Storia dei popoli del Nord-America – 12
A cura di Claudio Ursella
Tutte le puntate: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 (ultima).
LE CULTURE NON AGRICOLE
Come in tutto il mondo, l’agricoltura in Nord America fu l’elemento che determinò lo svilupparsi di società più complesse e strutturate, il miglioramento delle tecniche artigianali e artistiche, la trasformazione delle prime forme di shamanesimo, in credenze religiose collettive; la sedentarietà e la possibilità di garantirsi scorte alimentari, permisero una prima embrionale divisione del lavoro e il conseguente emergere di prime forme di specializzazione nelle attività, in particolare in ambito spirituale e artigianale, mentre il sottrarsi dalla costante necessità della ricerca di cibo, liberava tempo da investire nella produzione di beni e nell’organizzazione della vita sociale.
Ma ciò non accadde in tutto il Nord America, dove in circa metà del territorio le attività agricole giunsero solo con la colonizzazione europea, e dove comunque si svilupparono altri complessi culturali, che in alcuni casi videro una altissima concentrazione demografica, un significativo sviluppo delle tecniche artigianali, e anche società sedentarie, con una organizzazione sociale complessa e stratificata.
Tracciando un arco sulla carta geografica del Nord America, dalla foce del fiume San Lorenzo, attraverso il medio corso del Missouri, fino alla foce del fiume Colorado, è possibile delimitare nettamente le regioni in cui il modello di sussistenza era in buona misura incentrato sull’attività agricola, da quelle in cui tale attività non era praticata e la sopravvivenza dipendeva dalle semplici attività di caccia, pesca e raccolta. Le terre poste a nord e a ovest di tale arco immaginario, corrispondono a più della metà del Nord America, e comprendono regioni con ambienti, risorse e condizioni climatiche estremamente diversi, per la gran parte tra le più ostili alle possibilità di sopravvivenza umana, ma vi sono anche estese regioni che sono tra le più ricche di risorse e che ancora oggi ospitano gran parte della popolazione degli Stati Uniti. Le ragioni per cui questa immensa parte del continente rimase impermeabile allo sviluppo dell’agricoltura, sono quindi diverse, così come furono diverse le strategie di adattamento dei popoli che le abitarono.
Gran parte di questo vasto territorio in cui l’agricoltura non fece la sua comparsa, è rappresentata oltre che dai territori dell’Artico nell’estremo nord, dall’immensa regione Sub-Artica, che si estende da Terranova e dal Labrador a est, fino al versante orientale della Catena Costiera del Pacifico a ovest, e il cui limite meridionale corre dal fiume San Lorenzo, ai Grandi Laghi, lungo il corso del North Saskatchewan, fino alla regione a nord del fiume Fraser, oltre le Rocky Mountains, comprendendo in sostanza, la quasi totalità dell’attuale Canada e l’intera Alaska. E’ questa una terra dal clima freddo, il cui ambiente pur variando notevolmente da un’area all’altra dell’immenso territorio, è ancora oggi inadatta all’attività agricola.
A ovest della regione Sub-Artica, laddove il versante occidentale della Catena Costiera si frantuma in una quantità di fiordi e isole dalle rive boscose e scoscese, è possibile individuare un’altra area con proprie specificità, quella della Costa del Pacifico, che dalle fredde latitudini settentrionali si prolunga, perdendo il suo carattere aspro e frastagliato, a sud dell’isola di Vancouver e Puget Sound, fino alle estreme coste settentrionali della California. Lungo questa striscia di terra le variazioni climatiche e ambientali sono notevoli, con la parte settentrionale totalmente inadatta all’agricoltura per il clima e la morfologia della regione, e quella meridionale, più mite e dalle coste più pianeggianti; in tutta l’area comunque le risorse del mare furono in grado di sostenere una popolazione numerosa, senza la necessità di misurarsi con i rischi e le difficoltà dell’attività agricola.
Vi è poi un’ampia regione montuosa a sud della area Sub-Artica, una sorta di Altopiano, compreso tra le Rocky Mountains e la Catena Costiera, e coincidente con due grandi complessi fluviali, quello del Fraser e quello dello Snake-Columbia. Si tratta di una terra di foreste montane e pascoli vallivi, che solo nella parte meridionale presenta le condizioni per una produttiva attività agricola, ma in cui la ricchezza delle risorse venatorie, la gran quantità di corsi d’acqua ricchi di pesce, le opportunità di una flora rigogliosa e varia, permisero lo sviluppo di un modello di sussistenza semplice, ma sufficiente a garantire la sopravvivenza dei popoli che l’abitarono.
A sud dello Snake e del Columbia, si estende una vasta regione semidesertica, il Grande Bacino, una zona dalle scarsissime precipitazioni, povera di corsi d’acqua, che ancora oggi come 2.000 anni fa, è una delle meno densamente abitate del continente; quest’area si prolunga a sud attraverso la California meridionale, fino alla penisola di Baja California, mantenendo il suo carattere ostile alla presenza umana, povero di risorse idriche e inadatto all’attività agricola. Qui i popoli che abitarono questa terra, dovettero adattarsi ad uno stile di vita semplice e precario, caratterizzato dall’incessante nomadismo, alla ricerca delle poche risorse vegetali e animali, che l’ambiente offriva.
In ultimo vi è l’enclave rappresentato dalla Valle Californiana, lungo i fiumi Sacramento e San Joaquin, un ambiente caratterizzato da un clima mite di tipo meditarreneo, una terra ricca e generosa, perfettamente adatta all’attività agricola, che comunque non vi si sviluppò, perchè probabilmente i popoli che vi vissero, non ebbero mai la necessità di modificare il loro stile di vita tradizionale, avendo comunque la possibilità di vivere nell’abbondanza e nella sicurezza; quasi certamente questa regione, fu quella più densamente popolata del Nord America, senza che ciò producesse la necessità di particolari adattamenti ed evoluzioni nel modello di sussistenza e nell’organizzazione sociale.
In quasi tutte queste regioni, il modello di vita Arcaico, prodottosi nell’epoca successiva al ritiro dei ghiacci alla fine del Pleistocene, si protrasse senza significative modificazioni, almeno fino all’epoca del contatto, che quasi ovunque giunse in epoca tarda, nel corso del ‘700 e dell’800, a parte il caso della Baja California e nella zona a nord dei Grandi Laghi, dove i missionari spagnoli e i mercanti di pelli francesi, giunsero nella prima metà del ‘600.
Una sommaria panoramica di questo vastissimo territorio completa il quadro delle culture e dei modelli di sussistenza nell’epoca precedente l’arrivo degli Europei in America.
La regione Sub-Artica
L’immensa regione che si estende a sud del circolo polare artico è assolutamente inadatta allo sviluppo di ogni pratica agricola, e quindi i popoli che l’abitarono rimasero sostanzialmente vincolati al modello di vita Arcaica, che si protrasse fino al tempo del contatto, che in questa immensa area avvenne in più momenti, e con diverse tappe. Di fatto nel lunghissimo arco di tempo che va dal definitivo ritiro della calotta glaciale, che in questa zona fu ovviamente più tardo che in tutto il continente, fino all’epoca in cui i primi europei visitarono la regione, pochissime innovazioni tecniche furono prodotte, e soprattutto manca quella vera e propria bussola dell’archeologia rappresentata dalla terracotta, che mantenendosi attraverso i millenni, offre agli studiosi uno strumento fondamentale, per conoscere aspetti della vita materiale, e spesso anche spirituale e sociale dei popoli preistorici.
In tutta l’area infatti, l’artigianato e la tecnologia dipendevano da materiali deteriorabili, legno, corteccia, osso, pelli ecc…, che difficilmente si mantengono come reperti in grado di dare indicazioni sul passato. Di fatto solo il modificarsi delle tecniche di costruzione di lame e punte di pietra per frecce o atlatl, che avviene in epoca Arcaica, ci segnala alcuni importanti eventi e fenomeni nella storia della regione, ma dopo lo stabilizzarsi di tali tecniche, diviene quasi impossibile trovare altri elementi in grado di illuminare i tempi più lontani.
Molto probabilmente le condizioni di vita, i modelli di sussistenza e la cultura di questi popoli nei due millenni precedenti l’arrivo dei primi europei, dovevano essere molto simili a quelli che gli stessi europei ebbero modo di conoscere al momento del contatto. Fondamentale, in gran parte dell’area era il cariboù, il cervide affine alla renna euroasiatica, che viveva in grandi mandrie nelle regioni più settentrionali, al margine delle tundre, o in piccoli gruppi famigliari, nelle foreste montane occidentali; come nelle Grandi Pianure il bisonte offriva carni, pelle, ossa, e ogni parte di se per l’alimentazione, gli abiti, l’artigianato e la costruzione di utensili, allo stesso modo il cariboù, era l’animale chiave per i popoli del Subartico; è questo un tratto d’affinità (non l’unico) con i popoli dell’oriente siberiano, anch’essi legati alle renne, ma mentre in Siberia i popoli locali riuscirono nella parziale domesticazione di questo animale, in America il cariboù fu solo oggetto di attività venatoria e non risultano tentativi di allevamento.
Tutta la grande regione, ha in comune un clima rigido, una grande ricchezza di laghi e fiumi, una immensa copertura forestale, che però non si accompagna ad una grande varietà di risorse vegetali; essa può essere divisa in due grandi aree, che si differenziano per caratteri geografici e vicende del popolamento.
Il Sub-Artico Orientale
La prima di queste aree, quella orientale, comprende la vasta pianura a nord dei Grandi Laghi, dal lago Winnipeg fino al Labrador e a Terranova, e fu la regione di più tarda colonizzazione umana, essendo rimasta quasi totalmente coperta dai ghiacci fino al IV millennio a.C. In questa regione la colonizzazione avvenne con il progressivo spostamento da sud di gruppi umani portatori del modello di vita Arcaico sviluppatosi nella regione delle Foreste Orientali, antenati degli Algonchini storici, che man mano che i ghiacci si ritiravano occupavano le nuove terre, inseguendo lo spostamento della selvaggina e pescando nel gran numero di fiumi e laghi della regione. E’ probabile che le regioni costiere del Labrador, ove l’influsso marino mitigava le condizioni climatiche e liberava le terre dai ghiacci, siano state popolate precedentemente da altri popoli, ai quali gli Algonchini si sovrapposero e sostituirono, lasciando come traccia di questo più antico popolamento, i soli Beothuk dell’isola di Terranova.
Questi popoli Algonchini, che vivevano con un modello nomade di limitati spostamenti stagionali, erano organizzati in piccole bande famigliari, che periodicamente potevano incontrarsi formando comunità più numerose per brevi periodi, sfruttando località particolarmente pescose; durante i duri inverni le comunità si disperdevano in piccoli gruppi, ognuno cercando di sopravvivere utilizzando le scorte di carne e pesce secco e cacciando in prossimità dei villaggi, mentre quando con la buona stagione le nevi si scioglievano e gran parte del territorio si trasformava in un grande acquitrino, i diversi gruppi si spostavano con leggere canoe di scorza di betulla, per raggiungere le migliori stazioni di pesca o anche le coste, dove oltre al pesce abbondavano i mammiferi marini. Le canoe di corteccia erano certo uno dei più efficienti adattamenti al loro difficile ambiente, dato che per la loro leggerezza, potevano essere facilmente trasportate da un corso d’acqua all’altro; quando invece la neve rendeva difficili gli spostamenti, le racchette da neve, uno strumento che probabilmente accompagnò i primi colonizzatori provenienti dall’Asia, permettevano di cacciare almeno in prossimità dei villaggi, mentre per il trasporto di selvaggina, era usato il “toboggan” una sorta di rudimentale slitta senza pattini diffusa in tutta la regione Subartica. Al tempo del contatto tutti gli indiani della regione usavano arco e frecce, ma quasi certamente la sostituzione dell’atlatl con tale strumento fu piuttosto tarda probabilmente intorno all’VIII secolo d.C.; reti, trappole, lenze e arpioni erano usati per la pesca. In questa regione di foreste e paludi le selvaggina era rappresentata principalmente da cervidi, alci, caribù, wapiti e cervi virginiani, oltre all’orso nero, e ad un gran numero di prede minori, ma mancavano i grandi branchi di mammiferi che potevano garantire il sostentamento a comunità numerose; comunque benchè abbondante la selvaggina, poteva scomparire per una qualche ragione, e spesso durante l’inverno, la fame colpiva duramente le piccole comunità sparse. Come in tutta il Subartico le risorse vegetali erano limitate, principalmente bacche e frutti di bosco raccolti durante la buona stagione. Per abitazioni erano utilizzati wigwam cupoliformi o a cono, con una struttura in rami ricoperta di corteccia o a volte di pelli, ma la fattura di tali strutture era sempre piuttosto semplice dato che a parte il periodo invernale, le comunità si muovevano frequentemente.
