Gli anni del dopoguerra e la ricostruzione del Sud

A cura di Renato Panizza

La Guerra Civile aveva segnato profondamente il Sud.
Quando Johnny Reb tornò a casa vide tutta la desolazione e la rovina che la profonda penetrazione del nemico aveva lasciato nella sua terra. Ampie zone erano state
sistematicamente devastate; case distrutte e fattorie un tempo floride completamente abbandonate; famiglie ridotte alla fame e migliaia di negri, liberi ma privi di casa e di lavoro, che vagabondavano senza meta. Moltissimi di loro sarebbero morti di fame e di malattie, così come molti bianchi di povera estrazione: si calcolano a centinaia di migliaia i vecchi, le donne e i bambini, ridotti allo stremo della miseria, senza un tetto, a languire per le strade e le campagne desolate.
Le più grandi, e un tempo ricche città sudiste, come Richmond, Atlanta, Columbia, Charleston, Mobile… erano semidistrutte dai bombardamenti e dagli incendi. L’economia era al collasso e non esistevano più trasporti. La piccola rivoluzione industriale che inaspettatamente durante la guerra aveva caratterizzato tutto il Sud, era ormai solo un ricordo.
I buoni del Tesoro e la cartamoneta emessi dalla Confederazione non valevano più nulla; così, la maggioranza della popolazione si ritrovava completamente rovinata:i ricchi che avevano prestato i loro soldi allo Stato erano ridotti alla povertà, e i poveri non avevano in tasca neanche più gli spiccioli.
Quando il Presidente della Confederazione, Jefferson Davis, fu catturato e poi imprigionato a Fort Monroe, la moglie Varina visse con i figli in Georgia e in Canada, presso la nonna materna, prodigandosi in una instancabile campagna a favore del marito. Jefferson Davis fu liberato nel 1867, e la coppia visse fino al 1870 in Canada, in vera povertà: Varina manteneva i figli vendendo limoni agli angoli delle strade! Poi, un amico procurò loro una tenuta in Mississippi dove Jefferson morì nel 1889, e la vedova iniziò a scrivere le sue memorie.
Jefferson Davis
Al contrario, il Nord vincitore, nonostante una guerra lunga e logorante che aveva messo duramente alla prova tutte le sue (grandi) capacità di reazione, era praticamente intatto: le poche e brevi penetrazioni degli eserciti sudisti nel suo territorio non avevano mai fatto danni rilevanti, né alla popolazione né alle risorse. Inoltre, il tessuto sociale degli Stati vincitori si era conservato integro,al contrario del Sud, dove la struttura socio-politica era stata disgregata. Addirittura, nonostante i molti lutti provocati dalla guerra, la sua popolazione risultava cresciuta numericamente,anche grazie alla forte immigrazione che avrebbe fornito una grande forza-lavoro. Il Nord aveva potentemente sviluppato le sue capacità industriali, e anche l’agricoltura aveva fatto passi avanti.Durante il conflitto si erano accumulati grandi capitali e il settore chiave dei trasporti fu il primo a beneficiarne: le ferrovie più che raddoppiarono la loro estensione; poi si ampliarono l’industria siderurgica e petrolifera. Le basi per un ulteriore forte sviluppo dell’economia dell’Unione -ma sarebbe più giusto dire del Nord – furono anche le tariffe di protezione che, liquidato definitivamente il Sud che le aveva sempre ostacolate,subirono un forte rialzo.
Il primo problema che si pose a Lincoln, ben prima che la guerra si concludesse, e quando ancora la vittoria del Nord non era certa, fu la reintegrazione, almeno sul piano politico e amministrativo, degli Stati della Confederazione già conquistati del tutto o anche solo in parte.
Infatti, nel 1862-63, New Orleans (il più grande e importante scalo commerciale del Sud) e parte della Louisiana, una bella fetta di Tennessee e l’Arkansas erano in mano unionista.
Che cosa voleva fare Lincoln?
La convinzione di mantenere unita e forgiare una forte Repubblica, secondo i principi fondanti
di una grande democrazia, dominò la mente di Lincoln fino agli ultimi giorni della sua vita.
Lincoln era fermamente deciso a non trattare il Sud come una terra conquistata; e a considerare i “ribelli” non nemici vinti ma fratelli traviati e ritrovati.
“Suonate Dixie!“ (ndr: l’inno sudista) – chiese all’orchestrina presente tra la folla riunita alla Casa Bianca per festeggiare la resa di Lee, il 9 Aprile 1865.
Le sue intenzioni erano estremamente concilianti e si possono riassumere in queste sue parole : “…ostilità per nessuno, carità per tutti; se mai, aprite loro le porte, fateli fuggire; troppe vite sono già state sacrificate”. Voleva che la gente del Sud rientrasse nell’Unione, come se non ne fosse mai uscita! Sosteneva che ”nessuno Stato giuridicamente è mai uscito dall’Unione, perché la secessione è incostituzionale. Per qualche tempo c’è stata un’impropria relazione tra alcuni cittadini che hanno preso le briglie del comando e il Governo federale”.


