fuggire disordinatamente nel chaparral retrostante.
Mentre gli indiani erano costretti ad abbandonare le loro posizione difensive tra le rocce, Burney aveva ordinato ad alcuni suoi uomini di approntare delle barelle in modo da poter trasportare i feriti in una posizione più sicura: sei bianchi erano stati colpiti in modo grave, due di essi mortalmente.
Indiani Yosemite
Gli indiani uccisi durante lo scontro furono approssimativamente 40, di cui 26 nei pressi dell’accampamento. Dopo avere dato alle fiamme il ranchero, le forze di Burney iniziarono a ritirasi con ordine, nonostante fossero pesantemente disturbate dal fuoco di alcuni cecchini indiani. Burney dovette allontanarsi di quattro miglia dal campo prima di poter trovare un punto soddisfacente per una sosta. Fece costruire “una fortificazione spartana, ma efficace” e lasciò 36 uomini sul posto per sorvegliare i rifornimenti rimasti, curare i feriti e seppellire i morti, mentre il resto del contingente fece ritorno a Mariposa per trovare rinforzi, approvvigionarsi e organizzare una campagna su più ampia scala.
Una volta rientrato a Mariposa, Burney inviò una richiesta urgente di aiuto al nuovo governatore della California, John McDougal. Va detto, comunque, che Burney non fu il primo a richiedere l’intervento del governo su questa questione. Prima di lui il colonnello Johnston, che era arrivato nella capitale dello stato, San Jose, all’inizio di gennaio, aveva già chiesto aiuti sia allo stato della California sia al governo federale. La sua richiesta inviata al generale Percifer F. Smith, comandante della Divisione del Pacifico dell’Esercito degli Stati Uniti, fu respinta, mentre l’altra sua richiesta allo stato della California venne accettata con grande riluttanza dall’ufficio dell’allora governatore John Burnett. Il 9 gennaio 1851 il governatore Burnett diede le dimissioni dall’incarico, e al suo posto si insediò John McDougal, il quale riteneva che lo stato dovesse utilizzare la forza militare per risolvere definitivamente i problemi con gli indiani.
Nella sua lettera al governatore, datata 13 gennaio, Burney chiedeva assistenza sotto forma di uomini, armi e approvvigionamenti. Se il contingente militare fosse stato equipaggiato in modo consono, Burney era certo di poter obbligare gli indiani ad arrendersi “in un tempo molto breve”. La lettera dello sceriffo era avvalorata da una petizione separata, inviata al governatore e sottoscritta da 73 cittadini di Mariposa. Nel momento in cui queste richieste raggiunsero McDougal, comunque, egli aveva già preso i provvedimenti del caso, basandosi sulle informazioni che il colonnello Johnston aveva fornito a John Burnett, il governatore precedente. Il 13 gennaio il governatore McDougal conferì a Burney l’incarico di formare una milizia costituita da 100 volontari; inoltre, in una lettera inviata alla legislatura dello stato, affermò che un’emergenza di tale rilievo non poteva attendere le delibere del governo federale. Il governatore era certo che il governo federale avrebbe “sostanzialmente concesso mezzi maggiori di quelli disponibili ora per punire gli aggressori in modo più efficace”. In seguito alle due richieste provenienti da Mariposa, il 24 gennaio il governatore aumentò la forza della milizia con altri 200 volontari.
Mentre i cittadini di Mariposa rimanevano in attesa degli aiuti federali e dello stato, la campagna contro gli indiani continuava. Savage e Burney reclutarono una forza di 164 uomini, tra minatori e coloni, per coadiuvare e/o sostituire il personale del forte e organizzare una spedizione punitiva. Per quanto riguardava il comando, Burney affidò al “Capitano” John Boling le forze che avrebbero operato a nord, mentre egli stesso guidò la campagna nel sud, che lo condusse fino a Four Creeks, nei dintorni di Visalia, e lo tenne impegnato lontano da Mariposa fino al 3 febbraio.