I popoli di quest’area, non costituivano vere e proprie entità tribali, con capi e istituzioni riconosciuti, anche se in tempi storici, era abbastanza forte la coscienza di una identità etnica legata alla comunanza linguistica e culturale.
La loro vita spirituale, più che su cerimonie e credenze collettive, era legata ad un modello animistico in cui erano centrali le credenze individuali e il ruolo degli shamani come intermediari, tra l’individuo e il mondo spirituale. Data la loro contiguità con le più complesse società delle Foreste Orientali, in particolare quella di Hopewell, la cui rete di scambi commerciali si estendeva anche a nord dei Grandi Laghi, nella parte meridionale della regione alcuni usi Hopewell vennero acquisiti: il totemismo, cioè il riconoscimento di un animale mitico come origine di più gruppi famigliari, che era elemento costituente della struttura sociale, e faceva da collante fra le diverse comunità, fu probabilmente acquisito dai vicini meridionali, così come l’uso di costruire mounds funerari, diffuso in gran parte dell’area durante il periodo Hopewell; comunque quando la cultura Hopewell iniziò a decadere e la sua influenza scomparve, anche l’uso di costruire mounds finì.
Gli archeologi definiscono come Laurel Complex e Point Peninsula i modelli culturali di questo tipo che si svilupparono a nord dei laghi Superion e Huron e Ontario e Erie; più a nord le conoscenze sono minori e il panorama più indefinito. In tempi storici il gran numero di piccole bande che nomadizzavano nell’area si identificava in alcuni estesi raggruppamenti etnico tribali di lingua Algonchina: gli Innu (Naskapi-Montagnais), gli Ojibway, gli Algonchini e altri gruppi minori; oltre a questi vi erano i Beothuk di Terranova, la cui parentela linguistica non è definita. Queste tribù incontrarono l’uomo bianco a partire dall’inizio del ‘500, sulle coste del Labrador e a Terranova, ma furono effettivamente coinvolte dai cambiamenti imposti dai nuovi arrivati, quando a partire dall’inizio del ‘600, tutta l’area fu coinvolta nel grande sviluppo del commercio delle pellicce, del quale gli indiani costituirono la mano d’opera a basso costo. A parte i Beothuk estintisi all’inizio dell’800, gli eredi di queste tribù ancora vivono in piccole riserve nei loro territori originari, dedicandosi ancora alle attività economiche tradizionali, parzialmente inseriti nella società canadese, il cui sviluppo comunque fu meno segnato da conflitti tra nativi e invasori, rispetto a quello della società statunitense.
Il Sub-Artico Centrale
Più a ovest, tra la Baia di Hudson e il bacino del fiume Mackenzie, fino alle Rocky Mountains, in una immensa pianura caratterizzata dalla presenza dei tre grandi laghi del nord, l’Athabaska, il Great Slavey Lake, e il Great Bear Lake, l’ambiente mantiene caratteristiche simili a quello della regione orientale, con un gran numero di laghi e corsi d’acqua e l’estesa copertura forestale, che però nelle regioni più settentrionali cede il posto alla fredda tundra artica. Lo stile di vita dei popoli che abitarono queste regioni è sostanzialmente simile a quello dei popoli del Subartico Orientale, basto sulla caccia, la pesca e la raccolta dei pochi vegetali selvatici commestibili, ma alcune significative differenziazioni sono evidenti sul piano delle tecniche, in particolare per gli spostamenti, con un minore utilizzo delle canoe, e nelle abitazioni, con l’uso di tepee conici ricoperti di pelli di cariboù, simili a quelli più grandi in uso nelle Grandi Praterie. Nella parte settentrionale dell’aream nella zona di confine tra foreste e tundra, fondamentale per la sussistenza delle comunità, era la presenza di grandi mandrie di cariboù, che stagionalmente migravano da nord a sud, secondo tragitti definiti, che determinavano anche il nomadismo degli indiani dell’area, che periodicamente si incontravano per cacce collettive, nei luoghi di passaggio delle mandrie.
Vita spirituale e organizzazione sociale erano anch’essi piuttosto semplici, con piccole bande locali, che mantenevano labili relazioni e soprattutto scambi matrimoniali con quelle limitrofe, ma senza istituzioni collettive, ne occasioni di grandi raduni cerimoniali, o elites politiche o spirituali; mancava anche una strutturazione in clan totemici, che invece era presente almeno tra alcuni gruppi di Algonchini orientali, mentre anche in quest’area la religiosità era a carattere animistico e sciamanico.
Se sul piano della cultura non vi sono grandi differenze tra quest’area e quella orientale, diverse sono le vicende del popolamento e diversi i popoli che le abitavano. In quest’area vivono ancora oggi i discendenti di uno degli ultimi movimenti migratori verso il Nord America (l’ultimo fu quello degli Inuit, a partire dal III millennio); gli Atapaskan che occuparono quest’area, giunsero forse intorno al VI millennio a.C dalle regioni siberiane, attraversando l’Alaska e spingendosi a sud e a est lungo le direttive dello Yukon e del Mackenzie, diversi millenni dopo che i Paleoindiani si erano diffusi in tutto il Nord America; non casualmente nella loro lingua, secondo alcuni studiosi, è possibile ancora trovare tracce di relazioni con i popoli siberiani, in particolare con un piccolo gruppo stanziato lungo il fiume Jennisey. Furono gli Atapaskan ad introdurre l’arco e le freccie in Nord America, portandolo dalle regioni dell’Asia dove tale strumento fu probabilmente concepito. Non conosciamo con certezza i tempi e i modi della colonizzazione dell’area, ne ci sono elementi per ricostruire la storia più antica di questi popoli, che hanno lasciato dietro di se ben poche tracce del loro passato; un’indicazione possiamo trarla dall’individuazione nelle parti più meridionali e orientali dell’area, di uno specifico modello culturale, definito come Thalteley, caratterizzato da determinate tipi di punte di pietra, e sicuramente riconducibile a popoli Atapaskan.
Indiani della regione sub-artica
I reperti archeologi legati a questo modello culturale, sono successivi all’VIII sec.a.C., a segnalare che probabilmente la piena colonizzazione di quest’area da parte dei loro attuali abitanti, fu piuttosto tarda.
In questa regione gli Europei fecero la loro prima comparsa solo dopo la metà del ‘700, quando la Hudson Bay Company e altre compagnie del commercio delle pellicce, iniziarono costruire una fitta rete di stazioni commerciali, inserendo i nativi nel loro sistema di relazioni economiche. A quel tempo gli indiani della regione, erano divisi in certo numero di estese entità etnico linguistiche, senza un preciso riconoscimento tribale, che poi nel corso del rapporto con gli Europei, si differenziarono ulteriormente al loro interno, per ragioni contingenti: conflitti e separazioni, o il semplice legame ad uno specifico territorio per i vincoli con i commercianti europei. Intorno al lago Athabaska, e fino al settore orientale del Great Slave Lake, un certo numero di bande vengono identificate come Chipewyan, e un altro gruppo affine come Yellow Knife nella parte settentrionale del territorio, si caratterizzava per l’uso di lame di rame, che nell’area è presente in grandi quantità. Più a ovest, dal lago Athabaska alle Rocky Mountains, un gruppo di bande affini, diedero vita in tempi storici alle tre tribù dei Beaver, dei Sekani e dei Sarsee; quest’ultimo gruppo si spostò nelle pianure del Saskatchewan, acquisendo il cavallo e lo stile di vita delle Grandi Pianure, divenendo alleato dei Blackfoot: la migrazione dei Sarsee a sud è il più recente dei movimenti migratori che da quest’area si spinsero a sud. Con il nome di Slavey, gli Europei hanno identificato un gran numero di bande che vivevano lungo il medio e l’alto corso del Mackenzie, fino alle terre a ovest del Great Slavey Lake, più a nord, gli Hare vivevano sul basso corso dello stesso fiume, fino al Great Bear Lake, e i Dogrib a sud dello stesso lago.A ovest del Mackenzie e fino alle pendici delle Rocky Mountains, vivevano sparse bande forse identificabili come Nahane e Kaska.
Inadatta ad una vera e propria colonizzazione, la regione fu meno colpita dall’impatto con la penetrazione europea, e ancora oggi gli indiani, organizzati in piccole comunità, costituiscono la maggioranza degli abitanti, oggi per lo più impegnati a difendere i loro diritti di caccia e pesca, che sono ancora le principali attività economiche, dalle mire di profitto di uno sfruttamento minerario, che potrà avere effetti catastrofici sull’ambiente e le risorse tradizionali.
Il Sub-Artico Occidentale
La terza delle regioni che costituiscono il Subartico, quella più occidentale, comprende l’Alaska e tutto il vasto territorio ad ovest dello spartiacque delle Rocky Mountains, escluse le regioni costiere, un territorio montuoso con un gran nemero di catene minori che attraversano tutta l’area, e il bacino del grande fiume Yukon che ne costituisce il cuore. I popoli che abitavano quest’area, tutti di lingua Atapaskan, pur essendo strettamente affini a quielli che vivevano a est delle Rocky Mountains, conducevano un modello di sussistenza e di insediamento, diverso e condizionato dalle diverse caratteristiche del territorio, mentre sul piano culturale subivano significativamente l’influenz della vicina, e molto più complessa e ricca, cultura della Costa del Pacifico.
In quest’area di aspre montagne e clima estremamente rigido, l’unico ambiente adatto a permettere la vita umana erano le strette vallate montane solcate dal corso dei tanti fiumi che scendono dai monti, e questo diede vita ad un modello di sussistenza più stanziale, con un nomadismo praticato a breve raggio durante la buona stagione, e il legame con località particolarmente adatti per la pesca, specialmente in occasione dell’annuale risalita dei salmoni, che costituiva una delle principali risorse per gli abitanti della regione. Anche in quest’area il cariboù era al centro dell’attività venatoria, ma solo nelle zone più settentrionali dell’Alaska erano presenti grandi branchi che facevano migrazioni stagionali, mentre nel resto della regione l’animale viveva in piccoli gruppi famigliari, e non vi erano quindi le condizioni per l’organizzazione di grandi cacce collettive. In generale il nomadismo in quest’area era più limitato, sia per le difficoltà di spostamento in un territorio montuoso, sia per il vincolo rappresentato dall’arrivo annuale dei salmoni che legava i gruppi a precise località in cui la pesca poteva essere vantagioso, sia per l’assenza di grandi mandrie di mammiferi di cui seguire gli spostamenti stagionali.
Il legame con un territorio definito, produsse un maggiore isolamento delle comunità, testimoniato anche dalla maggiore differenziazione linguistica tra le diverse tribù Atapaskan presenti nell’area. D’altra parte la maggiore stanzialità, portò ad una maggiore attenzione nella costruzione delle abitazioni, con l’uso di capanne seminterrate cupoliformi, costruite con una struttura di rami e tronchi, mentre durante la buona stagione, quando ci spostava per la caccia, ci si accontentava di semplici tettoie di rami e frasche, detti “lean-to”, che si potevano costruire con i materiali presenti in loco.
Un cacciatore di renne
I corso dei fiumi che scendono verso il Pacifico, rappresentò di fatto l’unica via attraverso la quale potevano avvenire scambi, di merci, di idee, di tecniche, e fu così che attraverso i fiumi, gran parte dell’area fu coinvolta nelle relazioni con le popolazioni costiere, dalle quali alcuni di questi popoli più vicini alla costa, mutuarono le loro credenze, in particolare il totemismo, ma anche il grande valore dato alla ricchezza, e l’uso dei “potlach”, le cerimonie tipiche della Costa del Pacifico, durante le quali i personaggi più autorevoli davano mostra delle loro ricchezze, donandole o addirittura distruggendole. Nel complesso è possibile dire che elementi di una cultura molto complessa, come quella della Costa del Pacifico, si siano sovrapposti alla semplice cultura dei popoli dell’interno, senza però trovare le condizioni economiche e materiali, per poter effettivamente fiorire e svilupparsi. L’influenza culturale delle regioni costiere si riduce progressivamente man mano che ci si inoltra nelle regioni interne, dove la vita era sempre più dura e la popolazione più scarsa, e dove le piccole comunità vivevano isolate per buona parte dell’anno, impegnate a fare scorte di pesce e selvaggina, per sopravvivere ai lunghi inverni montani, quando ogni attività si faceva difficilissima.
