Osage, il popolo venuto dalle stelle (1800-1872)

Questi ultimi, “per rendere giustizia ai cittadini americani e promuovere rapporti d’amicizia…” cedettero, stavolta con i crismi della legalità, il pezzo di territorio definito “Lovely Purchase” agli Stati Uniti, mentre questi ultimi si impegnavano a rifondere ai cittadini americani in grado di dimostrare di aver ricevuto perdite o danni da parte degli Osage, a partire dal 1814, un totale generale di 4000 dollari.


La posizione di Fort Smith

Dopo il trattato ci furono altri incidenti. Di ritorno dalla firma di St. Louis i Cherokee razziarono una ventina di cavalli nell’accampamento di un clan Osage sul White River. Gli Osage si prepararono alla guerra, radunando al villaggio di Freccia-che-Torna-a-Casa una grande quantità di guerrieri, fra cui anche Sac e Fox (alleati dal 1812), di Iowa, di Oto, di Omaha, di Kansa e di Quapaw, ai quali avevano promesso molti cavalli. Ma il maggiore Bradford, invitato ad intervenire dal capitano Nathaniel Pryor – un commerciante americano che aveva sposato una donna Osage – riuscì a impedire lo scoppio delle ostilità, promettendo che i Cherokee avrebbero restituito i prigionieri Osage. Ma nonostante ciò i Cherokee si dimostrarono restii a ad eseguire quanto loro richiesto: le scuse andavano dall’impegno nei raccolti e nei lavori dei campi, al fatto che le donne prigioniere, ormai sposate con uomini Cherokee, erano felici di restare dove stavano. All’appuntamento finale, a Fort Smith nel settembre 1819, si presentò per gli Osage Freccia-che-Torna-a-Casa, con molti guerrieri, con suo figlio Tse-To-Gah, Bisonte Irascibile, il suo consigliere Ta-Heh-Ga-Xe, Cervo-che-si-Pulisce-le-Corna, detto Tallai, capo del clan del Cervo, e il suo amico Nathaniel Pryor. Non tutti i prigionieri furono restituiti, e i Piccoli partirono da Fort Smith molto arrabbiati per questo.

