Cabezas

A cura di Gianni Albertoli

Il don Santiago Alonso nacque nei primi decenni del XVII secolo, nel territorio dove negli anni ‘30 venne fondata la missione gesuita di El Tizonazo, sarebbe poi deceduto nella missione francescana delle Cuatro Ciénegas. Il capo venne battezzato in data sconosciuta, “poiché i nomi con cui era conosciuto erano tutti cristiani”, comunque era anche chiamato “Santiaguillo”, un diminutivo che indicava “grande disprezzo, molto usato per denominare gli indigeni”. Oltre alla sua lingua madre, aveva imparato a parlare spagnolo e “messicano” (Nahuatl), essendo stato in contatto con i missionari che ne diffusero l’uso negli insediamenti nativi della Nuova Spagna settentrionale, o avendo avuto contatti con i Tlaxcalans nella regione del Parras.
Per gli spagnoli, questi nomi corrispondevano ad una “nación”, vale a dire un gruppo di persone che presumibilmente discendevano da un antenato comune (Chantal Cramaussel).

Quel che è certo è che l’appellativo “Cabezas” era quello di un’antica “encomienda indiana” probabilmente concessa dal Francisco de Ibarra – primo governatore della Nueva Vizcaya – al Cristóbal de Ontiveros, “uno de sus compañeros de armas en la conquista del septentrión”. Molte di queste “encomiendas cinquecentesche” che davano diritti a luoghi, a volte anche molto lontani, e popolati da “indios de guerra”, non duravano a lungo. Una volta catturati, gli indiani si stabilivano nelle “haciendas” del beneficiario, ma spesso fuggivano per tornare nelle loro terre natie. Questo fu probabilmente il caso di questa “primera encomienda de indios cabezas”. Inoltre, tra il 1616 e il 1620, la devastante insurrezione dei Tepehuanes stava per porre fine alla presenza spagnola nel territorio, ma gli indiani furono definitivamente sconfitti e la maggior parte dei villaggi nativi vennero abbandonati. Infatti, nel 1645 il governatore Luis de Valdés revocò l’antico incarico dato al Cristóbal de Ontiveros per concederlo al Baltasar de Ontiveros, nipote del primo encomendero (Parral, 19/01/1650). L’Ontiveros promise agli indiani del Santiago Alonso, di potersi insediarsi popolato nel sito di Cerro Gordo; in pratica il beneficiario aveva ottenuto quel sito che era anche “la vecchia sede” di questi indiani. L’anno successivo in quello stesso luogo venne eretto un Presidio militare. Nel 1649, il Baltasar de Ontiveros ricevette anche l’incarico di occuparsi degli indiani Salineros, “bárbaros y bozales”, di stabilirsi nella missione gesuita di Tizonazo, probabilmente come ricompensa per i loro meriti, poiché avevano portato in quel luogo circa “200 gentiles”, dopo aver contribuito a sedare la ribellione che aveva insanguinato le pianure centrali verso la metà degli anni ’40. Da allora in poi, i Cabezas e i Salineros avrebbero agito insieme per lungo tempo. Non possiamo comunque escludere che facessero parte dello stesso gruppo arbitrariamente diviso in due “encomiendas”, infatti, nel 1644, si diceva che i Cabezas fossero una “especies de salineros”. I Cabezas, come i loro vicini Salineros, erano tenuti a lavorare nelle “haciendas” e a servire come ausiliari indiani, scortando i viaggiatori e partecipando alle campagne di guerra.