Tutta quest’area, fu colonizzato da popoli Atapaskan che risalirono il fiume Yukon e i suoi affluenti, fino a raggiungere le zone più interne; come già accennato, la differenziazione tra i diversi dialetti in questa regione è maggiore che non più a est, ma anche in questo caso è difficile individuare vere e proprie tribù definite, ed è possibile raccogliere le diverse bande principalmente sulla base di una maggiore affinità dei dialetti parlati. Al tempo dei primi contatti nel XIX secolo, è possibile individuare i seguenti gruppi: a nord in Alaska occidentale, nel basso bacino dello Yukon, vi erano tre piccoli gruppi i Deghitan, i Kolchan e gli Holikaciuk, a est di questi, nel medio bacino dello Yukon, i Koyukon. i Tanana, i Nabesna, gli Han, e più a sud sempre in Alaska, i Tanaina e gli Ahtena; lungo il fiume Porcupine, un affluente settentrionale dello Yukon, e fin quasi al basso corso del Mackenzie, il grande raggruppamento dei Koochin; scendendo verso sud con il nome di Tutchane, si identificano alcune bande che vivevano nelle regioni più interne dell’Alaska e nel territorio canadese dello Yukon, poi c’erano alcuni gruppi minori, a stretto contatto con i popoli della costa, i Tagish, i Takutinne, gli Tsetsaut, i Taltahn, fino al nord dell’attuale Columbia Britannica, dove vivevano i diversi gruppi Carrier, e i Chilcotin, questi ultimi già in buona misura parte della cultura dell’Altopiano. Il movimento migratorio, che dall’Alaska portò questi popoli verso sud, è continuato ameno fino al i millennio d.C., quando da questa regione singoli gruppi continuarono a spostarsi fino a raggiungere la foce del fiume Columbia, l’Oregon e la California settentrionale.
Gli Europei, iniziarono a visitare questa regione solo a partire dalla fine ‘700, prima i Russi, che dopo aver occupato le isole Aleutine, stabilirono un loro possedimento coloniale lungo tutta la costa del Pacifico, dall’Alaska fino alla California, poi poco dopo i commercianti anglosassoni, che dalla regione del Mackenzie cercavano di estendere i loro traffici. Nei prmi decenni dell’800, soprattutto i Russi, stabilirono alcune stazioni commerciali nelle regioni dell’interno, ma la presenza di Europei nell’area fu comunque limitatissima, almeno fino alla fine dell’800, quando la scoperta dell’oro in Alaska, diede vita all’ultima “corsa all’oro”, la pagina finale della lunga vicenda della colonizzazione europea del Nord America.
L’arrivo in un periodo di tempo brevissimo di migliaia di bianchi in cerca di fortuna nella vallata dello Yukon, ebbe un impatto pesantissimo sulle popolazioni locali, che comunque riuscirono a sopravvivere, e che in larga misura ancora vivono nell’area, molti di loro ancora legati alle risorse tradizionali della caccia e della pesca.
Le condizioni estreme di quest’area, che furono un ostacolo allo sviluppo culturale dei popoli che l’abitavano, permise che essa fosse preservata dalla colonizzazione e dall’impatto con il mondo dei bianchi, che oggi però continua a premere, forte dei suoi investimenti economici e della sua tecnologia, per sfruttarne le immense risorse mineraria, anche a rischio di distruggere un ambiente e i popoli che ad esso si sono adattati, sopravvivendo per millenni in condizioni estreme.
La Costa del Pacifico
La lunga striscia di costa che si estende dall’Alaska fino alla California settentrionale, fu probabilmente una delle aree di più antico popolamento del Nord America, coincidendo di fatto con una delle vie d’accesso per i popoli che si spostavano verso sud dalla Beringia; lungo la costa infatti le correnti calde provenienti dal sud mitigavano il clima, liberando il passaggio tra la calotta glaciale e il mare, ed era possibile trovare grandi risorse alimentari, i molluschi in particolare, la cui raccolta non prevedeva particolari tecniche e conoscenze, oltre ovviamente a pesci e mammiferi marini. Purtroppo questa ipotesi può trovare scarsi riscontri archeologici, per i cambiamenti avvenuti in questa regione costiera, un tempo molto più estesa, quando durante l’ultima fase glaciale immense quantità d’acqua erano solidificate nelle estese calotte artiche, determinando così un abbassamento del livello degli oceani, e l’emersione di vaste aree costiere; con il progressivo sciogliersi dei ghiacci e l’aumento del livello degli oceani gran parte di queste aree costiere furono ricoperte dal mare, ed è quindi oggi difficile, se non impossibile, indagare sui più antichi stanziamenti umani in quest’area.
L’aumento del livello degli oceani, si stabilizzò probabilmente alcuni millenni prima dell’era cristiana, quando la fase di scioglimento dei ghiacci fu sostanzialmente completata, e le acque ricoprirono le vallate di quella che un tempo era una lunga catena costiera che si prolungava tra la zona di Puget Sound e dell’isola di Vancouver a sud, fino all’Alaska a nord; sulle terre invase dal mare rimasero accessibili solo le zone più elevate, e il panorama di vette e vallate, si mutò in un paesaggio di isole e fiordi. In questa terra di coste ripide e rocciose, assolutamente inadatto ad ogni tipo di attività agricola, ma che offriva una gran quantità di risorse alimentari, le diverse comunità di epoca Arcaica poterono costruire un modello di sussistenza e una complessa cultura, in cui a partire dalla fine del II millennio a.C., è possibile individuare gli elementi caratteristici dei popoli storici di questa regione.
E’ difficile definire i diversi momenti attraverso i quali si è passato dai primi insediamenti preistorici al modello culturale degli indiani storici, perchè pur non mancando i resti di antichi insediamenti, è assente quell’indicatore che guida gli archeologi nelle loro ricostruzioni, rappresentato dalla ceramica. I popoli della costa del Pacifico infatti, pur avendo raggiunto livelli eccelsi nelle tecniche artistiche e artigianali, utilizzavano come principale materiale il legno, di cui avevano grande abbondanza, per le immense foreste di conifere che ricoprono i ripidi versanti dei fiordi e delle isole, fin quasi a lambire le rive del mare, e il legno a differenza della ceramica, sopporta meno il passare dei secoli. E’ comunque probabile che il carattere peculiare dell’ambiente della costa del Pacifico, fortemente determinato dal rapporto con il mare, sia per ciò che concerne il dato climatico, sia per quanto riguarda le risorse che offre per la sopravvivenza, abbia comunque prodotto una condizione di relativa stabilità, diversamente da quanto accadde in altre parti del continente, dove i cambiamenti climatici condizionavano la disponibilità di risorse alimentari, condizionando anche in modo traumatico i processi di sviluppo culturale.
Indiani della costa del Pacifico
Questa ipotizzabile maggiore stabilità, potrebbe aver permesso la crescita progressiva e graduale di conoscenze e tecniche, mentre il modello di vita sedentario permetteva la sedimentazione di tali conoscenze, e la costruzione di comunità sempre più complesse e integrate.
La costa settentrionale del Pacifico fu probabilmente, insieme al sud-est degli Stati Uniti e alla California, una delle aree più densamente popolate in epoca precolombiana, grazie alla ricchezza e alla certezza delle risorse offerte dal mare e dai fiumi che vi sfociavano. Gli indiani di questa regione vivevano in un gran numero di piccoli villaggi stabili, costituiti da un certo numero di grandi case plurifamigliari, costruite con assi di legno e tetto a due spioventi, spesso riccamente decorate con intagli e disegni; i villaggi erano posti all’interno dei fiordi o alla foce dei fiumi, e comunque in luoghi adatti alla pesca ed in particolare adatti ad intercettare il passaggio stagionale dei salmoni, che costituiva per quasi tutte le comunità una delle principali risorse alimentari. Gli indiani di questa regione comunque non si limitavano solo a pescare con arpioni, ami, trappole e reti, dalla costa e lungo il corso dei fiumi, ma erano abili marinai, che con grandi canoe in si spingevano in alto mare, cacciando mammiferi marini, ogni tipo di pesce, e alcuni di loro come i Nootka, osando misurarsi addirittura con la caccia alle balene. La caccia era un’attività poco praticata, dato che questi popoli di marinai, spesso temevano le cupe foreste di conifere che incombevano sui fiordi, ritenendole sedi spiriti maligni. Le donne si dedicavano ad una piccola attività di raccolta di radici, tuberi e bacche, che erano le uniche risorse vegetali di cui potevano disporre; l’attività agricola era nota, dato che intorno alla fine del I millennio fanno la loro comparsa piccoli orti per la coltivazione di tabacco, il cui uso aveva valore rituale, ma una vera produzione agricola non fu mai necessaria, ne possibile.
Potendo seccare e conservare il pesce, le comunità vivevano sostanzialmente libere dalla precarietà, potendo così dedicarsi allo sviluppo di altre attività, fra cui l’artigianato ed in particolare la lavorazione del legno: con il legno essi non costruivano solo utensili, armi, abitazioni e canoe, ma anche oggetti di valore artistico per fini religiosi o puramente estetici, in particolare maschere rituali, cofanetti, riproduzioni di animali, mitici o reali, e soprattutto i grandi pali totem intagliati che sono una caratteristica unica di questi popoli, ma che in molta letteratura popolare e romanzesca sono divenuti uno simboli dei nativi americani in genere. Oltre al legno veniva lavorato l’avorio, ricavato dalle zanne di tricheco, e in misura minore la pietra, mentre alcuni popoli eccellevano nella tessitura di coperte e mantelli, ricavate dal manto bianco di una razza di cani appositamente allevata e selezionata.
Come indumenti venivano usate pelli non conciate durante i mesi invernali, e soprattutto fibre vegetali; caratteristico della regione, era l’uso di copricapi di forma conica, simili a quelli usati in Cina, per proteggersi dalle piogge particolarmente abbondanti nella regione. Nell’insieme l’immagine di questi indiani si differenzia non poco da quella popolarmente nota, anche per l’uso diffuso della barba e dei baffi.
Differente e peculiare era anche il loro modello di organizzazione sociale, estremamente gerarchizzato, ma sostanzialmente elaborato sull’impianto totemico diffuso in tutto il continente. Quasi tutti i gruppi tribali erano divisi in due, tre o quattro clan esogamici, che riconoscevano la loro origine in un animale mitico, ma all’interno del clan esistevano diversi lignaggi o sottoclan, ognuno che rivendicava un proprio grado di nobiltà, in ragione di una maggiore o minore vicinanza ereditaria all’amimale mitico originario; all’interno del lignaggio poi si riproponeva lo stesso meccanismo, con ogni individuo in una posizione gerarchica, stabilita in relazione al grado di parentela con il capo del villaggio; al di sotto della gerarchia erano gli schiavi, per lo più prigionieri di guerra impiegati per i lavori servili. Questa complessa gerarchia sociale su base ereditaria e parentale, trovava una sue espressione simbolica nei pali totem, che erano una sorta di araldica, e che posti davanti alle grandi case di legno, rappresentavano l’albero genealogico del capo famiglia.
In questo complesso sistema di gerarchie, la dignità ereditaria e lo status dovevano essere confermati dalla ricchezza, che tra questi popoli aveva un valore che è difficile riscontrare presso altre culture; la ricchezza veniva mostrata in particolare in occasione dei “potlach”, le principali occasioni cerimoniali di questi popoli, feste date in diverse occasioni, ma soprattutto alla morte di un personaggio importante e alla sua conseguente sostituzione con il membro del lignaggio più vicino in linea parentale. Il nuovo leader, sostenuto da tutto il gruppo famigliare, per dare mostra della sua ricchezza, invitava amici e parenti alla festa, offrendo loro cibo, pelli, mahufatti e ogni bene, fino al punto di ridursi in miseria, ma aumentando così il suo prestigio; ovviamente alla prima occasione, egli poteva godere delle stesse regalie da un altro leader concorrente, che per superarlo in prestigio si sarebbe a sua volta impoverito donando ogni suo avere.
