Il Texas, lo stato della stella solitaria

A cura di Sergio Mura

Un qualunque texano, oggi, non è per nulla differente nell’approccio alle cose da un texano del 1820. L’orgoglio è lo stesso, la prontezza di reazione alle aggressioni esterne è la stessa. Il desiderio di autonomia e la volontà fortissima di mantenere fuori dai confini le interferenze è lo stesso del passato.
Su queste caratteristiche è nato lo stato della stella solitaria.
Per circa una decina d’anni il Texas, con quell’enormità del suo territorio, riuscì ad esistere come stato indipendente, sia dal Messico che dagli Stati Uniti, con un suo governo, una sua amministrazione autonoma e persino un suo esercito. Il governo regolava l’economia dello stato e tesseva una sua particolare politica estera.
Certo, nel 1820 sarebbe stato difficilissimo ipotizzare una cosa del genere, quando le prime persone si spostarono dalle terre ad est del Mississippi verso ovest e precisamente verso le vaste distese non popolate del Texas.
Quello spostamento di persone, che presto sarebbe diventato un consistente flusso migratorio, fu all’inizio incentivato dalla politica sociale ed economica del Messico che incoraggiava l’arrivo di nuovi abitanti per i suoi fertilissimi territori.
Così accadde che nel 1822 un certo Stephen Austin venne autorizzato a trasferirsi in Texas accompagnando ben 200 altre famiglie, ricevendo persino abbondanti spazi da utilizzare per fini privati.
Da cosa, si sa, nasce sempre cosa e anche nel caso del popolamento del Texas, i numeri dei nuovi arrivati finirono rapidamente fuori dal controllo stretto che i messicani desideravano mantenere… E la loro volontà non era una pura e semplice espressione di prepotenza, ma il calcolo corretto del livello massimo di nuovi arrivi che si intendeva autorizzare senza correre il rischio di vedersi sfuggire di mano la situazione.
Tant’è, però, che la pressione per una sempre maggiore autonomia del Texas si sviluppò tra i suoi abitanti di provenienza degli Stati Uniti. Alcuni sostenevano che il Texas sarebbe dovuto diventare rapidamente uno stato totalmente indipendente, moltissimi altri si accontentavano di esprimere il desiderio di una maggiore autonomia dallo stato centrale messicano.


Il fronte della missione di Alamo

Gli anni passarono rapidamente tra una politica più accondiscendente verso i texani ed una più restrittiva, in base anche alle paure che crescevano all’interno del governo messicano di rischiare di perdere completamente il controllo della situazione.
Fatto sta che il sangue iniziò a ribollire nelle vene delle diverse fazioni di texani, al punto che in qualche circostanza ci furono anche forti tensioni tra chi ambiva all’indipendenza e chi preferiva negoziare l’autonomia con i messicani. Fu in una di queste circostanze che il Messico decise di attuare una politica parecchio restrittiva e di far sentire a tutti i cittadini del Texas che il controllo di quei territori era saldamente nelle mani dei legittimi proprietari. Nel 1832, il nuovo dittatore del Messico, il generalissimo Santa Ana decise l’invio in Texas di forti contingenti di truppe dell’esercito messicano, regolando in maniera severissima i nuovi accessi nella regione e imponendo un controllo serrato su tutta la vita civile degli abitanti. Fioccarono gli episodi di pura intimidazione nei confronti dei coloni e, dall’altra parte, di resistenza anche violenta da parte degli indipendentisti provenienti dagli Stati Uniti.