Come affermava la Cramaussel, i Salineros erano un gruppo Tepehuanes e, probabilmente, anche i Cabezas condividevano la lingua dei Tepehuanes della Sierra, ma avevano la propria indipendenza; inoltre, sia Cerro Gordo che El Tizonazo si trovavano nelle vicinanze del Bolsón de Mapimí, una regione dell’altopiano del deserto centrale composta da una serie di bacini endoreici. Dobbiamo ricordare che “El camino real de tierra adentro” collegava il Messico a Santa Fe (Nuovo Messico) e costeggiava proprio il Bolsón a est, sarebbe poi diventato una importante arteria quando, nel luglio 1631, emerse “el real de San José del Parral”. Da quel momento in poi, gli indiani del Bolsón furono costretti a raccogliere gran parte della “saltierra” necessaria nelle miniere d’argento ma, erano essenzialmente dei cacciatori- raccoglitori che si opposero fermamente all’avanzata coloniale finché, nei primi cinque anni del XVIII secolo, i conquistatori intrapresero una guerra di sterminio che pose fine alla loro esistenza. Dopo il 1724, quelli che sopravvissero entrarono negli insediamenti coloniali, o ai gruppi apache che stavano ripopolando il Bolsón de Mapimí. La vita del don Santiago Alonso fu tipica degli anni 1640-1725, periodo in cui le ostilità erano ricorrenti. Gli indiani del Bolsón fuggivano dalle “haciendas” e dalle missioni, cominciando a razziare bestiame negli insediamenti, specialmente i cavalli che presto impararono a cavalcare; inoltre, iniziarono ad attaccare i carriaggi dei mercanti che seguivano “el Camino Real” per ottenere vestiti e oggetti di metallo che trasportavano. Come ricordava la Cramaussel, “se si offrivano di stabilirsi in qualche luogo come volevano i conquistatori”, era per evitare eventuali punizioni o per ricevere doni di cibo e vestiario. Come tutti, quando i Cabezas “sedaban de paz” non si fermavano mai a lungo nel luogo loro assegnato, anche perché non rinunciavano alle loro tradizionali attività di pesca, caccia e raccolta che non consentivano loro di condurre una vita esclusivamente sedentaria. In effetti, che senso aveva in estate “aspettare il raccolto di ottobre quando le piante commestibili abbondavano sulle rive delle lagune e dei fiumi, dove abbeveravano cervi, lepri e conigli e altri animali della regione?” e, “in inverno, perché gli indiani dovevano rimanere in missione quando le mandrie di bisonti scendevano dalle pianure di Coahuila e del Texas e altri gruppi con cui scambiavano prodotti venivano a cacciare?”. Il Santiago Alonso, con gli altri capi, risiedette a Cerro Gordo per poco più di quattro anni ma, nell’aprile 1651, gli indiani abbandonarono il sito e cercarono di far insorgere anche i Salineros della vicina missione gesuita di San José del Tizonazo. Tre settimane dopo Pasqua, il Santiago Alonso li convinse a lasciare gli insediamenti per incontrarlo, sapeva che gli spagnoli erano intenzionati ad impiccare i ribelli. I Salineros, che cercavano solo un pretesto per sfuggire dall’oppressione dei missionari e dei latifondisti circostanti, accettarono subito di partecipare ai “tlatoles” del Santiago (08/04/1652). I Salineros, e parte dei “los cabezas bajo” sotto il comando del Santiago Alonso, stavano pianificando diversi assalti, in diverse parti del nord della Nuova Spagna, il che rifletteva la loro grande conoscenza del territorio e la loro sorprendente mobilità. I ribelli si diressero subito verso la Sierra de Ramos, dove li aspettava Diego, il fratello del Santiago, con il resto dei nativi fuggiti da Cerro Gordo e da Tizonazo. Il Santiago ordinò immediatamente al Diego di mettersi in movimento, con lui vi erano guerrieri Salineros e Cabezas, i “più giovani e migliori guerrieri, di tornare alle haciendas spagnole e far tutto il male che potevano”. Gli altri seguirono il don Santiago all’aguaje di Santo Domingo dove aspettavano altri guerrieri. Cinque giorni dopo il Diego rientrava con i suoi guerrieri, “trayendo la cabellera de una india y de una muchacha viva de unos seis o siete años” (“portando i capelli di una donna indiana e di una ragazza viva di circa sei o sette anni”), i guerrieri dicevano di aver ucciso anche un’altra donna nativa e due indiani nelle vicinanze della “hacienda de Recacho”. I ribelli avevano razziato alcuni cavalli “en la hacienda de Juan Martínez Orejón”, nelle zone di Indé. La Cramaussel ricordava allora che, “la divisione esistente tra i ribelli e gli indiani che accettavano il dominio spagnolo e lavorarono nelle missioni e nelle haciendas era già evidente in quell’episodio”. Sebbene molte volte avevano la stessa origine, i lavoratori indiani delle “haciendas” divennero spesso vittime degli insorti, come tutti gli altri. Da Santo Domingo, gli insorti scesero nelle aree dell’aguaje del Gallo per raccogliere mezcal.

