Big Bend 1673-1674

A cura di Gianni Albertoli

Nell’aprile 1673, don Marcos, un leader Jumanos, comparve davanti al generale Echeberz y Subiça a Saltillo, il capo richiedeva alle autorità il permesso di stabilirsi in un pueblo. Don Marcos era accompagnato da suo fratello don Lacaro Agustin, e da un altro capo anche esso noto come don Marcos, e appartenente alla tribù Babane. Il generale spagnolo avrebbe richiesto l’aiuto di padre Juan Larios, ben noto conoscitore della lingua nativa Nahuatl; l’Echeberz y Subiça avrebbe poi invitato il capo Jumanos a portare la sua gente a discutere con le autorità. Il don Marcos dichiarava che vi erano tre gruppi al suo seguito e tutti volevano insediarsi in un pueblo, oltre ai suoi, vi erano i Babane e i Bobole, questi ultimi con i loro alleati e stanziati nella “Provincia del Coahuila e nella valle del bufalo”. Il generale dovette organizzare una riunione per valutare la fondatezza delle richieste, soprattutto le autorità militari ed ecclesiastiche si sarebbero dichiarate entusiaste della proposta.
Gli spagnoli ritenevano che il territorio poteva essere sfruttato enormemente con le attività minerarie, aveva però bisogno di essere esplorato e bisognava posizionarvi almeno un Presidio militare; però ricordavano che nel Coahuila erano troppe le popolazioni indigene ribelli e “non cristiane” e che queste genti non erano abituate a lavorare per sostentare le loro famiglie. Il Salaçar ricordava che i nativi erano difficili da controllare e molto difficile era “prevenire un loro ritorno ad un barbaro e peccaminoso stile di vita”. Nicolas Flores dichiarava di aver conosciuto Lacaro Agustin e ricordava che era stato a capo di una sollevazione indiana nelle zone di Saltillo e che era fratello o nipote di don Marcos. Il capitano Domingo de Menchaca affermava di conoscere l’Agustin e il territorio del Coahuila dove, prima dell’arrivo degli spagnoli, gli indiani parlavano la stessa lingua ed avevano le stesse usanze. Il 30 giugno 1673 gli indiani erano convinti che le loro richieste sarebbero state accettate, i nativi dovevano aggregarsi e poi presentarsi alle autorità del Coahuila. Tra i gruppi firmatari vi erano i Bobole, i Baia, i Contotore, i Tetecore e circa la metà del gruppo Momone.


La zona del Big Bend

Altri due gruppi piuttosto numerosi avrebbero aderito alle proposte spagnole, erano i Gueiquesale e i “Tiltic y Maigunm”. Nella riunione successiva il don Lacaro venne accompagnato da un “capitán Gueiquesale” di fede cristiana chiamato “don Esteban” e da altri due capi “non cristiani”, inoltre vi erano anche 28 nativi Bobole e Temmanar. Il Lacaro ricordava che i Bobole avevano “più di 300 guerrieri” e vivevano nel Coahuila da “tempi immemorabili”, ma ricordava che causa le numerose guerre avevano subito grosse perdite ed ora dovevano costruire rancherías con gruppi alleati. Il Lacaro sottolineava poi l’aiuto dato dai guerrieri Bobole agli spagnoli durante l’epico scontro – avvenuto nel 1655 – contro i Cacaxtle, quando i Bobole furono al fianco di don Fernando de Azcué. L’intervento di una cinquantina di guerrieri Bobole avrebbe dato la vittoria alle truppe spagnole e, inoltre, la possibilità di punire anche i Tetecore e i Contotore. Il Lacaro diceva che anche altri gruppi intendevano seguire il suo esempio, ma non sappiamo a chi alludesse, anche se probabilmente ai Gueiquesale e forse ai Catujano, ma il capo ricordava che questi gruppi vivevano più a est e che non conosceva “i loro confini territoriali”. Il 3 agosto 1673 il Lacaro si presentava al generale Echeberz con don Esteban – capo dei Gueiquesale -, don Miguel – capo dei Teimamare -, un leader “non cristiano” e altri nativi; tutti dichiaravano di essere disposti a stabilirsi in un pueblo. Gli spagnoli continuavano a non fidarsi di don Lacaro Agustin, ritenuto un “ladino manipolatore che incitava continuamente alla ribellione anche altri gruppi” e che, inoltre, non aveva dato alcun aiuto a Fernando de Azcué nella guerra contro i Cacaxtle. Il generale avrebbe allora avvisato il “Cabildo”, il quale riteneva che un tale pueblo avrebbe “esaurito le risorse della città per poi provocare la sua rovina”, allora la richiesta venne negata. Nel settembre 1673, padre Larios si recò a Guadalajara con una ventina di indiani, gli ambasciatori protestavano contro i reati commessi dagli “encomenderos” nei loro confronti e, inoltre, ricordavano anche gli interventi delle truppe di Saltillo. L’Audiencia de Guadalajara avrebbe allora inviato a Saltillo, per indagare, don Martin Moreno, don Antonio Balcarcel e don Miguel Thomas de Ascoide, i quali avrebbero confermato i conflitti interni alle autorità di Saltillo, la cui conseguenza portava a situazioni di tensione tra i missionari, gli indigeni, gli “encomenderos” e le autorità di Saltillo. Il Balcarcel avrebbe avuto colloqui personali con i capi nativi, dichiarando poi che “le 24 nazioni” potevano radunare circa 3.700 guerrieri con almeno 12 mila persone. Il 12 dicembre 1673, il Governatore della Nueva Vizcaya, il “Maestro de Campo” don José Garcia de Salcedo, ordinava al capitano Francisco de Elizondo di prendere possesso del Coahuila e di garantire l’alleanza alla Corona di don Marcos, capo dei Babane, e dei suoi alleati Tetecore, Hueiquechale (Gueiquesale), Obaya e Contotore. Il 30 dicembre gli indiani promettevano la pace ed ottennero “30 fanegas di grano e 5 giovenche” Nonostante questi nuovi eventi, in dicembre, il Governatore ordinava alle truppe di sottomettere nove gruppi ribelli. Il 29 le truppe sconfissero gli indiani, “hanno preso i loro averi e hanno ridotto in schiavitù tutti i maschi” (padre Larios 1674). Il 12 gennaio 1674, il capitano Elizondo si mosse verso il Coahuila con trenta soldati, aveva il compito di stabilire un pueblo per i Babane e i loro alleati. Quando giunse a Nuestra Señora de Guadalupe (Monclova), circa 35 leghe da Saltillo, seppe che i missionari e gli indiani si erano spostati nell’entroterra per sfuggire l’ennesima epidemia di vaiolo. L’eElizondo, dopo aver vanamente inviato messaggeri a padre Larios, il 24 si mise alla ricerca dei missionari; si mosse a nord di Santa Cruz de las Peñuelas e poi, da Santa Cruz viaggiò per 14 leghe ancora verso nord, fin quando incontrò due indiani Xicocoge, i quali lo informarono che i Babane e i frati erano sul Río Sabinas. Il 26 gennaio le truppe si fermarono a circa 60 leghe nord di Saltillo dove ricevettero una lettera di padre Larios, il quale riferiva che, il 22 gennaio, aveva raggiunto la ranchería dei Bobole, dei Gueiquesale, dei “Tiltic y Mayhuam” e di altri gruppi alleati; questi gruppi erano accampati circa 10 leghe “al di là del Río Sabinas”, a est del Rio Grande.