Incontri e scontri con i Cherokee

Il 2 marzo 1819 il Congresso istituì il Territorio dell’Arkansas, che comprendeva gran parte degli odierni stati di Arkansas e Oklahoma, con governatore James Miller. Verso la fine dell’anno i Cherokee riunirono nuovamente una massa di sbandati col proposito di attaccare gli Osage.
Scheletro di loggia Osage
Il loro nuovo agente, Reuben Lewis, fratello di Merriwether Lewis, riuscì a dissuaderli, chiedendo loro di aspettare l’insediamento del governatore del territorio appena istituito. Miller, come prima Lovely, riteneva che le differenze potessero essere appianate con una conferenza e, poco dopo il suo arrivo, attuò il suo proposito facendosi accompagnare da quattro capi Cherokee al villaggio di Freccia-che-Torna-a-Casa. In dono portava venti libbre di tabacco. In questo viaggio Miller ebbe modo di notare le differenze fra i due popoli: i Cherokee erano abbastanza civilizzati, poco diversi dai bianchi e con insediamenti in Arkansas degni di rispetto. Al villaggio del Grande Hunkah egli contò 150 logge, in grado ciascuna di ospitare da dieci a quindici persone; fu colpito, come tutti, dall’aspetto imponente e dignitoso dei Piccoli; notò come essi avevano l’abitudine di guardare qualcuno non fissandolo direttamente negli occhi e di ascoltare ad occhi chiusi, senza interrompere. Si fece l’idea che pochissimi bianchi avessero vissuto tra loro, che non conoscessero l’uso del denaro né delle bevande alcoliche.
Miller non sapeva che gli Osage erano stati in contatto con gli europei per quasi un secolo e mezzo: rifiutavano semplicemente e con tenacia la loro civiltà.
I Cherokee richiedevano la consegna degli assassini dei tre cacciatori di orsi, mentre gli Osage esigevano la restituzione dei loro cari fatti prigionieri. Entrambi i fatti erano avvenuti nel nel 1817. Miller chiese alle tribù di incontrarsi di nuovo con lui il 1° ottobre 1820.
I Piccoli non erano tanto preoccupati per la terra loro sottratta, quanto in collera per il fatto che questa fosse stata assegnata ai loro nemici. Inoltre erano infastiditi per lo sterminio della fauna locale. Gli animali, per gli Osage, erano sacri, dono di Wah’Kon-Tah e intercessori presso quest’ultimo delle loro preghiere. Ma il bisonte, il wapiti, il cervo a coda bianca, il castoro, l’orso, il puma e la lince stavano sparendo, e questi animali sacri sembravano non voler più prestare ai Piccoli i loro poteri. Adesso non si pregavano più solo la Stella del Mattino e Nonno Sole con l’antichissimo Canto dell’Alba, ma avevano cominciato a pregare anche al tramonto e alla comparse delle prime stelle della sera.
Ricordo della fondazione della Missione Union
Intorno all’anno 1820 i Cherokee parvero raddoppiare gli sforzi per impadronirsi della terra degli Osage, mentre questi si davano da fare per rubare cavalli e uccidere cacciatori e trappers, sia Cherokee che Americani, ogni volta che questi oltrepassavano i confini stabiliti dai trattati del 1808 e 1818. Il governatore Miller e il maggiore Bradford di Fort Smith si adoperarono, anche con i buoni uffici delle missioni protestanti di Harmony, sul fiume Osage, e di Union, sul Neosho, a promuovere un accordo fra le due tribù.
Bradford riuscì solo a convincere i Cherokee a rimandare l’attacco programmato, dopo di che fece un altro tentativo per cercare di convincere gli Osage a non assalire i cacciatori bianchi e Cherokee che sconfinavano. L’unica risposta che ottenne fu una nuova serie di rapporti su altri uomini scotennati e decapitati barbaramente.
La Luna-che-Uccide-i-Fiorellini (mese di maggio) del 1821 era ormai prossima, ed era quasi tempo di partire per la grande caccia tribale. Ma i Piccoli non avevano dimenticato, quando, nel 1817, i Cherokee avevano assalito e depredato il villaggio rimasto senza guerrieri. Fingere un’invasione del territorio dei Cherokee per spaventarli fu considerato dai capi Osage un’ottima mossa strategica. Era il “balzo del grizzly”, che la belva fa per impaurire il puma e allontanarlo da una carcassa di wapiti. Perciò quattrocento guerrieri del Posto-delle-Querce si organizzarono per la guerra, agli ordini di Bisonte Irascibile. Il Grande Hunkah si recò fino alla Missione di Union per informare i missionari che i giovani della tribù, sfuggiti al suo controllo, erano in marcia per attaccare i Cherokee. L’altra parte del piano prevedeva un finto attacco a Fort Smth: i preparativi di guerra dei guerrieri spaventarono molto i soldati. Il folto gruppo di guerrieri Osage perlustrò la riva sinistra del Poteau e scoprì alcuni cacciatori di frodo, dei quali alcuni fuggirono e altri furono uccisi; stessa sorte subirono dei cacciatori Quapaw. Sul Lees Creek gli Osage sorpresero e uccisero tre cacciatori Delaware.
I Cherokee compirono qualche incursione e piccole razzie. Ma presto si diffuse la voce che centinaia di Osage stessero per invadere le terre dei Cherokee, mettendo questi ultimi in allarme e facendoli correre a predisporre le difese. Così nel mese di luglio, gli Osage poterono andare negli accampamenti di caccia nelle Grandi Pianure. Il “balzo del grizzly” di Bisonte Irascibile e l’astuzia di suo padre evitarono l’attacco dei Cherokee ai villaggi Osage.
Nel settembre 1821, il maggiore Bradford ebbe un incontro con gli Osage: Freccia-che-Torna-a-Casa con un nobile discorso disse che il capo dei Lunghi Coltelli a Washington aveva mandato i Quella-Cosa-sulla-Testa (i Cherokee) oltre le Grandi Acque (il Mississippi) e aveva dato loro la Sacra (Madre Terra), ma che non aveva dato loro tutti gli orsi, i castori, i bisonti e i cervi: sulla “carta parlante” (il trattato) non c’era alcun riferimento al riguardo. Bradford rassicurò gli Osage che le parole di Freccia-che-Torna-a-Casa sarebbero state riferite a Washington (cosa che avvenne regolarmente) e che non sarebbero stati attaccati.
Era già fine settembre, si era in ritardo per la caccia autunnale. Confortati dalle assicurazioni di Bradford, i Piccoli partirono per la caccia,portando con sé donne, bambini ed anziani. In prossimità dello sbocco del Cimarron nell’Arkansas, i Piccoli si divisero in due gruppi: i guerrieri risalirono l’Arkansas in cerca dei Pawnee, dei Wichita e dei Kiowa, che dovevano essere tenuti lontani dall’usuale terreno di caccia degli Osage, mentre il resto della tribù proseguì la marcia sulle piste di caccia. Gli esploratori scoprirono che i membri delle altre tribù, pur cacciando separatamente, erano in gran numero, perciò richiesero altri guerrieri al gruppo principale.