Gli indigeni amavano anche la carne di cavallo, che era più facile da rubare rispetto alle pecore o ai bovini così, in quell’occasione i Salineros e Cabezas mangiarono tutti i cavalli che avevano portato, e si prepararono per una nuova incursione. La permanenza dei Cabezas in vari punti del Camino Real mostrava che gli spagnoli erano ben lontani dal controllare il territorio verso la metà del XVII secolo. Otto giorni dopo, quando il Santiago era nelle vicinanze delle Salinas del Machete, il don Diego lo raggiunse con una quarantina di cavalli e alcuni muli, stavano tornando dall’incursione nell’hacienda de Palmitos, come avevano concordato. Le fonti riportavano che erano stati comunque osteggiati fortemente. A partire dal 1651, la documentazione attesta ancora la leadership che il don Santiago Alonso aveva, non soltanto tra i Cabezas e i Salineros, ma anche in altri gruppi nativi. Nelle saline, dove molti gruppi provenienti da diverse parti si radunavano per fare scorta di sale per il loro cibo, il Santiago riuscì a stipulare nuovi accordi con una “nación llamados baborimama”, guidata dal don Baltasar che li accolse “con amor”. Per suggellare l’amicizia, il capo dei Cabezas diede ai nuovi alleati parte dei cavalli e dei vestiti che avevano razziato negli insediamenti coloniali. Fu allora che tutti i gruppi nativi riuniti si mossero verso nord, in direzione della terra dei bellicosi Tobosos. Qualche giorno dopo, però, iniziarono a sorgere problemi tra i ribelli, specialmente con i Salineros, quando il don Santiago Alonso fece uccidere due guerrieri perché gli sembrava che “non aiutassero affatto la causa”. I due leader decisero di inviare due “ambasciatori” per contattare “las naciones de los tobosos, acoclames, nonojes y gavilanes y otras más”. Lo stesso Santiago si sarebbe mosso personalmente per contattare i “los cíbolos”.

Ormai la ribellione stava emergendo in vari territori ma, per far ciò, gli insorti dovevano dividersi in varie bande per assaltare gli insediamenti e i viaggiatori lungo El Camino Real. Infatti, quando il governatore Diego Guajardo Fajardo attaccò i “los tobosos, nonojes, acoclames y gavilanes en el peñol de Nonolat en septiembre de 1652” i Cabezas non erano presenti, erano impegnati in scorrerie devastanti. Gli insorti si erano mossi attraverso la regione del Parras razziando cavalli al fianco dei Bacosarigames e dei Matarejes; gli spagnoli li avrebbero inseguiti finché non li intercettarono ad Acatita (30 ottobre 1652), dove una cruenta battaglia venne combattuta. Nello scontro, nove indiani perdettero la vita e fra questi anche i capi dei Baborimama e dei Babosarigame, molti riuscirono a fuggire ma fra loro vi erano parecchi feriti. Il Santiago Alonso riuscì a salvarsi ma ordinò ai suoi Cabezas di disperdersi. I “los salineros de la parcialidad de don Cebrián” si rifiutarono di deporre le armi e di chiedere la pace al “capitán Esteban de Levario”, l’alcalde mayor di Indé (Parras, 22/10/1652). Il lunedì della Settimana Santa del 1653, tre gruppi ben armati, composti da circa 150 guerrieri appartenenti alle nazioni Cabezas, Salineros, Baborimamas, Babosarigames e Matarejes, tra cui il Diego, attaccavano il villaggio indiano di “Atotonilco”, posto a circa due leghe da Santiago Papasquiaro, dove il generale Juan de Barraza aveva la sua casa e la sua grande tenuta agricola. Gli indiani cercavano vendetta e il generale era il primo della lista. I ribelli tolsero la vita a sette persone, uomini e donne, e lasciarono a terra nove feriti, e una “povera donna indiana con due bambini venne bruciata viva nella sua capanna”, mentre un altro, per fuggire, nascose una sua piccola figlioletta dentro una sorta di cassapanca, che poi trovarono bruciata. Tutte le abitazioni vennero ridotte in cenere, e con loro anche le scorte di grano e di mais accumulate, andava in fumo il lavoro di una intera annata.