Il missionario riferiva di non aver alcuna intenzione di lasciare gli indiani, di cui molti erano “affetti dal vaiolo”; quando poi seppe che Elizondo non si era mosso, il missionario viaggiò per 4 leghe e giunse a San Ildefonso il 23 gennaio, infine, il capitano si mosse per 14 leghe a nord del Río Sabinas per unirsi al Larios a San Ildefonso de la Paz. Il 28 gennaio, il capitano Elizondo avrebbe incontrato i capi dei Gueiquechale (Gueiquesale), Bobole, Manos Prietas, Pinanaca, Obaya, Babaymare, Zupulame, Omomone e Xicocoge. Padre Larios affermava che all’incontro vi erano i leader principali dei Gueiquechale (Gueiquesale), Bobole, Xicocoge, Xiupulame, Manos Prietas, Bacorama, Omomone e Baniamamar, ma anche dei Mescale, Jumee, Cabesa, Contotor, Tetecora, Bausari, Manos Coloradas, Teimamar e altri gruppi. I missionari dichiaravano che alcuni gruppi vivevano sul Rio Grande, a circa 20 leghe da San Ildefonso, dove cacciavano bisonti e preparavano la carne di questi animali; altri gruppi sparsi erano costantemente alla ricerca di cibo, mentre la maggioranza dei guerrieri era ancora con padre Larios. Il 29 gennaio l’Elizondo avrebbe contato gli indiani presenti: 543 donne, uomini adulti e bambini, con 106 guerrieri; 63 bambini vennero battezzati dal Larios e una anziana donna da poco defunta venne sepolta con rito cristiano. Il Comandante ricordava che i gruppi di don Marcos volevano stabilirsi pacificamente nelle zone del Río Sabinas, ma il capo ricordava che mancavano ancora parecchi indiani impegnati nella raccolta e nella caccia. Don Marcos richiedeva altro tempo per riunire tutti i gruppi alleati. Dopo le cerimonie religiose l’Elizondo invitò i capi a restare tranquilli e, soprattutto, a condividere il loro cibo con i missionari che non potevano contare sul supporto spagnolo, e stavano mangiando “mescal”. Il primo febbraio il Comandante riferiva di aver concesso terre ai gruppi di don Marcos sul Río Sabinas, in una zona collinosa nelle vicinanze del fiume, ma anche alcune zone più a nord, in un territorio che gli indigeni chiamavano “Dove i Tetecores sono stati uccisi” (Elizondo 1674). Il nuovo pueblo venne chiamato “Santa Rosa de Santa Maria” (Manuel de la Cruz 1674, Elizondo 1674); come “segno di possesso”, gli indigeni contrassegnarono con le pietre la zona della piazza dove “la chiesa doveva essere costruita”.
Il capitano Elizondo raccomandava, per garantire il successo dell’impresa, che nessun spagnolo potesse entrare in quella terra, in particolare quelli provenienti da Saltillo e dal Nuevo León. In secondo luogo ordinava a tutti gli spagnoli di non cacciare bisonti nel territorio indiano, i nativi difendevano i loro territori di caccia, anche a costo di riprendere le armi. Inoltre, nessun indiano doveva essere sottoposto alla “encomienda”, poiché gli “encomenderos” sfruttavano i nativi; quarto, bisognava dotare gli indiani di utensili da cucina e semi per i lavori agricoli. Secondo un Rapporto di Manuel de la Cruz, il 9 febbraio 1674, i padri Larios e Peñasco sarebbero andati a Saltillo per riferire della loro “entrada” nel Coahuila. Padre Manuel rimase nel Coahuila con soltanto 178 indiani Obaya e Bobole, perché 512 Gueiquesale avevano chiesto di lasciare la zona causa l’ennesima epidemia di vaiolo.