Indian Camp Yosemite 1873
Il contingente di Boling ammontava a circa 100 uomini, i quali, con l’aiuto delle ottime capacità di Savage come guida, procedettero nella ricerca di accampamenti indiani. Il 17 gennaio Savage scoprì un villaggio di approssimativamente 500 indiani appartenenti alle tribù Chowchilla, Chookchancie, Nootchu, Honahchee, Potoencie, Kahwah e Yosemite. Le tribù si erano raggruppate sotto il comando dei capi Jose Rey e Jose Juarez, dei Chowchilla. Dal momento che l’avvistamento del ranchero indiano avvenne nel tardo pomeriggio, Boling decise di attendere fino al giorno successivo, e all’alba del mattino seguente ordinò l’attacco. Uno dei suoi ufficiali, Kuykendall, caricò il ranchero al comando di 31 uomini e incendiò i ripari degli indiani con tizzoni presi dai fuochi dell’accampamento. Un altro ufficiale di Boling, Chandler, guidò un altro attacco, e i nativi furono scacciati dal loro villaggio senza che i bianchi subissero alcuna perdita. Spinto dal vento, l’incendio dell’accampamento iniziò a estendersi in direzione del campo dei bianchi, e pertanto, per evitare che il campo venisse distrutto dalle fiamme, venne ordinata la ritirata. Protetti dal fumo dell’incendio, quasi tutti gli indiani riuscirono a scappare, lasciando però sul campo 24 morti, tra cui capo Jose Rey.
Al suo rientro ad Agua Fria, Boling dichiarò di avere riportato una vittoria, nonostante la sua prematura ritirata dovuta all’incendio.
In previsione di probabili difficoltà con gli indiani della California, alla fine del 1850 il governo federale inviò a San Francisco tre commissari indiani governativi per studiare il problema e individuare le azioni politiche da perseguire per cercare di risolverlo. In un rapporto del 14 gennaio 1851, i commissari incaricati sostenevano che il governo dello stato era favorevole all’utilizzo delle armi per quanto riguardava gli affari indiani, e chiedevano con urgenza al governatore McDougal di trovare una soluzione pacifica. Il 25 gennaio 1851 il governatore McDougal inviò un suo collaboratore, il colonnello J. Neely Johnson, a incontrare i tre commissari (i colonnelli Redrick Mckee e George W. Barbour, e il dottor O. W. Wozencraft), i quali avevano visitato recentemente San Jose con l’obiettivo di comprendere una volta per tutte quale fosse la risposta dello stato alle violenze perpetrate sulla catena montuosa della Sierra Nevada. Quando venne loro notificato dal colonnello Johnson che il governatore aveva autorizzato un totale di 200 volontari a riscuotere una tassa dagli indiani e che il governo federale avrebbe sovvenzionato questa spedizione, i commissari decisero di proseguire fino alla zona di Mariposa con la speranza di poter evitare una guerra. Durante questa missione i commissari ricevettero una scorta di 10 ufficiali dell’esercito degli Stati Uniti con 106 uomini, al comando del capitano E.D. Keyes, del 3° Artiglieria. La spedizione lasciò San Francisco il 7 febbraio e viaggiò su un battello fluviale fino a Stockton, dove arrivò il 9 febbraio. Una volta raggiunta Stockton, il colonnello Johnson, che era giunto con le forze federali, nominò John G. Marvis quartiermastro del contingente e si recò con i commissari sui territori interessati dal conflitto.
In fuga dal conflitto
Il Mariposa Battalion (come venne chiamato il contingente militare autorizzato dallo stato) venne radunato a mezzogiorno del 12 febbraio. A Savage fu dato il grado di maggiore grazie alle sua abilità di esploratore, sebbene non fosse la prima scelta del battaglione. Prima di lui, infatti, era stato scelto Burney, ma lo sceriffo rifiutò l’incarico a causa delle responsabilità che aveva a Mariposa. Il battaglione, la cui base era situata a due miglia e mezzo dalla città di Mariposa, vicino alla stazione commerciale di Savage di Agua Fria, era suddiviso in tre compagnie: la Compagnia A, di 70 uomini, comandata a John J. Kuykendall; la Compagnia B, di 72 uomini, al comando di John Boling; e la Compagnia C, costituita da 55 uomini e sotto il comando di William Dill. Tra gli altri ufficiali, figuravano M.B. Lewis come aiutante maggiore, A. Brunson come chirurgo e Vincent Hailor con le funzioni di guida.
