Buffalo Soldiers
A cura di Pietro Costantini
I Buffalo Soldiers
Alla fine della Guerra di Secessione più di 180.000 afroamericani avevano prestato servizio nell’esercito dell’Unione come membri dei reggimenti volontari “di colore”. Malgrado le resistenze di molti dei componenti del Dipartimento della Guerra e delle alte gerarchie militari, nel 1866 il congresso varò una legge che permetteva agli afroamericani di entrare nell’esercito anche in tempo di pace, una carriera in precedenza proibita, anche se molti patrioti neri liberi avevano partecipato alla guerra d’Indipendenza.
Il problema che si poneva era se lasciare libero l’arruolamento in tutti i reparti o creare dei reggimenti “di colore” che garantissero l’apartheid: non c’è da stupirsi se la soluzione adottata fu quest’ultima. Vennero organizzati i reggimenti di cavalleria 9° e 10° e i reggimenti di fanteria 38°, 39°, 40° e 41°. Nel 1869 le quattro unità di fanteria furono raggruppate nei reggimenti 24° e 25°. La creazione dei reggimenti di colore venne considerata un fatto sperimentale e pertanto vi furono delle particolarità. La più importante fu che tutti gli ufficiali erano bianchi, dal momento che, all’epoca, non vi erano ufficiali neri, ma il segretario alla Guerra impose che tali ufficiali fossero di provata esperienza e con almeno due anni di servizio attivo nella Guerra Civile, che i due terzi di coloro che avevano il grado di capitano o superiore fossero volontari, e che gli ufficiali di grado inferiore fossero esclusivamente volontari. Un’altra particolarità fu che il cappellano, in genere assegnato a un posto o a una stazione, in questo caso fosse assegnato direttamente al reggimento per fornire non solo i servizi religiosi, ma anche l’educazione primaria e l’alfabetizzazione. Non bisogna dimenticare infatti che in molti stati del Sud prima della Guerra Civile era proibito insegnare a leggere e a scrivere agli schiavi e che perciò l’analfabetismo era una piaga da stroncare.
La possibilità di ottenere un’educazione, di guadagnare l’accettabile paga di 13 dollari al mese, di sfuggire alla “Ricostruzione” del Sud e ai tragici ricordi connessi alla schiavitù, o di continuare un lavoro che aveva dato motivo d’orgoglio durante la guerra, si dimostrò una buona propaganda a favore dell’arruolamento. «ero semplicemente stanco di guardare il muso dei muli dall’alba al tramonto», disse Charles Creek. Per il 1867, malgrado un’epidemia di colera che prese molte vite e convinse molti a disertare, il Nono e il Decimo cavalleria furono inviati alle loro destinazioni: il nono verso i forti Stockton e Davis, nel Texas nord occidentale e lungo il Rio Grande, il Decimo da Fort Leavenworth verso Fort Riley, nel Kansas, e il Territorio Indiano. Questo spostamento sulla frontiera segnò l’inizio di più di due decenni di servizio continuato nelle Grandi Pianure e tra le montagne e i deserti del New Mexico e dell’Arizona. Furono almeno dieci anni di costante campagna contro Comanche, Kiowa, Kiowa-Apache, Cheyenne meridionali e Arapaho, senza contare le azioni di contenimento sulla frontiera meridionale col Messico contro i Kickapoo, i Lipan, i banditi e i rivoluzionari messicani. Tra i compiti dei due reggimenti c’era anche l’imposizione della legge a ladri di bestiame, contrabbandieri di alcol e armi e, in genere, ai vari tagliagole bianchi delle città del West. Il Trattato del Little Arkansas del 1865 aveva posto fine alla cosiddetta “Guerra Cheyenne” del 1864-65, che aveva incendiato le Pianure Centrali, ma gli stati del Texas e del Kansas si rifiutavano di alloggiare nei propri territori le riserve di “contenimento” e, di conseguenza, il conflitto si riaccese. Comanche e Kiowa ricominciarono ad assalire i loro vecchi nemici texani e i Territori delle Cinque Tribù civilizzate in Territorio Indiano (oggi Oklahoma), mentre i Cheyenne colpirono in Kansas e Colorado i cantieri lungo la linea della Kansas Pacific Railroad e i ranch isolati. Per far fronte alla situazione, il generale Hancock, comandante del Dipartimento del Missouri, nel 1867 ordinò una campagna per sopraffare gli ostili, ma il suo fallimento costrinse il generale Sherman a inviare il Decimo a presidiare il Territorio Indiano, le regioni dello Smoky Hill e la pista di Santa Fe, facendo perno sui forti Harker, Hays e Larned.