In una lettera indirizzata al governatore veniva rimarcato l’estrema crudeltà dei Cabezas ribelli. << Vostro onore avrà visto il danno che questa cattiva nazione Cabezas, e altri, hanno fatto nella mia casa e nella mia città, tutto è stato devastato e bruciato, non solo hanno bruciato le case e il mais, ma anche i cani, le galline e i piccioni, sono persone crudeli ... e debbo ringraziare Nostro Signore perché non hanno finito i miei figli e mia moglie >> (16/06/1652 – 07/05/1653). Il Santiago Alonso non era presente a quell’atroce assalto, in quei giorni era impegnato a devastare la valle del Parras con i guerrieri Salineros “de la parcialidad de don Cebrián”, insieme ai Babosarigames e ai Tusares “de la ranchería y encomienda de doña Isabel de Urdiñola”. Un proprietario terriero, il Gutiérrez Barrientos, si lamentava che la prima volta che attaccarono la sua casa e il suo rancho (15 settembre 1652), razziarono più di 550 cavalli e muli e tutti i buoi usati per arare i campi (“los bue yes de arada”). La seconda volta, il 30 dello stesso mese, i ribelli aprirono il recinto e razziarono almeno 300 cavalli e muli, quello stesso giorno distrussero anche tutti i campi di grano; “La fachada de su casa se llenó de flechas y los enemigos flecharon también una santa cruz que estaba colgada en el muro”. Il terzo attacco risaliva al 14 maggio 1653, in quell’occasione i ribelli presero gli ultimi 85 cavalli rimasti nella “hacienda”. Quest’ultimo episodio dimostrava che non era più possibile uscire dal ciclo delle violenze, gli assalti venivano compiuti non solo per il bottino ma anche per atti di vendetta e di odio. Dietro tutte queste ostilità, vi era sempre il don Santiago Alonso, mentre al fianco degli spagnoli vi era il capo Marcos, un “indios de nación babame de la provincia de Coahuila”, un leader spesso minacciato di morte dai Salineros e dai Tobosos. Il Gregorio de Alarcón, “el alcalde mayor de Saltillo”, riuscì a catturare 18 indiani Tusar (ottobre 1653), mentre quelli che riuscirono a fuggire cercarono rifugio nelle aree di Acatita, nelle vicinanze di Monclova (Coahuila). Gli spagnoli avrebbero poi condannato a morte parecchi guerrieri Tusar, con donne e bambini venduti come schiavi. Nel frattempo stavano emergendo i guerrieri Tobosos, sarebbe allora intervenuto il governatore Diego Guajardo Fajardo. Le autorità chiedevano rinforzi e il Valdés accusava apertamente degli attacchi gli indiani Salineros e Cabezas, ma anche altri gruppi provenienti dal Coahuila; inoltre temeva lo spopolamento della valle di Parras, dove gli “los indómitos amenazaban con quemar todas las casas y sementeras”; poi rimarcava la presenza di soli sei soldati e che, inoltre, soltanto sei residenti erano in grado di difendersi con le armi. Quanto ai Tlaxcalans della vallata, erano “pochi e grassi e non in grado di tirare con l’arco, chiusi nelle loro case morivano come bestie”. Una tattica molto ricorrente era quella di arrendersi per evitare la riduzione in schiavitù, o la pena capitale, e solitamente “lo facevano soprattutto nella stagione secca quando le piante da raccolta erano scarse”.