Il “potlach” rappresenta evidentemente una elaborazione di quella modalità di scambio attraverso il dono, che è presente in tutte le culture del Nord America, ma raggiunge un livello di complessità che giunge fino al parossismo in tempi storici, quando nel desiderio di mostrare la propria ricchezza e il proprio disinteresse, si giungeva a distruggere pubblicamente le proprie ricchezze, e addirittura ad uccidere i propri schiavi, usando, tra l’altro, un bastone costruito proprio per questa funzione.
Il potlach
Oltre alla ricchezza, l’altro importante elemento di affermazione e status sociale, era dato dal valore guerriero, attraverso il quale era possibile ottenere maggiore prestigio e riconoscimenti. Questi popoli di pescatori erano guerrieri bellicosi, che partivano con le loro lunghe canoe per predare anche luoghi lontani, colpendo all’improvviso altre piccole comunità, portando via beni e schiavi, e ornando la prua delle loro canoe con le teste mozzate dei nemici. Anche sul piano delle tecniche belliche questi indiani si differenziavano dagli altri, usando anche corazze di assicelle di legno, elmi di legno e corte daghe, armi abitualmente sconosciute ad altri popoli nativi.
Usi a dipendere dal mare, ogni comunità era economicamente autonoma dall’altra, così questi popoli non diedero vita a strutture politiche che andavano al di la della singola comunità, e pur avendo fra di loro relazioni anche strette, la competizione tra i diversi leader locali era tale, che non risulta mai abbiano prodotto istituzioni simili a consigli tribali o altre forme di integrazione politica.
Le credenze religiose erano incentrate intorno ad una complessa cosmogonia che variava da tribù a tribù, e che era alla base delle tradizioni e dei miti, legati agli animali totem originari, e a questo impianto totemico, si aggiungeva il classico impianto animistico e shamanico presente fra gran parte dei popoli del Nord America. Dato l’enorme importanza che la ricchezza aveva nella comunità, gli shamani della Costa del Pacifico avevano un ruolo centrale ed un grandissimo prestigio, ottenendo lauti compensi per le loro attività. Gli shamani erano principalmente guaritori, le cui prestazioni erano riccamente pagate, ma spesso essi erano capaci produrre eventi prodigiosi, durante occasioni e cerimonie pubbliche, e quindi il loro sostegno era determinante per imporre timore e rispetto da parte dei leader della comunità. E’ sempre difficile ragionare sul concetto di “prodigio” nell’esperienza shamanica, per quanto vi sia in essa di autosuggestione, ipnosi o di effettivamente misterioso, ma è certo che tra questi popoli, alcuni shamani erano in grado di utilizzare delle notevoli competenze tecniche e artigiane, in particolare nella falegnameria, per produrre meccanismi e “macchinari”, in grado di creare eventi “prodigiosi” in occasioni pubbliche; così anche in questo ambito emergono caratteristiche e peculiarità, che differenziano i popoli della costa del Pacifico da tutti gli altri del continente.
La sommaria descrizione della cultura della costa del Pacifico qui esposta, si adatta in particolar modo a tutte quelle tribù che vivevano nella parte settentrionale dell’area, dalle coste dell’Alaska fino a Puget Sound e all’isola di Vancouver, mentre più a sud, dalla foce del Columbia fino a capo Mendocino nella California settentrionale, così come cambia l’ambiente costiero, passando dall’aspra regione di fiordi e scogliere, ad una costa più bassa e lineare, si modifica anche la cultura dei popoli che la abitano.
I caratteri sostanziali, nella vita materiale e nella cultura permangono, ma meno accentuati: il mare e la pesca rimangono risorse prioritarie, ma sono più abbondantemente integrate dalla caccia e dalla raccolta, data la maggiore accessibilità dell’entroterra; minore è la capacità marinara e la tecnica di costruzione nautica, e maggiore è la dipendenza dall’ambiente fluviale; l’artigianato è meno ricco e complesso; l’organizzazione gerarchica meno strutturata e la propensione bellica minore; l’impianto spirituale risente maggiormente delle relazioni con altri popoli dell’entroterra e il totemismo è meno strutturato.
Al contrario nella regione settentrionale di quest’area il modello culturale è talmente forte, da imporre la sua egemonia su molte tribù Atapaskan delle regioni interne che ne subirono l’influenza, sia sul piano della vita materiale che spirituale.
Come già detto, è difficili riconoscere vere e proprie strutture tribali tra i popoli di questa regione, e le diverse comunità possono essere definite più facilmente in relazione ai legami parentali che singole comunità di un medesimo territorio mantenevano fra loro; da ciò se ne ricava un quadro estremamente frammentato, che è ulteriormente ricomponibile a partire dalle affinità linguistica. E’ cosi possibile individuare una serie di raggruppamenti tribali linguisticamente affini, che fra l’altro testimonia del gran numero di popoli che devono aver attraversato quest’area forse a partire da un’epoca ancor più lontana che quella dei Paleoindiani della fine del Pleistocene.
Partendo da nord il piccolo gruppo degli Eyak e il grande raggruppamento delle tribù Tlingit, lungo le coste dell’Alaska, entrambi legati (ma non facenti parte) alla grande famiglia Atapaskan, sono certamente gli abitanti più recenti, il cui arrivo è testimoniato a partire dal III milennio dalle piccole microlame caratteristiche dell’Alaska e della valle dello Yukon; più a sud altri recenti occupanti della regione sono tre tribù della famiglia Tsimshian del gruppo Penutian (Tsimshian, Gitskan, Niska) migrate da sud forse intorno al I millennio a.C.; molto più antico lo stanziamento degli Haida, dell’arcipelago della Regina Carlotta, forse risalente a più di 15.000 anni fa, quando le isole erano probabilmente collegate alla terraferma; sulla costa di fonte alle isole degli Haida, e nel nord e nell’ovest dell’isola di Vancouver, erano stanziati popoli di lingua Wakashan (Haisla, Heiltsuk, Wikeno, Kwakiutl, Nootka), e una tribù di lingua Salishan (Bella Coola); lungo il Puget Sound e sulle prospicienti coste dell’isola di Vancouver, vivevano un gran numero di piccole tribù di lingua Salishan, giunti sulla costa dall’interno, discendendo il corso del fiume Fraser, e due piccole tribù lingua Chemakuan, probabilmente di antichissimo stanziamento; altre tribù di lingua Salishan erano stanziate sulla costa più a sud, fin oltre la foce del Columbia, oltre a due piccole tribù di lingua Atapaskan giunte in tempi recenti, forse intorno alla fine del I millenni d.C., e il gruppo delle tribù Chinook della famiglia Penutian, che vivevano lungo il basso corso del Columbia; tutti questi raggruppamenti possono essere considerati rappresentanti tipici della cultura della costa del Pacifico, mentre procedendo più a sud, tra l’Oregon e la California, vi erano una quantità di piccole tribù di che parlavano lingue diverse (Koosan, Jakon, Siuslaw) tutte riconducibili alla famiglia Penutian, le tribù Kalapooya della valle del Willamete in Oregon, i Takelma, e alcuni gruppi Atapaskan di recente migrazione; tutti questi gruppi meridionali rappresentavano un adattamento periferico della cultura della Costa del Pacifico.
Il contatto in tutta la regione avvenne a partire dalla seconda metà del ‘700, quando navigatori e mercanti di pellicce Russi, Inglesi e Spagnoli, iniziarono a visitare le coste attirati dalle pregiate pelli di lontra marina, producendo un impatto drammatico per l’introduzione di malattie devastanti che decimarono le popolazioni locali; nel secolo successivo la penetrazione europea fu comunque lenta e scarsa, salvo nelle zone meridionali, quando l’emigrazione di massa verso l’Oregon e la California alla metà dell’800, portò alla quasi estinzione delle popolazioni locali, dopo cruenti conflitti in cui si distinsero in particolare i popoli Atapaskan. Ad oggi una serie di piccole comunità di nativi, ancora oggi impegnato principalmente nella pesca, punteggia la costa da Puget Sound all’Alaska, mentre degli abitanti della costa meridionale, rimangono pochi discendenti, che hanno perso identità etnica e linguistica, sopravvissuti in poche piccole riserve dell’Oregon.
L’Altopiano
La regione conosciuta con il nome Altopiano (Plateau in inglese) è un’area che si estende a ovest delle Rocky Mountains, fino alla costa del Pacifico esclusa, i cui confini sono indefiniti a nord, mentre a sud trova il suo limite nelle regioni semiaride o desertiche del Grande Bacino; più che in definiti confini geografici, l’area può essere riconosciuta per la sua coincidenza con il bacino del grande complesso fluviale Columbia- Snake, tra il sud dell’attuale British Columbia e parti degli stati del Montana, Idaho, Oregon e Washington. Si tratta di una regione in buona misura montuosa, ma con vaste aree fertili e pianeggianti nella parte meridionale, ricca di corsi d’acqua e laghi, coperta in larga misura da foreste, ma in cui non mancavano nella parte meridionale estese praterie.
Una terra in cui abbondavano le risorse per la sopravvivenza, con una fauna variegata di cervidi, pecore bighorne, capre di montagna e anche bisonti, lungo i pendii orientali delle Rocky Mountains, e nell’alta valle dello Snake river; alla ricca fauna si aggiungevano le risorse certe della pesca nei laghi e nei fiumi, e un buon numero di frutti e radici commestibili, che la natura metteva a disposizione.
Fin dai tempi dei Paleoindiani questa regione vide lo sviluppo di un modello economico estremamente flessibile e differenziato, basato sull’utilizzo delle diverse e varie risorse disponibili, piuttosto che sulla prevalenza di una specifica attività come avveniva in gran parte del continente, dove la caccia ai grandi mammiferi era l’attività prioritaria. Quindi in quest’area non si produsse una specializzazione particolare nel modello di sussistenza, e anche nella parte del territorio dove l’attività agricola sarebbe stata possibile e vantaggiosa, essa non fu mai praticata. Il mancato sviluppo di attività agricole, pur a fronte della conoscenza delle tecniche di base, testimoniata dall’uso di coltivare piccoli orti a tabacco per gli usi rituali, è elemento su cui è forse necessario fare delle ipotesi: è possibile che la ricchezza delle risorse spontaneamente offerte da un ricco ambiente naturale, possa aver avuto un ruolo nel ridurre gli stimoli all’innovazione nel modello di sussistenza, come certamente avvenne nella ancor più ricca valle californiana; d’altra parte anche nelle regioni orientali le risorse offerte dalla natura erano notevoli, e proprio da queste opportunità i popoli locali partirono per sviluppare complesse società agricole.
Indiani del plateau
Probabilmente la ragione dei differenti sviluppi in due aree con caratteristiche simili rispetto alle opportunità di sopravvivenza, va cercata nel fatto che mentre ad est, la costruzione di un modello di sussistenza integrato e flessibile, basato su caccia pesca e raccolta, premessa del successivo passaggio all’agricoltura, fu conseguenza di un cambiamento, prodottosi in particolare nella fase Arcaica, e successivo alla crisi dell’economia incentrata sulla predazione di grandi mammiferi, e quindi fu un aspetto di un movimento dinamico, che poteva innescare, come effettivamente fece, nuovi sviluppi, a ovest tale modello di sussistenza fu un adattamento molto più antico, il cui sicuro e immediato successo, esaurì ogni necessità e ogni stimolo alla trasformazione, producendo un contesto culturale complessivamente conservatore e poco dinamico.
Di fatto in questa area è difficile cogliere elementi autonomi e caratterizzanti, anche se i popoli che vi vivevano, erano nelle condizioni di benessere e disponibilità di risorse tali, da poter cogliere ed utilizzare quegli elementi della cultura e della tecnica che le società limitrofe, più vincolate ad una specifica specializzazione, erano in grado di produrre. La conseguenza fu uno stile di vita che era un mix di flessibilità nel cogliere le opportunità derivanti dal contatto con popoli vicini, ma anche di conservatorismo nel mantenere la semplicità strutturale del modello di sussistenza tradizionale. E’ interessante rilevare per esempio, che in tutto il Nord America, solo alcune tribù di questa regione, i Cayuse e altri gruppi limitrofi, seppero divenire esperti allevatori e selezionatori di cavalli, con le razze Cayuse e Appaloosa, eppure nemmeno il cavallo li indusse a modificare il loro stile di vita o a migrare in altre terre, come invece accade all’est, con lo spostamento verso le pianure dei bisonti di intere tribù.