Attacco alla ferrovia
Il 20 agosto 1867 sul Beaver Creek il capitano Armes con quaranta uomini della Compagnia F e novanta volontari del Kansas, sotto il comando del capitano Jennes, si imbatterono in ottocento/mille Cheyenne. Temendo di essere travolto, Jennes ordinò di fare quadrato e di aprire il fuoco con le carabine a ripetizione Spencer. Un guerriero che montava uno splendido cavallo bianco guidò la carica, che fu bloccata dalle Spencer, ma il coraggioso Indiano riuscì ad atterrare un uomo e ad attraversare tutto il quadrato senza farsi un graffio, malgrado gli fossero stati sparati contro almeno cinquanta colpi. Anche Armes era sotto il fuoco: assalito da un soverchiante numero di Cheyenne, si era rifugiato in una gola, dove sperava di trovare rifugio in attesa del tramonto. Gli Indiani, appostati sulle colline circostanti, insultavano le truppe in buon inglese: «Venite fuori da quel buco, voi figli di buona donna, e dateci una buona battaglia!» Armes fece una carica per ottenere un po’ di tregua, ma le schermaglie continuarono fino al tramonto, quando i guerrieri si allontanarono, permettendo ai soldati di rientrare a Fort Hays. Poco dopo, il sergente Davis e nove uomini della Compagnia G furono inviati a guardia di un campo base della ferrovia. Qui il soldato Randall e due civili, usciti per cacciare, furono assaliti da una settantina di Cheyenne. I due civili furono uccisi subito, ma Randall, benché seriamente ferito, riuscì a nascondersi in un buco sotto la massicciata della ferrovia. I guerrieri cominciarono a testare il buco con le lance, infliggendogli undici ferite, ma presto si stancarono e tornarono ad assalire il campo. Davis non si perse d’animo, fece smontare i suoi uomini per farli avanzare a piedi contro il nemico; alla fine dello scontro erano caduti tredici Indiani e solo Randall era ferito. Fu in questo periodo che le truppe afroamericane ottennero il loro soprannome di “Soldati – Bisonte”. Fino ad allora le truppe di colore erano state chiamate in tutti i modi: Moacs, Niggers, Africans, Brunettes, ma il soprannome di “Soldati – Bisonte”, affibbiato loro dagli avversari indiani, fu l’unico che gli uomini del Decimo e poi del Nono accettarono e portarono con orgoglio, facendone il coronamento dello stemma reggimentale.
La carica dei Cheyenne
Il motivo del soprannome “Buffalo Soldiers” è incerto; alcuni affermarono che fosse per via dei capelli crespi che somigliavano al pelo del collo del bisonte, altri per la forza e determinazione mostrata dalle truppe nere. In ogni caso, essendo il bisonte un animale sacro, è improbabile che gli Indiani potessero dare un tale soprannome a nemici che disprezzavano.
Le truppe del Decimo parteciparono alla campagna d’inverno del 1868-69 che, secondo i piani di Sherman, doveva condurre alla sconfitta degli Arapaho e dei Cheyenne e che fu resa famosa dal massacro nel villaggio di Black Kettle sul fiume Washita. Il 10 novembre 1868 le compagnie B, F, G e K lasciarono Fort Lyon sotto il comando del generale Penrose con l’ordine di pattugliare il fiume North Canadian in cerca di Comanche ostili da ricondurre il riserva. Dopo cinque giorni di marcia un blizzard (tempesta di neve) colpì le truppe in piena pianura, senza un riparo, né pezzi di legno né escrementi di bisonte secchi con cui attizzarsi un fuoco. Malgrado le temperature polari, i Buffalo Soldiers cercarono di raggiungere il punto convenuto, ma ben presto le provviste scarseggiarono, 25 cavalli dovettero essere abbattuti e molti soldati cominciarono a presentare segni di congelamento, mentre gli stivali sfondati venivano rammendati con la pelle dei cavalli morti. Alla fine di dicembre due scout incontrarono Buffalo Bill Cody, capo degli scout del generale Carr, che istituì due posti di ricovero. Tuttavia fu solo a febbraio che gli sfortunati soldati neri ritornarono a Fort Lyon. In seguito Sherman decise di affidare un nuovo compito al Decimo: avrebbe dovuto fungere da esercito di occupazione tra i Kiowa, i Comanche, i Cheyenne meridionali e gli Arapaho finché queste tribù non si fossero rassegnate alla vita di riserva. Il Decimo ebbe perciò il suo daffare, cavalcando fra migliaia di Indiani ostili, allontanando i bianchi occupatori di terre, arrestando contrabbandieri di whisky e ladri di cavalli, fornendo scorte per i convogli di carri viveri, per il servizio postale, per le diligenze, per le squadre di operai delle ferrovie e, a tempo perso, costruendo i forti.