Inoltre, si facevano assumere nelle “haciendas” per poi fuggire quando cadevano le prime piogge. Il 9 aprile 1653, il governatore Guajardo Fajardo ordinava ai Salineros di Tizonazo di andare alla ricerca del Santiago, bisognava convincerlo a condurre una spietata guerra contro i Tobosos, i Nonojes, gli Acoclames e i Gavilanes sfuggiti al massacro di Nonolat. I “los capitanes salineros ofrecieron su ayuda a regañadientes porque entre los alzados había muchos parientes suyos”. Apparentemente, sembra che gli sforzi dei Cabezas per attirare i Tobosos nell’alleanza (1651) non avrebbe avuto successo, ed allora il capo dei Cabezas non aveva altra scelta che quella di unirsi agli spagnoli. Il governatore era riuscito a calmare i Tarahumaras, ed era rientrato nel Parral con circa 800 guerrieri, tra i quali spiccavano indios Tarahumaras, Chizos e altri gruppi. Il don Pedro, “el capitán salinero”, ben sapeva che i Cabezas si trovavano “en la Sierra del Sotole”, vicino alle “Salinas del Machete”, ed era seriamente intenzionato a contattare i Cibolos e altri gruppi “Corcovado” che si stavano muovendo verso le Cuatro Cienegas per muovere guerra ai Tobosos. Il lunedì 2 giugno 1653, “tres capitanes salineros”, con una quarantina guerrieri lasciavano il Tizonazo, a loro si sarebbero uniti i Salineros del Cerro Gordo (19 giugno); dopo aver incontrato il Santiago Alonso, questi avrebbe consigliato loro di rimandare la campagna. Indiscutibilmente, il grande caldo e la mancanza d’acqua potevano far fallire la spedizione, era questa una “terra castigata” (“tierra escarmentada”). Il Santiago affermava che il caldo poteva superare i 40 gradi, ma il Diego Fajardo era inflessibile, avrebbe ignorato le raccomandazioni esortando gli indiani ad entrare nel territorio nemico. Il 15 giugno, circa duecento indiani del Santiago lasciavano l’area di Tizonazo e, all’alba del giorno di San Pedro (29 giugno), i Cabezas e i Salineros intercettavano il nemico “en el río Angosto”. I Tobosos, e i loro alleati, “habían bailado toda la noche un gran mitote”, avevano salutato l’arrivo di una banda guerriera che aveva razziato muli e giovani giumente. La sorpresa fu totale, il Santiago e i suoi approfittarono dell’occasione e “uccisero centottanta uomini senza contare i vecchi e le donne … ed anche altri di cui si diceva che il numero fosse grande e che molti nemici feriti sfuggirono loro, tra questi vi era il don Cristóbal el Toboso con due ferite, una al fianco e una al braccio sinistro”. Nello scontro sarebbe perito anche “el capitán Gavilán”. I guerrieri Salineros e Cabezas catturarono anche una cinquantina di prigionieri. Forte della vittoria, il Santiago Alonso decise di andare nel Parral per chiedere perdono al governatore, era sua intenzione portare con sé anche i guerrieri Cibolos che si erano ritirati nelle loro terre insieme ad una trentina di Cabezas. Il 4 agosto apparvero a Parral “el salinero don Jerónimo Moranta” e il Santiago Alonso, i Cabezas e i Salineros entrarono nell’insediamento con grande ordine, portavano una bandiera rossa con una croce e su un bastone vi erano i capelli dei nemici uccisi in combattimento.

Gli indiani furono ben accolti e come ricompensa ricevettero “varas de paño” (3,6 metri di stoffa). Quello stesso giorno, il Santiago si riunì con “los capitanes salineros” per continuare la caccia contro quelli che erano scampati al massacro del Río Angosto. Il 18 agosto il Santiago, e i suoi Cabezas, lasciavano Tizonazo per entrare in Guapagua il primo settembre; il capo era fermamente intenzionato ad inviare corrieri ai gruppi Cibolos, Babosarigames e Mayos, suoi tradizionali alleati, promettendo di guadagnarsi anche l’aiuto degli indigeni delle aree del Parras e del San Pedro. Ancora una volta il don Santiago dimostrava di avere grande ascendente su molti gruppi nativi del Bolsón de Mapimí, della Laguna, e probabilmente anche nelle terre situate al di là del Río del Norte e del Coahuila, dove vi erano anche grandi mandrie di bisonti. Il 26 agosto, 92 indiani Salineros e Cabezas lasciavano il Tizonazo per spingersi nelle aree di Cerro Gordo, dove altri otto nativi si unirono alla spedizione.