Le macerie del Sud erano ovunque

Un’interpretazione che può apparire un artificio per “salvare capra e cavoli”; ma è chiaro che in questo modo la normalizzazione dei rapporti tra vinti e vincitori doveva per forza semplificarsi ed essere più rapida. Comunque, avvalendosi del suo potere di indulto,in quanto Presidente,
nessuno gli poteva impedire di graziare chiunque: ribelle o anche traditore che fosse!
Se invece si condivideva il pensiero di Thaddeus Stevens e Charles Sumner (membri repubblicani radicali del Congresso) secondo i quali alcuni Stati avevano effettivamente lasciato l’Unione,allora, una volta vinti, essi diventavano “province conquistate”, perdevano la loro identità di Stato e ritornavano alla condizione originaria di Territorio.
Anche per quanto riguarda la questione della schiavitù Lincoln aveva le idee ben chiare.
La responsabilità della schiavitù in America pesava su tutti; e quindi l’Unione avrebbe dovuto farsi carico di donare al Sud una forte somma a titolo di risarcimento per l’affrancamento forzato degli schiavi. I suoi oppositori pensarono che doveva essere matto: quando mai il vincitore di una guerra risarcisce chi ha battuto?! E’ sempre successo il contrario!
Per raccogliere i fondi necessari e far quadrare il bilancio venne addirittura fondato un nuovo Stato, il Nevada, dove il gioco d’azzardo veniva legalmente riconosciuto e protetto.
La liberazione degli schiavi avrebbe dovuto realizzarsi lentamente, nell’arco di almeno cinque anni, in modo da consentire un graduale inserimento degli ex-schiavi nel mondo del lavoro libero.
Lincoln aveva approntato un piano detto “del 10%”, perché,se coloro che giuravano lealtà all’Unione e rinunciavano allo schiavismo avessero rappresentato questa percentuale della popolazione votante, sarebbero stati amnistiati; e gli Stati avrebbero potuto darsi un governo legittimo e riconosciuto in seno all’Unione. Sarebbero stati esclusi da incarichi di governo solo i cittadini gravemente compromessi con la Confederazione. Anche i negri (almeno quelli con un po’ di istruzione) avrebbero potuto votare per eleggere i membri dei loro governi. Il piano venne bocciato dal Congresso, che rispose con il restrittivo “Wade-Davis Bill”: si elevava la percentuale al 50% e il giuramento doveva essere “di ferro”: la dichiarazione di non aver mai appoggiato volontariamente la lotta contro l’Unione. Chi nel Sud si sentiva di poter giurare una cosa del genere?!


Il vecchio, romantico Sud dei film

Vero è che, non solo nel Tennessee, che era uno Stato di confine, ma anche nell’Arkansas e ancor più in Louisiana – Stato del “profondo Sud” – non erano pochi i cittadini che si erano dichiarati contrari alla secessione, anche se poi combatterono nelle fila sudiste: infatti non dimentichiamo che nel Sud si arrivò presto all’arruolamento obbligatorio. Può essere quindi che la soglia del 50% non fosse poi così difficile da raggiungere. Tutto si giocava su quella parola: “volontariamente”!
La contro-proposta nascondeva in realtà lo scontro in atto sulla questione se la gestione della Ricostruzione fosse di competenza del Congresso o del Presidente. Quando Lincoln si oppose al “Wade-Davis Bill”, venne infatti accusato di usurpare le prerogative del Congresso e di abusare dell’autorità che gli derivava dalla Costituzione.
Si creò una tale tensione interna che di ricostruzione del Sud non si parlò praticamente più fino al termine della guerra e dopo la morte di Lincoln, nell’Aprile 1865.
Ora alla presidenza era salito Andrew Johnson.