Bivacco di Buffalo Soldiers – disegno di Frederic Remington
In ogni caso l’azione di “polizia” dell’esercito era resa difficoltosa dalla “politica di pace” del Presidente Grant, che affidava l’Indian Bureau alle varie confessioni religiose (eccetto i cattolici) e in particolare ai quaccheri. Kiowa e Comanche vennero affidati alle cure dell’agente quacchero Lawrie Tatum. Poiché la politica era ora di “uccidere gli Indiani con la gentilezza”, il ruolo dell’esercito doveva essere ridefinito. Dopo lunghe discussioni tra il segretario alla Guerra e quello agli Interni, fu deciso che gli Indiani delle riserve fossero posti sotto esclusiva giurisdizione dell’agente indiano che, se del caso, poteva richiedere l’appoggio delle truppe; gli Indiani fuori riserva erano sempre considerati ostili. In realtà la situazione non era così semplice come sembrava a Washington: piccoli gruppi guerrieri, tra la primavera e l’autunno, lasciavano la tranquillità e le razioni delle riserve per compiere scorrerie e guadagnarsi gli onori contro le fattorie isolate dal Kansas fino all’alto Messico. Particolarmente attivi erano i Kiowa di Satanta, Lone wolf, Satank, Big Tree e i Comanche che si univano agli indomiti Comanche Kwahadis di Quanah Parker per razziare gli odiati Texani sul Fiume Rosso, tanto che la luna d’agosto era chiamata, dai coloni immigrati, “Luna Comanche”. A peggiorare la situazione per i Soldati – Bisonte intervenivano le discriminazioni razziali anche nell’attribuzione del materiale, tanto che il capitano Carpenter scrisse ai suoi superiori che il Decimo «otteneva i cavalli scartati e sfiancati del Settimo Cavalleria (quello di Custer)» e ancora «Dal suo primo incarico nel 1867 questo reggimento non ha ricevuto altro che cavalli sfiancati e equipaggiamento rattoppato», e questo malgrado due anni di ottime note di servizio e la più bassa percentuale di diserzioni e altri atti di insubordinazione. Nel gennaio del 1871 l’uccisione dell’eroe nero della frontiera, Brit Johnson, noto per aver recuperato parecchi prigionieri bianchi dai Comanche, rese evidente che la “gentilezza” non aveva convinto nessuno: il cadavere fu trovato orrendamente mutilato e con il corpo del suo cagnolino infilato nello stomaco aperto. Di fronte alle crescenti proteste dei coloni Sherman aprì un’altra campagna sia contro l’agente Tatum, sia contro gli “ostili”.