Il Santiago era alla ricerca dei ribelli Tusar e dei loro alleati del Parras e del San Pedro, il 13 settembre entravano nelle aree delle “Cuatro Ciénegas”, per poi spingersi a Ocotán per incontrare gli indiani Chizos. Il capo non voleva assolutamente rischiare vista la grande bellicosità dei Tobosos. Il giorno dopo (14 settembre), nelle regioni di Guapagua, il Santiago e i suoi sconfiggevano duramente i temutissimi nemici, nello scontro perdeva la vita il don Cristóbal, il potente leader dei Tobosos, di cui, some consuetudine, venne tagliata una mano e venne preso il suo scalpo. Altri dieci Tobosos perdettero la vita ed un altro venne catturato con dieci indiani e tre ragazzi. Al ritorno, i Cabezas rimasero nel Tizonazo con i Salineros, lavorarono nelle “haciendas” circostanti e parteciparono, con le truppe del Presidio di Cerro Gordo, a diverse campagne contro gli indiani ribelli, almeno fino al 1656. Comunque, nell’aprile 1656, gli indiani del don Santiago erano ormai dispersi nel territorio alla ricerca del “mezcal”, soltanto 5 dei 50 indiani elencati si trovavano ancora a Tizonazo (Parral, 02/01/1656). Sembra comunque che i Cabezas abbiano lasciato il paese negli anni successivi. Nel 1658 alcuni gruppi si stabilivano ad El Canutillo, vi sarebbero però rimasti ben poco tempo. Nove anni dopo, il 14 febbraio 1667, il gesuita Bernabé de Soto, missionario nel Tizonazo, inviava una lettera al governatore Oca Sarmiento in cui registrava l’arrivo del don Santiago Alonso. Gli indiani non mantennero comunque la parola data, tanto che il Soto credeva che i Cabezas “estaban poseídos del demonio”, così come tutti quelli che non accettavano la fede cattolica e la sottomissione al sovrano. Il missionario sosteneva che Satana era apparso ai Tobosos sotto la forma di uno spagnolo, “lanciando fiamme dalla sua bocca”.

In quegli anni si sarebbero intensificati gli attacchi contro gli insediamenti coloniali, questi attacchi furono sempre attribuiti ai Salineros e ai Cabezas del Tizonazo. Sconfitti duramente in vari scontri, i Salineros e i Cabezas sopravvissuti ai massacri, tra cui il Santiago, riuscirono a fuggire nelle regioni di Acatita e Ventanillas, ed El Tizonazo dovette essere ripopolata con indiani Tepehuanes delle sierras (Durango 03/05/1671). Comunque, i Cabezas continuarono ad abitare il Bolsón de Mapimí ancora per parecchio tempo, rimanendo fuori dal dominio spagnolo per diversi anni. Agli spagnoli non bastava certamente, alla strage di El Tizonazo, bisognava aggiungere lo sterminio completo di tutti i Cabezas, e di mettere definitivamente in fuga i Salineros. Nel novembre 1673, il García de Salcedo intercettava, nei pressi del “Peñol Blanco”, alcuni razziatori, due Salineros vennero uccisi e altri due catturati. Le fonti riportavano che il potente capo si era unito ai Cibolos dopo aver appreso che i gruppi del Coahuila, con i Boboles e i Tetecores, erano intenzionati a deporre le armi. Nello stesso periodo i Cabezas erano nelle aree di Las Ventanillas, stavano però scendendo nelle vicinanze della grande laguna per raccogliere i frutti stagionali (Cuencamé, 22/01/1673). Gli spagnoli erano fermamente intenzionati a porre fine alla “storia dei Cabezas”. La campagna avrebbe dovuto durare due mesi, ma fu più breve del previsto, sarebbe iniziata il 12 dicembre 1673, per culminare il 29 dello stesso mese, “con la batalla de la sierra de Mapimí”, dove i ribelli Cabezas, Mayos e Salineros finirono per arrendersi. Molti prigionieri, un centinaio, vennero ridotti in cattività; gli spagnoli ebbero perdite limitate con soltanto quattro feriti. Il Santiago Alonso non avrebbe preso parte a questa battaglia, e neppure a quella battaglia di Nonolat (1652), senza dimenticare che non era presente neppure al massacro di El Tizonazo (1667). Ancora una volta la fortuna continuava ad accompagnarlo. I Cabezas sarebbero riapparsi nel Coahuila (2 aprile 1674) davanti a padre Juan Larios. Il prelato difendeva gli indiani e affermava che avevano subito “la injusta masacre del Tizonazo ordenada por Oca y Sarmiento en 1667”. Comunque, ancora una volta, il Santiago era uccel di bosco, e si trovava, stando alle fonti, “muy viejo y enfermo”, nelle vicinanze delle Cuatro Ciénegas. Il Manuel de la Cruz, fratello laico dell’Ordine Serafico, lo stava assistendo in quei drammatici momenti “que preceden la muerte”. Il Juan Larios raccontava che, “vi era da queste parti un indiano apostata di nome Alonso de Santiago, cresciuto nel Tizonazo, era un ladino in lingua castigliana e messicana … capitán de los indios Salineros y Cabezas, era astuto, corsaro, crudele e coraggioso tanto che molti spagnoli della frontiera temevano”.

