“Hostiles”, malinconico addio al west

A cura di Domenico Rizzi

Vi è chi, come Quentin Tarantino, insiste su una visione del West che ricorda molto gli esperimenti italiani del genere e chi pensa di ridare fiato alla leggenda con discutibili riedizioni de “I magnifici sette” o brutte performance sul modello de “Il duello”, di Kieran Darcy-Smith. Vi sono anche registi che, pur valendosi di una rappresentazione cruda degli annali della Frontiera, sono riusciti a sfornare opere credibili, ancorchè di sapore marcatamente crepuscolare. Dopo “The Homesman”, diretto e interpretato da Tommy Lee Jones nel 2014, di cui si è già detto in un precedente articolo pubblicato su queste pagine, merita una segnalazione “Hostiles”, realizzato nel 2017 sotto la regia di Scott Cooper, che ne è anche il produttore insieme a Ken Kao e John Lesher.
Distribuito in Italia l’anno successivo è un film che la critica ha forse ingiustamente sottovalutato e il pubblico non ha eccessivamente gradito, se si considera la deludente resa commerciale, che pareggia a stento il budget impegnato.
Il titolo sembra alludere all’eterna conflittualità fra Bianchi e Indiani d’America, ma in realtà contiene riferimenti molto più ampi. La guerra non è semplicemente, come ha ripetuto il western fino alla nausea, fra Americani e nativi, bensì fra gli stessi guerrieri dalla pelle rossa – i Cheyenne e i Comanche – e infine fra i colonizzatori che hanno sottratto le terre ai loro antichi abitatori.
La trama, pur nella sua elementare schematicità, affronta molte situazioni che caratterizzarono la storia della Frontiera assai meglio delle ripetitive contrapposizioni fra pistoleri, sceriffi e cacciatori di taglie, colpevoli di avere trasmesso al pubblico di tutto il mondo una falsa immagine del West. La conquista delle selvagge regioni occidentali è infatti ricca di molteplici sfaccettature, in gran parte trascurate per fare posto a sfide, duelli e vendette.


Il poster del film

Il West di Scott Cooper – come quello già descritto dalla brava Kelly Reichardt in un paio di opere – è tutt’altra cosa e non perde di vista la realtà, fatta di ufficiali dell’esercito rancorosi e fondamentalmente razzisti; di donne comuni violentate dagli stessi Bianchi, che tuttavia conservano una verginità mentale capace di indirizzarle verso una nuova vita; di condottieri pellirosse minati da una malattia incurabile, che coltivano l’unica speranza di riposare per sempre nella lontana terra d’origine.
In sintesi: il capitano Joseph J. Blocker (Christian Bale) alla guida di un drappello di cavalleria, riceve l’incarico – raccomandato nientemeno che dal Dipartimento della Guerra di Washington – di scortare l’anziano e malato Falco Giallo (Wes Studi) e la sua famiglia nella Valle dell’Orso, nel Montana, dove vivevano i Cheyenne prima della loro deportazione in Oklahoma. L’epoca è il 1892, i conflitti con le tribù nomadi delle praterie sono cessati, a parte l’eccidio di Wounded Knee avvenuto un paio d’anni prima e qualche scaramuccia isolata con gruppi di irriducibili che male si adattano alla monotona esistenza nelle riserve governative. L’ufficiale, prossimo al congedo, si mostra riluttante alla richiesta del suo superiore, ribattendo: “Lei ha idea di chi sia quel figlio di puttana di Falco Giallo?” Il colonnello Abraham Biggs (Stephen Lang) non demorde: “E’ prigioniero ormai da sette anni. Una pena sufficiente” ma Blocker è altrettanto perentorio: “Non esistono pene sufficienti per quella gente…Io li odio. Ho migliaia di ragioni per odiarli.” Per convincerlo, Biggs gli rammenta: “E’ un ordine firmato dal presidente Benjamin Harrison…Sarà lei ad eseguirlo” aggiungendo che “quando un presidente chiama, un soldato risponde!” Alla fine, forse sono il senso del dovere e l’intenzione di concludere la propria carriera senza l’infamante accusa di insubordinazione a convincere il capitano ad accollarsi l’incarico.