In questo quadro di plurimillenaria continuità è difficile è ricostruire eventuali momenti di passaggio, trasformazioni culturali, eventi traumatici o altro che possa aver influenzato la storia di quest’area prima del contatto, a parte forse l’evento catastrofico avvenuto intorno al VII millennio a.C, che produsse un dislivello del fiume Columbia nella zona di Celillo Falls, impedendo la risalita dei salmoni lungo il fiume, ed escludendo da gran parte della regione questa importante risorsa alimentare: anche questa assenza contribuì allo sviluppo di un modello di sussistenza differenziato diversamente da quanto accadeva più a valle lungo il Columbia, dove la pesca era l’attività prioritaria. Di fatto questo evento catrastrofico, modifico lo stile di vita dei popoli dell’entroterra, rispetto a quelli della costa, riducendo le influenze della cultura dellaCosta del Pacifico, in gran parte dell’Altopiano. Nella parte settentrionale dell’area, nel bacino del fiume Fraser, dove la risalita dei salmoni non fu interrotta, la comune dipendenza da questo evento, produsse stili di vita molto più affini tra popoli costieri e dell’interno.
Oltre all’ipotesi che si possono fare rispetto a questo evento, è difficile ricostuire molto sulla storia precolombiana in quest’area. Sul piano dei reperti archeologici va registrata una produzione artigiana estremamente semplice e funzionale, che si limitava alla lavorazione della pietra, dell’osso, del legno e all’intreccio di fibre vegetali per ricavarne canestri o copricapi, senza una particolare eccellenza artistica, mentre la terracotta non rientrava tra tecniche diffuse, escludendo quindi dal campo della ricerca archeologica questo importante manufatto, che spesso indica e definisce specificità culturali e cambiamenti.
Il successivo evento della storia precedente il contatto a cui è necessario fare riferimento è un evento sismico, avvenuto intorno alla metà del XIII secolo, che produsse una riduzione del dislivello delle rapide di Celillo Fals, sul fiume Columbia, permettendo di nuovo l’accesso e la risalita dei salmoni, che fino a quell’epoca aveva trovato in quel punto un ostacolo insuperabile. Questa località e questa data rappresentano quindi uno spartiacque storico e culturale della regione. I popoli che vivevano lungo il fiume Columbia a valle di Celillo Falls, tutti di lingua Chinookan, avevano costruito il loro modello di sussistenza incentrato sulla pesca, come altri popoli della Costa del Pacifico, contando in particolare sull’immensa e sicura risorsa rappresentata dal passaggio stagionale dei salmoni; Celillo Falls e le vicini zone dei Narrovs e di The Dalles, lungo il Columbia, sono state per più di 10.000 anni importantissime stazioni di pesca, densamente e consecutivamente abitate. A monte di questo tratto del Columbia e in tutte le regioni interne, l’assenza dei salmoni obbligò le popolazioni locali, di lingua Shahaptin e Salishan, a incentrare la loro sussistenza su un maggior numero di risorse e su un nomadismo stagionale, a cui non erano obbligati i pescatori Chinookan; a partire dal 1260 circa, in seguito al terremoto e al modificarsi del corso del Columbia, i salmoni fecero la loro comparsa anche più a monte lungo il Columbia, e ciò portò molti gruppi a modificare in parte le loro abitudini, vivendo più a contatto con il fiume. Lungo il corso del Columbia i rapporti si fecero più stretti anche per i contatti che erano sempre avvenuti nella zona di Celillo e The Dalles, dove i popoli delle zone interne portavano selvaggina, pelli e altri beni, da scambiare con il pesce e con tutti i prodotti provenienti dalla costa.
La pesca stagionale dei salmoni, praticata in tutta la regione, lungo il medio corso del Columbia divenne un’attività di maggiore rilevanzaanche per i popoli dell’interno, modificando così in parte le abitudini e la cultura delle tribù della regione.
E’ possibile quindi affermare che uno dei cardini del modello di sussistenza dell’Altopiano, quello della pesca e in particolare la pesca stagionale al salmone, si afferma in tutta l’area solo a partire dal XIV secolo, mentre è costituente del m odello culturale nella parte più settentrionale del territorio, nel bacino del Fraser.
Comunque tutti i popoli di questa regione continuarono a fare un grande affidamento sull’attività venatoria, da cui dipendevano non solo per la carne, ma anche per le pelli. Cervi e wapiti, alci, pecore bighorne, capre di montagna, antilocapre, oltre ad un gran numero di prede minori, costituivano una risorsa abbondante, ed è possibile che alcuni gruppi più orientali, come i Kootenay o i Flathead, organizzassero spedizioni di caccia al bisonte a est delle Rocky Mountains e nella valle dello Snake River, ancor prima di ottenere i cavalli.
La raccolta di vegetali selvatici era un’importante attività a cui si dedicavano le donne; oltre a diversi tipi di bacche e frutti selvatici, importantissima era la raccolta di radici di “camas”, una piante della famiglia delle gigliacee, “bitteroot” e altri tipi di radici commestibili, che venivano consumate fresche o anche conservate. La raccolta delle radici di camas o di altri vegetali, impegnava interi gruppi tribali, che si spostavano stagionalmente nelle località di raccolta.
Con tale modello di sussistenza i popoli dell’Altopiano praticavano un nomadismo stagionale, con villaggi stanziali durante i mesi invernali, quando le risorse erano minori e si viveva sfruttando le scorte accumulate, la frequentazioni delle migliori località per la pesca a primavera, quando giungevano i salmoni, il trasferimento nelle località più adatte alla raccolta di radici di camas e altri vegetali durante la stagione estiva, e la caccia praticata tutto l’anno, individualmente o a piccoli gruppi nelle vicinanze degli stanziamenti.
L’abitazione invernale più diffusa era una lunga casa seminterrata, costituita da singoli vani allineati, con pareti laterali di rami e stuoie vegetali e tetto a due spioventi, anch’esso di rami e stuoie e spesso ricoperto di terra per l’isolamento termico; durante gli spostamenti e la buona stagione, semplici capanne di rami e stuoie erano sufficienti.
L’organizzazione sociale era anch’essa estremamente semplice, basata su bande autonome dal comune dialetto, legate da rapporti di parentela e dall’uso del medesimo territorio, guidate leader locali apprezzati per le loro doti personali, ma senza strutture o consigli tribali o una gerarchizzazione sociale interna. La vita spirituale era incentrata su credenze animistiche e sul ruolo degli shamani, e un ruolo particolare era riservato a quegli individui che presiedevano le cerimonie per il ringraziamento dell’arrivo primo salmone.
Elementi di differenziazione culturale erano presenti in particolare nella parte settentrionale del territorio, dove in conseguenza del contatto con i popoli costieri i diversi gruppi erano organizzati in clan famigliari, anche se mancava il complesso meccanismo di gerarchizzazione sociale presente tra i popoli costieri. Un po’ in tutta l’area era praticata la schiavitù, abitualmente prigionieri di guerra, che vivevano all’interno delle famiglie occupandosi dei lavori servili e che potevano essere venduti; anche tale uso fu probabilmente mutuato dai popoli costieri. Dalle regioni meridionali del Grande Bacino giunsero invece le tecniche di intreccio di fibre vegetali, per la costruzione di canestri, borse, stuoie e copricapi. Non sappiamo con precisione quali influssi giungessero dalla zona delle Grandi Pianure, anche se è certo che una parte dei Kootenay viveva in questa zona per parte dell’anno praticando la caccia al bisonte; quando poi nel XVIII secolo la cultura del cavallo e del bisonte si affermò nelle Grandi Pianure, e anche i popoli dell’Altopiano acquisirono il cavallo, compiendo spostamenti stagionali per cacciare i bisonti, alcuni gruppi assunsero una fisionomia simile a quella degli indiani delle pianure, a partire dall’uso di tepee conici, alle tecniche per l’uso integrale del bisonte, fino ad una maggiore propensione bellica. Comunque come già detto, nessun popolo dell’area rinunciò alle attività di pesca e raccolta per dedicarsi esclusivamente alla caccia al bisonte.
Come già accennato la gran parte delle tribù della regione erano riferibili a due gruppi linguisti i Salishan, più a nord gli Shahaptin, più a sud; oltre a questi due raggrupamenti principali, vi era una tribù di lingua Atapaskan infiltratasi da nord tra le tribù Salishan, e, al limite orientale dell’area, il gruppo isolato dei Kootenay, sui due versanti delle Rocky Mountains, nella zona di confine tra le attuali province canadesi di Alberta e British Columbia. In epoca recente, forse solo pochi secoli prima del contatto, che in quest’area non avvenne prima della fine del ‘700, diversi gruppi di lingua Shoshonean provenienti dalle zone semidesertiche del Grande Bacino, iniziarono a spostarsi verso nord, fino a raggiungere le montagne da cui nasce il Missouri, l’alta valle dello Snake River, e le zone meno accoglienti del sud-est dell’Oregon, dove la loro economia basata sulla caccia e la raccolta trovù un ambiente più favorevole, che nelle zone d’origine. L’incontro con i popoli già residenti, fu di concorrenza e reciproca ostilità con le tribù Shahaptin del basso Snake e Columbia, mentre, almeno in tempi storici, nelle regioni più montuose dell’interno abitate dai Salish, fu pacifico.
Dopo i primi contatti con cacciatori e mercanti di pelli, tutta la parte meridionale dell’area, a sud del confine tra Stati Uniti e Canada, divenne a partire dal 1849, la meta di un imponente flusso di migranti, attirato dalla fertilità della regione, e ciò diede vita ad una resistenza indiana che durò oltre un quarto di secolo, e di cui l’epica vicenda di capo Giuseppe e dei suoi Nez Perce, rappresenta la vicenda più nota, ma che vide in tempi diversi, protagoniste quasi tutte le tribù della regione. Più a nord la scoperta dell’oro nel bacino del fiume Fraser alla fine degli anni ’60 dell’800, diede vita a limitati conflitti, ma complessivamente la pressione dei bianchi fu più lenta e nel complesso maggiori le possibilità di adattamento delle tribù locali al nuovo contesto.
Ancora oggi, benchè ormai inseriti nel modello di vita occidentale, i popoli di quest’area continuano a preservare e a difendere i loro diritti nella pesca al salmone, che continua a rappresentare una importante risorsa economica.
I Popoli dei Deserti
Ancora oggi in Nord America vi sono grandi estensioni di territorio con una limitatissima popolazione, regioni desertiche o semidesertiche, inadatte sia all’allevamento che all’agricoltura, e che i coloni bianchi trovarono attrattive in alcuni casi, per le sole risorse minerarie del sottosuolo; anche in queste terre i popoli nativi sopravvissero per millenni, perpetuando uno stile di vita immutato dall’epoca Arcaica, fino al tempo in cui gli interessi economici non trovarono ragioni di profitto anche per queste regioni inospitali, e l’arrivo dei coloni sconvolse la cultura dei popoli che l’abitavano.
Si tratta di tre grandi aree, la prima la più estesa detta Great Basin, a ovest delle Rocky Mountains, la seconda, collegata alla prima, che si estende dal sud della California, lungo tutta la penisola di Baja California, la terza, isolata dalle prime due, a sud del Rio Grande nel Messico nord-orientale, in buona misura coincidente con la zona nota come Bolsom de Mapimi.
In tutte e tre queste aree si produssero modelli culturali e di sussistenza sostanzialmente simili, le cui uniche varianti dipendevano dalle risorse, dalla vegetazione e dalla fauna, che l’ambiente metteva a disposizione.
Il Great Basin
La regione del Great Basin si estende tra due elevate catene montane, a est i monti Wasatch che scendono da nord a sud attraverso l’Utah, a ovest la Sierra Nevada, oltre cui si estende la ricca valle della California; questa estesa regione è sicuramente la più povera di risorse alimentari di tutto il Nord America, e una delle zone in cui è possibile trovare ambienti tra i più invivibili del mondo.
Poverissima d’acqua, dato che le catene montuose fanno da argine all’arrivo delle nuvole di provenienza oceanica, e che nessun grande fiume l’attraversa, e con i due principali corsi d’acqua che hanno carattere episodico e incostante, al punto che uno di essi, il Sevier, fu chiamato dai primi esploratori “fiume fantasma” per il suo periodico scomparire nel terreno.
Indiani del Great Basin
Il terreno stesso, con alta salinità dovuta all’evaporazione, e con scarsa vegetazione, è sottoposto alla costante erosione del vento, che lo rende in larghissima misura inadatto, tanto all’agricoltura, quanto all’allevamento.