Cacciatori indiani

I Gueiquesale avrebbero promesso di ritornare ma, molti Bobole ed Obaya erano ancora affetti da vaiolo, allora si spostarono con il missionario in un’altra zona posta 5,5 leghe a sud-ovest del Río Sabinas, dove il missionario avrebbe fondato un altro pueblo in una “bella zona ricca di noci”, pini e pioppi bianchi. Il 20 marzo il Larios e il capitano Barbarigo sarebbero arrivati a Santa Rosa con forniture di cibo per i circa 3 mila indigeni del territorio. Il 15 settembre 1674, il Larios confermava che, tra gennaio e febbraio, i missionari avevano dato vita a due missioni-insediamenti (“poblaciones”): San Ildefonso de la Paz, posto 14 leghe a nord del Río Sabinas, a 20 leghe a sud del Rio Grande, e a più di 70 leghe da Saltillo e Santa Rosa de Santa Maria, situata 80 leghe a nord di Saltillo e 40 leghe a ovest del Rio Grande. Maria F. Wade ricordava che gli insediamenti di San Ildefonso e Santa Rosa erano chiamati “missioni-insediamenti” perché erano ben diversi dal sistema delle missioni dei tempi successivi. I primi erano spesso di breve durata, mentre i successivi avevano un certo grado di permanenza ed erano altamente regolarizzati. Le due “missioni-insediamenti” vennero stabilite principalmente per i numerosi Gueiquesale e i Bobole, ma con loro vi erano anche altri 32 gruppi nativi; altri 22 gruppi della Nueva Vizcaya e della Nueva Galicia vi avrebbero aderito in seguito. A San Ildefonso vi erano 512 Gueiquesale e altri 178 indigeni, alcuni dei quali erano Bobole, Obayo, Tiltique, Tiltiquimayo, Pinanaca e Mayhuam (de la Cruz 1674). Vari documenti indicavano che i Babane, i Bobole, i Gueiquesale, gli Obayo e i Manos Prietas erano presenti a Santa Rosa e a San Ildefonso nella primavera del 1674. I missionari riferivano che la vita in queste missioni era particolarmente dura, gli indigeni “hanno poco da mangiare”, si nutrivano soprattutto di radici e mescal, “hanno le vesti a brandelli e presto ricominceranno a indossare pelli di cervo e di bufalo” (de la Cruz 1674). Il Barbarigo ricordava che anche i missionari soffrivano la fame e spesso si nutrivano di “lechugilla, tule e sotol”. Quando, il 20 marzo 1674, padre Larios giunse a Santa Rosa, si accorse che i Bobole avevano lasciato l’insediamento, allora avrebbe chiesto a padre Manuel di rintracciarli per convincerli a ritornare. Il 22 marzo padre Manuel si mise alla ricerca degli indiani e percorse 12 leghe prima di individuare una ranchería posta in un arroyo, era quella dei Bobole fuggiaschi. Gli indigeni sarebbero ritornati a Santa Rosa sei giorni dopo; il giorno successivo il Larios ordinava al Manuel di trovare i fuggiaschi Gueiquesale che si trovavano a nord del Rio Grande. Il missionario si mosse il 30, o il 31 marzo; nella sua lettera (29 maggio 1674), padre Manuel ricordava che era poco propenso a viaggiare a nord del grande fiume ma, accompagnato da cinque Bobole, viaggiò verso nord per quattro giorni e mezzo coprendo circa 40 leghe per raggiungere il Rio Grande.


L’arrivo degli spagnoli

Il gruppo avrebbe attraversato il fiume in due fasi; l’attraversamento fu particolarmente difficoltoso, con i muli che si imbizzarrivano. A nord del Rio Grande la spedizione si mosse verso est giungendo in una zona montuosa che gli indiani chiamavano “Dacate”, un termine significante, in castigliano, “nasi” (de la Cruz 1674). Il Bolton suggeriva che la località chiamata “Dacate” era la successiva “Anacacho Mountain”; la prima menzione di “Dacate” risale proprio al 1674 con il viaggio di padre Manuel, era una catena montuosa ricca di colline e con molti ruscelli. L’area venne nuovamente ricordata anche nel 1675 come il territorio degli indiani Bagname e Siano. Successivamente venne ricordata durante la spedizione Bosque-Larios (1675), i due avevano il compito di attraversare la “Sierra Dacate” e, il 18 maggio 1675, il Bosque raggiungeva una zona con un piccolo fiume che gli indiani chiamavano “Dacate”. “Nelle vicinanze di Dacate” padre Manuel venne consigliato da un nativo di “lasciare questa strada” perché i Catujane e i Patagua-Ocane erano nel territorio e avevano intenzione di ucciderlo. Secondo il nativo, a questi indiani era apparso il “diavolo” (“y me dijo q. dejase aquel camino porq. los yndios Pataguas-Ocanes y Catujanes abisados de un demonio q. se les aparece en forma bisible”). Padre Manuel avrebbe cambiato rotta e, muovendosi verso nord, si sarebbe nascosto “tre giorni in un arroyo”, sopravvivendo di canne e radici (de la Cruz 1674), mandando però in avanscoperta un Bobole al suo seguito. Al suo ritorno la guida avrebbe riferito che i Bobole fuggiaschi erano accampati circa sei leghe a monte e sullo stesso arroyo; il missionario e i suoi sarebbero poi entrati nel loro accampamento intorno alle nove del mattino. Nella zona erano presenti anche i Gueiquesale, localizzati a circa otto leghe di distanza. Quando il missionario riferì ai Bobole dell’atteggiamento ostile dei Catujano e dei Patagua-Ocane, gli indiani rimasero piuttosto stupiti ed allora inviarono esploratori alla ricerca dei nemici, proprio mentre padre Manuel inviava un indiano alla ricerca dei Gueiquesale. I due gruppi si sarebbero riuniti poco prima del tramonto, con don Esteban, capo dei Gueiquesale, vi erano “98 guerrieri con archi e frecce, e decorazioni di guerra sul corpo”. Dalle fonti sembra che i guerrieri Gueiquesale abbiano combattuto una durissima battaglia contro gli Ervipiame, indossavano soltanto una “gamuça” (una piccola pelle di daino) e i loro “organi sessuali” erano coperti soltanto da uno scudo (“adarga de cuero”). Le braccia e il petto dei guerrieri erano decorate con “striature rosse, gialle e bianche”, sulle teste portavano “corone di foglie di mesquite”, ma alcuni portavano foglie di “estofiate Silvestre” (un’erba medicinale), “sopra le corone di foglie avevano bellissime piume”. Don Esteban abbracciò il capo dei Bobole e quando vide il missionario gli chiese il motivo della sua visita, padre Manuel gli disse che voleva riportarlo a Santa Rosa. Le fonti sono esplicite, don Esteban voleva che “la sua gente diventasse cristiana”, il suo gruppo avrebbe poi seguito il missionario. Nel frattempo, gli esploratori riferivano di aver individuato i nemici, erano circa 180 guerrieri, allora i capi consigliarono a padre Manuel di restare nell’accampamento (“rancho”) con le donne e i bambini, mentre i guerrieri si mettevano “sul sentiero di guerra”. Padre Manuel rifiutò, affermando di aver seria intenzione di stare con i suoi “fratelli”; gli indiani ebbero la prova della sua amicizia e dichiararono che avrebbero preferito “morire” piuttosto che abbandonarlo. Padre Manuel, don Esteban e “147 arcieri” lasciarono l’accampamento dei Bobole alle dieci di mattina, marciarono velocemente fin quando individuarono i nemici; si fermarono e valutarono le forze nemiche. I capi dei Bobole e dei Gueiquesale riconobbero la superiorità numerica dei nemici e non si persero d’animo, mentre padre Manuel mostrava loro “l’immagine di Cristo”, Dio li avrebbe aiutati. I guerrieri prepararono i loro archi poi, “con un orribile rumore” attaccarono il nemico “con grande valore”; incapaci di resistere i nemici abbandonarono il campo di battaglia al primo urto e si rifugiarono nella “Sierra Dacate”. I Gueiquesale e i Bobole avevano ucciso sette nemici, catturando quattro donne e tre ragazzi, che non vennero uccisi per l’intervento dei missionari. Dopo lo scontro, i capi riferirono a padre Manuel la geografia del territorio circostante, con i nomi di ruscelli, montagne e colline (de la Cruz 1674). Il giorno seguente ritornarono al campo dei Bobole, dove padre Manuel convinse questi indiani ad unirsi ai Gueiquesale in un’unica ranchería; i vincitori avevano viaggiato per ben due giorni attraverso “una splendida prateria” (de la Cruz 1674). I missionari avrebbero notato che a nord del Rio Grande vi erano grandi mandrie di bisonti, mentre nei fiumi e nei ruscelli vi erano grandi quantità di pesci, di gamberi e di tartarughe (de la Cruz 1674). Padre Manuel venne ben accolto nella ranchería dei Gueiquesale, le donne “si misero a ballare come era loro abitudine, esprimevano grande gioia nei miei confronti” (de la Cruz 1674). Nell’accampamento vi erano 733 indiani e padre Manuel ricordava di aver trascorso 21 giorni a nord del Rio Grande, dove avrebbe trovato seri problemi al guado del fiume, anche se “l’acqua raggiungeva soltanto la pancia degli animali … nel centro del fiume vi era un isola sabbiosa con splendide spiagge”. Poi continuava dicendo che, dopo aver guadato il fiume, viaggiarono ancora due giorni prima di raggiungere un arroyo, dove erano accampati “166 indios Pinanaca e Tiltiqmaya”.