Il missionario raccontava che prima di cedere la sua anima (“entregar el alma”), confessò davanti a Dio, interrompendosi più volte perché perdeva la parola, “por todos sus pecados” poiché si considerava “el más mal hombre que hay en el mundo”. Nel 1676, dopo la morte del Juan Larios, il vescovo di Guadalajara, il don Manuel Fernández de Santa Cruz, visitava la regione del Coahuila, al suo cospetto apparvero alcuni leader dei Cabezas e dei Salineros. Il vescovo avrebbe poi informato il viceré, ricordando che i due gruppi erano stati particolarmente temuti nella Nueva Vizcaya e che, “fino al mio arrivo non avevano nessuna intenzione di riappacificarsi”, nonostante altri gruppi affini fossero propensi ad attaccarli e punirli duramente. Gli indiani vennero immediatamente assegnati alla missione francescana delle Cuatro Ciénegas, vi sarebbero rimasti, con molti altri gruppi, fino al 1680, nonostante all’interno vi fossero anche gruppi Tobosos, “loro antichi nemici”. Come per gli indiani del Tizonazo nel 1656, i nativi della missione si dispersero velocemente; infatti, i Cabezas e i Salineros la abbandonarono completamente nel 1680, furono inseguiti dal marchese di San Miguel de Aguayo fin nelle sierre de Baján, Acatita e Ventanillas, dove si rifugiavano e dove subirono sconfitti durissime. Nel 1685 il don Pedrote, un influente leader dei Salineros, e il don Bartolomé, un fratello del Santiago Alonso che allora guidava alcuni gruppi Cabezas, si ribellarono attaccando alcuni insediamenti del Parras, un gran numero di gruppi si sarebbero allora uniti alla rivolta. Da allora gli attacchi contro gli spagnoli si moltiplicarono ancora una volta e, il 4 febbraio 1687, venne assaltata una carovana di carriaggi nella Boquilla del Gallo (Parral, 03/01/1687); poi, i ribelli giunsero ad attaccare la missione delle Cuatro Ciénegas, “llamada de Contotores”, dove precedentemente si erano stabiliti in pace. Gli indiani dettero fuoco alle celle dei missionari, un religioso venne seriamente ferito, con un indio della missione trucidato e ucciso, molti vennero gravemente feriti e persero la maggior parte delle loro mogli e dei loro figli, tra i quali il figlio di un capo. Infine, non contenti, i ribelli rubarono gli ornamenti religiosi e tutte le capre della missione (Saltillo, 9/10/1687). Gli spagnoli dovettero intervenire, il don Luis de Palma y Mesa ordinava al capitano Diego Ramón di mettersi all’inseguimento dei razziatori, mentre l’Alonso de León, governatore del Coahuila, si mise all’opera tentando vanamente di soggiogare i due gruppi ribelli. Alla fine, il governatore della Nueva Vizcaya, il don Juan Isidro Pardiñas Villa de Francos, dovette affidare al capitano del Presidio del Pasaje, il don Juan Bautista de Escorza, il compito di insediarli in una ranchería vicina a Parral dove, nel 1688, stavano seminando i campi. Tre anni dopo i leader dei Cabezas avrebbero richiesto la concessione di due terreni chiamati “la Joya y Camiseta”. Nel 1722, il governatore Martin de Alday catturava 311 indiani Coahuileños (indios del Coahuila), Cocoyomes e Acoclames inviandoli immediatamente a Città del Messico, era sua intenzione di deportarli all’Havana, fra questi nativi vi erano anche alcuni capi. La devastante deportazione avrebbe portato alla morte di parecchi indiani colpiti dal vaiolo, altri riuscirono invece a fuggire, soltanto 92 indiani sarebbero stati imbarcati a Veracruz per raggiungere l’isola di Cuba. Un indio Cabezas “que había calificado a los españoles de vacas”, con altri era riuscito a fuggire per rientrare nel Parras, dove venne immediatamente arrestato; l’indio avrebbe dichiarato che, insieme ad altri quattro compagni di fuga, “habían matado en al camino como a treinta personas” (Parras. 