Padre Antonio Ravalli, un gesuita tra gli indiani

A cura di Angelo D’Ambra

Padre Ravalli con gli indiani; sullo sfondo la chiesa e l’accampamento
Antonio Ravalli nacque a Ferrara nel 1812. Entrò nella Compagnia di Gesù intorno al 1833 e, con Louis Vercruyesse, Michele Accolti, Giovanni Nobili, Francis Huybrechts e sei suore della Congregazione di Notre Dame de Namur, raggiunse Fort Vancouver il 5 agosto del 1844 rispondendo all’appello di padre Pierre-Jean De Smet per evangelizzare i nativi del Nord America. Dopo un viaggio di otto mesi, soggiornò presso la missione di St. Paul sul fiume Willamette, in Oregon, qui apprese l’inglese e si dedicò alla cura degli ammalati e nella primavera del 1845, finalmente, con padre Adrian Hoeck, si unì alla missione di Sant’Ignazio tra i pend oreille, sul fiume Columbia.
Michele Accolti e Giovanni Nobili invece restarono nei territori canadesi sino al 1849, poi proseguirono la loro missione a San Francisco, in California, e a San Jose, occupandosi per tutta la vita dei collegi cattolici e di centri di assistenza in una città che bruciava della febbre dell’oro.


Padre Antonio Ravalli

La storia di Ravalli invece continuò tra gli indiani. Dopo un po’ di tempo fu trasferito tra i Flathead (Teste Piatte) alla missione St. Mary sul fiume Bitter Root nel Montana occidentale dove trovò un altro italiano il gesuita romano Gregorio Mengarini. Questi era tra i fondatori di quella missione, si era occupato di spaccare la terra gelata con le asce ed erigere con i tronchi e l’argilla dei capanni in un territorio in cui il freddo era così intenso che non bastavano a ripararsi neppure coperte ed abiti di pelle di bufalo. Mengarini apprese la lingua dei nativi e tradusse semplici preghiere ed inni, scrisse pure una grammatica salish e insegnò canto ai bambini. Ravalli restò con lui fino a quando le scorribande dei Piedi Neri e le divisioni dei Salish per la scelta di un nuovo capo, nel 1850, costrinsero i gesuiti a chiudere la missione temporaneamente.
Mengarini si spostò in California, raggiungendo Accolti e Nobili, Ravalli invece volle restare ancora tra gli indiani.
Nel 1854, assunse la direzione della Missione del Sacro Cuore, istituita da padre Nicholas Point tra i Coeur d’Alene dell’Idaho settentrionale. Si occupò di tenere sempre la pace tra quei popoli e di costruire una chiesa, oggi considerato l’edificio più antico dell’Idaho. Questo edificio religioso desta meraviglia per il suo splendore.


Una missione di Padre Antonio Ravalli

Sebbene avessero pochi materiali per erigerla e decorarla, gli indiani con Ravalli realizzarono uno splendido monumento. Le pareti erano decorate con stoffa acquistata dalla Hudson’s Bay Company e da parati dipinti a mano fatti arrivare da Philadelphia. Le lampade furono fatte con dei barattoli di latta e padre Ravalli si occupò personalmente di scolpire due statue di legno usando il suo coltello. Il blu degli interni non è vernice, ma olio di mirtillo. La missione oggi è indicata anche col nome di “Missione Cataldo” per la fama di padre Giuseppe Cataldo, sacerdote siciliano di Terrasini, che trascorse gran parte della sua vita nella comunità di frontiera e fondò Spokane, dove realizzò scuole e istituti di assistenza.
Col tempo, la Missione del Sacro Cuore divenne un’importante stazione di rifornimento per commercianti, coloni e minatori, nonché un sito di cantieri per la riparazione delle barche che risalivano il fiume Coeur d’Alene.
Nel 1866 il Padre Nicola Congiato (di Ploaghe, SS), superiore delle missioni gesuite delle Montagne Rocciose, riaprì la Missione di Santa Maria sempre tra i testa piatta del Bitter Root e padre Ravalli vi tornò, restando sino alla morte.


Padre Nicola Congiato

Anche qui il gesuita italiano si fece amare come prete, medico e farmacista, scultore e architetto, amico degli indiani. Alla St. Mary’s Mission costruì il primo mulino del Montana da cui dava la farina agli indiani settimanalmente. Da una ruota di carro scartata costruì una sega e costruì una segheria per fornire all’insediamento il legname necessario. Allestì pure un piccolo orto dove coltivò erbe per le sue medicine. Nel 1872 la sua testimonianza fu cruciale per dimostrare che un trattato di cessione delle terre attribuito al capo salish Charlot era in realtà un falso.
Una contea del Montana porta oggi il suo nome.

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