Il Territorio Indiano
Agli indiani nei loro territori bastava avere un’idea degli spazi di influenza, senza necessità alcuna di segnare sul terreno o su una mappa dei confini ben definiti. L’uomo bianco, invece, aveva bisogno di individuare con certezza gli spazi entro i quali esercitare la propria influenza o di cui vantare la proprietà privata. Anche in questo caso, dunque, il confronto tra due modi di vedere le cose e anche due modi di vivere creò attriti più o meno grandi. Questo a prescindere dal problema di fondo che l’avanzata dei coloni limitava sempre più i movimenti e le espressioni culturali dei Nativi.
La continua crescita della popolazione bianca e la sua inarrestabile espansione verso i territori del west alimentavano l’esigenza di definire gli spazi di reciproca influenza, anche allo scopo di ridurre le possibilità di conflitto.
Così negli anni ’20 del XIX secolo si pensò di istituire un’enorme zona di pertinenza delle tribù indiane, ad ovest del fiume Mississippi.
Erano aree selvagge difficili da raggiungere entro le quali sarebbe stata vietata categoricamente la presenza dei coloni, in maniera da preservare anche la cultura dei Nativi.
Su questa idea i colonizzatori trovarono rapidamente un accordo di massima che metteva in equilibrio chi tra loro già intuiva il bisogno di rispettare gli indiani e chi era interessato a parlare solo di nuove terre da destinare alla civiltà che avanzava.
Nel 1825 il Congresso degli Stati Uniti (presidenza Monroe) iniziò a discutere dell’individuazione degli spazi, ma fu solo nel 1830, durante la presidenza Johnson, che si parlò chiaramente di Territorio Indiano. Un atto del 1834 definì in modo preciso l’area e incaricò il Governo di trasferire le diverse tribù nell’immenso compreso tra il Red River e il Missouri e tra i confini di Arkansas, Missouri e Iowa, considerando sempre come confine occidentale degli Stati Uniti il 100° Meridiano.
Nel Territorio Indiano, attraverso processi che costarono sofferenze indicibili, furono fatte confluire numerose tribù tra quelle che per prime si trovarono sul cammino della colonizzazione, a prescindere dalle compatibilità tra loro e della tipologia dei territori di provenienza.
Mappa del Territorio Indiano nel 1836
Le tribù delle pianure orientali – Pawnee, Missouri, Iowa, Omaha, Oto – si trovarono a fianco di Miami, Potawatomi, Kickapoo, Ottawa, Shawnee, Sauk e Fox che provenivano dal nord-ovest. A sud del Territorio Indiano vennero destinate le cosiddette Cinque Tribù Civilizzate del sud-est.
Le tribù che da tempo si trovavano nelle pianure occidentali (Sioux, Cheyenne, Comanche, Arapaho) finirono per trovarsi troppo vicine ad altre con cui a volte lottarono lungamente.
Si trattava, a ben vedere, di una situazione studiata a tavolino per semplificare l’avanzata dei bianchi e spostare un grosso problema come quello dell’ingiustizia patita dai popoli nativi, ma che creava altrettanti problemi di quanti ne “spostava”. Inoltre, il continuo passaggio dei pionieri e dei coloni che avrebbe caratterizzato i decenni successivi alla nascita del Territorio Indiano, era un ulteriore elemento di disturbo. E i bianchi attraversarono il Territorio Indiano, a dispetto dei proclami iniziali, ad ondate successive lungo i sentieri di Santa Fe, dell’Oregon e dei Mormoni, diretti a ovest in cerca di terra o di oro e altri metalli preziosi.
Dal 1850 si iniziò anche a discutere della riduzione del Territorio Indiano; gli interessi in gioco erano enormi e in parte avrebbero ruotato intorno alla costruzione della ferrovia transcontinentale. Agli indiani del nord del Territorio Indiano vennero sottoposti alcuni trattati per convincerli a cedere la loro terra e perchè ciò accadesse vennero usate anche le armi della violenza e della pressione psicologica.
Pionieri nelle terre indiane
Dallo spostamento delle tribù più a nord vennero ricavati il Territorio del Kansas e quello del Nebraska. Quelle stesse terre furono poi concesse ai coloni con il provvedimento chiamato Homestead Act del 1862; in quell’occasione per diventare proprietari di appezzamenti di terra era sufficiente dimostrare di viverci da almeno 5 anni.
Ogni modifica veniva valorizzata come “definitiva” e sempre a vantaggio degli indiani che, in cambio della perdita delle terre o dello spostamento da una zona ad un’altra, sarebbero poi stati accuratamente difesi dall’esercito e dal “Grande Padre Bianco” di Washington.
Nel 1866, dopo la fine della Guerra Civile Americana, il Territorio Indiano subì un altro notevole ridimensionamento partendo da sud. A farne le spese furono le Cinque Tribù Civilizzate (che si erano schierate con la Confederazione) che vennero trasferite altrove.
Il peggio, però, arrivò durante gli anni ’80, quando le terre indiane vennero di fatto invase da nugoli di bianchi in cerca di una sistemazione. Erano i “boomers”, gente senza nulla da perdere che entrava nelle riserve del Territorio Indiano e con la prepotenza ne occupava spicchi con l’appoggio neanche tanto nascosto dei poteri politici e finanziari del tempo. I “boomers” erano talmente tanti che si dovette prendere atto del problema, risolvendolo con l’ennesimo colpo di mano ai danni delle tribù indiane.
Quel che restava del Territorio Indiano nel 1890
Era ormai il 1887 e il Governo americano emanò il Dawes Act, una legge che divideva le terre indiane in piccoli lotti da affidare ai capifamiglia, liberando vaste estensioni di terra “risultante eccedente dopo i frazionamenti” per la colonizzazione.
Nel 1889 furono ceduti ai bianchi ben 2 milioni di acri di terra con la “land run”, la corsa alla terra. Il Territorio dell’Oklahoma nacque proprio all’interno del perimetro di quelle terre.
Ulteriori manovre furono portate avanti contro le Cinque Tribù Civilizzate, riducendo ancora una volta la dimensione del Territorio Indiano, nonostante decenni di proclami e di garanzie offerti di volta in volta ai Nativi Americani.