Un attacco agli operai della ferrovia
Di fronte all’ira del generale e ad un nuovo atroce massacro di una squadra di operai delle ferrovie, Tatum promise che avrebbe scovato i colpevoli. Il 27 maggio i Kiowa giunsero all’agenzia e l’agente chiese ai capi se conoscessero i responsabili dell’attacco. Satanta si alzò immediatamente e, dopo essersi lamentato per le innumerevoli ingiustizie sofferte e per le prese in giro, chiese armi e munizioni e si vantò di aver condotto l’attacco assieme a Satank, Eagle Heart, Big Tree e Big Bow. Tatum andò subito a riferire la cosa a Sherman, che si trovava nel quartier generale dell’agenzia con la scorta degli uomini del Decimo. I soldati avevano appena sellato i cavalli, quando giunse Satanta stesso, che affermava di volersi misurare con il grande soldato di Washington. Accorgendosi dell’ira crescente di Sherman, il capo Kiowa modificò la sua versione, poi cercò di montare a cavallo e fuggire, ma i soldati bisonte lo trattennero. In quel momento giunsero anche Satank e altri 20 capi Kiowa, che appresero dallo stesso Sherman di essere sotto arresto e che stavano per essere inviati in Texas per il processo. Quando la notizia dell’arresto dei capi giunse al campo, Lone Wolf, Big Tree e altri galopparono fino all’agenzia armi in pugno, ma la determinazione dei Buffalo Soldiers fece loro chiaramente capire che uno scontro non avrebbe liberato i capi in arresto. Furioso, Big Tree cominciò a saccheggiare il deposito, ma il risultato fu di venire a sua volta arrestato. La cattura di Satanta e degli altri capi Kiowa finì nel libro d’onore del reggimento.
Mentre il Decimo si trovava coinvolto nelle guerre indiane delle Pianure Centrali, il Nono Cavalleria doveva far fronte ad una situazione ancora peggiore in Texas. Da secoli il territorio occidentale del Texas era stato teatro di raids da parte di Apache Mescalero provenienti dalle Guadalupe Mountains, di spedizioni di guerra Kiowa e Comanche in cerca di schiavi e cavalli lungo il “Grande Sentiero di Guerra Comanche” che dal fiume Arkansas portava alle haciendas oltreconfine di Durango, di attacchi da parte dei vendicativi Kickapoo, rifugiatisi in Messico per sfuggire agli Americani che avevano rubato loro le terre, e di scorrerie da parte dei Lipan.
Ma questo era solo una parte del problema: la Repubblica del Messico, nata da una rivoluzione contro la Spagna, non aveva mai goduto di una vera e propria pace, alle prese com’era con colpi di stato, caudillos, imperatori fantoccio e impeti rivoluzionari. La frontiera con gli U.S.A. forniva perciò un buon asilo a quanti non avevano voglia di scontrarsi con le truppe governative. E non è tutto. I villaggi del West abbondavano di trafficanti e traffichini, banditi, contrabbandieri, comancheros, sbandati sudisti, e chiunque fosse lesto di coltello o pistola e abile a maneggiare un marchio poteva illegalmente farsi qualche dollaro rubando bestiame. Tutta questa umanità era accomunata ai benpensanti da un punto fermo: tutti erano terribilmente razzisti perciò, quando l’aiuto agli onesti cittadini arrivò sotto forma di soldati neri, l’accoglienza loro riservata non fu certo esaltante. In particolare l’azione del Nono fu intralciata, se non addirittura boicottata, dai funzionari locali, che odiavano qualunque uniforme blu soprattutto se portata da un nero. Il 26 gennaio 1875 il sergente Troutman e quattro uomini della compagnia G uscirono di pattuglia nelle vicinanze del ranch di Solis, presso Ringgold. Mentre erano accampati per la notte e si stavano preparando la cena, furono sparati contro di loro numerosi colpi d’arma da fuoco.
Poiché i colpi sembravano provenire dal vicino ranch, Troutman chiese spiegazioni ai cowboy, che erano pesantemente armati, ma ricevette risposte evasive. Vista la situazione, Troutman decise di allontanarsi dalla zona, ma cadde in un’imboscata che causò la morte di due soldati. Il mattino seguente il colonnello Hatch, comandante del Nono, si recò sul posto con lo sceriffo, scoprendo i cadaveri brutalmente mutilati dei due caduti. Il colonnello andò dunque al ranch e, trovando in una baracca le prove del massacro, arrestò tutti i tipi sospetti, compresi due cowboy con ferite da proiettile ma, dei nove messicani arrestati, solo uno fu processato e poi rilasciato. Nel frattempo i tre scampati all’imboscata furono arrestati mentre si recavano a testimoniare per l’assassinio di uno dei loro aggressori e, in seguito, lo stesso Hatch fu indagato per “furto con scasso”, avendo aperto illegalmente la baracca in cui furono trovati gli effetti personali delle vittime.