In missione tra gli indiani

Anche in questo campo le donne festeggiarono il missionario cantando e ballando, infine, il giorno dopo, si rimisero in marcia e viaggiarono per sette giorni fino a giungere ad un fiume che chiamarono “Río Nueces”, un fiume nelle cui vicinanze vi erano alberi che producevano grandi quantità di noci di grandi dimensioni. Continuando la marcia trovarono una sorgente in una palude posta tra le colline, nelle vicinanze vi erano “82 indios Babusarigame”, anche questi indiani avrebbero seguito i missionari verso Santa Rosa. Dopo aver attraversato altre pianure il gruppo giunse ad un corso d’acqua situato a circa 10 leghe da Santa Rosa, dove preferirono riposarsi per due o tre giorni, mentre padre Manuel procedeva verso la missione per incontrare padre Larios e il capitano Barbarigo.
Padre Manuel segnalava un incidente avvenuto qualche giorno prima: quattro nativi, due maschi e due femmine, avevano lasciato l’Hacienda de Patos, di proprietà di don Agustin Echeberz y Subiça. Don Agustin fece braccare gli indiani come se fossero in fuga, per questo il missionario concludeva dicendo che gli “encomenderos” dovevano comportarsi meglio per non rovinare l’attività missionaria. In luglio, padre Peñasco scriveva ai suoi superiori mettendoli al corrente degli eventi verificatisi nei mesi di maggio e giugno. Otto giorni dopo il suo arrivo a Santa Rosa (18 maggio 1674), padre Larios lo inviava alla ricerca dei Manos Prietas, individuati circa 4 leghe a nord del Rio Grande, e a circa 50 leghe da Santa Rosa. I Manos Prietas gli offrirono carne di bisonte “che avevano in quantità”, poi li convinse a presentarsi a Santa Rosa entro otto giorni. Da questi indiani il missionario seppe dell’esistenza di un altro gruppo, i Giorica (Yorica), stanziati a circa 8 leghe di distanza e posti verso l’interno. Padre Peñasco inviava allora due messaggeri per informarli della sua presenza; fu tutto vano, gli Yorica si rifiutarono di abbandonare la loro terra ricca di cibo (Peñasco 1674). Un altro messaggero venne allora inviato, questo venne ben ricevuto e gli Yorica liberarono allora un giovane prigioniero del gruppo Quezale (Gueiquesale); inoltre, assicurarono il messaggero che avrebbero incontrato il missionario. Il giorno dopo i Manos Prietas e gli Yorica si incontrarono amichevolmente, avevano “i corpi addobbati a festa” e, in segno di pace, “si scambiarono archi e frecce” (Peñasco 1674). E’ probabile che questi gruppi – i Manos Prietas e gli Yorica, senza dimenticare i Gueiquesale – fossero nemici di lunga data, questa ipotesi, secondo la Wade, sarebbe rafforzata dall’offerta di archi e frecce agli Yorica; inoltre, la liberazione del giovane Gueiquesale costituiva un gesto amichevole che poteva cancellare tutti i precedenti conflitti. Indiscutibilmente gli Yorica sapevano che i Manos Prietas erano alleati dei Gueiquesale, ma anche amici degli spagnoli. Convinti dal missionario, circa 300 indiani Yorica lo seguirono fino a Santa Rosa, ma una settantina di loro preferirono restare nel territorio per prendersi cura dei malati ed infine riunirsi al grosso della tribù. Padre Peñasco avrebbe riferito che a Santa Rosa si erano radunati almeno 3.200 indiani, accampati nelle vicinanze nel raggio di 2,3,5 e 7 leghe.