Il colonnello Johnson raggiunse la base del battaglione il 13 febbraio, e il 15 febbraio parlò alle truppe. Nel suo discorso, Johnson illustrò i tre obiettivi della campagna: il primo era che al battaglione era stato affidato “il dovere di sottomettere queste tribù indiane, dal momento che non era stato trovato alcun altro modo per indurle a firmare trattati”; il secondo prevedeva che “gli ufficiali avrebbero fatto rapporto ai commissari”; e il terzo, allo stesso modo, prevedeva che “a partire da quel momento gli ordini e le istruzioni sarebbero stati impartiti da loro [i commissari]”. Il colonnello Johnson continuò ricordando alle truppe che in fondo erano loro che stavano invadendo i territori dei nativi, e che perciò si sarebbe dovuta avere un po’ di comprensione nei confronti degli indiani. Quando i commissari si incontrarono con il maggiore Savage, il 19 febbraio, il comando del battaglione venne assunto dagli ufficiali federali.
Una volta che i commissari ebbero raggiunto la zona e stabilito un campo sul Mariposa Creek iniziarono il lento processo della presa di contatti con le varie tribù e sotto tribù delle montagne. Alla fine, i diversi gruppi di nativi iniziarono a radunarsi nel sito della riserva che era stato loro assegnato, sul San Joaquin River, e l’11 aprile i commissari spostarono la propria base proprio in questo sito, in modo da poter trattare con gli indiani in modo più diretto. Il primo incontro di pace si svolse il 9 marzo; come risultato, i gruppi sotto tribali dei Mercede e dei Potawachta furono i primi ad accettare i termini proposti dal governo. Il trattato più rilevante, però, quello che vide coinvolto il maggior numero di indiani, venne firmato il 29 marzo, e garantiva aiuti sostanziali nel creare comunità basate sull’agricoltura, l’istituzione di alcune riserve situate nella fertile San Joaquin Valley e i diritti di caccia e raccolta nelle terre native tradizionali degli indiani. Tra le 16 tribù e sotto tribù che firmarono il trattato figuravano quella dei Pohonochee e quella dei Nookchoo, oltre ad alcune sotto tribù dei Chowchilla. Il trattato dava inoltre agli Yosemite e ad altri pellerossa la possibilità di partecipare al programma previsto dal trattato stesso nel momento in cui avessero raggiunto la riserva.
Un attacco indiano
Nei giorni in cui si svolgevano i colloqui, i capitani Dill e Boling, che erano andati alla ricerca di pascoli migliori per i cavalli, spostarono le loro rispettive compagnie a Lewis’ Ranch, tre miglia più a sud rispetto al campo principale. Questa decisione, purtroppo, non si rivelò fortunata, perché il 16 marzo la Compagnia A ebbe una prima scaramuccia con gli indiani a Fine Gold Gulch, e sebbene, a quanto venne riportato, i nativi coinvolti alla fine si arresero, questo scontro rallentò il processo di allontanamento dei pellerossa dalle loro terre. Impaziente, il maggiore Savage richiese al governatore di inviare nuovi ordini per porre fine allo stallo delle trattative tra gli indiani e il battaglione, ma prima che ricevesse una risposta i commissari gli diedero il permesso di dare il via a una grossa campagna contro le tribù che non avevano ancora firmato alcun trattato. Il 20 marzo, pertanto, il Mariposa Battalion lasciò la sua base iniziando una campagna militare contro i Chowchilla, i Nootchu e gli Yosemite. Nonostante il tempo pessimo, il maggiore Savage marciò con le compagnie B e C fino alla zona di Wawona, dove venne stabilito il campo base da cui comandare le operazioni. Il capitano Kuykendall fu inviato con la Compagnia A a radunare i Chowchilla che si erano rifiutati di entrare nella riserva, e il 24 marzo le compagnie B e C raggiunsero un villaggio indiano nella zona di Wawona. I pellerossa, non avendo altra scelta, si arresero immediatamente, e il maggiore Savage iniziò a organizzare il loro trasferimento nella riserva. Contemporaneamente, inviò anche alcune staffette indiane verso altri villaggi della regione e al capo degli Yosemite, Tenieya, affinché gli spiegassero bene l’offerta che il trattato garantiva.