“The scouts” – dipinto di Charles Marion Russell

I capi, fidando nella parola di Bradford, lasciarono all’accampamento di caccia gli anziani, le donne e i bambini con pochi guerrieri. Non appena i Cherokee vennero a sapere che gli Osage erano partiti, radunarono trecento guerrieri, cui si unirono alcuni Delaware, Creek, Choctaw e Shawnee. Si divisero in due gruppi: il gruppo che aveva seguito le donne e gli anziani li raggiunse facilmente e, agendo con precauzione e in silenzio, sferrò un attacco improvviso, compiendo un vero e proprio massacro. Quando tornarono a Fort Smith, gli attaccanti mostrarono trenta prigionieri, e si vantarono di aver catturato settanta cavalli e aver ucciso quaranta Osage. Ma Bradford notò chiaramente che gli scalpi mostrati erano a capello lungo, non si trattava certo dei corti ciuffi dei guerrieri, e immediatamente cominciò a svolgere indagini. Il secondo gruppo di Cherokee, arrivato alle pianure, cominciò a preoccuparsi: erano Indiani dei boschi, non abituati agli spazi aperti, dove ogni movimento poteva essere notato da lontano. Gli Osage li attaccarono prima che avessero potuto disporre le sentinelle. I Cherokee si difesero con coraggio, ma furono sopraffatti. Quando i superstiti tornarono a Fort Smith mostrarono cinque scalpi, ma solo due erano tipici ciuffi Osage, gli altri appartenevano ai loro stessi caduti. Gli Osage raccolsero una grande quantità di scalpi Cherokee, ma questi eventi avevano rovinato la caccia autunnale. I Piccoli del Verdigris nell’inverno 1821-22 patirono la fame, dovettero raccogliere perfino le bacche di rosa canina, e fare spesso visita ai villaggi sul Neosho e addirittura a quelli sul “Marais des Cygnes”, presso parenti ed amici.