Pitture rupestri

In giugno, però, ormai quasi affamati, gli indiani avrebbero lasciato la missione per dedicarsi alla raccolta di cibo e alla caccia. Il mese successivo il Barbarigo riferiva la triste situazione alle autorità, dicendo che ormai i missionari dovevano seguire gli indiani nei loro spostamenti, ricordando che gli “encomenderos” continuavano a ridurre in schiavitù i nativi (Barbarigo 1674). Verso la fine di luglio, gli infuriati indiani avrebbero distrutto la missione-insediamento di Santa Rosa, ma i missionari avrebbero continuato a vivere nelle vicinanze. Nel settembre 1674, padre Larios stava progettando di istituire altri quattro insediamenti per accogliere altri gruppi nativi, erano quelli di Mapimí, San Lorenzo, San Pedro e Cuatro Cienegas; gli indiani avrebbero dovuto raggiungerli entro il mese di novembre, ma il progetto era sicuramente fuori dalla portata degli spagnoli. In agosto, padre Dionisio de San Buenaventura e padre Esteban Martinez giungevano a Santa Rosa, trovarono l’insediamento abbandonato e completamente in rovina, circa 600 nativi si erano trasferiti nell’interno del territorio, accampandosi a 15 leghe di distanza. Secondo padre Dionisio i nativi erano molto preoccupati della nuova “entrada” spagnola nel Coahuila, ma continuavano comunque a richiedere donazioni di cibo (“limosna”). Le loro preoccupazioni erano ampiamente giustificate, l’arrivo di nuovi coloni rappresentava un grave pericolo per i gruppi indigeni che da poco avevano ricevuto il titolo di possesso di alcune terre, in particolare quelle poste intorno alla città di Nuestra Señora de Guadalupe (Monclova). Il 23 novembre il Balcarcel entrava in Monclova, dove venne accolto da una folta delegazione di sessanta nativi appartenenti ai gruppi Bobole, Yorica, Xicocole, Gusiquesale (Gueiquesale), Catujano e Jacafe. Il pueblo costruito nelle vicinanze sarebbe servito soltanto per i Bobole, i Gueiquesale e alcuni gruppi alleati; comunque, il 28 novembre 1674, i padri Larios e Manuel dovettero andare alla ricerca dei Bobole e dei gruppi alleati del Río Sabinas. Il 30 dicembre 1674, il Larios avrebbe inviato le sue “Memorias” ai suoi superiori, il testo comprendeva i nomi dei vari gruppi nativi che avevano promesso obbedienza alla Corona. Il missionario ricordava le sue esperienze a Santa Rosa, dove solo i gruppi di don Esteban e don Marcos restavano nella zona. Don Esteban era molto malato, mentre alcuni Rapporti indicavano che la distruzione di Santa Rosa sarebbe stata opera di alcuni guerrieri Babane di don Marcos; gli indiani avevano “saccheggiato la sacrestia e dato alle fiamme le capanne dei frati”. Molti di questi indiani erano ormai dei “Ladinos”, ovvero dei nativi che avevano vissuto con gli spagnoli e che erano a conoscenza dei loro modi di vita e della loro cultura. I “Ladinos” divennero molto influenti all’interno dei gruppi nativi, giocarono un ruolo importante soprattutto perché conoscevano lo spagnolo; divennero però anche molto pericolosi proprio perché furono utilizzati come interpreti, corrieri ed informatori, ciò significava che erano a conoscenza di numerose informazioni che potevano essere usate contro gli stessi spagnoli. I “Ladinos” potevano anche diventare dei feroci nemici, i quali potevano porsi al fianco dei “bozale ribelli”, ovvero dei nativi non acculturati. Talvolta, il termine “bozale” veniva applicato, in modo dispregiativo, ad un particolare gruppo nativo, e generico, perché poteva anche non essere una designazione etnica.
Nelle sue “Memorias” (1674), il Larios avrebbe elencato notevoli informazioni riguardanti i nativi, menzionando i loro leader, le loro coalizioni e i nomi dei gruppi. La coalizione dei Bobole, sotto la guida di Juan (Joan) de la Cruz, includeva i Bobole veri e propri, e gli Xicocosse, Jumane, Bauane (Babane), Xupulame, Yorica, Xianco “cadam”, Yergiba e i Bacaranan (Larios 1674). Anche se non esistono altri Rapporti successivi su questa coalizione, i Bagname, Bibit, Geniocane, Gicocoge, Jumee e Yorica vengono citati come alleati dei Bobole nell’anno successivo (1675). La coalizione dei Gueiquesale, sotto la guida di don Esteban, includeva i Gueiquesale veri e propri (Hueyquetzale), i Manos Prietas, Bacoram, Pinanacam, Cacaxte, Coniane, Ovaya, Tetecora, Contotore, Tocaymamare, Saesser, Tenetmamar, Codam (Oodam?), Guiguigoa, Eguapit, Tocamomom, Huhuygam, Doaquioydacam, Cucuytzam, Aquita “doydacam”, Babury, Dedepo, Soromet e i Teymamare (Larios 1674). La terza coalizione, sotto la guida del capo don Fabian, includeva i Mayo, Babusarigame, Bamarimamare, Cabesas, Bauiasmamare, Colorado, “Pies de Venado”, Igo “quib”, e i Toque (Larios 1674). Don Esteban era sicuramente il capo con maggiore autorità, ma la sua influenza si estendeva anche sulla coalizione dei Bobole e su quella di don Fabian. La quarta coalizione era invece sotto l’influenza di don Miguel, un indios Catujano, che guidava i Catujano veri e propri, i Bahanero, Chacahuale, Toarma, Masiabe, Madmeda, Mabibit, Ape, Pachaque, Tilyhay, Xumez, Garafe e i Mexcale (Larios 1674). Le liste del Larios – come vennero pubblicate dall’Alessio Robles (1938) e dal Griffen (1969) – sono comunque diverse dall’originale, alcuni nomi nativi non vengono ricordati, oppure menzionati con una grafia diversa; inoltre, gli Xumez vengono omessi dall’elenco della coalizione dei Catujano. Chiaramente, dagli eventi accaduti nel periodo 1658-73, questi gruppi dichiaravano fedeltà a padre Larios e le loro coalizioni erano sicuramente antecedenti all’arrivo del Balcarcel; quest’ultimo, quando ricevette parecchie delegazioni native a Monclova, si sentì dire dai capi che gli indiani avevano seria intenzione di stabilirsi nei pueblos. Il problema era però rappresentato dal gran numero degli indiani, e gli spagnoli non erano assolutamente in condizione di accoglierli e sfamarli; non avevano né risorse economiche e neppure militari. I coloni spagnoli, dal canto loro, temevano la presenza dei nativi, fu allora che molti preferirono abbandonare il territorio. L’elenco dei gruppi nativi fornito dal Larios includeva comunque gruppi che non sembra abbiano conferito con il Balcarcel, e neppure sono stati inseriti nelle varie liste del Juan de la Cruz, del don Esteban e del don Miguel. Il don Esteban avrebbe incontrato il Balcarcel rappresentando i gruppi a lui alleati: Manos Prietas, Bocora, Siaexer, Pinanaca, Escabaca, Cacaste, Cocobipta, Cocomaque, Contotore, Colorado, Babiamare e Taimamare.