Un sergente dei Buffalo Soldiers
Questa situazione rendeva impossibile costruire delle posse che cooperassero con l’esercito e Sherman fu costretto a trasferire il Nono nel Distretto del New Mexico, malgrado l’ottimo servizio e l’incredibile spirito di abnegazione che avevano permesso di sconfiggere i Kickapoo e molti banditi messicani. Giunti al 1874 era chiaro che la “Politica di Pace” del presidente Grant era abbondantemente fallita e nella primavera di quell’anno il whisky correva a fiumi nei campi indiani, alimentando la rabbia degli stessi contro i bianchi, soldati, coloni, cacciatori di bisonti o ladri di cavalli che fossero. Fu in questo clima che scoppiò la “Guerra del Fiume Rosso”, detta anche “Guerra per il Bisonte”, cui parteciparono congiuntamente il Nono e il Decimo. Verso la fine di maggio i Comanche tennero una Danza del Sole, alla quale invitarono i Kiowa, Cheyenne meridionali e Arapaho, sul ramo settentrionale del Fiume Rosso. Durante la cerimonia lo sciamano Comanche Isatai insistette per una guerra contro i bianchi, trovando orecchie favorevoli. Il 27 giugno diverse centinaia di Comanche, Kiowa e Cheyenne assalirono i cacciatori di bisonti ad Adobe Walls, nel Texas, ma vennero respinti dall’accurato tiro dei fucili di precisione a lunga distanza Sharp. Frustrati, i guerrieri cominciarono a razziare i ranch isolati, ottenendo solo di scatenare la violentissima risposta dell’esercito. Il 21 luglio Sherman decise che le riserve non fossero più dei “santuari” e che gli Indiani ostili potessero essere inseguiti ovunque, pur avendo cura di separare gli innocenti dai colpevoli. Questa decisione fu origine del cosiddetto “incidente di Anadarko”, quando, il 22 agosto, giorno di razioni, nell’agenzia erano riuniti i pacificati Wichita, Pawnee, Caddo, Delaware e anche i Penateka Comanche, ancora incerti tra pace e guerra. Al colonnello Davidson, del Decimo, questa sembrò una buona occasione per registrare i Comanche Nokoni di Big Red Foot come “amichevoli”, utilizzando il capo Penateka amico Tosawi come intermediario.
Battaglia di Adobe Walls – dipinto di Billy Dixon
Big Red Foot sembrò interessato alla proposta ma, mentre ancora stava decidendo sul da farsi, alcuni Kiowa della banda di Lone Wolf cominciarono a farsi beffe di lui, dichiarando che era una donna se accettava di farsi disarmare da pochi soldati – bisonte. Il capo non era un codardo, perciò frustò il cavallo emettendo il grido di guerra e fuggì, inseguito dagli spari dei soldati, mentre i Kiowa e i Nokoni ostili rispondevano al fuoco. Per tutto il giorno seguirono gli scontri a fuoco, finché gli Indiani ostili, vedendosi tagliata ogni via di fuga, diedero fuoco alla prateria per bruciare l’agenzia. I soldati crearono dei controfuochi e questo pose fine alla “battaglia di Andarko”, che mise in chiaro tre cose: che gli agenti indiani quaccheri non erano più garanzia di impunità, che non vi erano più “santuari” e che i soldati – bisonte, una volta lasciati liberi di agire, combattevano anche troppo bene.
Con la campagna del luglio 1874 Sherman si permise di rimuovere i confini burocratici tra i dipartimenti militari del Texas e del Missouri e le riserve, e organizzò cinque colonne militari che circondassero gli ostili da ogni parte; i buffalo soldiers del Decimo, concentrati a Fort Sill e quelli del Nono, a Fort Griffin, erano la spina dorsale di due di esse. Grazie alle guide Tonkawa essi distrussero circa 600 tende, tonnellate di viveri e attrezzi da campo, anche se fecero solo due vittime. Questo e la sconfitta dei liberi Comanche Kwahadi a Palo Duro Canyon costrinsero gli ostili ad arrendersi nello stesso inverno. Come di consueto, i documenti ufficiali dell’esercito misero la sordina al contributo dei soldati neri. Il trasferimento nel distretto del New Mexico, nell’inverno del 1875, coinvolse il Nono Cavalleria negli scontri fra i baroni del bestiame – il Nono infatti fu incaricato di mantenere l’ordine durante la guerra della Contea di Lincoln, dove brillò l’effimera stella di Billy the Kid – e contro gli Apache. Per tutta la durata della campagna contro le tribù e le bande Apache, dal 1867 al 1886, il nono fu operativo nel territorio del Sud Ovest e protagonista negli scontri con due tra i più grandi guerrieri Apache: Victorio e Geronimo.