Il Trattato del 1822

Per poter controllare la situazione, che dopo la fine della guerra, nel 1815, si andava facendo caotica per l’arrivo in una parte del territorio dei Piccoli, di coloni americani, cacciatori, trappers, sbandati e vagabondi indiani dell’est, l’esercito stabilì in seguito, nel 1823, un avamposto, Fort Gibson, sul fiume Neosho, e un altro, Fort Towson, alla foce del fiume Kiamichi nel Red River. Il generale Andrew Jackson era incaricato di sgomberare la zona dai coloni e dalla marmaglia degli “free men”, per far posto alle tribù che vivevano ad est del Mississippi, come Cherokee, Choctaw e Chickasaw.
Guerriero Choctaw 1832
Dal canto loro, gli Osage non molestavano granché i coloni, ma erano costantemente impegnati a scovare cacciatori e vagabondi che uccidevano animali in quantità. Il nuovo comandante di Fort Smith era il colonnello Arbuckle, che aveva l’incarico di sedare il conflitto fra Osage e Cherokee. Arbuckle conosceva la psicologia degli Indiani, e immediatamente diffuse la voce che tra i Cherokee e gli Osage si sarebbe presto conclusa una pace, visto che ora c’erano molti soldati in grado di farla rispettare. Un sub agente, Nathaniel Philbrook, era stato incaricato recarsi presso gli Osage per cercare di conoscere l’opinione della loro gente. Tallai, capo del clan del Cervo e consigliere di Bisonte Irascibile, si disse pronto a concludere un trattato di pace con i Cherokee, in modo da potersi dedicare in tutta tranquillità alla caccia dei bisonti nelle pianure. Freccia-che-Torna-a-Casa invece non volle nemmeno incontrare Philbrook. Questi tornò di nuovo fra gli Osage nella Luna-che-Uccide-i-Fiorellini (maggio), per sollecitarli a firmare il trattato: rammentò loro che erano rimasti esclusi dai commerci, che scarseggiavano di polvere da sparo e che i Cherokee avevano donne e bambini della loro tribù come prigionieri. Grazie agli sforzi di Philbrook si concluse un armistizio, e i Piccoli poterono partire per le pianure senza troppe preoccupazioni. Il 9 agosto 1822, a Fort Smith, il trattato di pace fu concluso e i prigionieri Osage vennero restituiti. C’era da definire un’altra questione: a seguito della pressione dei commercianti privati, il Congresso aveva sospeso le attività commerciali delle agenzie governative. Di conseguenza il 31 agosto i grandi capi e i capi clan Osage furono di nuovo invitati al Posto-dei-Molti-Cigni a “toccare la penna”. Per la somma di 2.329 dollari e 40 centesimi, pagati in merce, gli Osage rinunciarono alle rivendicazioni di cui al secondo articolo del Trattato del 1808, dove il governo americano si impegnava a mantenere per tutto l’anno una stazione commerciale a Fort Osage (Fort Clark). In calce al Trattato furono apposte ventidue croci di capi Osage. Ora Chouteau e gli altri commercianti non avrebbero più avuto la concorrenza del governo nel commercio con la tribù. Subito dopo la firma del trattato, Chouteau convinse Capelli Bianchi il Giovane, figlio del vecchio Paw-Hiu-Skah, morto nel 1808, ad abbandonare definitivamente il Posto-dei-Molti-Cigni e a trasferirsi al Posto-delle-Querce, la regione dei fiumi Neosho e Verdigris.


I villaggi degli Osage dopo il trasferimento al Posto-delle-Querce (Three Forks)

Il grande capo avrebbe portato con sé due delle comunità sorte dopo la scissione dovuta alla grande alluvione: i Wah-Ho-Ka-Li, cioè i Valle Spinosa, e i Pa-Solé, i Grande Collina. Questi avrebbero quindi raggiunto gli altri gruppi che si erano trasferiti in quella zona molto tempo prima: un altro gruppo dei Grande Collina; i Sa’n-Solé, cioè i Foresta-in-Alto di Freccia-che-Torna-a-Casa, e gli U-Dse-Tsa, il Popolo Giù-Sotto, o Little Osage. Nella memoria tribale non c’è traccia di notizie sulla dislocazione, in questa fase, dei No’n-Dse-Waspi, il Popolo Cuore Saldo.