Don Miguel (noto anche come “capitan Miguel”) era un Catujano cristiano che guidava la sua gente e i gruppi alleati dei Tilijae, Ape, Jumee, Pachuque e Toamare; qualche tempo dopo il don Miguel avrebbe presentato al Balcarcel i capi dei Bajare, Pachaque e Jumee. Inoltre, sembra che i primi alleati di don Marcos – il Babane ricordato da Elizondo (1674) – erano tutti membri della coalizione dei Gueiquesale, fatta eccezione per i suoi Babane, che erano membri della coalizione dei Bobole. Il 18 gennaio il Balcarcel accoglieva Francisco, un capo dei Bagname, era accompagnato da 18 guerrieri, tre donne, un altro capo Bagname chiamato “Mapo”, e da Yosame “carboan”, un leader dei Siano. La Wade ci viene in aiuto dicendo che il capo “Mapo” era un parente del capo dei Siano, Yosame “carboan”; il Francisco riferiva che la sua gente viveva sulle montagne chiamate “Dacate”. E’ molto probabile che i Siano fossero gli indiani Sana di altre fonti. Il 26 gennaio 1675 il Balcarcel riceveva la visita di don Pablo, un capo dei Manos Prietas, era accompagnato da otto membri del suo gruppo, alcuni dei quali appartenenti ai Gueiquesale, Bapacora Pinanaca (Bacopora e Pinanaca) ed agli Espopolame. Il 22 aprile avrebbe poi ricevuto don Salvador, capo dei Bobosarigame, il quale era accompagnato da don Bernabe, un leader dei Contotore, e da don Esteban, che da allora venne chiamato “Capitán Grande”. L’ordine di apparizione delle delegazioni indiane fu il seguente: i Gueiquesale e i loro alleati, i Catujano e i loro alleati, i Contotore, i Bagname e i Siano, e i Manos Prietas, questi ultimi venuti come alleati dei Gueiquesale; inoltre, altri due gruppi alleati dei Gueiquesale, i Bacora e i Pinanaca. I Manos Prietas avrebbero portato davanti al Balcarcel anche gli Espopolame, un gruppo non menzionato all’interno della coalizione dei Gueiquesale, ma registrati come “Xupulame”, membri della coalizione dei Bobole nel dicembre 1674. I Manos Prietas erano quindi alleati, ma avevano anche legami di amicizia, con gruppi appartenenti alle “macro-sfere” di influenza dei Gueiquesale e dei Bobole; ciò indicava un’alleanza primaria (micro-sociale) con gli Xupulame e probabilmente con altri gruppi, ma con un alleanza di livello macro-sociale con i Bobole. L’alleanza dei Manos Prietas con i Gueiquesale era sicuramente primaria, e lo stesso poteva dirsi per l’alleanza tra i Bacora e i Pinanaca (micro-sociale), mentre era macro-sociale l’alleanza dei Bacora e dei Pinanaca con i Gueiquesale.