Il suo drappello è formato dal tenente Rudy Kidder (Jesse Plemons) fresco dell’accademia di West Point e del tutto digiuno di combattimenti, dal primo sergente Thomas Metz (Rory Cochrane) dal caporale Henry Woodson (Jonathan Majors) e da pochi soldati, fra cui la giovane recluta francese Philippe Dejardine (Timothée Chalamet). Un esperto di storia militare americana riscontra facilmente un paio di errori: Woodson, che è un afro-americano, non potrebbe militare in un reparto di Bianchi, perchè all’epoca esistevano il 9° e 10° Cavalleria composti interamente di Neri, fatta eccezione per gli ufficiali. La seconda svista, questa volta del doppiaggio italiano, è dovuta all’insufficiente conoscenza delle gerarchie dell’esercito, perché il barbuto Metz non è un sergente maggiore, bensì un “primo sergente”, come attestano i gradi cuciti sulle sue maniche.
I “prigionieri” da scortare fino alla destinazione stabilita sono Falco Giallo (il grande attore Wes Studi, protagonista di diversi western) suo figlio Falco Nero (Adam Beach) con la moglie Donna Alce (Q’orianka Kilcher, la Pocahontas del film “The New World”, 2005) Donna Vivente (Tanaya Beatty) sorella del capo malato e Piccolo Orso (Xavier Horsechief) figlio di Falco Nero e Donna Alce.
Il percorso dei soldati è minacciato da una banda di Comanche che non ha abbandonato l’antica abitudine di saccheggiare insediamenti e affrontare Indiani nemici. Nell’assalto ad una fattoria, ne uccidono i componenti maschi – bambini inclusi – risparmiando soltanto la signora Rosalee Quaid (Rosamund Pike) che è riuscita a nascondersi. La donna, completamente fuori de sé per avere assistito allo scotennamento e all’uccisione del marito, viene soccorsa dai militari mentre porta in braccio un bimbo morto. Poiché persiste il pericolo dei Comanche, Falco Giallo offre al capitano Blocker il proprio aiuto, impugnando le armi contro i razziatori, che verranno sterminati al completo. In tal modo, l’anziano Cheyenne ha contribuito in maniera decisiva alla salvezza del distaccamento. Le sue donne, mosse a compassione dal miserevole stato in cui versa la vedova Rosalee, cercano di confortarla, mentre lei le guarda ancora con naturale diffidenza, trattandosi di squaw indiane.