L’escursione termica è elevata, con estati caldissime e secche, e inverni continentali e neve alle quote più alte. Un simile ambiente ovviamente non poteva ospitare ne una ricca fauna, ne una vegetazione generosa dei propri frutti.
Questo il Great Basin che conosciamo, e di fronte al quale viene spontanea la domanda del perché in un continente vasto, e nel complesso spopolato, come il Nord America, dei popoli abbiano deciso di vivere in quelle terre. Ovviamente tale “decisione” non fu mai presa i popoli che avevano colonizzato quest’area l’avevano fatto alla fine del Pleistocene, quando era una terra ancora ricca d’acqua, punteggiata di laghi grandi e piccoli, che era quanto rimaneva dei grandi complessi lacustri che avevano occupato l’area nei millenni precedenti, alimentati dalla calotta glaciale, che giungeva fin poco più a nord, e che si estendeva a sud lungo le alte vette delle Rocky Mountains e della Sierra Nevada, quasi cingendo del tutto il Great Basin.
Al tempo in cui lo scioglimento dei ghiacci e l’aumento della temperatura aprivano gran parte del continente alla conizzazione umana, nel Great Basin iniziava una plurimillenaria lotta per la sopravvivenza che anno dopo anno, secolo dopo secolo, si misurava con un ambiente sempre più arido e scarso di risorse. Così mentre in tutto il continente lo sviluppo delle culture passava attraverso l’acquisizione di nuove tecniche e opportunità, nel Great Basin, i popoli che l’abitavano, per sopravvivere dovevano imparare ad usare di un ambiente sempre più povero, ottimizzando al massimo le scarse risorse di cui disponevano.
A riprova di come nulla potesse andar sprecato nel limitato ambito di risorse che l’ambiente offriva, basti pensare che ancora in tempi storici, gli indiani del Great Basin conoscevano e praticavano la pesca, nei piccoli bacini, sorgenti e stagni, dispersi nell’immensità del territorio semidesertico, dove sopravvivevano piccole popolazioni di pesciolini, dallo scarsissimo valore alimentare. L’apparente paradosso di un’attività di pesca nel pieno del deserto, può forse essere spiegato come l’eredità di una tradizione antica, risalente al tempo in cui il Great Basin era ancora punteggiato da un gran numero di laghi, grandi e piccoli, e la pesca doveva essere un’attività importante; il modificarsi dell’ambiente ridusse poi l’importanza di tale attività, senza però obliare le tecniche su cui si basava, la costruzione di ami, lenze, e piccole reti, la cui concezione e costruzione richiede comunque investimenti di tempo ed energia, che certo le attuali scarsissime risorse ittiche non sono sufficienti a motivare.
La citazione della pesca tra le attività di sussistenza dei popoli del Great Basin, viene fatta solo per dare un elemento in più nella ricostruzione delle vicende dei popoli che l’abitavano, ma tale attività aveva in tempi storici un valore a dir poco marginale, salvo per quei gruppi che vivevano nelle vicinanze dei laghi ancora esistenti ai margini della regione, ai piedi dei monti Wasatch e della Sierra Nevada. Nella gran parte della regione, le piccole comunità umane sopravvivevano principalmente grazie ad una economia di raccolta di un gran numero di vegetali selvatici, e ad un nomadismo a breve raggio che prevedeva sppostamenti da una località all’altra, seguendo gli appuntamenti stagionali con la maturazione di determinati frutti o la possibilità di raccogliere radici o erbe; in particolare il nomadismo seguiva il ritmo delle stagioni, approfittando del carattere del territorio, attraversato da una gran quantità di bassi rilievi, sovrastati da piccoli altipiani (mesas), dove le minori temperature e le nevi invernali, permettevano l’esistenza di boschi di pini e ginepri e una maggiore vegetazione; in queste zone le piccole comunità si spostavano durante la buona stagione per approfittare delle pigne e dei semi di pino, e delle bacche di ginepro, che costituivano una delle risorse principali per l’alimentazione, ma a cui si affiancavano un gran numero di altri vegetali, di ognuno dei quali le popolazioni locali conoscevano un possibile uso alimentare. Quando poi durante i mesi invernali il clima si faceva più rigido e le risorse si riducevano, le comunità si spostavano nei fondo valle più caldi e riparati, cercando di sopravvivere con le scorte alimentari accumulate e con un po’ di attività venatoria.
La caccia comunque, per quanto praticata in ogni occasione in cui fosse possibile, non poteva essere una risorsa certa, data la complessiva scarsità di selvaggina: piccole popolazioni di cervi e pecore bighorne nelle foreste più elevate, piccoli branchi di antilocapre laddove il magro pascolo ne permetteva la sopravvivenza, uccelli nelle vicinanze di stagni e sorgenti, anche se gran parte della caccia era rivolta a piccole prede, compresi i serpenti e rettili in genere, ma soprattutto roditori, e tra questi lepri e conigli, la cui popolazione in alcune occasioni cresceva notevolmente, al punto di rendere possibile l’organizzazione di caccie collettive, con diversi gruppi che cooperavano, circondando un area con delle reti e poi battendo il terreno per indurre i conigli a riunirsi verso il centro, dove era poi facile ucciderli con l’uso di bastoni.
Tra le risorse alimentari su cui questi popoli potevano contare vanno elencati anche gli insetti, le cavallette in particolare, per le quali quando c’era grande abbondanza si organizzavano caccie collettive.
Di fatto le difficoltà dell’ambiente obbligavano gli indiani della regione a trovare il modo di cibarsi praticamente di tutto ciò che l’ambiente metteva a disposizione, con il conseguente prodursi di un modello culturale apparentemente semplice e primitivo, per la quantità di elementi di cui poteva disporre, ma estremamente complesso, per la quantità di tecniche e conoscenze applicate, nell’uso di quegli scarsi elementi.
Ovviamente con un simile modello di sussistenza, era impossibile il costituirsi di comunità numerose e strutturate, e l’organizzazione sociale non andava al di là di piccole bande famigliari, a volte costituite addirittura da un solo nucleo, senza veri e propri capi, che si incontravano nei luoghi di raccolta del cibo, mantenevano relazioni attraverso gli scambi matrimoniali, e occasionalmente cooperavano in caccie collettive; proprio in occasione di queste caccie collettive, potevano prodursi figure di leader, personaggi di cui era nota la competenza e l’autorevolezza nella organizzazione della caccia, coadiuvati da tutti coloro che disponevano delle reti necessarie a circondare il terreno di caccia. Questi personaggi, oltre a disporre di esperienze e competenze tecniche, erano abitualmente i depositari dei riti e delle credenze che si riteneva favorissero il buon esito della caccia, e almeno per brevi periodi assurgevano ad un ruolo di leader per i diversi gruppi che cooperavano
Egualmente semplice era la vita materiale, le competenze tecniche e artigiane, le abitazioni. Per gran parte dell’anno, visto il clima caldo, gli indiani di quest’area usavano semplici ripari di rami e foglie, costruiti con i materiali trovati in loco, mentre durante i mesi più freddi spesso venivano usate grotte e caverne. Quasi totalmente assenti erano gli indumenti e solo per i mesi invernali erano usati mantelli e coperte fatti di pelli di coniglio. Tra le competenze artigiane, la principale era l’intreccio di canestri, usati per raccogliere semie frutti, oppure adeguatamente impermeabilizzti con pece o altre sostanze, per il trasporto dell’acqua; per la caccia ancora alla vigilia del contatto, l’atlatl non era stato soppiantato dall’arco e dalle frecce; il bastone da scavo era un semplice ma necessario strumento per la raccolta di radici.
Sul piano della vita religiosa essa era incentrata su un vasto repertorio di miti trasmessi per via orale, e sul ruolo di singoli individui che svolgevano la funzione di shaman, mentre le occasioni per una vita cerimoniale collettiva erano scarse e coincidevano con le opportunità per i diversi gruppi di poter condividere risorse alimentari.
I popoli che abitavano quest’area sono difficilmente riconducibili a definite entità tribali, ma costituiscano una entità etnica omogenea, linguisticamente riconducibile al ramo Numa della famiglia Uto-Azteca, che a sua volta è possibile suddividere in tre grandi gruppi, uno settentrionale, al confine tra Oregon, Idaho e Nevada, con le diverse bande Paviotso (o Northern Pa-hute), uno centrale con i Gosiute del Great Salt Lake, gli Shoshone del deserto del Nevada centrale, i Mono della Sierra Nevada e i Koso della Death Valley, e infine uno meridionale, costituito dai Pa-hute del sud del Nevada. A questi gruppi vanno aggiunti una serie di altre cominità, che dal Great Basin, si spostarono in tempi recenti, pochi secoli prima del contatto, verso est e nord alla ricerca di migliori condizioni di vita: i Bannock che si divisero dai Paviotso per spostarsi verso l’alta valle dello Snake River; diversi gruppi Shoshone che raggiunsero e valicarono le Rocky Mountains, per stanziarsi presso le sorgenti del Missouri (Lehmi), dello Yellowstone (Sheepeater) e nel bacino del Green e del Wind River, occupando anche le pianure del Wyoming dove si dedicavano alla caccia del bisonte; infine gli Ute che si divisero dai Pa-hute per spostarsi a est, nei monti dell’Utah e del Colorado, dove si sostituirono alla cultura agricola di Fremont, e raggiungendo al tempo del contatto le Grandi Pianure. Questi gruppi, pur portando con se molto del patrimonio cultuirale del Great Basin, arricchirono la loro vita materiale con risorse e tecniche nuove, assumendo infine una fisionomia simile a quella dei popoli incontrati nelle loro nuove sedi. A questi gruppi, tutti etnicamente e linguisticamente molto affini, va aggiunti il piccolo gruppo dei Washo, di lingua Hoka, che vivevano intorno al lago Tahoe, sul versante orientale della Sierra Nevada.
La regione del Great Basin fu visitata dai primi bianchi solo nei primi decenni dell’800, ma non rivestendo interesse ne per le pelli, ne per la colonizzazione, l’effettivo impatto con il mondo dei bianchi si ebbe solo nella seconda metà dell’800, quando i coloni attraversarono la regione per raggiungere la ricca California, e soprattutto quando vennero accertate risorse minerarie nell’area, che indussero i primi bianchi a stanziarvisi stabilmente. Iniziò a quel punto una guerra prolungata e poco nota, per il controllo delle poche risorse del territorio, in cui anche gli indiani della regione, poveri, pacifici, privi di armi e di capi guerrieri, scrissero alcune pagine della resistenza indiana. Quando poi la resistenza armata fu definitivamente sconfitta in tutto il Nord America, fu da questi deserti che sorse l’ultima speranza di riscatto, quando Wowoka, un indiano Paviotso, predicò la fede nella rinascita del mondo tradizionale e insegnò la Danza degli Spettri; la speranza nata nei deserti, fu immediatamente spezzata tra le nevi del Dakota a Wounded Knee, nel dicembre del 1890.
California e Baja California
A sud della Sierra Nevada le terre desertiche del Great Basin, si prolungano attraverso la California meridionale e di lì, alla penisola di Baja California, e alle regioni costiere dello stato messicano di Sonora, un territorio semidesertico, che però essendo bagnato dall’oceano Pacifico e dal mare di Baja California, offriva ai popoli che vi risiedevano la possibilità di arricchire la loro vita con le risorse del mare; anche nelle zone più interne le risorse idriche dovevano essere un tempo maggiori, data la presenza, almeno fino al XVI secolo del grande lago Cahuilla, nella depressione oggi occupata dal Salton Sea, nel sud della California. Pur non essendo un popolo di pescatori gli abitanti di quest’area, ed in particolare quelli delle regioni costiere, potevano contare sulla raccolta di molluschi, sulle uova di uccelli marini, sulla caccia a foche e otarie, e su una limitata attività di pesca, praticata da riva e nelle lagune, con piccole reti e lenze. La disponibilità di risorse marine, in particolare le conchiglie, permetteva ai popoli del sud della California di svolgere un ruolo di intermediari commerciali, con i popoli agricoli del sud-ovest, che avevano le competenze artigiane per trasformari i gusci dei molluschi in gioielli e oggetti di pregio. Oltre alle risorse marine, la caccia ai cervi, antilocapre e pecore bighorne, doveva avere avuto un tempo un importanza molto maggiore, almeno dalle testimonianze dell’arte rupestre, che specialmente in Baja California, sono le più significative e grandi del Nord America, le più antiche risalenti a più di 8.000 anni fa; tale forma d’arte doveva comunque essere stata abbandonata in tempi recenti, dato che gli indiani Cochimi che abitavano la regione, al tempo del loro internamento nelle missioni, avevano perso ogni ricordo degli antichi autori di questi grandi affreschi.