09/11/1723), fra questi vi era anche il Diego de la Cruz Pacheco, un capo indiano sfuggito alla deportazione, ma imprigionato come ribelle. Qualche giorno venne arrestato un altro leader che si era rifugiato nel “Colegio de la Compañía de Jesús de Parras” (Parral 02/12/1724); probabilmente era il Manuel de San Juan. Si trattava indubbiamente di un’esagerazione che “mostra come questi interrogatori cercassero di aumentare il numero dei delitti commessi e non si saprà mai se quelli accertati sulla carta corrispondessero o meno alle vere dichiarazioni dei prigionieri” (Chantal Cramaussel). L’ultima menzione degli indiani Cabezas risale al 1746, quando i missionari del Parras dispensavano i sacramenti agli ultimi discendenti degli indiani affidati loro un secolo prima. Questi erano però indiani che lavoravano nelle “haciendas” e si difendevano disperatamente dalle incursioni degli Apaches, erano questi “los nuevos pobladores del Bolsón que ocupaban las tierras antes recorridas por los cabezas”. In conclusione, la Cramaussel affermava che la ricostruzione della vita del capo Santiago Alonso permette una migliore comprensione del lento processo di conquista degli indiani del nord della Nueva Vizcaya ed in particolare del Bolsón de Mapimí.

Il leader dei Cabezas si era spesso avvicinato agli spagnoli ben sapendo che questi avevano grande bisogno della sua opera, come alleato contro altri gruppi ribelli, in particolare i Tobosos. Comunque, tra il 1645 e il 1722, i Cabezas soggiornarono per pochissimo tempo nei luoghi in cui avevano promesso di stabilirsi; dal 1645 al 1651 trascorsero sei anni presso “la hacienda de Baltasar de Ontiveros en Cerro Gordo”, e altri quattordici presso la missione gesuita di El Tizonazo dal 1653 al 1667, ma spostandosi per poi rientrare quando volevano, e inoltre nella missione francescana di Cuatro Cienegas, dal 1676 al 1680. Infine si stabilirono a Parras (1688), senza comunque cessare completamente di essere in contatto con gli indigeni selvaggi (“los indios indómitos”). Pur non avendo alcuna autorità politica comune, gli indiani degli altopiani del deserto avevano reti di amicizia con molti altri gruppi di cacciatori-raccoglitori che vagavano nella stessa zona in cerca di sale, cervi e bisonti. Grazie alla loro grande mobilità potevano facilmente fuggire e rifugiarsi presso amichevoli indiani lontani dagli insediamenti coloniali. La mappa dei loro spostamenti e le ubicazioni delle loro terre illustrano un’area ben precisa, “entre el Camino Real de tierra adentro y Coahuila”, passando “por La Laguna”, in una terra a sud dei Tobosos, talvolta loro nemici.

La vita del Santiago Alonso, e il destino dei capi indiani, mostrano che la storia del Bolsón de Mapimí deve includere quella degli attuali Stati del Coahuila, Durango, Chihuahua e Texas perché le popolazioni indigene in epoca coloniale percorrevano gran parte di questi territori. Durante i numerosi cicli di spietata violenza, gli invasori spagnoli si scontrarono con gli indiani del Bolsón che, nel tentativo di preservare la loro indipendenza, attaccavano le “haciendas” e derubarono i mercanti che attraversavano le desertiche terre dell’altopiano. Ma, come ricordava la Cramaussel, “eran muy divididos y sus alianzas bélicas efímeras aunque recurrentes con los españoles”, portarono alla loro estinzione come gruppi indigeni.

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