Balli e canti si erano spenti ovunque

Johnson era nato in Sud Carolina in una famiglia dei cosiddetti “bianchi poveri”, che detestavano i ricchi piantatori schiavisti. Difensore tenace dell’Unione, vi era rimasto fedele allo scoppio della guerra, pur essendo stato Governatore e poi Senatore del Tennessee,Stato che aderì alla secessione. Era un ex-Democratico passato nelle fila repubblicane e presentato come candidato alla vicepresidenza alle elezioni del 1864, quando Lincoln si confermò alla Casa Bianca per il secondo mandato. In cuor suo rimaneva un uomo del Sud, un “uomo all’antica”, rispettoso dei diritti degli Stati e contrario alla crescita ingiustificata del potere del Governo Federale. E non era per nulla infarcito del fervore repubblicano a favore dei negri liberati: anzi, diciamo pure che era un razzista per nulla disposto ad accettare l’uguaglianza con i negri!
Quindi, l’unico punto che lo aveva tenuto legato al partito di Lincoln era la lotta per la salvaguardia dell’Unione. Quando si trovò alla presidenza, non ci mise molto a capire – e pare che discretamente abbia svolto delle indagini e dei sondaggi per conto suo – che i Repubblicani non lo avrebbero presentato per le elezioni del 1868.Così, cercò di crearsi una personale
popolarità “passando sopra la testa del suo Partito”: procedette ad applicare subito la “regola del 10%” e utilizzò il “Freedmen’s Bureau”, l’Ufficio degli affrancati, per distribuire milioni di dollari in razioni di viveri al Sud. L’Ufficio era una struttura creata da Lincoln, il 3 Marzo 1865, con lo scopo di fornire assistenza sanitaria, cibo, case e scuole ai negri liberati, e cercare di spingerli a insediarsi in terre abbandonate o confiscate. Il Bureau svolgerà un ruolo nel suo complesso positivo, proteggendo i negri dalle ingiustizie e cercando di evitarne lo sbandamento. Ma sarà anche accusato di essersi lasciato corrompere dai proprietari terrieri che avevano interesse a mantenere buoni i negri per farli rimanere a lavorare anche con salari molto bassi. E inoltre il Bureau avrebbe manipolato la massa dei neri facendoli votare per i Repubblicani – in alcuni casi si arrivò anche a controllare le loro schede prima che le mettessero nelle urne!
Il 29 Maggio 1865 Johnson promulgò un’amnistia generale: tutti potevano beneficiarne, anche i più compromessi con la vinta Confederazione.
I Repubblicani a questo punto andarono su tutte le furie! Ma il neo-Presidente li aveva giocati sul tempo, approfittando del fatto che la prossima riunione del Congresso – che si arrogava il diritto di gestire la ricostruzione – si sarebbe tenuta nel Dicembre 1865.
Bruciava particolarmente il voltafaccia di Johnson ,il quale un tempo aveva detto: “…il tradimento [del Sud] deve essere considerato un’infamia e i traditori devono essere ridotti in miseria”.
Il “vecchio” Davis
Approfittando dell’onda favorevole dell’amministrazione Johnson, gli Stati del Sud promulgarono i “Codici Neri”.
Questi codici si reggevano su un principio di tipo paternalistico: il povero negro doveva essere guidato all’esercizio della libertà dal saggio bianco che una volta era stato il suo padrone; e ora concedendogli alcuni diritti fondamentali come quello della proprietà privata, dell’istruzione,del matrimonio, di intraprendere azioni legali e sottoscrivere contratti… lo avrebbe pian piano aiutato a inserirsi nella società degli uomini liberi.
I Codici Neri sollevarono nel Nord un’ondata di indignazione! Pur variando molto da Stato a Stato, i codici sembravano essere fatti per mantenere i Neri in uno stato di inferiorità, se non addirittura per reintrodurre in modo subdolo e furbesco una specie di schiavismo di seconda generazione. Alcune norme erano discriminanti, non concedendo ai negri di far parte di giurie popolari, né di testimoniare contro un bianco, o portare armi; tanto meno erano consentiti i matrimoni misti, e se un negro infrangeva le regole era punito più severamente di un bianco. Se veniva trovato vagabondo e senza un lavoro, poteva essere arrestato, e se non pagava un’ammenda – ma con quali soldi!?! – veniva consegnato con la forza a un proprietario terriero (un “padrone”) perché lo facesse lavorare. Il Sud pareva essere preso dalla paura di un possibile predominio della massa nera manipolata dal Nord. Ma è pur vero che la situazione post-bellica in cui si vennero a trovare i Sudisti non era facile: all’incirca 4 milioni di negri di colpo liberi, di cui la stragrande maggioranza analfabeta e certamente a disagio nell’essersi ritrovata di colpo addosso tanta libertà!
La perdita della bandiera
I neri però, nel loro complesso, non si comportarono male; non ci furono violenze, ruberie, sommosse e vendette; né mai si organizzarono gruppi armati di negri, com’era forse negli incubi di alcuni. Ma l’avversità ai Governi statali repubblicani che via via si stavano formando nel Sud; le prepotenze e la corruzione degli occupanti nordisti e dei loro sostenitori, che erano evidenti a tutti; l’uso che veniva fatto dai Repubblicani dei negri come strumento di potere contro i Sudisti bianchi,erano tutte cose che non potevano non generare una reazione. Così, iniziarono a formarsi in tutto il Sud,sin dal primo dopoguerra, organizzazioni terroristiche segrete,tra le quali la più nota e diffusa fu il Ku Klux Klan, nato in Tennessee nel 1866, e che ebbe come suo primo Gran Maestro il Generale di Cavalleria Nathan Bedford Forrest.
Cosa significasse esattamente il nome non è certo: forse c’entra la parola greca “kùklos”, “cerchio”, come a rappresentare gli antichi Cavalieri della Tavola Rotonda.
Il Klan, allo scopo di intimidire i negri e impedire loro di votare, o per punire i rei di violenze o presunte malefatte, ben presto finì con il compiere crimini di ogni sorta ,compreso l’omicidio, nelle sue forme più violente e brutali; e cadde in mano di delinquenti belli e buoni.

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