Il Trattato del 1825

In ogni caso alcuni clan dei Grande Collina dichiararono di non sentirsi vincolati al trattato concluso in agosto con i Cherokee, perché non facevano parte dei firmatari. Dissero che i nuovi Lunghi Coltelli stavano uccidendo i loro “fratelli” animali sui fiumi Osage e Missouri, che loro si erano trasferiti per non assistere a quello scempio, e che da quel momento in poi si sarebbero impegnati a proteggere i “fratelli” in quella zona, come avevano fatto in passato al Posto-dei-Molti-Cigni. Nel 1823 si verificarono scontri e scaramucce fra Osage e Cherokee, Il colonnello Arbuckle ascoltò le lamentele dei Cherokee, ma volle anche parlare con il Grande Hunkah Freccia-che-Torna-a-Casa, e si convinse ben presto, assieme al maggiore Bradford e al governatore Miller, che i Cherokee fossero dei mentitori e si stessero comportando “da ladri e da predoni”.
Proprio in quel periodo giunse a nord del Red River una grossa banda di fuorilegge e assassini, e fu proprio in quell’occasione che il generale Winfield Scott dislocò un contingente di truppe alla foce del fiume Kiamichi, costruendo l’Acquartieramento Towson. I militari si occuparono subito di distruggere le distillerie clandestine dei coloni e di ostacolarne la caccia in territorio indiano, e questo degenerò in una vera e propria guerra fra Bianchi.
Per gli Osage c’era anche l’ansia provocata dai soliti Cherokee, che sembravano appoggiati dall’agente Graham e da William Clark, che era favorevole ad una “confederazione” di Shawnee, Delaware, Kickapoo, Piankashaw, Wea, Peoria, Miami, Wyandot, Ottawa, Oneida e Potawatomi, sotto la guida dei Cherokee. La scarsità della selvaggina ad est della “linea magica”, il confine stabilito nel 1808, diventò un problema nazionale quando gli Indiani orientali, che vivevano nei territori ceduti dagli Osage, cominciarono a patire la fame. Infatti per le loro cacce sconfinavano nelle terre dei Piccoli, e più sconfinavano più “oltraggi” venivano commessi dai “selvaggi” (gli Osage).


Un dipinto moderno: “Osage dreams”, di Charles D. Banks

Il territorio dei Piccoli era sempre stato sorvegliato dai guerrieri della tribù come una grande riserva di caccia, cui guardavano i pellerossa dell’est, come i coloni e i cacciatori americani. L’agente Graham calcolò che le tribù alleate, se ad esse si fossero uniti anche i Pawnee, avrebbero potuto contare su circa 4.100 guerrieri, contro i 1.250 fra Osage e Kansa; i Sac e Fox non avrebbero agito contro gli Osage, con i quali da parecchio tempo erano in rapporti amichevoli.
Le tensioni erano sempre più forti, anche perché i Piccoli, per poter procurarsi merci con l’unica stazione commerciale a loro vicina, allo sbocco del fiume Osage nel Missouri, dovevano sconfinare oltre la linea del 1808, venendo spesso aggrediti dai “free men” americani. Gli Osage dipendevano ormai quasi interamente dagli articoli e dalle merci dei Folte Sopracciglia (termine che a quell’epoca veniva sempre più spesso adoperato anche per i Lunghi Coltelli americani). Nel 1822 era stato istituito un sovrintendente agli affari Indiani, con sede a St. Louis. La carica fu conferita a William Clark, il vecchio esploratore. Nel 1825 la pressione esercitata dai coloni sulle tribù dell’est si fece sempre più insistente per cui, il 2 giugno dello stesso anno, a St. Louis venne stipulato un nuovo accordo con parecchie tribù indiane. Il Governo era rappresentato da Clark. Per i Piccoli il trattato venne sottoscritto da un lungo elenco di capi dei Great e Little Osage. In pratica esso prevedeva che sarebbe stata creata una riserva Osage in una regione della parte meridionale dell’odierno Kansas, costituita da una striscia avente il confine orientale a 25 miglia dal confine con l’attuale stato del Missouri, larga 50 miglia e con il confine occidentale rappresentato dalla linea di frontiera fra Stati Uniti e Messico. In cambio il governo americano si impegnava a pagare annualmente per la durata di venti anni, in denaro merci o provviste, l’ammontare di 7.000 dollari. Avrebbe anche fornito alla tribù capi di bestiame, animali da allevamento, 10 coppie di buoi, 6 carri e vari attrezzi agricoli. Avrebbe anche fornito un maniscalco per ferrare i cavalli e i consiglieri necessari per costruire delle comode case per i capi principali, e rifuso parzialmente i danni arrecati dalle scorrerie degli Osage.