La politica di ammassare gli Apache in riserve desertiche e indesiderate pagò i suoi dividendi nell’agosto del 1879, quando Victorio e i suoi guerrieri Warm Spring con alcuni Mescalero fuggirono dalla riserva di Fort Stanton, disposti a morire piuttosto che sottomettersi al giogo dell’uomo bianco.
In azione appiedati – 1885
Come di consueto, anche la “guerra di Victorio” era il diretto risultato della cupidigia dei bianchi unita alla miopia politica di negare il diritto dei Warm Spring di vivere sulle loro terre e di imporre loro la deportazione, ma questo non cambiava il fatto che i buffalo soldiers fossero chiamati a svolgere il loro ingrato compito. Come disse il generale Pope; «La cattura di Victorio non è molto probabile, ma la sua uccisione (per quanto crudele possa essere) può essere eseguita in tempo.» Subito dopo la fuga, Victorio diede un esempio di cosa sarebbero stati gli anni a venire: come un fulmine colpì la mandria di cavalli della Compagnia E a Ojo Caliente, lasciando morti o feriti otto soldati e portandosi via 46 quadrupedi. Nei sei giorni successivi gli Apache uccisero nove cittadini, costringendo il colonnello Hatch a mettere in sella ogni cavalleggero del Nono. Il 16 settembre scout Apache e Navajo scoprirono le tracce di Victorio, che fu inseguito fino ai canyons delle sorgenti del fiume Las Animas, ma qui i soldati – bisonte ebbero l’amara sorpresa di scoprire quanto eccezionale fosse la posizione dell’Apache, che li salutò con una grandine di fuoco. Le quattro compagnie giunte sul posto furono incapaci di sloggiare il nemico e alla fine si dovettero ritirare. La sconfitta non fu del tutto vana per i soldati del nono, in quanto li liberò del loro comandante, il tenente colonnello Dudley, un bigotto borioso e attaccabrighe, con una forte propensione per la bottiglia, ma con grandi appoggi nelle alte sfere. Per mesi i cavalleggeri del Nono inseguirono il fantasma di Victorio, arrivando sempre troppo tardi finché, il 7 novembre 1879, un gruppo di 15 Messicani del villaggio di Carrizal non cadde in un’imboscata. Disperati, alcuni fuggirono, chiedendo aiuto ai rangers del Texas, che arrivarono solo per seppellire 26 cadaveri. L’evento di Carrizal, tuttavia, costrinse il governo messicano a rivedere la sua politica e ad accettare una cooperazione con l’esercito USA.
Nel maggio del 1880 Sheridan inviò in New Mexico anche il Decimo, il cui comandante, colonnello Grierson, decise di adottare una nuova tattica: invece di inseguire gli Apache, cosa evidentemente inutile, era più saggio presidiare i passi e, soprattutto, i pozzi d’acqua. Alla fine questa nuova strategia anti guerriglia e la cooperazione delle truppe federali messicane diedero i loro frutti: il 15 ottobre 1880 Victorio venne ucciso da soldati messicani a Tres Castillos Mountain.
Una carica del 10° Cavalleria
Nel novembre del 1881 i cavalleggeri del Nono ebbero finalmente un po’ di pausa, grazie al trasferimento nel quartier generale reggimentale a Fort Riley, Kansas, ma il Decimo doveva ancora fronteggiare Geronimo, che si arrese definitivamente il 3 settembre 1886 a Skeleton Canyon.
Anche dopo la resa di Geronimo i Buffalo Soldiers avrebbero continuato a combattere gli Apache in Arizona. Nel 1890 le Guerre Apache erano alle spalle, ma scontri sporadici con gruppi isolati di Apache sarebbero continuati fino al 1924. Durante gli anni ’80, Buffalo Soldiers del 9° Cavalleria e del 25° Fanteria erano stati distolti dal Sud Ovest per essere distribuiti nelle Montagne Rocciose del nord e nelle Grandi Pianure. In Dakota, Montana e Minnesota operò il 25° Fanteria, mentre il 9° Cavalleria fu assegnato a Kansas e Nebraska.