Giunti a Fort Winslow, al distaccamento viene aggregato il sergente Charles Willis (Ben Foster) in catene perché in attesa di condanna da parte della corte marziale, avendo massacrato selvaggiamente un’intera famiglia. L’uomo, che in passato ha militato insieme a Blocker, supplica invano quest’ultimo di liberarlo in nome dell’antico cameratismo, quando entrambi perpetrarono delle stragi ai danni dei nativi. Quanto a Rosalee, pur potendo rimanere a Fort Winslow, ha deciso di proseguire il viaggio insieme al reparto di Blocker, non condividendo le idee della moglie del comandante del presidio, che perora la causa dei “poveri Pellirosse bistrattati e maltrattati” L’arcigno Blocker, che sta mettendo gradualmente da parte la sua caratteristica durezza, conquista a poco a poco anche la simpatia della donna, dopo essersi guadagnato il rispetto e la stima degli Indiani a lui affidati.
Durante una pausa del viaggio, il sergente Willis viene liberato dalle catene dall’incauto ed inesperto tenente Kidder, che paga con la vita il suo azzardo, ma sarà raggiunto e ucciso dal sergente Metz. Quest’ultimo, afflitto da una grave depressione derivante da molti sensi di colpa, viene ritrovato morto, appoggiato ad un tronco d’albero con un proiettile nella testa, vicino al cadavere di Willis da lui raggiunto e ucciso. Intanto il rapporto fra Blocker e Rosalee, che lo ha accolto nella propria tenda durante un diluvio, si fa più confidenziale ed intimo, facendo nascere un sentimento reciproco che l’ufficiale stenta ad ammettere con se stesso.
Eliminata la minaccia dei Comanche, se ne presenta tuttavia un’altra, costituita da tre cacciatori di pellicce che rapiscono le donne della comitiva – oltre a Rosalee, le due Indiane appartenenti alla famiglia di Falco Giallo – brutalizzandole e usando loro violenza sessuale. I militari, aiutati ancora una volta dal vecchio capo e dal figlio Falco Nero, liberano gli ostaggi femminili, sterminando i trapper senza pietà.
L’odissea del gruppo parrebbe conclusa quando giunge alla sospirata Valle dell’Orso, dove Falco Giallo, vinto dal cancro, può esalare l’ultimo respiro nella terra dei suoi avi, ma le difficoltà non sono ancora terminate, perché un allevatore, appoggiato dai suoi tre figli, intima di rimuovere la tomba dalla sua proprietà, nella quale non ammette che siano sepolti dei “luridi Indiani”. Il perentorio rifiuto di Blocker scatena inevitabilmente un conflitto a fuoco, alla fine del quale sono i mandriani ad avere la peggio. Rosalee apre il fuoco per prima con un fucile e il capitano elimina l’ultimo avversario dandogli il colpo di grazia mentre è agonizzante: non ha ucciso un Indiano, ma uno della sua stessa razza, un colonizzatore come quelli che per anni ha difeso dagli assalti dei nativi. Conclude così il suo viaggio ed anche la carriera militare. Quando accompagna Rosalee e Piccolo Orso, scampati alla sparatoria, ad una stazione ferroviaria del Montana, indossa abiti civili.

Un treno della Northern Railway diretto a Chicago attende la donna e il bambino, ma l’ex capitano Blocker si deciderà a salire sul’ultima vettura dopo che il convoglio si è già messo in moto. E’ un evidente addio al West, ai suoi conflitti e alle sue atrocità, nella speranza di iniziare un’esistenza normale in una grande città dell’Est.
“Hostiles” è un western crepuscolare, carico di significati e di miti infranti, come lo era il citato “The Homesman”. La dura vita dei pionieri, che emigrarono all’Ovest con tante speranze racchiuse in un carro coperto, si risolve con una sostanziale resa, perché il bel sogno si è dissolto nella tragedia. I militari come Blocker, che hanno svolto il loro servizio dando la caccia ai sanguinari guerrieri delle pianure e dei deserti – all’inizio del film, alcuni Apache ribelli vengono condotti a Fort Berringer, New Mexico, sotto scorta militare – si ritrovano improvvisamente, nelle regioni occidentali ormai pacificate, circondati da ostili, come recita appunto il titolo. I nemici non sono però soltanto le isolate bande di razzaitori indiani, bensì cacciatori nomadi che sfogano i loro selvaggi istinti su donne indifese e gli assegnatari di terre per concessione governativa. Siamo nel 1892 e negli Stati centro-settentrionali come il Wyoming è in corso la Guerra della Contea di Johnson, che causerà decine di vittime fra allevatori e contadini.
Si intravede, in un simile contesto, un velato richiamo alle conseguenze del conflitto vietnamita, al quale si ispirarono sia Ralph Nelson (“Soldato Blu”) che Walter Hill (“Nessuna pietà per Ulzana”). Qui l’accostamento è meno marcato, ma la crisi di identità vissuta da Blocker e dal sergente Metz rammentano la crisi esistenziale di molti reduci della guerra combattuta nel Sud-Est asiatico. La frase rivolta dal capitano a Falco Giallo poco prima della sua fine – “Una parte di me muore insieme a te” – è l’ammissione di non avere mai conosciuto, né cercato di comprendere a fondo, in tanti anni di lotta insensata, la personalità e le ragioni dell’avversario. Equivale anche alla triste constatazione che l’epopea della Frontiera sia ormai giunta al tramonto.
Blocker è un uomo disilluso e rassegnato, che constata amaramente il vuoto della propria vita. E’ anche, dopo la perdita di soldati con cui ha condiviso per anni la dura esistenza del militare, un uomo solo, perché, come ha sostenuto il sergente Metz in un dialogo con il tenente Kidder, “Ad uccidere ci si abitua… Quello a cui non ci si abitua è perdere dei compagni.”