Il giorno seguente capo Tenieya arrivò al campo dei bianchi per discutere il trattato e, non avendo praticamente altra scelta se non quella di accettarne i termini, dichiarò che la sua tribù era in viaggio per Wawona e che sarebbe arrivata presto. Dopo tre giorni di vana attesa, il maggiore Savage decise di andare lui stesso in cerca degli indiani, e a mezzogiorno del 27 marzo partì al comando di una spedizione di cui facevano parte i capitani Boling e Dill, 57 volontari e anche capo Tenieya. Procedendo a basse altitudini per evitare la neve alta, la spedizione coprì circa metà del percorso verso la Yosemite Valley prima di incontrare 72 indiani Yosemite, per la maggior parte donne e bambini. Savage chiese a capo Tenieya dove si trovasse il resto della sua tribù, e il capo rispose che gli uomini erano fuggiti per unirsi ad altri gruppi di pellerossa nella zona del Mono Lake. Il maggiore, non soddisfatto della risposta, decise di inviare i 72 nativi a Wawona e di continuare la ricerca degli indiani. Più tardi lo stesso giorno il distaccamento raggiunse il limitare della Yosemite Valley, e il giorno seguente, inoltrandosi nella valle, venne avvistato il fumo di alcuni accampamenti indiani. Il dottor Lafayette H. Bunnell, un membro della spedizione, riporta: “C’erano di nuovo prove che le capanne erano state abbandonate da poco tempo, e che erano state abitate fino a quella mattina, ma nonostante ricerche approfondite non fu trovato alcun indiano”.
I luogotenenti Gilbert e Chandler furono inviati a esplorare le valli laterali, ma il loro compito era difficoltoso e non poté essere portato a termine in un solo giorno. Insoddisfatti dei risultati delle loro ricerche (trovarono soltanto una donna anziana), il 29 marzo i due luogotenenti si diressero nuovamente verso il campo di Wawona. Intanto il battaglione stava iniziando a esaurire i rifornimenti, e così venne presa la decisione di procedere il più velocemente possibile verso la riserva indiana con i prigionieri. Il maggiore Savage, vedendo che la colonna avanzava lentamente a causa del passo tenuto dai nativi, decise di lasciare il capitano Boling e una piccola retroguardia con gli indiani e di procedere in fretta con il resto della spedizione in modo da potersi rifornire. La notte del 1° aprile 250 indiani, tra cui capo Tenieya, riuscirono a sfuggire alla guardia di Boling, e tutti gli sforzi compiuti per catturarli risultarono vani.
Durante l’esplorazione della regione degli indiani Yosemite, alcuni membri della spedizione diedero il nome ad alcune straordinarie formazioni geologiche, una delle quali era la valle stessa. Il dottor Burnell suggerì che la valle si sarebbe dovuta chiamare con il nome degli indiani che la popolavano: l’idea venne messa ai voti, e i membri del battaglione presenti concordarono che si sarebbe chiamata Yosemite.
La campagna del capitano Kuykendall lo condusse al King’s River, al Kahweah River e fino alla Tulare Valley. Arrivando al King’s River, i suoi esploratori scoprirono un villaggio Chowchilla molto esteso. Con una rapida marcia le truppe della Compagnia A raggiunsero il sito, e capirono che gli indiani “…intendevano darci battaglia. Noi caricammo immediatamente l’accampamento, facendo scappare e uccidendo diversi indiani, mentre altri furono catturati e fatti prigionieri. Inseguimmo i fuggitivi il più velocemente possibile, fino a quando dovemmo abbandonare i cavalli; gli indiani riuscirono a sfuggire all’inseguimento”.
Sebbene le truppe continuassero la caccia fino alle sorgenti del Kahweah River non riuscirono a rintracciare i fuggitivi, ma alcuni giorni più tardi una delegazione di Chowchilla arrivò al campo dei bianchi per trattare i termini della pace. L’offerta di pace venne accettata e iniziarono i preparativi per trasferire gli indiani nella riserva.
Il battaglione si raggruppò infine al completo al campo sul Mariposa Creek agli inizi di aprile. Il 14 aprile il maggiore Savage partì con tutto il battaglione, tranne una piccola parte della Compagnia A che rimaneva di stanza a Mariposa, e diede inizio a una grossa campagna contro i rimanenti Chowchilla. La spedizione attraversò Coarse Gold Gulch e il Fresno River, e proseguì verso valle fino alla South Fork (‘biforcazione sud’) del San Joaquin River.