Donne al lavoro

Molto probabilmente queste alleanze erano limitate a certe sfere di interazione sociale ed economica. Le successive delegazioni native avrebbero portato a Monclova i Catujano e i loro alleati, seguiti dai Bobosarigame (accompagnati da don Esteban e da un capo dei Contotore), e successivamente ancora da un capo dei Catujano con i suoi alleati. Don Bernabe, il capo dei Contotore, sembrava essere un sottocapo di don Esteban. Il capo dei Bobosarigame, che nel dicembre 1674 apparve come successore di don Fabian, accettava l’autorità di don Esteban molto probabilmente attraverso il capo dei Contotore. Ciò implicava un rapporto molto stretto (micro-sociale) tra i Bobosarigame e i Contotore, ed una alleanza tra questi due gruppi e i Gueiquesale ad un livello macro-sociale. I leader dei Catujano si sarebbero presentati davanti al Balcarcel con alcuni capi degli Ape, Tilijae, Bajare, Jumee e dei Pachaque; soltanto il capo dei Toamare, indicato in gennaio come alleato dei Catujano, non si sarebbe incontrato con l’Alcalde. Nelle loro visite al Balcarcel, i rappresentanti dei Catujano non furono mai accompagnati dai Bobole o dai Gueiquesale, ciò confermerebbe la piena indipendenza della coalizione Catujano dalle altre due. Altri due gruppi che si presentarono furono quelli dei Bagname e dei Siano, i cui leader avevano chiesto di stabilirsi nelle vicinanze dei Bobole; questi gruppi sembra non avessero rapporti molto amichevoli con i Gueiquesale, e neppure avevano stipulato alleanze con quella popolazione. Il loro rapporto con i Catujano, se ne avevano, sembrerebbe soltanto tramite i loro amici Bobole. I due gruppi vivevano nelle zone di “Dacate” e, probabilmente, si sentivano schiacciati, come indicato da varie dichiarazioni espresse in seguito alla spedizione del Bosque-Larios, dalla coalizione di don Esteban. Alcune bande alleate dei Catujano – Ape e Bibit (o Mabibit) – sembra avessero avuto stretti rapporti con i Bobole, probabilmente attraverso gli Yorica. Queste serie di vincoli – incastrati a vari livelli e all’interno di micro o macro-coalizioni, come diceva la Wade – riflettevano le particolari situazioni di ogni gruppo; tali preoccupazioni determinavano, probabilmente, la durata degli accordi di coalizioni specifiche. Questi processi di aggregazione, attraverso la formazione di coalizioni o alleanze, era già noto nelle epoche pre-ispaniche, in particolare con i Tlaxcaltecans. Anche se alcuni studiosi parlano dei Tlaxcaltecans riferendosi ai loro “clan” o “tribù”, essi fanno notare che la loro struttura politica era organizzata intorno ad un individuo importante ed influente, visto come l’espressione suprema della comunità, spesso anziano ed anche più forte sia politicamente che militarmente. Questo capo stabiliva strette relazioni con altri leader dello stesso gruppo etnico, e stabiliva alleanze per dar vita ad un’ampia coalizione e per difendere la “vitalità etnica e territoriale del gruppo”. Un analogo processo venne notato anche nella California pre-ispanica. Nel 1997, il Silver e il Miller affermavano che vari gruppi erano “fortemente collegati tra loro, sia da legami formali che informali”, stabilivano alleanze commerciali e militari e “spesso coinvolgevano anche membri di comunità appartenenti a gruppi linguistici diversi”. Dobbiamo notare che il Balcarcel venne visitato, prima dai principali capi delle coalizioni, i quali parlavano a nome dei vari gruppi; soltanto nei successivi contatti il Balcarcel avrebbe avuto modo di incontrare i leader dei gruppi delle coalizioni.


Un piccolo campo familiare

Questo processo poteva indicare una “catena gerarchica” ben definita. Nell’aprile 1675, Pablo, un capo dei Manos Prietas, venne inviato come ambasciatore da don Esteban, doveva richiedere l’intervento di padre Larios. Don Esteban era all’epoca a San Ildefonso ed era molto preoccupato per gli Ervipiame (Yrvipias), i quali avevano ucciso cinque indiani della coalizione dei Gueiquesale. Come rappresaglia, i Gueiquesale attaccarono gli Ervipiame uccidendo il loro capo e altri otto indiani; come prova della loro grande vittoria, i Gueiquesale avrebbero ottenuto il bastone di legno che apparteneva al capo defunto del gruppo nemico. Durante la battaglia i Gueiquesale liberarono tre donne degli Yorica e dei Bapocora che erano state catturate dagli Ervipiame qualche tempo prima. Il capo Pablo riferiva inoltre che gli Ervipiame vivevano molto lontano da Monclova. La sequenza di scontri e conflitti tra i Gueiquesale, e i loro alleati, e gli Ervipiame, dimostra che era un problema che andava avanti da diversi anni; l’anno prima lo stesso padre Manuel era stato testimone di uno scontro tra i due gruppi. Il problema non era stato risolto, gli Ervipiame stavano cercando da tempo di scacciare i Gueiquesale e i loro alleati dal territorio, ma ancora non avevano ottenuto alcun risultato concreto. Indipendentemente dal risultato finale, sembra indiscutibile che i Gueiquesale stavano prendendo il sopravvento anche se i gruppi più piccoli, e più deboli, dovevano per forza di cose stabilire alleanze con una delle due parti. Comunque, nonostante le azioni spagnole, “che possono o non possono aver contribuito ai continui conflitti”, rendeva poco stabile il territorio, a nord e a sud del Rio Grande, prima dell’arrivo degli Apaches. Il 25 aprile 1675 venne inaugurata la Chiesa parrocchiale di Nuestra Señora de Guadalupe; padre Peñasco e padre Dionisio de San Buenaventura avrebbero allora censito gli indiani presenti a San Miguel de Luna, trovarono 182 maschi adulti, 78 donne adulte e 135 ragazzi e ragazze di ogni età. Due ragazze quattordicenni vennero battezzate “dopo aver spiegato la complessità del mistero della Santissima Trinità” (Balcarcel 1675); il giorno dopo sarebbe stato ufficialmente fondato il “pueblo nativo” di San Miguel de Luna, la cui leadership venne data ai capi dei Bobole e dei Gicocoge, anche se altri gruppi, inclusi gli Ape e i Gueiquesale, si erano lì riuniti. Il 29 aprile 1675 il capo Pablo si sarebbe stabilito con il suo gruppo, composto da 232 anime: 120 guerrieri, 65 adulti e 47 ragazzi e ragazze.


