Quaranta frustate meno una

A cura di Gian Mario Mollar
Arizona, 1909: il famoso carcere di Yuma sta per chiudere i battenti, ma rimane comunque un posto infernale. Soprattutto per quelli che, come Harold Jackson e Raymond San Carlos, hanno la pelle di un colore diverso. Il primo, Harold, è un soldato afroamericano che ha disertato durante la guerra di Cuba e ha ucciso un uomo con un tubo di ferro, il secondo, Raymond, ha sangue apache nelle vene e ha sparato un uomo che si era spinto troppo oltre nel prendersi gioco di lui.
Ben presto i due vengono ostracizzati dai carcerati bianchi, capitanati dal viscido Frank Shelby, che li manipola contrabbandando alcol e tabacco tra le mura della prigione con il beneplacito di un secondino corrotto. Indotti a combattere l’uno contro l’altro, i due vengono internati nella “tana dei serpenti”, una cella angusta e senza luce concepita per domare i prigionieri più riottosi.
A Yuma, però, è arrivato un nuovo sovrintendente, il signor Manly, un’anima candida che ha passato gli ultimi anni a cercare di convertire gli indiani e ora si trova a gestire, non senza difficoltà, i cinici e spietati abitanti del carcere.
Questi fa della redenzione di Harold e Raymond un cruccio personale: ammannisce ai due articolate esegesi bibliche e li guida alla riscoperta delle loro radici ancestrali, in un percorso un po’ naif che li porta a scoprire lo Zulu e l’Apache celati in loro. Li allena a correre nel deserto per miglia e miglia senza bere e li fa esercitare con lance ricavate da canne da pesca e cazzuole da muratore.
Nel frattempo, il giorno della chiusura si avvicina, e con esso il trasferimento dei detenuti e c’è qualcuno che sta progettando un’evasione.
Questo, a grandi linee, l’inizio di Quaranta frustate meno una, un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1972, che prende il titolo da un passo della Seconda lettera di San Paolo ai Corinzi (11:24), usato dal pio direttore in uno dei suoi sermoni ai due galeotti. Si riferisce all’usanza con cui venivano puniti i malfattori: la legge giudaica, stabilita nel Deuteronomio, prevedeva quaranta frustate, ma ne veniva sempre risparmiata una nel timore che l’esecutore perdesse il conto e infrangesse la legge, trasformandosi da giudice a colpevole.
Elmore Leonard (1925 – 2013) è uno dei più importanti scrittori western di tutti i tempi: i suoi racconti western sono dei capolavori intramontabili, da cui sono stati tratti numerosi film, e la sua prolifica produzione si è estesa ad altri generi, tanto che oggi viene considerato uno dei maestri della crime fiction.
In questo caso, ci confrontiamo con un Leonard un po’ minore: la trama di questo western, infatti, non è troppo solida e sembra prendere slancio solo verso le ultime cinquanta pagine.


Elmore Leonard

Malgrado il plot un po’ zoppicante, il romanzo ha comunque dei punti di forza nella costruzione dei dialoghi, arte che Leonard ha sempre padroneggiato con grande maestria: i discorsi tra i personaggi, per quanto talvolta improbabili o addirittura grotteschi, scorrono con fluidità e naturalezza, quasi costringendo il lettore ad arrivare all’ultima pagina. Oltre a questo, la sua prosa riesce a dipingere, con poche e parsimoniose pennellate, dei paesaggi western indimenticabili: quasi per miracolo, le cupe mura di Yuma e i riarsi paesaggi dell’Arizona si stampano nella memoria del lettore come altrettante cartoline.
In sintesi, questo romanzo carcerario non è uno dei vertici della produzione di Elmore Leonard, ma è comunque una lettura avvincente e intrigante. Ancora una volta, Einaudi ha offerto ai lettori italiani la possibilità di riscoprire un classico e di avvicinarsi a un grande narratore americano.

Scheda

Autore: Elmore Leonard
Titolo: Quaranta frustate meno una
Editore: Einaudi
Data di pubblicazione: 2017
Pagine: 235
Rilegatura: Brossura leggera
Prezzo versione cartacea: 14,75 €
Prezzo versione Kindle: 9,99 €

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