Al Johnson, il Trapper pazzo del Rat River
A cura di Gian Carlo Benedetti
La vicenda si svolse nel clima sub artico dell’inospitale Territorio del Nord Ovest canadese nella giurisdizione di Fort McPherson. Ciò che per gli USA rappresentava il Far West per il Canada era il Far North. Terre dal clima estremo dove la “morte bianca” per disorientamento, inedia, follìa ed assideramento mieteva anche uomini di provata esperienza come dimostra il tragico epilogo nel 1910 della c. d. “Pattuglia Sperduta” (Lost Patrol) di Giubbe Rosse.
Albert “Al” Johnson era giunto nella regione durante il luglio 1931 risalendo su una rudimentale canoa il fiume Peel. Nella tarda estate si era costruito una baracca sul Rat River a circa 40 miglia da Fort McPherson, non distante dai terreni di caccia di altri trappers. Come i rari residenti viveva cacciando e tendendo trappole. Nessuno conosceva la sua origine ma alcuni tratti del suo carattere erano evidenti. Per nulla socievole e violento non permetteva alcuna intromissione nella sua sfera privata ed inoltre era un eccellente tiratore. Era stato visto, senza che se ne rendesse conto, mentre si esercitava contemporaneamente con due revolvers, uno per mano, mirando ad un sottile bastone piantato sulla riva del fiume. Ad ogni colpo, alternando le mani, il bastone si accorciava circa di un pollice.
Nel dicembre 1931 un vicino, William Nerysoo, controllando le trappole si accorse che erano state spostate e private dell’esca. La faccenda era seria poiché le pellicce e la carne ricavata costituivano l’unica risorsa per sfamare la famiglia ed acquistare merci di prima necessità.
Il fatto che il Johnson fosse un solitario e l’ultimo arrivato lo rendeva un perfetto sospetto. Aveva anche minacciato col fucile i vicini che erano quindi timorosi ad affrontarlo. Il Nerysoo comunque lo denunciò al più vicino Comando della “Royal Canadian Mounted Police”, meglio nota come Giubbe Rosse.
L’Agente Alfred King e l’Agente Speciale Joseph Bernard poco dopo il Natale si recarono alla sua baracca di tronchi e notarono fumo che fuoriusciva dal camino e racchette da neve poggiate accanto alla porta. Il King si avvicinò e bussò alla porta qualificandosi come una Giubba Rossa che stava indagando sulla manomissione di trappole e voleva porgli alcune domande. Nessuna risposta giunse. I poliziotti ritennero di aver bisogno di un mandato e di rinforzi. Privi di radio e non potendo contattare i superiori per chiedere ausilio si recarono con le slitte al Comando Regionale di Aklavik. Qui l’Ispettore Alex Eames emise il mandato ed inviò King e Barnard più altri due “Mounties” di nuovo a casa del sospetto. Tornati sul posto, l’Agente Albert Mc Dougall si attestò sul lato del fiume tenendo sotto mira la baracca mentre il King urlò al padrone di casa che era stato emesso un mandato e che avrebbero sfondato la porta se non avesse aperto. Il Johnson dall’interno sparò all’Agente King senza alcun preavviso attingendolo al petto e facendolo stramazzare nella neve. Mentre il McDougall scambiava colpi col trapper il ferito strisciò al riparo. I colleghi realizzarono subito che il King necessitava di urgenti cure mentre il tempo stava peggiorando: era in arrivo un Blizzard e le temperature sarebbero scese rapidamente. Coprirono con le slitte la distanza di ottanta miglia in venti ore con il ferito che soffriva tremendamente. Il medico ad Aklavik accertò che la pallottola aveva mancato il cuore per un solo pollice. Adesso il Johnson era imputato di tentato omicidio di un ufficiale di polizia.
L’ispettore Eames non aveva abbastanza uomini per assediare il ricercato così reclutò una “posse” di volontari. Pochi giorni dopo l’ispettore, viaggiando in una bufera di neve e vento gelido e con la visuale ridotta a pochi metri, raggiunse la baracca con otto uomini e 42 cani. Era determinato ad arrestare il Johnson e ritenendo che non si sarebbe arreso aveva portato una provvista di 20 libbre di dinamite. Il graduato aveva bene in mente che un lungo assedio sarebbe stato impossibile a causa della scarsità di provviste e della inclemenza del tempo.