Il Trattato con gli Osage del 1825 – dipinto di Mike Wimmer

Per qualche motivo il Trattato del 1825 parve a William Clark una vera e propria farsa: aveva forse capito che l’espansione degli emigranti sarebbe stata inarrestabile e che prima o poi i pur resistenti Osage sarebbero stati respinti sempre più ad ovest, o completamente sterminati. In merito a ciò, E. A. Hitchcok, che visitò quelle regioni nel 1842, ebbe a scrivere: “…il generale Clark…mi ha detto che a quel tempo con gli Indiani non era mai stato concluso un trattato così restrittivo, e che se mai avesse dovuto patire la dannazione eterna per qualcosa, la causa sarebbe stata la firma di quel trattato…”.
Ma le richieste degli Americani non si fermarono qui: i cittadini del Missouri, per commerciare con gli Spagnoli, avevano necessità di transitare per la pista di Santa Fe, che si trovava ancora in territorio indiano. Per questo, il 10 agosto 1825, nella Luna-dei-Fiori-Gialli, i Piccoli si incontrarono di nuovo per “toccare la penna” con il maggiore Gorge C. Sibley, il loro vecchio agente, e altri rappresentanti americani. I pellerossa presenti erano per la maggior parte Little Osage, guidati da Capelli Bianchi. L’incontro si tenne sotto una grande quercia, in una località che poi fu chiamata Council Grove. In cambio del permesso di fare uso della pista senza essere molestati, gli Americani avrebbero consegnato agli Osage 5.000 dollari in denaro o merce. Naturalmente i commissari anticiparono diversi regali ai capi presenti, per metterli nella giusta predisposizione d’animo e ufficializzare in qualche modo l’accordo. Ritennero che l’assenso dei capi dei Little Osage, sebbene rappresentassero solo una parte della tribù, bastasse per convalidare il nuovo patto.


Il Trattato di Sibley del 1825

Gli Osage non firmano il Trattato del 1835

Freccia-che-Torna-a-Casa morì nel 1828, lasciando cordoglio fra i missionari di Union e fra chi aveva avuto modo di conoscerlo. Gli Osage dell’Arkansas erano ancora caparbiamente impegnati a difendere i loro “fratelli” animali nella regione. Sulle pianure ad ovest continuavano le scaramucce di confine con i Pawnee, i Comanche e gli Apache, ai quali si erano aggiunti di recente i Kiowa.
Con l’approvazione dell’Indian Removal Act del 30 giugno 1830 il trasferimento delle tribù dell’est divenne ufficiale. Per il presidente Anderw Jackson, in realtà, il problema era più generale e complesso: si trattava di concedere a Cherokee, Choctaw, Chickasaw e Creek un territorio tribale equivalente a quello ceduto ad est del Mississippi.
Per fronteggiare questo problema, nel 1832 Jackson nominò una commissione d’inchiesta presieduta dal governatore della Carolina del Nord, Montford Stokes. Il 25 febbraio 1833 Stokes incontrò gli Osage dell’Arkansas, e li invitò a trasferirsi nella riserva del Kansas, secondo le clausole del Trattato. Era molto freddo, e gli Osage si presentarono in ottocento, non certo perché un numero così elevato fosse necessario per trattare, ma perché erano scarsamente vestiti e malnutriti e speravano in provviste e regali. In effetti i commissari, vista la situazione, li fecero scendere fino a Fort Gibson, dove poterono ripararsi dalle intemperie e ricevere razioni. Il negoziato riprese in marzo, ma non si concluse nulla, essenzialmente perché i commissari sembravano interessati a proteggere solo i Creek e i Cherokee. In quel periodo il grande Hunkah era un altro Freccia-che-Torna-a-Casa, ma più carismatico era Shonkah-Sabe, Cane Nero, capo dei Foresta-in-Alto. Un incontro con i Cherokee, fissato per il 1° maggio 1833 a Fort Gibson, non venne tenuto a causa di una disastrosa alluvione. Il colonnello Arbuckle e il governatore Stokes dovettero prodigarsi per evitare un conflitto fra Osage e Cherokee. I Creek, nonostante la possibilità di occupare i nuovi territori loro assegnati, continuarono a mantenersi nelle vicinanze di Fort Gibson. Solo quando il generale Leavenworth costruì un avamposto alla foce del Cimarron (che prese il suo nome), i Creek si sentirono protetti e si addentrarono nella regione.
Il 15 giugno 1834 il colonnello Henry Irving Dodge lasciò Fort Gibson, con nove compagnie per un totale di 500 uomini, con il proposito di mostrare la potenza degli Stati Uniti alle tribù delle Pianure, e fare in modo che si recassero a Fort Gibson per un trattato che ponesse fine alle continua molestie contro le tribù dell’est. Un primo Consiglio, tenuto a Fort Gibson con i rappresentanti di sette o otto tribù, non ebbe alcun esito.
Ritratto di Matthew Arbuckle
Il Consiglio successivo fu fissato per fine primavera, nei dintorni della moderna Lexington, in Oklahoma. Nella prima settimana del luglio 1835 si radunò sul posto un’orda di circa ottomila fra Kiowa e Comanche, pronti a ricevere regali, a banchettare e a intavolare trattative. Il colonnello Arbuckle mandò di rinforzo due compagnie del 7° Fanteria. Gli Indiani emigranti arrivarono in compagnia dei commissari: il governatore Montford Stokes e Mathew Arbuckle, proprio in quei giorni promosso generale.