Ancora una volta è la donna – come nell’indimenticato “C’era una volta il West” di Sergio Leone – a superare le vessazioni patite, rimanendo ancorata ai propri valori etici e religiosi: “Se non avessi la fede” confida allo scettico Blocker “che cos’altro avrei?” Infatti riesce ad accantonare i tremendi lutti familiari e l’affronto sessuale subito da Bianchi senza scrupoli per aprire una nuova fase della propria esistenza, come fecero, analizzando molte rilevanze storiche documentate, Olive Oatman, Fanny Kelly, Lucinda Eubank e Josephine Meeker. Dapprima rese vedove o orfane dagli Indiani e successivamente stuprate dai loro carcerieri, dovettero spesso sopportare, dopo la liberazione, le discriminazioni di una società perbenista e puritana che le additava con disprezzo come “squaw bianche” .
Falco Giallo appare come l’ineffabile figura del vero Indiano, consapevole che la propria sorte sia segnata. Ha l’opportunità di battersi contro i predatori di una tribù che in vari periodi è stata alleata e in altri nemica della sua e ciò lo gratifica quanto le battaglie sostenute in passato contro gli Americani. L’Indiano delle pianure rimane sempre fedele al proprio costume e lo spirito del guerriero che è radicato in lui stenta a spegnersi, nonostante l’età e la grave patologia che l’ha colpito. La sua dignità, la fierezza e l’onore – la promessa fatta a Blocker di aiutarlo contro i Comanche – ricordano il Chingakcook e il figlio Uncas de “L’ultimo dei Mohicani”, ma anche la guida apache Ke-Ni-Tay di “Nessuna pietà per Ulzana”. L’orfano Piccolo Orso, che alla fine si ritrova a bordo di un treno insieme alla vedova Rosalee (e a Blocker) verrà allevato come una persona civile e soltanto il colore della sua pelle lo potrà distinguere in una società ancora intrisa di discriminazione razziale .
“Hostiles” può essere considerato un quadro realistico della Frontiera americana negli anni del suo declino e contiene tutti gli elementi più brutali del western revisionista degli Anni Sessanta e Settanta senza scadere nella retorica.
Ottima la fotografia curata da Masanobu Takayanagi, che spazia su uno scenario molto variegato, passando dalle aride pianure meridionali – la lavorazone del film ha preso il via nei pressi di Santa Fè, New Mexico – alle verdi vallate del Montana. Azzeccate sia la colonna sonora di Max Richter che la sceneggiatura di Donald Stewart e dello stesso Cooper, con dialoghi essenziali ed estremamente efficaci: quelli che si svolgono fra il capitano Blocker e i Cheyenne sono condotti in lingua originale, ovviamente supportati dai sottotitoli.

E’ vero che l’opera di Cooper, seppure favorevolmente commentata in decine di riviste americane e scelta come film di apertura della 12^ edizione della Festa del Cinema di Roma, non ha avuto accesso a riconoscimenti ufficiali quali gli Academy Award o i Golden Globe. E’ stata presentata e bene accolto al Festival di Telluride (Colorado) e al Toronto International Film Festival in Canada, ma forse la maggiore gratificazione gli è stata tributata dal National Congress of American Indians, per la sua “autentica rappresentazione dei popoli nativi” e l’uso fedele degli idiomi tribali tradizionali.
Probabilmente, ai tempi in cui Kevin Costner girò il suo capolavoro “Balla Coi Lupi”, spezzando una lancia a favore dei nativi, avrebbe conseguito risultati di gran lunga superiori.

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