Il Mariposa Battalion
Il primo accampamento importante del maggiore Savage fu stabilito nella Crane Valley. Da questo campo, le truppe partivano in ricognizione e stabilivano la condotta dell’avanzata. Sempre cercando gli indiani, il luogotenente Chandler e alcuni esploratori raggiunsero il Little San Joaquin River, dove scoprirono i resti di diversi fuochi accesi dai pellerossa. Dopo un discorso di incitamento del capitano Boling, il battaglione avanzò fino al luogo dove si trovava l’accampamento. Al loro arrivo, i bianchi scoprirono che gli indiani si erano ritirati sull’altra sponda del fiume e che, apparentemente, erano pronti a dare battaglia. Il giorno successivo, il 26 aprile, il battaglione attraversò il fiume per attaccare gli indiani, ma mentre i soldati guadavano il corso d’acqua gli indiani ebbero il tempo di disperdersi, lasciando dietro di sé soltanto i loro villaggi deserti. Fu dato l’ordine di bruciare i villaggi e di dare la caccia agli indiani, ma questi riuscirono a sfuggire con facilità agli inseguitori. Dopo quanto era accaduto, il 3 maggio le forze di Savage fecero ritorno al campo sul Mariposa Creek, dove venne organizzata un’altra spedizione contro gli Yosemite. La maggior parte delle truppe era costituita dalla Compagnia B del capitano Boling, coadiuvata dal luogotenente Gilbert con parte della Compagnia C e da elementi della Compagnia A a protezione del convoglio con gli approvvigionamenti. Gli altri membri del battaglione rimasero al quartier generale sul Mariposa Creek. Il 9 maggio, il capitano Boling e le sue forze di spedizione entrarono nella Yosemite Valley.
Le ricognizioni del luogotenente Chandler e dei suoi numerosi esploratori portarono soltanto alla scoperta di capanne vuote. Le truppe procedevano lentamente risalendo il lato meridionale della valle, e durante l’avanzata furono avvistati cinque indiani che attraversavano un prato sul lato settentrionale della valle. Al loro inseguimento, al di là del Merced River, venne inviato un distaccamento costituito da cinque uomini, mentre un altro gruppo risaliva il lato meridionale della valle nel tentativo di tagliare la via di fuga degli indiani. Alcuni messaggeri furono inviati al capitano Boling, nella retroguardia, e la compagnia si mise in marcia con la maggiore rapidità possibile per prendere parte alla caccia. Tre degli indiani furono raggiunti e fatti prigionieri: si trattava di tre dei figli di Tenieya. Altri esploratori localizzarono il resto della tribù, che si era rifugiata in uno dei canyon che attraversavano la valle, ma nonostante numerosi tentativi non riuscirono a raggiungere gli indiani, perché ogni volta che riuscivano ad avvicinarsi venivano respinti da una pioggia di massi che i pellerossa scagliavano su di loro dalle pareti del canyon.
Uno dei tre indiani catturati fu mandato come messaggero da capo Tenieya affinché gli spiegasse le condizioni di pace, e fu proprio in questo lasso di tempo che avvenne un fatto tragico. Gli altri due prigionieri cercarono di scappare, e nel tentativo di fuga uno di essi venne ucciso. In seguito, lo stesso Tenieya venne infine catturato dal luogotenente Chandler e dagli esploratori dopo una caccia selvaggia attraverso il Tenaya Canyon: “Fatta la sgradita scoperta, e rendendosi conto che anche la via della ritirata gli era stata preclusa, Ten-ie-ya iniziò a correre verso ovest lungo il pendio della montagna in direzione di Indian Canon, ma, constatando che anche da quella parte la via di fuga gli era stata tagliata dagli esploratori Noot-chu e Po-ho-no-chee, scese lungo il sentiero attraversando un’altura ricoperta di querce in direzione della valle, che nel frattempo Sadino aveva raggiunto, richiamato dal rumore dell’inseguirmento. Il luogotenente Chandler, che non aveva risalito il sentiero, sentendo le grida di aiuto di Sadino e il rumore sopra di lui, riuscì a raggiungere il posto proprio mentre Ten-ie-ya stava scendendo, al momento giusto per riuscire a catturarlo”.
Quando Tenieya, una volta arrivato al campo, vide il cadavere di suo figlio non riuscì a trattenere le lacrime e poi, dopo avere tentato di fuggire, implorò che gli sparassero. Il capitano Boling comprendeva molto bene i sentimenti del capo indiano, ma non soddisfò la sua richiesta e continuò a tenerlo prigioniero.