La “posse” si attestò in ripari a circa 65 piedi di distanza dall’abitazione che su tre lati era circondata dal Rat River. Intimò la resa udendo che il ricercato si muoveva all’interno. Fu deciso di attaccare da varie direzioni e sfondare la porta ma la baracca aveva diverse feritoie da cui l’assediato sparava costringendoli a ritirarsi. I proiettili non attraversavano le pareti di spessi tronchi e penetravano all’interno solo dalla porta e finestra. L’assediato sparava dalle “bocche di lupo” per impedire l’irruzione. Sapeva che se li teneva a distanza presto avrebbero dovuto desistere poiché non potevano stare a lungo all’esterno senza riparo con quelle temperature polari.
Nonostante il tiro di interdizione il trapper volontario Knut Lang riuscì a sfondare la porta ma il Johnson sparò con due fucili facendolo fuggire. Grazie alla porta aperta ora l’assediato poteva vedere bene all’esterno. Intanto la temperatura era calata a -43 Gradi Fahrenheit ed il vento tagliava la faccia: gli uomini non potevano togliersi i guantoni per sparare pena il congelamento delle dita e neppure rimanere a lungo immobili dietro i ripari di fortuna. Inoltre il sudore congelava i loro abiti. Accesero un falò e fecero dei turni per scaldarsi. Le provviste per gli uomini e cani si stavano assottigliando ed il comandante decise che era venuto il momento di usare la dinamite. Lanciarono dei candelotti presso il perimetro ma il freddo rese inefficaci alcune cariche e nessun danno fu inflitto. Grazie al buio ed alla copertura il Lang lanciò delle altre cariche centrando il tetto creando solo un buco senza costrutto.
Alle tre del mattino Eames conscio che il freddo e la mancanza di scorte lo avrebbero costretto a capitolare legò le restanti 4 libbre di candelotti e le lanciò sul tetto. Questa volta il tetto ed una parete collassarono.
Ritenendo che il trapper fosse stordito fu tentata un’irruzione dall’Ispettore e dal trapper Karl Grandlung: quest’ultimo doveva accecare il Johnson con la torcia mentre l’altro lo disarmava.
Al Johnson però li aveva uditi avvicinarsi ed attendeva al varco. Sparò colpendo la lampada ed i due assalitori fuggirono al riparo sulla riva del fiume. Alle 4 del mattino Eames, dopo 15 ore di assedio, si risolse ad abbandonare il campo senza la sua preda. La porta era in frantumi ed il tetto crollato ma il pericoloso trapper manteneva salda la posizione difensiva tra le rovine del rifugio.
I resti della capanna di legno distrutta
Dopo circa una settimana l’Ispettore Eames, che stava preparando una nuova e più consistente spedizione, inviò l’Agente Edgar Millen ed il trapper Karl Grandlung in ricognizione per confermare la presenza del ricercato. I due vedendo le rovine abbandonate furono sorpresi che il trapper fosse sopravvissuto indenne alla esplosione.
Il Johnson, approfittando delle incessanti tempeste e della copiosa neve caduta. che sapeva avrebbe coperto le orme, era nel frattempo fuggito guadagnando molta distanza dai sicuri inseguitori. I due scouts non trovarono infatti alcuna traccia nella neve e, fatto strano per un trapper, neppure la presenza di pellicce nella cabina. Non vi era alcun indizio o documento sulla identità del suo ex inquilino.
Albert Johnson era in fuga e la notizia della caccia all’uomo nel Grande Nord fu ampiamente diffusa dalla stampa e tramite le radio, seguita con curiosità anche dagli Stati Uniti.