Piccoli ricoveri

Il numero degli “indios” era così grande che si “estendeva da Monclova fino al corso del Rio Grande”; San Miguel era straripante di indiani ed anche capi carismatici come Juan de la Cruz e don Esteban avrebbero avuto parecchi problemi “nel mantenere la pace”. Secondo il Balcarcel i Bobole non volevano condividere San Miguel de Luna con gruppi che non erano loro stretti alleati; comunque, l’alleanza dei Bobole con gli spagnoli e i Gueiquesale sarebbe servita a mantenere i rapporti di forza e servì sicuramente a mantenere la pace e a tenere a bada gli altri gruppi. Nel frattempo, coloni spagnoli, che temevano la presenza dei nativi, continuavano ad abbandonare l’area; il Balcarcel riconosceva che il rapporto nativi-coloni rappresentava il pericolo di un potenziale conflitto. Il 30 aprile dichiarava che forse era meglio controllare i nativi nelle loro terre ancestrali, come gli avevano riferito il capo Pablo e il leader dei Sianoque. Lo stesso giorno le autorità ordinarono all’Alfiere Fernando de Bosque e a padre Larios di esplorare le terre comprese tra il Río Nadadores e la “Sierra Dacate”, essi dovevano valutare le aree che potevano convenire a beneficio della Corona e agli stessi indigeni.
La Wade conclude il capitolo con riflessioni estremamente interessanti. Le richieste indiane di stabilirsi presso gli insediamenti coloniali, nel 1658, non erano cadute nel vuoto. I Babane e i Jumano, molti dei quali erano stati portati a Saltillo per lavorare come “encomendados”, avevano visto assottigliarsi le loro fila. I restanti gruppi, e i loro alleati, avrebbero tentato di giungere ad accordi con gli spagnoli, volevano quei pochi privilegi che avevano gli indiani Tlaxcaltecans. Gli indiani si lamentavano dell’iniquo trattamento nel campo del lavoro e della schiavitù imposta alle loro famiglie; tuttavia, le loro richieste non portarono a nulla di buono e, anzi, parecchi di questi indiani aiutarono i militari contro altri gruppi nativi. Don Marcos, il capo dei Babane, nel 1673, avrebbe nuovamente richiesto un miglior trattamento, fu però tutto vano. Qualche tempo dopo, gli indiani aggirarono le autorità di Saltillo e fecero appello all’Audiencia de Guadalajara, dal momento che Monclova era sotto la Diocesi di Guadalajara e la giurisdizione civile del Nuevo León fino al 1687. Sostanzialmente tutto dipendeva dalle autorità, gli indios che si riunivano nei pueblos stavano diventando dei Ladinos. Ormai, alcuni gruppi erano ben noti agli spagnoli, anche quelli del Texas. I viaggi di padre Manuel ponevano i Bobole e i Gueiquesale nella parte sud-occidentale dell’Edwards Plateau, mentre i Manos Prietas erano localizzati a sud e a ovest di questi gruppi e molto più vicini alla sponda settentrionale del Rio Grande. I Bobole e i Gueiquesale vivevano spesso in grandi “rancherías” a nord del Rio Grande, dove spesso fronteggiavano militarmente i Catujano, gli Ervipiame, gli Ocane e i Patagua per poter controllare ed usufruire delle risorse alimentari, come le grandi mandrie di bisonti.


Uno spagnolo a cavallo

I Manos Prietas, invece, sembrano aver vagato verso il nord del Rio Grande per cacciare bisonti, ma non vi rimanevano per tempi lunghi. Nel marzo-aprile 1674, gli Ervipiame erano probabilmente stanziati presso le sorgenti del Dry Devils e sul West Nueces River, e a nord-ovest delle “rancherías” dei Bobole e dei Gueiquesale. Nel 1675 gli Ervipiame erano in guerra con gli Ape, Bacopora, Bobole, Gueiquesale e Yorica, e potevano essere alleati con gli Ocane e i Patagua. La battaglia cui assistette padre Manuel avrebbe rappresentato, almeno in parte, il risultato dei conflitti per i territori di caccia. Nella realtà, come afferma la Wade, il don Esteban avrebbe riferito che il capo degli Ervipiame avrebbe voluto incontrare padre Manuel per riferirgli che i Bobole e i Gueiquesale erano entrati nelle loro terre. Se questo fu il motivo dello scontro, allora i trasgressori non erano certamente gli Ervipiame. Nel 1674 gli Yorica vivevano sul lato nord del Rio Grande, circa 31,2 miglia a nord e a est del fiume; dopo aver stabilito, o ristabilito, la pace con i Manos Prietas e i Gueiquesale, gli Yorica avrebbero mantenuto relazioni amichevoli anche con i Bobole. E’ probabile che il loro avvicinamento ai Gueiquesale e ai loro alleati sia stato dovuto ai seri problemi che avevano con gli Ervipiame (1675) o, al contrario, che gli Yorica stavano cercando alleati per meglio difendersi dagli Ervipiame. Il quadro che emerge dai documenti spagnoli, relativi a questo flusso di eventi, sembra indicare che la maggior parte dei gruppi coinvolti avessero una considerevole popolazione. Le prove indicano che questi gruppi controllavano e difendevano specifiche aree geografiche e sfruttavano le risorse di tali aree; in quel periodo i vari gruppi stavano meglio definendo le loro terre e i loro confini. Questa situazione rappresentava una delle principali cause dei conflitti in corso e fu, in parte, causata dalla politica colonizzatrice spagnola e talvolta anche dal lavoro dei missionari. L’influenza degli “encomenderos”, e la persistenza del sistema della “encomienda”, portava a nuovi problemi; nonostante le leggi, tale pratica sarebbe continuata, le fattorie, le haciendas e le miniere richiedevano continuamente manodopera a basso costo. Questa situazione poteva compromettere anche l’opera dei missionari. La nomina di don Antonio Balcarcel, come Alcalde del Coahuila, avrebbe poi portato alla spedizione Bosque-Larios nel Texas. Gli scontri tra i vari gruppi nativi sembrano essere stati la diretta conseguenza della colonizzazione forzata spagnola.

L’influenza degli “encomenderos” e la persistenza del sistema della “encomienda” avrebbero portato a pratiche di schiavismo nelle “haciendas” e nelle miniere della Nuova Vizcaya e del Texas. Questa situazione avrebbe anche sconvolto gli intenti dei primi missionari che, purtroppo, non si rendevano conto delle situazioni che si stavano verificando. A titolo di esempio, gli sforzi operati da padre Larios, e dai suoi compagni, a nome di vari gruppi indigeni, avrebbe portato alla costituzione di un insediamento spagnolo nelle zone di Monclova. Le iniziative missionarie avrebbero provocato un’ampia risposta di molti gruppi indigeni i quali, però, non si erano resi conto che la acculturazione ad una vita sedentaria avrebbe avuto ripercussioni negative sul loro stile di vita. Pochi indiani erano veramente consapevoli della triste situazione cui andavano incontro, i pochi consapevoli sarebbero stati trattati come “carne da macello” ed eliminati velocemente. La nuova realtà sarebbe diventata evidente nei decenni successivi.

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