C’erano i Creek, i Seneca, i Quapaw, i Choctaw, i Cherokee e i Delaware. Molti di loro sapevano parlare e scrivere in inglese, molti erano cristiani e la maggior parte erano agricoltori. Tutti osservarono con attenzione gli ottanta Osage, che montavano i loro migliori cavalli, con scudi e lance, i volti dipinti e i wah-hopeh appesi al collo dei due loro grandi capi, Freccia-che-Torna-a-Casa il Giovane e Cane Nero. Avevano lo stendardo di guerra, l’asta ricurva con la pelle di cigno, ma non gli scalpi ornamentale dei loro nemici, che Arbuckle aveva chiesto loro di lasciare a casa. Ci furono danze e banchetti, parate e dimostrazioni di abilità dei guerrieri a cavallo. Il 24 agosto il trattato venne firmato e i regali promessi furono distribuiti. In base all’accordo i Comanche e i Wichita concedevano libero passaggio ai cittadini americani e messicani sulla pista di Santa Fe, mentre le tribù “emigranti” potevano cacciare ad ovest dei Cross Timbers (una zona di prateria, savana e boscaglia che attraversa il Kansas meridionale, l’Oklahoma e il Texas settentrionale), entro i limiti del confine americano. Né i Kiowa né gli Osage firmarono il trattato. I Kiowa avevano smontato le tende prima della fine del Consiglio; gli Osage non erano ancora convinti dei confini stabiliti col trattato del 1825, e si erano fatti molto cauti e diffidenti quando si trattava di “toccare la penna”.

Il “Cammino delle Lacrime”

Per l’applicazione dell’”Atto di Rimozione” delle tribù dell’Est, si ricorse alle maniere spicce: tutta questa gente venne imbarcata su battelli a vapore che percorrevano le acque del Tennessee e dell’Ohio verso il Mississippi. Disgraziatamente in quel periodo su quelle rive scoppiò una tremenda epidemia di colera. Gli emigranti erano ammassati sotto coperta, in condizioni inimmaginabili. Per un’epidemia di morbillo scoppiata a bordo delle imbarcazioni, appena i battelli si fermavano per far legna o riparare le pale, gli occupanti scendevano a terra per lavarsi, seppellire i morti, prendere aria. Fu così che contrassero il colera. Quando i superstiti raggiunsero i fiumi degli Osage, l’epidemia si diffuse tra i soldati di Fort Gibson, i missionari e, naturalmente, gli Osage. Come se non bastasse, nell’estate del 1834 seguì anche una terribile siccità, che fece accrescere il numero dei morti. Il we-lu-schka si era infiltrato tra le maglie della “medicina” dei Piccoli, ed essi ritenevano che potesse essere stato mandato, attraverso la preghiera, dai loro nemici: la potentissima “medicina” del Dio dei Folte Sopracciglia; i Quella-Cosa-sulla-Testa (Cherokee); la tribù dei Mo’n-Shko-Ge (Creek). Quella gente era capace di pregare che i Piccoli morissero. Per il we-lu-schka non c’era alcuna difesa. Con la diffusione del colera, che i Piccoli chiamavano de-ko-ka, ossia “crampi”, i villaggi sul Verdigris e sul Neosho si separarono in piccole unità di clan o addirittura familiari. Vari gruppi si trasferirono nella prateria sperando che l vento che vi soffiava sempre potesse spazzare via la malattia.