Cacciatori di pellicce bianchi e nativi si offrirono di partecipare alla caccia. I militari canadesi sergenti Frank Riddel ed Earl Hersay si aggregarono. Le pattuglie di polizia non disponevano di apparati radio a due vie ed il contatto era ritenuto essenziale per le comunicazioni col campo base di Aklavik per il coordinamento, chiedere aiuti, viveri ed eventuale assistenza medica. I due soldati costruirono un’efficiente radio rice -trasmittente. La sfida maggiore era di rendere l’apparato compatto per il trasporto in slitta ed a spalla e tanto solido da sopportare le scosse del viaggio nel wilderness. Il 16 gennaio 1932 l’Ispettore Eames lasciò Aklavik insieme ad otto uomini per ricongiungersi a Millen e Gardlung presso la baracca. Nonostante il numero gli inseguitori dovevano far fronte alle insidie del freddo estremo, dei ricorrenti blizzards, del vento gelato, del buio dell’inverno artico oltre che dei possibili agguati. Il gruppo doveva coprire lunghe distanze per trovare tracce del Johnson ed aveva necessita di costanti rifornimenti di cibo per gli uomini e le mute di cani delle slitte. Il territorio del Rat River era impervio percorso da torrenti, crepacci ed alture e le tempeste di neve coprivano le tracce entro breve tempo. Le provviste erano un serio problema e solo Millen con i colleghi Riddel, Noel Verville ed il trapper Karl Gardlund continuarono la ricerca mentre gli altri ritornarono ad Aklavik. Mentre la caccia all’uomo proseguiva i media continuavano a coprire la notizia intrigante per l’uditorio ed i lettori di un solo uomo che nel Grande Nord teneva in
scacco le Giubbe Rosse. Per quanto tempo ci sarebbe riuscito?. Cosa sarebbe accaduto una volta raggiunto?. Si cominciò a speculare sulla sua insanità ed un reporter gli coniò il soprannome di “Mad Trapper”. Agli inseguitori appariva chiaro che, se anche pazzo, non era affatto sciocco o sprovveduto. Era scaltro, padroneggiava alla perfezione le tecniche di sopravvivenza e sapeva come muoversi nell’Artico. Non si sarebbe arreso e catturarlo era un’impresa difficile. Dopo due settimane gli inseguitori si erano ormai fatti un idea precisa delle possibilità e del comportamento del fuggitivo. Viaggiava sui crinali dove anche un leggero vento disperdeva le tracce, creava piste incrociate e procedeva a zig zag o in cerchio per controllare di lato eventuali inseguitori. Questa tattica rendeva nervosi e lenti gli inseguitori che non potevano prevedere da quale lato della pista li poteva osservare ed eventualmente attendere per un agguato. Se non lo raggiungevano presto avrebbe attraversato il crinale montano del confine tra il Territorio del North West e quello dello Yukon rendendo l’inseguimento più difficile.
Sopra: foto di Giubbe Rosse, affettivamente “Mounties”, della “Royal Canadian Mounted Police” glorioso corpo di polizia a cavallo fondato nel lontano 1873 col nome di “NWMP” (North West Mounted Police) ribattezzato nel 1920 “RCMP” e per i francofoni del Quebec “GRC” (Gendarmerie Royale du Canada).
La “posse” principale nel frattempo aveva individuato un accampamento notturno del ricercato e si apprestava ad accerchiarlo quando un rumore lo allertò. Ne nacque una furiosa sparatoria dove Ed Millen fu attinto e stramazzò. Il coraggioso Grandlund strisciò nella neve dietro al corpo che non dava segni di vita e si trovava ancora esposto al tiro, gli legò un laccio agli stivali e lo trascinò al riparo. La Giubba Rossa era morta sul colpo.
Al Johnson approfittò dello sbandamento degli inseguitori per involarsi di nuovo
scalando un dirupo ghiacciato aiutandosi con un ascia e scomparve nella notte artica mentre la neve ne ricopriva le impronte.
Le stazioni radio diffusero la notizia alla Nazione ripresa dall’estero. L’uccisione di un “mountie” e il pregresso ferimento di un altro aumentarono l’interesse morboso alla vicenda e numerosi volontari si aggregarono nella caccia al criminale.
Johnson era molto abile e viveva di piccole prede catturate con trappole ma non poteva cacciare animali più grossi per i quali occorreva sparare col pericolo di rivelare la sua presenza, ne fare grossi falò per riscaldarsi.