Baja California
Nella zona interna di quest’area, coincidente con le zone semidesertiche della California meridionale, lo stile di vita è molto più simile a quello del Great Basin, la raccolta dei semi di “pinon” è la principale risorsa, così coime la pratica dello spostamento stagionale verso le zone più elevate del territorio; in generale lo stile di vita dei popoli di questa regione Serrano, Chemehuevi, Kawaiisu ecc…) non si differenziava da quello dri loro vicini del Great Basin, mentre i gruppi posti più a sud (Cahuilla, Kamia) potevano svolgere un ruolo di intermediari tra popolazioni costiere e agricoltori dell’interno (Patayan, Hohocam), e ciò permise l’acquisizione di nuove tecniche, come testimoniato da una piccola produzione di ceramica, frutto evidente della relazione con i vicini popoli agricoli del Sud-Ovest. In generale comunque anche questi popoli privilegiavano, tra le tecniche artigiane, la costruzione di canestri di fibre vegetali, vivevano in semplici capanne di frasche, facevano scarso uso di indumenti, similmente ai loro vicini del Great Basin.
E’ quasi certo che in questa area, ed in particolare nell’estremità meridionale della Baja California vivessero fino all’epoca del contatto gli eredi dei più antichi colonizzatori del Nord America, i gruppi Waicuri e Pericu, oggi ormai estinti, ma che sembra avessero caratteristiche morfologiche che li differenziavano dagli altri indiani della regione. Waicuru e Pericu furono probabilmente spinti in quel vicolo cieco rappresentato dalla penisola di California, dal sopraggiungere in tempi antichissimi, ma successivi alla fine del Pleistocene, di genti di lingua Hoka (Cochimi) che occuparono gran parte della penisola, e da altri gruppi Hoka (Kumeyawai, Kamia, Kiliwa) affini agli agricoltori Patayan del Colorado, che si stanziarono nella zona al confine tra Messico e California. Un altro gruppo di antichissimo stanziamento è quello dei Seri, lungo le coste desertiche dello stato di Sonora e sull’isola Tiburon, la cui lingua è forse riconducibile alla famiglia Hoka, e che pur circondati da popoli agricoli, rimasero legati al loro tradizionale stile di vita, legato alla pesca, alla caccias e alla raccolta. In tempi molto più recenti, forse dopo il V secolo d.C., dalle zone del Great Basin una serie di popoli di lingua Uto-Azteca (Chemehuevi, Kawaiisu, Cahuilla, Luiseno, Serrano ecc…), si spostò nella regione, portandovi il modello di sussistenza tipico delle regioni dell’interno.
Tutta questa regione fu interessata dall’espansione coloniale spagnola, che dal Messico centrale si spingeva a nord; la Baja California fu raggiunta da navigatori spagnoli già nella seconda metà del ‘500, poi a partire dall’inizio del ‘600 iniziò l’attività dei missionari, che pur incontrando notevoli difficoltà, alla fine si impose comunque sulle popolazioni locali, distruggendone lingua e cultura e in alcuni casi, come per i Pericu e i Waicuru, determinandone l’estinzione già all’inizio del ‘700. Più a nord l’attività dei missionari spagnoli raggiunse le coste meridionali della California nella prima metà del ‘700, e anche qui le culture tradizionali furono travolte e gli indiani obbligati al lavoro servile all’interno delle missioni, anche se essi riuscirono almeno a sopravvivere e ancora oggi occupano alcune piccole riserve nelle loro terre. Nelle regioni più interne il confronto con i bianchi si ebbe solo nella seconda metà dell’800, dando luogo a conflitti locali, e alla successiva sottomissione. Un discorso a parte vale per i Seri della costa nord-orientale del Messico, la cui ostinata ostilità ai bianchi e l’indole bellicosa, diede luogo ad un conflitto protrattosi per quasi tre secoli e mezzo, e i cui ultimi episodi di violenza si consumarono nei primi anni del ‘900.
Il Deserto del Messico
L’ultima delle aree in cui si produsse una cultura del deserto, è quella coincidente in larga misura con il bacino interno del Bolsom de Mapimi e con il più meridionale Llanos el Salado, al confine tra gli attuali stati messicani di Chihuahua, Durango e Coahuilla; si tratta di una vasta regione compresa tra la Sierra Madre Orientale a est, la Sierra Madre Occidentale a ovest e il bacino dei fiumi Choncho e Rio Grande a nord, caratterizzata da scarsa piovosità, e in cui i pochi corsi d’acqua che discendono dai monti, hanno carattere stagionale e scorrono verso il centro dell’area, dove formano delle lagune che offrono condizioni per lo sviluppo di vegetazione e la sopravvivenza di un po’ di fauna, ma il cui carattere è precario e che possono anche evaporare durante i periodi più secchi.
I popoli che abitarono in queste terre sono quelli su cui c’è minor conoscenza in tutto il Nord America, essendo oggi del tutto estinti, e della loro cultura sappiamo solo che erano nomadi, con una certa predisposizione all’attività predatoria nei confronti dei popoli agricoli che vivevano più a ovest. Di essi ci sono rimasti solo un certo numero di nomi dalle cronache spagnole del ‘600, Toboso, Gocoyome, Cabeza, Laguneros ecc…. ma nemmeno è chiaro se tali nomi diversi non si riferiscano alle medesime popolazioni. Dato il loro stile di vita nomade e l’atteggiamento bellicoso, fu ipotizzato che almeno alcuni di tali gruppi tribali, come i Toboso, potessero essere affini agli Apache, rappresentando la punta più meridionale della migrazione degli Atapaskan verso sud, ma oggi l’opinione prevalente e che essi parlassero lingue Uto-Azteche, come la gran parte dei popoli del Messico settentrionale: comunque al di là delle ipotesi, mancano gli elementi minimi per fare ipotesi significativamente motivate.
La Sierra Madre
Per i “conquistadores” spagnoli che avevano sottomesso l’impero Azteco, l’incontro con questi popoli nomadi, organizzati in bande, usi a praticare la guerriglia e capaci di sopravvivere in un territorio estremamente difficile, significò impegnarsi in guerra di lungo periodo che iniziata nei primi decenni del ‘500, per protrarsi fino alla fine del ‘600, quando infine i territori dell’attuale Messico, furono infine liberati da ogni resistenza.
Alla fine di un secolo e mezzo di resistenza i popoli dei deserti del Messico erano di fatto estinti e scompaiono dalle cronache già dall’inizio del ‘700. Gli Spagnoli, contro di loro avevano applicato una strategia distruttiva, con diverse iniziative coincidenti: i cacciatori di schiavi, illegali ma tollerati dall’autorità; la messa in campo di campagne militari; la colonizzazione delle loro terre con indiani meridionali alleati e già sottomessi, e infine e solo marginalmente, l’attività missionaria, a cui gli indiani comunque sempre si opposero, accettando la vita delle missioni, solo quando ormai sconfitti e sull’orlo dell’estinzione, non poterono che barattare la possibilità di un pasto e di un rifugio, con la loro identità etnica e culturale.
Per gli Spagnoli invece i conflitti sarebbero continuati con nuovi avversari: gli Apache.
La Valle della Califormia
La valle della California è dal punto di vista delle culture dei nativi d’America, un’enclave con caratteristiche particolari e per certi versi uniche, dove un’economia di sussistenza piuttosto semplice, e sostanzialmente simile a quella delle regioni desertiche, permise la possibilità di un grande sviluppo demografico, facendo di questa piccola regione, una delle aree più densamente popolate del Nord America precolombiano.
Le ragioni di questo successo, sono tutte da ricercarsi nella specificità e nella varietà dell’ambiente californiano: una ampia vallata solcata da due fiumi, il Sacramento e il San Joaquin che da nord e da sud convergono verso il centro, raccogliendo le acque di numerosi affluenti che discendono dalle alte vette della Sierra Nevada, garantendo ampie risorse idriche; l’influsso mitigante dell’oceano Pacifico che determina un clima di tipo mediterraneo, con inverni miti ed estati fresche; un paesaggio vario che in uno spazio relativamente limitato, passa dalle spiagge dell’oceano, alle cime innevate della Sierra, passando per foreste montane, paesaggi collinari e campagne rigogliose. In questo contesto prosperava una fauna ed una flora ricca e varia, che offriva un gran numero di risorse alimentari, e che permise ad un gran numero di popoli di lingua e provenienza diversa, di condividere il medesimo modello culturale in un contesto sostanzialmente pacifico; comunità adattate a vivere di raccolta, caccia e pesca in contesti più ostili, una volta giunti nella valle, vi trovarono l’ambiente ottimale per prosperare. Dal suo cuore nella valle californiana, il loro semplice ma funzionale stile di vita, si estese oltre che sulle pendici montuose che la circondavano, fin nelle zone limitrofe che presentavano un ambiente simile, in particolare il bacino del fiume Klamat, al confine tra gli attuali sta di California e Oregon.
Nel paradiso californiano, che fu la meta di un imponente fenomeno migratorio nella seconda metà dell’800, ed è ancora oggi uno dei miti del “sogno americano”, nel corso dei millenni popoli diversi si insediarono, tutti accogliendo i benefici che la natura offriva, ma senza che mai alcuno sentisse la necessità di trasformare quella terra naturalmente generosa, in uno dei centri agricoli del continente, cosa che sarebbe stata non solo possibile, ma addirittura semplice. Al contrario questa regione, al pari di quelle più inospitali, fa parte di quella vasta area in cui l’attività agricola non fu mai praticata, e senza di essa non si svilupparono società complesse e strutturate. Una zona quindi caratterizzata dal conservatorismo culturale, similmente alla regione dell’Altopiano, e rispetto a questa ancor più isolata da influssi culturali esterni, ma dove però la grande disponibilità di risorse, permise lo sviluppo di un più ricco artigianato, strettamente legato alle esigenze di una vita semplice e tecnologicamente povera, ma non per questo meno curato dal punto di vista estetico e nell’amore per il dettaglio.
Il modello di sussistenza basato sulla raccolta di vegetali selvatici, tra i popoli californiani ebbe la sua principale risorse, nelle ghiande, abbondanti in gran parte dell’area, dove i boschi di quercia erano diffusi sia nella vallata che nelle zone collinari; le ghiande venivano raccolte in autunno in grandi quantità, poi sottoposte ad un complesso procedimento che prevedeva ben sette operazioni, venivano quindi trasformate in una farina di grande contenuto nutritivo, con cui venivano cotti piccoli pani e tortillas, o che veniva conservata come scorta per tutto l’anno. A questa importante risorsa si aggiungevano poi una quantità di altri semi, noci, bacche, bulbi e radici, la cui importanza economica variava da luogo a luogo, e che era maggiore nelle zone montane o periferiche dell’area, dove i boschi di querce mancavano.
Lungo la costa il mare offriva molluschi, mammiferi marini e pesce, che costituivano una importante risorsa alimentare e integravano la raccolta di ghiande e altri vegetali nell’entroterra; per alcuni popoli costieri come i Chumash e i loro vicini meridionali Gabrielino, il mare era il centro della attività economica, e essi possono essere definiti “popoli marinai”, in grado di spingersi in mare aperto, fino alle isole prospicenti la costa meridionale della California. Chumash e Gabrielino, diedero vita ad una variante culturale specifica, nota come Canalino, di cui i Chumash, antichissimi abitanti dell’area furono i promotori, e che i Gabrielino, giunti solo in tempi recenti, acquisirono da loro. La pesca era comunque molto praticata anche in acqua dolce, specialmente nelle zone settentrionali, lungo il Klamat e il Trinity River, interessati dalla risalita stagionale dei salmoni, ma in genere ovunque vi fossero fiumi e laghi in cui pescare trote, lucci, persici ecc… utilizzando lenze, piccole reti e trappole.