L’assalto dei messicani ad Alamo

Più i messicani imponevano la propria volontà, le proprie tasse, la propria politica di controllo totale della regione, più si rinforzava la frangia di quelli che si organizzavano in armi per lottare e conquistare con la forza l’indipendenza da quello che ormai era considerato un governo centrale prepotente, dispotico e per nulla votato alla crescita sociale ed economica delle genti del Texas.
Si arrivò così alla vera e propria rivoluzione quando, nel 1835, a Gonzales la gente si sollevò contro il governo messicano e contro le truppe che presidiavano la zona. Ormai in armi, i Texani inflissero un paio di sconfitte umilianti all’attonito esercito messicano a Goliad e San Antonio.
Per Santa Ana era veramente troppo! Al governo messicano era ormai chiaro che i texani puntavano all’indipendenza ed alla conquista sul campo del territorio che abitavano, sottraendolo al controllo ed al dominio centrale e questo era inaccettabile, anche perché dava respiro a chi, tra i messicani, iniziava a dire “io l’avevo detto!”.
I messicani radunarono quindi un fortissimo esercito di migliaia e migliaia di soldati e lo fecero marciare sul Texas nel febbraio del 1836. L’intenzione era chiara: dare vita alla peggiore repressione possibile per far capitolare i texani in armi e per educare tutti gli altri all’impossibilità di una lotta armata contro il governo centrale.
All’ingresso in Texas, l’esercito messicano, guidato direttamente dal generale Santa Ana, trovò un primo ostacolo che venne però classificato come abbastanza irrilevante, almeno stando al confronto delle forze in campo. Si trattava di un piccolo presidio lungo la pista, Alamo, in cui si erano barricati circa 180 texani, tra volontari autoctoni e altri provenienti dagli Stati Uniti. Quel presidio era collocato proprio in maniera tale da ostacolare l’avanzata dell’esercito messicano, per cui la decisione di spazzare via i rivoltosi con una bagno di sangue fu presa da Santa Ana senza alcuna esitazione. D’altra parte, le migliaia di soldati messicani rappresentavano una forza così preponderante che sarebbe risultato assurdo mostrare una qualche esitazione.


La battaglia di San Jacinto

Eppure, la forza d’animo dei texani asserragliati ad Alamo costrinse i messicani ad un lunghissimo e sanguinoso assedio durato ben 13 giorni. E solo dopo l’esercito messicano riuscì, con un ultimo assalto, ad avere ragione dei rivoltosi, uccidendoli tutti.
A quel punto, pensò certamente Santa Ana, la via era sgombra e si poteva procedere rapidamente alla riconquista in armi di tutte le zone del Texas in cui si erano registrati focolai di resistenza.
I 13 giorni di strenua difesa della postazione di Alamo consentirono a Sam Houston (che era uno dei principali esponenti dell’indipendentismo texano) di muoversi in ogni dove e radunare un piccolo e agguerrito esercito da contrapporre a quello messicano guidato da Santa Ana. Non solo! Per buona misura Houston ed i suoi, radunati a Washington-on-the-Brazos, formarono un governo autonomo del Texas e scrissero una costituzione.
Era il 2 marzo 1836 e quella era la dichiarazione di indipendenza del Texas.
Il primo duro confronto vide un completo insuccesso dei texani a Goliad. In quell’occasione i messicani catturarono e uccisero sul posto ben 400 miliziani del Texas.
Nonostante questo drammatico episodio, Houston decise di affrontare Santa Ana a San Jacinto. Era il 21 aprile e in questa occasione il dittatore messicano ricevette una sonora lezione dai texani, ricavando una pesante sconfitta sul campo. Lo stesso Santa Ana venne catturato dai rivoltosi, mentre il suo esercito, ridotto considerevolmente nei ranghi, venne rispedito in Messico.
Da quell’episodio derivò l’indipendenza del Texas che fu la concessione necessaria per il rilascio del generalissimo Santa Ana.
Era nata la Repubblica del Texas con alla guida il grande Sam Houston che la governò con grande capacità e molta decisione per un lungo periodo, utilizzando come modello il governo statunitense.


La storica bandiera del Texas

Nel corso dei primi anni i texani si dimostrarono decisi a mantenere in permanenza la propria indipendenza, forti delle dimensioni del loro stato (ben più grande di molti stati europei, tanto per fare un piccolo esempio), ma anche della fertilità delle terre, della presenza dei porti, della caparbietà dimostrata dalla propria gente.
Si trattò, però, di una pia illusione… Il mantenimento di uno stato, sia pure in condizioni piuttosto agevoli, era una vera e propria impresa, specialmente restando stretti tra la costante minaccia del Messico e l’ingombrante presenza del gigante statunitense.
Già nel 1841 Houston ed i suoi iniziarono una profonda riflessione sulle prospettive future, anche in considerazione delle molte minacce che ossessionavano i confini, compresa quella degli indiani.
La Repubblica del Texas stava affogando in un mare di debiti, stimati a quel tempo in circa 8 milioni di dollari, una roba da far tremare i polsi a chiunque.
A Sam Houston succedette Anson Jones, ma la difficile situazione finanziaria non si risollevò neanche un po’, per cui non restò che affidare le speranze per un futuro sereno all’ingresso del Texas negli Stati Uniti, cosa che puntualmente accadde il 29 dicembre del 1845, dopo un lunghissimo periodo di trattative segrete tra le parti.

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