Il responsabile dell’operazione di polizia che vedeva al momento beffata la RCMP, Ispettore Eames, era sotto la pressione dei superiori e dell’opinione pubblica, sapeva inoltre di avere un avversario con eccezionale capacità di sopravvivenza nel Grande Nord. Adesso all’inseguimento vi erano 17 volontari guidati personalmente dall’ispettore. Conscio della scarsa probabilità di concludere la caccia all’uomo in un immenso territorio con il metodo tradizionale il graduato si risolse di adottare una tecnica mai usata in precedenza. Aveva bisogno era una ricognizione aerea che poteva pattugliare dall’alto e segnalare grazie al contatto radio la presenza del ricercato. Vi erano naturalmente problemi dati dal maltempo, dal rifornimento del mezzo e dai luoghi di atterraggio. Il Comando di Ottawa autorizzò l’uso di un velivolo militare. L’ipotesi era che il Johnson fosse diretto verso le Richardson Mountains, una barriera montuosa priva della vegetazione sita tra 1800 e 4500 piedi di altitudine esposta al vento del Nord ove la temperatura poteva scendere sotto – 62 Gradi Fahrenheit (- 52 Celsius). I nativi del posto assicuravano che nella stagione invernale nessun uomo poteva sopravvivere nel tentativo di oltrepassarla ma il fuggitivo non aveva scelte alternative. Era all’addiaccio da più di due settimane, appiedato, infreddolito, stanco e malnutrito mentre i numerosi inseguitori avevano provviste e veloci slitte, Se fosse riuscito ad attraversare indenne la brulla e ghiacciata catena montuosa avrebbe raggiunto lo Yukon settentrionale per poi dirigersi velocemente verso il confine con l’Alaska sottraendosi alla giurisdizione canadese.
Il pilota militare canadese, distintosi nella Prima Guerra Mondiale, Cap. Wilfrid “Wop” May si uni alla caccia col suo velivolo. Trasportava viveri per gli inseguitori e controllava dall’alto per trovare tracce rivelatrici. In poco tempo il pilota effettuò ricognizioni che da terra avrebbero necessitato di molti giorni ed evidenziò false piste tra i Territori del North West e lo Yukon, attraverso il Barrier River, che l’esperto trapper “matto” aveva disseminato cambiando spesso direzione, viaggiando in ampi cerchi per mascherare la sua effettiva destinazione. Questi itinerari circolari servivano per confondere, avvistare prima gli inseguitori e, se del caso, preparare agguati mortali. Poter discernere le false dalla vera pista era un enorme vantaggio per i poliziotti.
L’aereo ed il suo pilota Cap. Wilfrid “Wop” May
Intanto l’interesse dei media per la caccia selvaggia cresceva enormemente ed un giornale pubblicò persino la foto di un trapper del Bristish Columbia, omonimo di Albert Johnson, che arrabbiatissimo costrinse ad una pubblica smentita.
Il 12 febbraio pervenne al comando la segnalazione di un gruppo di cacciatori nativi che aveva incrociato strane impronte solitarie presso un remoto luogo dello Yukon chiamato Pierre House.
Pareva impossibile che il Johnson avesse coperto in tre soli giorni una distanza di 90 miglia di territorio anche montano in condizioni estreme. Appariva evidente che aveva già attraversato le Richardson Mountains durante il maltempo dei giorni precedenti. L’ispettore Eames era sconcertato e quasi ammirato dal fatto che un uomo con scarse provviste avesse potuto sopportare indenne i blizzards nel transito montano ritenuto impraticabile persino dai nativi. Comunque il miglioramento del tempo sul territorio dello Yukon e la guida aerea permettevano di seguirne le tracce e gli implacabili inseguitori guadagnavano ormai terreno.
Alcuni dei “mounties” che parteciparono alla caccia all’uomo
Anche gli abitanti nativi di Old Crow intendevano creare una loro “posse” nel caso si fosse diretto verso il Porcupine River ma il vecchio sciamano della banda li dissuase preveggendo che il trapper sarebbe morto nel giorno successivo. Verso mezzogiorno del 17 febbraio Al Johnson stava transitando sul letto ghiacciato dell’Eagle River e salì su un albero per vedere se fosse inseguito da vicino. Ridiscese e camminò per circa un miglio lungo a riva. In quel momento il Sergente Earl Hersay, che era in testa alla “posse”, sbucato da una curva, scorse un uomo con un pesante zaino in spalla alla distanza di circa 350 yards mentre stava calzando racchette da neve. Lo riconobbe dalla descrizione e comprese che la caccia dopo intense settimane era vicina al suo epilogo. Il militare si portò al centro del fiume ed intimò la resa ma il ricercato aumentò l’andatura e proseguì verso la riva intendendo salire sull’argine naturale alto circa nove metri. Il sergente comprese che se il provetto tiratore, fosse riuscito a salire in alto avrebbe avuto un grande vantaggio nel conflitto. Si inginocchiò e gli sparò tre colpi con il suo .303 British di ordinanza. Johnson si gettò a terra rispose al fuoco. Hersay avverti un forte dolore al braccio e si accorse di non poter più muovere gli arti inferiori. Freneticamente scavò una fossa nella neve per ripararsi. Intanto era sopraggiunto il resto della “posse” che si dispose in cerchio sparando a volontà. Johnson, che a causa dello sbarramento dei colpi non poteva più raggiungere il rialzo, si riparò dietro il suo grosso zaino. Ferito alla spalla ed al fianco continuò a sparare almeno per altri 10 minuti.