La California benchè ricca di fauna, mancava di mammiferi che vivevano in grandi branchi, e a causa di ciò l’attività venatoria era praticata individualmente o da piccoli gruppi di cacciatori, nelle vicinanze dei villaggi e non prevedeva ne l’organizzazione di caccie collettive, ne tanto meno, spostamenti al seguito della selvaggina; le prede principali erano cervi e wapiti, ma ad essi si aggiungeva praticamente ogni altro uccello o mammifero, anche di piccola taglia, a parte alcuni animali, come il coyote o il grizzly, per i quali c’erano divieti legati a credenze e superstizioni; a partire dal III sec. d.C, arco e frecce si diffusero in tutta l’area sostituendo l’atlatl, ma l’innovazione tecnologica non sembra aver aumentato l’importanza della caccia nel modello di sussistenza, ne fatto aumentare l’aggressività tra le comunità.
A completare il quadro delle risorse alimentari degli indiani californiani, vanno citati gli insetti, in particolare alcuni tipi di bruchi e di larve, di cui in alcune occasioni v’era grande quantità, e che venivano raccolti e cucinati; in questo quadro di estrema capacità di utilizzo alimentare di ogni risorsa disponibile, solo i rettili erano esclusi, a parte le tartarughe e le testuggini.
La flessibilità di tale modello di sussistenza, simile a quello delle aree desertiche, e la ricchezza del contesto in cui esso era praticato, il più ricco del Nord America, permisero ai popoli della California una vita libera dal timore della fame.
D’altra parte quello stesso modello di sussistenza, basato sul massimo utilizzo delle risorse in loco, senza necessità di cooperazione tra gruppi diversi nella caccia o di spostamenti di media o lunga distanza, favorì un modello di organizzazione sociale estremamente frammentato, basato sui piccole comunità autonome, quando non addirittura isolate, molto vincolate ad un preciso e limitato territorio, di cui conoscevano bene ogni risorsa. All’interno delle singole comunità l’unità base era rappresentata dalla famiglia mononucleare, con linea ereditaria abitualmente patrilineare, e diffusa era la divisione in metà esogamiche che regolavano gli scambi matrimoniali, che erano la principale forma di interazione tra gruppi diversi, ma affini linguisticamente. Il potere dei capi era limitato, se non assente, scarso il ruolo di shaman e capi cerimoniali, e solo nella parte meridionale del territorio poteva darsi il caso di un capo villaggio in grado di esercitare la propria influenza su comunità vicine. Nella parte nord-occidentale del territorio, forse per l’influenza dei popoli della costa settentrionale del Pacifico, aveva grande rilevanza la ricchezza, misurata nel possesso di collane di conchiglie “dentalium”, ma non era prevista nessuna usanza redistributiva, come erano i “potlach” dei popoli settentrionali, ma al contrario vigeva un complesso sistema di indennizzi “economici”, che era la base per la definizione di dispute o per sanare offese.
I popoli californiani erano sostanzialmente sedentari, vivevano in piccoli villaggi che raccoglievano da poche decine ad un massimo di 200 individui, che potevano essere abbandonati per brevi periodi e piccoli spostamenti stagionali per la raccolta di vegetali nelle vicinanze. Le abitazioni erano abitualmente capanne cupoliformi o a cono, fatte con corteccia, rami, frasche e altri materiali disponibili in loco, mentre nella parte nord-occidentale della regione, erano diffuse case di assi di legno, simili a quelle dei vicini settentrionali della costa del Pacifico. Gli indumenti erano scarsi data la mitezza del clima, le donne usavano oltre alle pelli di animali, anche gonne di fibre vegetali, mentre solo in inverno o nelle zone più elevate venivano usati mantelli di pelle di cervo. Un abbigliamento più ricco, con decorazioni di conchiglie e piume, era utilizzato in occasioni rituali.
La produzione artigiana era incentrata sulla fabbricazione di canestri di fibre intrecciate, di cui vi era una grande quantità di forme e dimensioni a secondo dell’uso, e che in alcuni casi, come fra gli indiani Pomo, raggiungeva un alto grado di eccellenza artistica, per la varietà e la qualità delle decorazioni. Tra i Chumash della costa la produzione artistica raggiungeva livelli più avanzati, con la lavorazione della pietra, steatite in particolare, che si era sviluppata per la costruzione di ciotole e oggetti che forse avevano valore rituale, e soprattutto con la pittura rupestre, ancora praticata fino al XIX secolo.
A parte questa specificità locale, in tutta l’area mancava una tecnica per la costruzione di vasi o brocche, e la ceramica non fece mai la sua comparsa nella valle Californiana, a differenza di quanto accadeva più a sud, nei deserti californiani, dove per contatto con i popoli del Sud-Ovest, una piccola produzione è testimoniata. Legno, osso e pietra erano i materiali con cui venivano prodotti i semplici utensili necessari alla vita quotidiana, manos e metasas per la macinazione dei semi alimentari, archi e frecce per la caccia, bastoni da scavo e attrezzi per la pesca. I popoli marinai, come i Chumash e i Gabrieleno, fabbricavano grandi canoe in assi di legno o monoxile, mentre nelle regioni interne, per la pesca su fiumi e laghi dell’interno era utlizzate canoe di “balsas”, lunghe fibre intrecciate per costruire il “fasciame” dell’imbarcazione.
Data la semplicità della vita sociale, basata su piccole comunità, anche la vita cerimomiale si svolgeva principalmente all’interno delle dimensione famigliare, e si manifestava principalmente attraverso la sottolineatura dei diversi momenti di passaggio nella vita individuale, la nascita, il matrimonio, la morte ed in particolare attraverso i riti di iniziazione che accompagnavano la pubertà, e che presso molti gruppi, erano di competenza di società segrete a cui aderivano i maschi adulti. Vi era poi una cosmogonia ed una mitologia simile, con variazioni locali, in quasi tutta l’area, e intorno a tale sistema di credenze, definito ritualità Kuksu, si producevano occasioni cerimoniali, finalizzate al buon andamento delle attività di sussistenza .
Gli shaman, che derivavano il loro potere da sogni e visioni, si occupavano abitualmente della cura dei malati, individuando gli spiriti che erano causa della malattia, ma non avevano un ruolo preminente nelle comunità. Anche in questo caso differente era la situazione nell’angolo nord-occidentale della California, dove cerimonie annuali di purificazione e rigenerazione della durata di dieci giorni, venivano celebrate in occasione dell’arrivo del primo salmone, o per la prima raccolta di ghiande, e tali cerimonie erano guidate da personaggi autorevoli, che si erano preparati con digiuni e bagni di sudore. Queste occasioni rituali, erano il momento per l’incontro tra diverse comunità, in cui i membri più autorevoli esponevano le loro ricchezze, in particolare conchiglie dentalium, pelli di cervo, lame di ossidiana ecc…Queste occasioni cerimoniali, che ricordano i “potlach”per l’esposizione (ma non la distribuzione) di ricchezza, così come le celebrazioni per il “primo salmone”, testimoniano dell’influenza esercitata dai popoli della costa del Pacifico, fino in California.
La valle della California è certamente la regione in cui la varietà e la frammentazione linguistica raggiunge livelli di complessità ineguagliati in tutto il Nord America, e ciò probabilmente in ragione delle peculiarità geografica del territorio, che contribuì a determinarne le modalità di popolamento, e per le caratteristiche ambientali, che favorirono la tendenza all’isolamento.
Molto probabilmente, fin da epoca lontanissime, e di certo precedenti l’epoca dei Paleoindiani, e poi nei millenni successivi, singoli gruppi, a più riprese, varcarono i passi della Sierra Nevada, stanziandosi nella regione e vivendo fianco a fianco a popoli di lingua completamente diversa, e mantenendo per millenni le loro peculiarità linguistiche, pur nell’ambito di uno stile di vita sostanzialmente simile. Ciò creò la peculiare situazione di una regione abitata da genti che seguiva il medesimo stile di vita, ma che non produssero alcun superiore livello di interazione.
In questa plurimillenaria storia del popolamento, è possibile individuare almeno due gruppi, linguisticamente isolati, i Chumash della costa, e due tribù della California centrale fra loro imparentate linguisticamente, gli Yuki e i Wappo, le cui origini potrebbero forse risalire al più antico popolamento della regione, forse 20.000 e più anni fa. Successivo e forse risalente alla fine del Pleistocene, il popolamento da parte di popolazioni di lingua Hoka (Achomawi, Shasta, Karok, Chimarico, Yana, Salinan ecc…), oggi presenti da nord a sud in tutta la California, salvo che nelle terre migliori, lungo il corso del Sacramento e del San Joaquin. Qui in epoca storica vivevano diversi gruppi di lingua Penutian (Wintun, Maidu, Costano, Miwok, Yokut ecc…), giunti probabilmente alla fine dell’era Arcaica, soppiantando e spingendo ai margini i gruppi Hoka che li avevano preceduti. Fu invece probabilmente intorno alla metà del I millennio d.C. che gruppi isolati di lingua Uto-Azteca, giunsero dal Greeat Basin, per stanziarsi sulle pendici occidentali della Sierra Nevada (Mono, Tubatulabal) e fin sulla costa, come i Gabrielino. E’ invece difficile immaginare quando e come giunsero in California, gli antenati degli Yurok e dei Wiyot, la cui lingua Ritwan, è imparentata in qualche modo a quelle degli Algonchini delle Foreste Orientali, a migliaia di chilometri dalla California.
Indiani Klamat
Ultimi infine giunsero anche gli Atapaskan, forse verso la fine del I millennio d.C., che dalla fredda Columbia Brittannica giunsero fin nel nord-ovest della California. Marginali alla valle californiana, ma assimilabili ad essa per ragioni storiche e culturali, i Klamat e i Modock di lingua Penutian del gruppo del Plateau, che vivevano al confine con l’attuale Oregon. Un mosaica di lingue e dialetti, con una quantità di variazioni locali, a testimoniare di una storia del popolamento, che forse fu estremamente complessa, ma di cui oggi è difficile trovare testimonianza, anche per la tendenziale continuità culturale, all’interno di cui tale vicenda si dipana: anche in questo caso l’assenza di quei reperti in ceramica, che tra i popoli agricoli è un indicatore dei cambiamenti, rende difficile il lavoro di ricostruzione, impedendo di trovare quei cambiamenti nella vita materiale che possono indicare momenti di passaggio e di trasformazione.
Dopo millenni di sostanziale continuità e stabilità culturale, la valle californiana fu certamente la regione in cui l’impatto con il mondo dei bianchi avvenne in modo più traumatico e distruttivo. Primi furono gli spagnoli che dall’inizio del ‘700 colonizzarono le coste della California, fino a raggiungere nel 1776 la baia di San Francisco, dove stabilirono un presidio e una missione, anche se la loro influenza sulla valle interna fu estremamente ridotta. Più dannoso fu l’arrivo dei Russi, all’inizio dell’800, che dopo aver costruito stazioni commerciali lungo le costa dell’Alaska, stabilirono Ft. Ross, una colonia agricola nella zona a nord di San Francisco, che doveva fornire derrate alle stazioni commerciali; da Ft.Ross si diffusero una serie di distruttive malattie epidemiche che falcidiarono i vicini Pomo e altri gruppi limitrofi. Ma fu il 1849 l’anno terribile, quando in coincidenza con il passaggio sotto il controllo statunitense, la scoperta dell’oro nella valle del Sacramento, diede vita al più esplosivo fenomeno migratorio della storia, e in pochi mesi decine di migliaia di emigranti in cerca di fortuna, invasero letteralmente le valli californiane. L’impatto fu totalmente travolgente, e i popoli nativi furono sommersi ancor prima di poter comprendere cosa stava accadendo loro, subendo ogni sorta di angherie, violenze, massacri; solo nelle zone più settentrionali, una dura resistenza si protrasse per oltre un decennio, culminando con la contraddittoria ed eroica vicenda dei Modock di Kimptuash. In altre zone, quelli che riuscirono a sottrarsi all’internamento nelle riserve, furono costretti a vivere per decenni nascondendosi nei boschi, per sfuggire alla furia omicida dei coloni: uno di loro, di nome Ishi, della tribù Yahi, nel 1911 fu scoperto nelle vicinanze del villaggio di Oroville, e fu preso in consegna dall’antropologo Alfred Kroeber, che ebbe da lui informazioni sulla lingua e gli usi tradizionali degli Yahi e degli Yana. Ishi, dopo aver assistito al massacro della sua gente nell’infanzia, e dopo aver vissuto tutta la sua vita in solitudine e nascondendosi, mori nel 1916 di TBC, nel museo di San Francisco nel quale era ospitato.