Il fiume Neosho a Shady Nook, nel Kansas

Ma presto i decessi furono troppi e troppo frequenti: la spiritualità degli Osage parve venir meno, non si intonavano più canti funebri e i defunti venivano abbandonati dove erano morti. I torrenti si prosciugavano, gli alberi si rinsecchivano e i Piccoli sopravvissuti, con lo spirito di un mustang azzoppato, restavano in attesa.
I gruppi Osage che, rifiutandosi di trasferirsi nella riserva stabilita nel 1825, erano rimasti nei villaggi del Verdigris e del Neosho, erano completamente circondati dagli emigranti Cherokee e Creek, e dai commercianti bianchi che li avevano seguiti. Conseguenza di questi arrivi fu la diminuzione della selvaggina, e gli Osage dovevano spingersi sempre più a ovest per trovare i bisonti, con il rischio di scontrarsi con gli Indiani delle Pianure. I Piccoli del corso superiore del Neosho furono costretti a cacciare di nuovo nel loro antichi possedimenti nel Missouri.
Molti animali, infatti, in fuga dall’avanzata dei cacciatori bianchi, preferivano rifugiarsi in quelle terre ricche di boschi e di acque, piuttosto che nell’aperta prateria. Naturalmente i cittadini del Missouri contrastarono l’iniziativa degli Osage, e costituirono un “Comitato di Vigilanza” e li diffidarono dall’avvicinarsi agli insediamenti dei Bianchi. I Piccoli risposero che avevano venduto la terra, ma non la selvaggina, e che sarebbero venuti a prendersela come avevano sempre fatto. Quando questi affamati guerrieri passarono un confine del quale non si rendevano neanche conto, l’allarme fu altissimo e fu organizzata una milizia di 280 uomini, in parte richiamati e in parte volontari. Il generale Lucas si impegnò con zelo a cacciare gli Osage dallo Stato del Missouri, ma non vi fu spargimento di sangue.
Alla fine, fiaccati dalle malattie , dalla fame, dai coloni e dagli Indiani invasori, l’11 novembre 1839, a Fort Gibson, gli Osage del Verdigris – o Osage dell’Arkansas, Osage-delle-Querce, Shainer, Foresta-in-Alto, “Banda di Claremore”, Sa’n-Solé, che dir si voglia – firmarono un trattato con cui si impegnavano ad accettare le condizioni imposte dagli accordi del 1808 e 1825 e a non sostenere rivendicazioni sulle terre assegnate ad altre tribù. In cambio ricevevano 12.000 dollari in denaro e 8.000 in merci e provviste. Il Governo avrebbe fornito loro un maniscalco per venti anni, animali, attrezzi vari, e saldato ogni debito per i danni causati dalle loro incursioni fino alla somma di 30.000 dollari. In ogni caso fu solo l’intervento dei soldati mandati dal generale Arbuckle a costringere questi Osage a riunirsi agli altri gruppi che già si trovavano nel Kansas.
Ma ancora nel 1840, dopo un secolo e mezzo di contatto con i Bianchi, gli Osage si ritenevano ancora i discendenti delle stelle, il popolo venuto dal cielo. Non indossavano gli abiti dei Folte Sopracciglia per paura del ridicolo, ogni mattina all’alba gli uomini intonavano i loro canti di preghiera su un colle o su un’altura, mentre le donne restavano nelle logge o uscivano ad assistere al quotidiano miracolo di Nonno Sole. Dopo che avevano digiunato e pregato, Wah’Kon-Tah si sarebbe rivolto ai Piccoli con la voce del gufo, del pellicano, del chiurlo, con il guizzo di un pesce nell’acqua, e lo avrebbero trovato nelle nuvole che aveva dipinto in cielo, nel fischio del vento nella pianura sconfinata, nelle foglie delle querce e dei pioppi, nella pioggia che cadeva dal cielo e nei morbidi e leggeri fiocchi di neve. I piccoli continuavano a resistere.

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