Il 30 dicembre 1890 il treno dei carri – provviste del Nono fu attaccato da una banda di guerrieri Lakota vicino a Pine Ridge, nel sud Dakota. Il giorno prima era avvenuto l’eccidio di Wounded Knee e quindi la tensione era molto alta. A circa 15 miglia a nord di Pine Ridge, truppe del 7° Reggimento Cavalleria, al comando del colonnello James W. Forsyth, subirono un’imboscata dai Lakota mentre erano in movimento in un avvallamento vicino alla Missiome Drexel. Messi mal partito dal tiro incrociato proveniente dai due lati opposti, i soldati del 7° Cavalleria cercavano di sganciarsi per abbandonare la valle, ma avevano un disperato bisogno di aiuto. In quel frangente arrivarono i Buffalo Soldiers del Nono. Dopo aver ricevuto la notizia dei fatti di Wounded Knee, sotto il comando del maggiore Guy V. Henry i soldati – bisonte avevano cavalcato a spron battuto da Fort McKinney, in mezzo a rigide condizioni invernali. Il maggiore Henry divise le sue truppe di colore in due battaglioni, che inviò su entrambi i lati della valle. Così rinforzate, le truppe di entrambi i reggimenti, Settimo e Nono, riuscirono a sloggiare i Lakota dalle loro posizioni sopraelevate.
Dopo la battaglia alla Missione Drexel, in tutto il Paese i giornali esaltarono i Buffalo Soldiers del maggiore Henry, per aver evitato che il colonnello Forsyth subisse la stessa sorte del 7° Cavalleggeri di George Custer al Little Big Horn 14 anni prima. La battaglia con i Lakota fu l’ultima di una serie di conflitti conosciuti come Guerre Sioux. Le ostilità con i Lakota e le altre tribù Sioux terminarono con una non facile tregua il 15 gennaio 1891.
Nel 1924, dopo più di 300 anni, le Guerre Indiane erano giunte a termine. Di tutte le unità dell’esercito che avevano servito nell’Ovest americano, i Buffalo Soldiers acquisirono uno dei primati più importanti.
Un totale di quattordici Afro-americani arruolati nei quattro reggimenti di colore guadagnarono la Medal of Honor, la più alta decorazione militare, insieme a sei ufficiali (bianchi). Sorprendentemente, a fronte di avversità apparentemente senza fine, i reggimenti dei soldati – bisonte ebbero la più bassa percentuale di diserzioni e la più alta di ri-arruolamenti nell’esercito americano dell’epoca.
Monumento al Buffalo Soldier – Fort Leavenworth (Kansas)
Tutto questo a dispetto dello scarso riconoscimento e dei pregiudizi dentro l’esercito e delle continue angherie da parte delle autorità di frontiera e degli stessi cittadini che dovevano proteggere. E’ necessario a questo punto sottolineare che le campagne per la conquista del West furono condotte con il decisivo contributo delle truppe nere, un fatto generalmente sorvolato dalla storiografia romantica, tuttora tenacemente attaccata al facile stereotipo tipo John Wayne, che d’altra parte tace o travisa, in nome di un sentimento di solidarietà razziale prettamente europeo, anche il contributo degli scout indiani. In questo modo una serie di aventi complessi come la storia della Frontiera diventa un fatto esclusivamente tra Bianchi e Indiani, cui sono esclusi sia i Neri che gli Asiatici, eliminati dalla storia anche da storici e divulgatori nativi moderni che, quando li nominano, lo fanno con frasi di circostanza molto politically correct, ma tacendone peraltro il complesso ruolo e l’interazione con le Nazioni indiane. In questo modo tutta la storia del Nord America diventa una questione privata tra Bianchi e Nativi, con tutte le conseguenze per razzismi, etnocentrismi e nazionalismi del caso.
Lo stemma del 10° Reggimento Cavalleria “Buffalo Soldiers”
I Buffalo Soldiers continuarono anche dopo la fine dell’epopea del West a servire nell’esercito, partecipando alla Guerra Ispano – Americana (1898), alla Guerra delle Filippine (1899-1901), alla Rivoluzione Messicana, contro Pancho villa (1916-17), e alle due Guerre Mondiali.