Un campo indiano
Dopo la cattura di capo Tenieya, Boling marciò con il suo contingente per 20 miglia fino a un lago (oggi chiamato Tenieya Lake), dove scoprì un villaggio di indiani Yosemite: questo fu l’ultimo atto della Guerra di Mariposa. I soldati scortarono i nativi alla riserva e quindi fecero ritorno alla loro base sul Mariposa Creek. Poiché a quel punto quasi tutti gli indiani della zona erano stati raggruppati e costretti a entrare nella riserva, il battaglione aveva perso la sua ragione di esistere. Il capitano Kuykendall fu giudicato da una corte marziale per non essersi comportato da ufficiale e avere disobbedito agli ordini: in effetti, Kuykendall si era dimostrato piuttosto refrattario alla disciplina militare e non aveva voluto marciare con determinazione contro indiani pacifici durante le campagne. Con il trascorrere del tempo, mantenere uniti i membri del battaglione diventava sempre più difficile. Il soldato Robert Ecclestone scrisse: “I ragazzi hanno un bisogno disperato di vestiti, coperte, tabacco, ecc., ma Sutler è da un po’ che non ha più nulla da vendere, [e non] porterà altri rifornimenti… Il clima è pesante, e molti dei ragazzi non vedono l’ora di essere congedati”.
Il 1° luglio il Mariposa Battallion venne sciolto. La Guerra di Mariposa era finita.
Se, da un lato, la parte militare della guerra era stata portata a compimento, dall’altro il suo obiettivo, quello di reinsediare gli indiani nella San Joaquin Valley, era soltanto all’inizio, in quanto i trattati che definivano le riserve – in particolare quello del 29 marzo 1851 – dovevano ancora essere ratificati dal Congresso degli Stati Uniti. Il presidente Millard Fillmore inviò i tre commissari in California, dove, tra il 19 marzo 1851 e il 7 gennaio 1852, ebbero incontri con 502 capi indiani, i quali firmarono un totale di 18 trattati, che stabilivano che le riserve avrebbero coperto un territorio di 8,5 milioni di acri.
Questi insediamenti incontrarono una notevole opposizione da parte del governo dello stato della California. Nel 1852 venne costituita una commissione allo scopo di esaminare i termini dei trattati. Nel suo rapporto alla legislatura dello stato, la commissione raccomandò che venisse notificato al Congresso che, se i trattati fossero stati ratificati, “avrebbero causato grossi problemi alla popolazione della California”.
Una forte opposizione ai trattati era anche evidente nella Camera dei Rappresentanti. Si riteneva, infatti, che i trattati avrebbero portato il governo a un indebitamento (assolutamente non necessario) di oltre mezzo milione di dollari, e che le terre destinate alle riserve erano troppo importanti per l’agricoltura per essere date agli indiani.
Questi fatti misero il presidente in una posizione molto scomoda: da una parte doveva comunque sostenere i trattati, poiché era stato lui a inviare i commissari in California, mentre dall’altra si rendeva conto che i trattati non avrebbero mai avuto il consenso del Congresso. Effettivamente, sebbene i trattati venissero sottoposti alla Camera nel febbraio del 1852 e al Senato a luglio dello stesso anno, non furono mai ratificati, e gli indiani coinvolti nella Guerra di Mariposa non ricevettero mai i benefici stabiliti dai trattati che avevano sottoscritto. Dopo essere stati bocciati dal Congresso i trattati vennero archiviati, e il loro contenuto non fu reso noto fino al 1905.
Tenaya Lake, dove vennero catturati gli ultimi guerrieri
La legge promulgata per compensare le spese sostenute dal Mariposa Battalion e dai cittadini di Mariposa andò incontro a problemi simili. La richiesta dello stato per le paghe del contingente militare venne sottoposta all’Assemblea il 7 marzo 1851, ma non fu approvata dal Senato, e un’altra mozione inviata al Congresso ottenne gli stessi risultati. Quando un’ulteriore richiesta riguardante i problemi con gli indiani venne finalmente approvata, il 30 aprile 1852, i fondi destinati erano sufficienti soltanto a mantenere un agente indiano permanente in California e a tenere buoni gli indiani fino a quando i trattati non fossero stati ratificati dal Congresso. L’ultimo atto del governo su questa questione fu una legge promulgata dal Congresso nell’agosto del 1854, che concedeva fondi limitati come risarcimento per i danni alle proprietà causati dalla guerra.
