Abel

A cura di Gian Mario Mollar
Nella prateria piuttosto piatta e monotona del western contemporaneo (e di quello italiano in particolare) “Abel”, il nuovo romanzo di Alessandro Baricco pubblicato pochi giorni fa da Feltrinelli, si staglia contro il cielo come una mesa dallo strano profilo. Questa breve recensione è una cavalcata per esplorarne da più vicino le pendici e gli anfratti.
“Un western metafisico”: il sottotitolo ci mette sulla buona strada. Il West raccontato in questo romanzo ha poche coordinate spazio-temporali, è un fondale poco più che abbozzato per raccontare una storia, anzi diverse storie, brutali e innocenti come la vita stessa, “un unico respiro di meraviglia, sangue, sperma e orrore”. Sta forse in questo il fascino più profondo e segreto della narrativa di Frontiera: nell’eliminazione dei dettagli e del superfluo. In un mondo come quello contemporaneo, oberato di dettagli, accessori e opzioni, il West ci invita, o forse ci costringe, all’essenziale. E una volta tolto tutto il superfluo, quello che rimane sono le “questioni di vita e di morte”, quelle che Cormac McCarthy, che di western metafisici se ne intendeva, definiva come le uniche cose di cui si debba occupare la letteratura.
Se il Vangelo di Giovanni inizia con il Verbo, la storia di Abel Crow inizia con uno sparo. “Sono nato un giorno sul bordo dell’Intatto, quando mio padre sparò un colpo di Sharps e io capii che il mio modo di creare sarebbe stato schiudere il mistero premendo il grilletto”. Attraversando rigidi inverni, cavalcate nella pioggia e abbracci incestuosi, Abel diventa leggenda a 27 anni, quando sventa una rapina sparando contemporaneamente a due banditi, con una pistola in ciascuna mano. È un colpo difficile, per metterlo a segno ci vuole un Maestro, e la capacità di fissare il vuoto, più che i bersagli a cui si mira. “La prima metà del lavoro la si fa con l’occhio, tutto il resto con l’anima”.
Le storia di Abel si dipana confondendo e mischiando presente e passato. Lo stesso narratore, travolto dal gioco letterario, sembra confuso: “come forse racconterò, o avrò già raccontato, non so”. Pagina dopo pagina attraverseremo villaggi minerari estinti da nativi silenziosi, attacchi di pirati, l’abbandono della madre di Abel e il suo successivo salvataggio, visioni e rivelazioni. La narrazione ha una geometria perfetta, ma scalena, contro-intuitiva, fatta di linee temporali sfalsate e labirintiche.


Alessandro Baricco

Per cercare di comprenderla, il lettore è chiamato a imitare il pistolero quando esegue il Mistico: astrarre lo sguardo dai fatti e dalla catena di causa-effetto per comprendere che “siamo segmenti di figure più ampie. Incapaci di leggerle, vediamo accadimenti casuali dove invece sfila il profilo di forme in cui sono scritti i nomi del mondo – immani pittogrammi”. Per intravedere il grande disegno, il lettore, proprio come Abel e come ogni eroe letterario che si rispetti, è chiamato a nascere un’altra volta. Il percorso di lettura disorienta ma ad attendere il protagonista e il lettore c’è la promessa della Bruja: “Sarà molto doloroso, ma un giorno, Abel, te lo prometto, nascerai”.
Quello di Baricco è un western strano, permeato di influenze allo stesso tempo classiche e insolite, per lo meno in quel contesto. Il gioco senza tempo di cowboy e indiani si ibrida con la voce dei filosofi: Aristotele e l’intenzione, Hume e la sua critica della causalità… concetti potenti che conferiscono una cadenza trascendente e diversi livelli di lettura. Ci sono influenze bibliche, ne abbiamo parlato in apertura, ma c’è anche Omero: la sella del nonno di Abel, che compare alla fine del romanzo, è cesellata con una labirintica storia del mondo proprio come lo scudo di Achille. Si sente aleggiare tra le righe lo spirito del già citato Cormac McCarthy, di cui Baricco è stato accorto lettore (si veda la sua introduzione alla Trilogia della Frontiera, per i tipi di Einaudi): anche qui, è il tema del destino a farla da padrone. Si respira, poi, l’aria surreale e un po’ lisergica dei film di Alejandro Jodorowsky: nel DNA di Abel c’è senz’altro un po’ di El Topo, un altro indimenticabile gunman metafisico.
Malgrado l’uso della prima persona, il tono della narrazione sembra estraneo, freddo: lo scrittore gioca con i personaggi e gli eventi, squaderna artifici narrativi non tanto per commuoverci, quanto, forse, per creare disegni geometrici con le parole e invitarci a contemplarli. D’altronde, “prima che le cose diventassero cose… Dio era geometria allo stato puro”.
Insomma, forse Abel non è il western che vi aspettate, ma sicuramente “colpisce nel segno”, proprio come le pistole del suo protagonista, e vi offrirà la possibilità di uno sguardo diverso sul mondo. Probabilmente, questo è il regalo più grande che un libro possa farci.

Titolo: Abel
Autore: Alessandro Baricco
Editore: Feltrinelli
Pagine: 160
Rilegatura: Brossura leggera
Prezzo: 16,15 €

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