Poco dopo l’aereo di Wop May che stava sorvolando il teatro si abbassò di quota e segnalò mediante il convenzionale movimento ondulatorio della ali che tutto era OK: il ricercato pur con il fucile ancora stretto nella mano, giaceva in posizione innaturale e non rispondeva più al fuoco. Era stato ucciso mentre tentava di ricaricare il fucile. Aveva ricevuto sette proiettili: nelle gambe, al fianco, nella spalla e schiena, quest’ultimo, quello fatale, gli aveva spezzato la spina dorsale. Era il 7 febbraio 1932, 49 giorni dal ferimento del constabile A. King. Quello che era accaduto era fuori dall’ordinario con una lunga caccia all’uomo seguita in diretta da mezzo mondo e col tragico epilogo di due morti e due feriti gravi.
L’Hersay fu salvato in extremis solo grazie al trasporto aereo presso l’Ospedale di Aklavik, volo durato solo 45 minuti, altrimenti sarebbe deceduto se trasportato in slitta. L’unico proiettile sparatogli dal temibile tiratore aveva causato varie ferite: al polso, al braccio ed era penetrato nel petto perforandogli un polmone con copiosa emorragia interna.
Al Johnson aveva percorso 150 miglia di terreno gelato ed inospitale tra il North West Territory e lo Yukon, intorno ai 62 gradi di Latitudine Nord. Fu ucciso a 170 miglia dal confine con l’Alaska ove sarebbe stato fuori dal Canada, con uno scoiattolo come ultimo pasto. Aveva tenuto in scacco sette agenti delle Giubbe Rosse, tre Ufficiali del Corpo oltre più di una trentina di trappers e volontari.
Il 9 marzo 1932, ad un’età stimata tra i 30 e 40 anni, fu seppellito sotto un albero in Aklavik. Di suo rimasero pochi effetti, le racchette da neve, varie armi, una baracca distrutta ed una vecchia canoa. Nessuno ne reclamò le spoglie.
Lasciò ai posteri un mistero tuttora irrisolto.
Ritratto post mortem di Al Johnson
Era davvero un pazzo? Di certo il suo comportamento fu anormale: sparare mirando al cuore di un poliziotto che intendeva porgli delle domande su delle trappole manomesse in assenza di un una qualunque prova di colpevolezza, fu un atto folle che segnò l’inizio della sua fine.
Da dove proveniva ed Albert Johnson era il suo vero nome?
Settantacinque anni dopo la morte il suo corpo, ben conservato dal permafrost, fu riesumato per un documentario di History Channel, estratto il DNA e prese le impronte digitali. Tramite gli isotopi estratti dai denti con sofisticate tecniche un team di forensi stabilì che era cresciuto nel Mid – West degli Usa oppure in Norvegia: poteva trattarsi di uno dei molti immigrati dalla Scandinavia.
Si credette inizialmente di poterlo identificare nel rapinatore di banche di origini scandinave Johnny Johnson ma il DNA estratto dai discendenti di quest’ultimo criminale non combaciò. Il mistero è destinato a restare tale per sempre.
Oggetti appartenuti ad Al Johnson, presso il RCMP Museum in Regina
Sopra: foto che mostra momenti e soggetti della vicenda, le armi da fuoco e l’ascia a lui sequestrate. Si nota che la sua arma principale era una carabina marca Savage mod. 1899. Si tratta di uno dei migliori lever action mai prodotti, con cane interno, caricatore rotante e radenti ed innovativi calibri. All’epoca era molto apprezzata dai cacciatori del Nord America.
La vicenda è stata immortalata, con travisanti licenze poetiche, nel film del 1981 “Death Hunt” (Caccia Selvaggia) con un cast attori di tutto rispetto in cui primeggiano i “duri” di Hollywood, Charles Bronson e Lee Marvin.