La sorte dei due maggiori protagonisti della Guerra di Mariposa, il maggiore Savage e capo Tenieya, non fu migliore di quella dei trattati: morirono entrambi nel 1853. La morte di Savage fu dovuta a un litigio. Dopo essere stato esonerato come comandante del battaglione, Savage riprese i suoi commerci, aprendo due nuove stazioni vicino alle riserve situate ai piedi delle montagne. Il 2 luglio 1852 nacque un conflitto con alcuni occupanti abusivi che erano entrati nella riserva del King’s River e, come risultato, numerosi indiani vennero massacrati da una piccola banda di bianchi comandata da Walter Harvey. Con lo scopo di pacificare gli indiani che vivevano vicino alle sue stazioni commerciali, Savage denunciò pubblicamente l’azione e inoltrò una richiesta affinché i commissari indiani del governo degli Stati Uniti aprissero un’inchiesta. Fu convocato un consiglio, che si sarebbe tenuto nel mese di agosto a Four Creeks. Durante il viaggio per partecipare al consiglio Savage incontrò Harvey, e tra i due nacque una accesa discussione durante la quale Havery chiese a Savage di ritrattare le sue affermazioni che condannavano l’azione dei bianchi. Per tutta risposta, Savage colpì Harvey, e nella lotta che ne seguì Harvey sparò a Savage quattro volte, uccidendolo all’istante. Harvey venne arrestato e processato, ma non fu dichiarato colpevole per il delitto che aveva commesso. Pare, infatti, che il magistrato incaricato di giudicare il caso dovesse il suo posto a Harvey, e che pertanto si fosse dimostrato clemente.
Per quanto riguarda capo Tenieya, invece, esistono più versioni circa la sua morte, e perciò risulta difficile stabilire con esattezza ciò che accadde veramente. Nel 1852 il governo decise di consentire a capo Tenieya e ad alcuni membri della sua tribù di ritornare nella Yosemite Valley. Nei primi tempi nessuno ebbe nulla da ridire sul fatto che agli indiani fosse stato permesso di lasciare la riserva che era stata loro assegnata, ma nel maggio del 1852 una spedizione costituita da otto prospettori minerari entrò nella valle. Il mattino del 3 maggio, cinque di questi uomini furono attaccati dagli indiani Yosemite, i quali avevano ritenuto che i bianchi, entrando nella valle, avessero invaso il loro territorio. I prospettori cercarono di raggiungere al più presto il loro campo base, ma prima di arrivarci almeno due di essi erano stati uccisi. Il gruppo fu costretto a fuggire dalla valle inseguito dagli indiani. Dopo avere viaggiato a piedi per cinque giorni la spedizione raggiunse infine Coarse Gold Gulch, dove venne costituito un gruppo di 25 volontari che ritornò nella valle per seppellire i morti. Fu questo avvenimento, e un altro simile accaduto vicino a Coarse Gold Gulch il 14 maggio, che spinse il governo ad autorizzare un’azione di rappresaglia.
Indiani catturati
Agli inizi di giugno, un distaccamento del 2° Fanteria della California al comando del luogotenente Tredwell Moore partì da Fort miller verso la San Joaquin Valley. Della spedizione facevano parte, oltre che truppe regolari, anche alcuni civili, che fungevano da guide ed esploratori. Guidati da un membro dell’ex Mariposa Battalion, A.A. Grey, il luogotenente Moore e i suoi uomini entrarono nella Yosemite Valley di notte e colsero di sorpresa gli indiani, catturando cinque membri della tribù. I pellerossa furono accusati di omicidio, e senza perdere tempo il luogotenente Moore li fece fucilare. Capo Tenieya e il resto della sua tribù fuggirono nella valle passando dal Mono Lake e dal Mono Pass, con i soldati che li inseguivano da vicino. Il distaccamento non catturò mai gli Yosemite, ma la spedizione portò comunque i suoi frutti, perché i soldati ebbero modo di esplorare a fondo la regione, scoprendo in particolare giacimenti di minerali nelle zone del Bloody Canyon e del Mono Lake. In agosto il contingente ritornò nella San Joaquin Valley attraversando Tuolumne Meadows e seguendo il Mono Trail, una pista che si snodava lungo la parte meridionale della Yosemite Valley.
La spedizione del luogotenente Moore raggiunse due obiettivi. In primo luogo contribuì a richiamare una attenzione maggiore sulla Yosemite Valley, di cui per la prima volta si parlò diffusamente sui giornali. Gli articoli pubblicati in precedenza descrivevano la valle semplicemente come una roccaforte degli indiani, mentre adesso aggiungevano nuovi dettagli, definendola “una valle fertile e meravigliosa”. Anche il resoconto del luogotenente Moore sull’incidente con gli indiani, che confutava le critiche sul modo in cui aveva trattato i cinque Yosemite, ebbe un’ampia diffusione che superò quella relativa alle bellezze naturali della valle e ai suoi giacimenti di minerali, ma alla fine furono queste ultime notizie a interessare maggiormente molti californiani, interessati a sfruttare le potenzialità economiche della zona. Diversi prospettori minerari, tra cui Lee Vining, iniziarono ben presto le loro indagini sulle possibilità di estrazioni minerarie sul versante orientale della sierra. In secondo luogo, la spedizione militare decise anche il modo definitivo in cui da allora in avanti si sarebbe scritta la parola “Yosemite” e diede il suo nome al Mono Lake.
Gli indiani Yosemite e il loro capo cercarono temporaneamente rifugio presso gli indiani Mono, e alla fine si stabilirono nuovamente nella Yosemite Valley. E’ dopo che essi lasciarono i Mono che la storia del destino di capo Tenieya diventa poco chiara. Nella versione del dottor Burnell, Tenieya ritornò nella Yosemite Valley con la sua tribù all’inizio dell’autunno del 1853. Poco dopo il loro trasferimento nella valle, alcuni giovani membri della tribù rubarono dei cavalli da un villaggio dei Mono, e capo Tenieya venne ucciso dai Mono nel corso di una rappresaglia. Un resoconto differente, invece, ci è fornito dallo storico Carl Russell, che ebbe modo di intervistare la nipote di capo Tenieya. Secondo quanto afferma la nipote, “Maria”, Tenieya e altri cinque Yosemite vennero uccisi al Mono Lake a colpi di pietre dagli indiani Mono, in seguito a un litigio sorto per via di alcuni “scherzi con le mani”. “Maria” riferisce anche che gli Yosemite non fecero ritorno nella Yosemite Valley prima della morte del loro capo. Una terza versione dei fatti, infine, è quella di due ex membri del Mariposa Battalion, James Roan e Reuben Chandler, che dopo la guerra continuarono a vivere nella regione. In due interviste separate, entrambi questi testimoni affermano che capo Tenieya morì in una riserva nella San Joaquin Valley. Di queste tre differenti versioni, probabilmente la più attendibile è quella di Russell, ma, non esistendo prove conclusive, è impossibile stabilire con certezza le cause della morte di Tenieya nel 1853.
Distribuzione di razioni nella riserva
La Guerra di Mariposa è importante per lo sviluppo della regione dello Yosemite per due ragioni. Prima di tutto, per avere portato all’attenzione della gente le caratteristiche della Yosemite Valley e della zona circostante, grazie ad articoli di giornale in cui venivano descritte l’unicità di questa regione e la sua potenzialità per quanto riguardava l’estrazione di minerali. Sebbene la scoperta dell’oro avesse richiamato numerosi bianchi nella zona, la realtà dei fatti dimostrò che la quantità di minerali presente nella valle era di molto inferiore alle aspettative, ma ciò nonostante i californiani rimasero affascinati dallo splendore dell’intera regione. Tutto questo non sarebbe stato possibile se la guerra non avesse raggiunto un secondo risultato, ancora più importante: il trasferimento degli indiani dalle loro terre native. Sebbene i commissari, con i loro sforzi, si dimostrassero bene intenzionati a compensare gli indiani in modo equo, non avevano l’autorità di fare del tutto come avrebbero desiderato. Alla fine gli indiani persero le loro terre e, in cambio, ricevettero relativamente poco. Il loro trasferimento nelle riserve, per quanto tragico, aprì la strada per l’insediamento dei bianchi nella regione dello Yosemite.