La stampa americana e la battaglia del Little Bighorn

A cura di Cesare Bracchi

Il primo bianco ad avere notizia della battaglia di Little Big Horn e quindi della sconfitta del Generale Custer e delle sue truppe fu il Tenente Bradley del 7° Fanteria capo degli esploratori del comando di Gibbon il mattino del 27 giugno 1876.
Egli infatti, insieme ai suoi scout indiani, arrivando da nord, trovò dapprima i corpi dei soldati di Custer sparsi per le colline sovrastanti l’enorme campo indiano ormai abbandonato e, proseguendo, incontrò i soldati del Maggiore Reno. Questi, ignari di quanto accaduto a Custer e ai suoi, erano trincerati su una collina dopo aver subito un assedio di due giorni da parte dei Sioux e dei Cheyenne dopo averli inizialmente attaccati dalla estremità meridionale del campo.
Quello stesso giorno il Generale Terry, comandante in capo della Dakota Column e di tutta la spedizione, scrisse un messaggio sull’accaduto che mise nelle mani di uno scout bianco chiamato “Muggins” Taylor affinché questi lo portasse a Fort Ellis per una immediata trasmissione agli uffici governativi centrali.
Quello che a noi può apparire normale, come la trasmissione di un messaggio, a quell’epoca non lo era affatto. Nel 1876 senza telefono o automobili, in una regione disabitata dove la trasmissione via cavo era ancora agli inizi e anche le tratte ferroviarie erano scarse, il recapitare un messaggio urgente costituiva un problema risolvibile solo con lunghe cavalcate.
La storia che segue è quindi la cronaca degli eventi, alcuni dei quali degni della sceneggiatura di un film western, che portarono la notizia ad essere di dominio pubblico con conseguente “scoop” giornalistico.
Il Bismarck Tribune, quotidiano del Montana, aveva previsto che il proprio direttore C. A. Lounsbury fosse il corrispondente ufficiale e partecipasse con Custer a questa spedizione. All’ultimo momento e per ragioni sconosciute, Lounsbury rinunciò e al suo posto inviò uno dei suoi reporter di nome Mark Kellogg. Il 21 Giugno 1876 Kellogg inviò il seguente telegramma al Tribune: “… domani, 22 Giugno, il Generale Custer con 12 compagnie di cavalleria andrà in esplorazione partendo dalla foce risalendo la valle del Rosebud fino a raggiungere la pista scoperta dal Maggiore Reno, e si muoverà su quella pista con tutta la rapidità possibile al fine di raggiungere gli Indiani che, come è stato accertato, stanno cacciando il bisonte e compiendo brevi e tranquille marce giornaliere. Il comando di Gibbon risalirà la valle del Big Horn in modo tale da intercettare gli Indiani qualora essi tentino di scappare dal Generale Custer da quella parte.”
Questo fu l’ultimo telegramma inviato da Kellogg che perì nella battaglia del 25 Giugno insieme a Custer e ai suoi soldati.
Mancando quindi il resoconto dell’inviato, tutti gli articoli dei giornali che riportarono nei giorni seguenti la notizia della battaglia si basarono sul messaggio del Gen. Terry più o meno correttamente arricchito di particolari.


La pagina dedicata da Ogle County Press al Little Bighorn

Questo messaggio fu affidato, come detto, allo scout Taylor che il 28 giugno lasciò il campo per raggiungere Fort Ellis. Poco dopo la partenza Taylor fu individuato e seguito da una banda di Sioux e quando ormai stava per essere raggiunto e probabilmente ucciso giunse in vista del battello fluviale Far West che era ormeggiato alla confluenza dei fiumi Little e Big Horn. Su questo battello a vapore c’erano i soldati addetti ai rifornimenti della spedizione del Gen. Terry, essi furono attirati dagli spari di Taylor che cercava di attirare la loro attenzione. Gli Indiani lo avevano quasi raggiunto, ma Taylor riuscì a portarsi in salvo sul battello benché il cavallo fosse allo stremo delle forze.
I Sioux, visto svanire l’obiettivo del loro inseguimento, si allontanarono scomparendo velocemente tra le colline.
Ripreso il viaggio, Taylor raggiunse, tra il 1 e il 2 luglio, Stillwater, l’attuale Columbus nel Montana letteralmente stremato dalle lunghe galoppate e dal caldo. Stillwater si trovava infatti a più di 60 miglia dal campo sul Little Big Horn, esattamente alla confluenza dell’omonimo fiume con il Yellowstone.
Qui il suo arrivo non passò inosservato, venne infatti interrogato da W. H. Norton, una specie di corrispondente del Helena Herald, che intuì immediatamente l’importanza delle notizie e la portata dello “scoop” giornalistico che la diffusione delle stesse avrebbe prodotto. A questo punto i portatori del messaggio diventarono due: “Muggins” Taylor ripartì infatti il 2 luglio per la sua destinazione di Fort Ellis, ma contemporaneamente Horace Countryman, un socio di Norton, partì a sua volta, cavallo ventre a terra, in direzione di Helena allo scopo di portare la notizia alla redazione del Herald.
Taylor giunse a Fort Ellis nel pomeriggio del 3 Luglio e consegnò il messaggio nelle mani del suo comandante, il capitano Benham. Questi lo lesse e, dopo un momento di comprensibile sbigottimento, lo portò personalmente all’ufficio del telegrafo della vicina città di Bozeman per l’immediata trasmissione al Comando Generale della Divisione del Missouri a Chicago, Illinois.
Qui avvenne un fatto curioso che gli storici non sono mai riusciti a chiarire: il messaggio non venne mai trasmesso via telegrafo anche se il Capitano Benham affermò in una lettera di aver lasciato il foglio all’ufficio del telegrafo per la sua trasmissione dopo essersi assicurato del buon funzionamento delle linee. Lo stesso Countryman, sulla strada per Helena, sostò a Bozeman per trasmettere il messaggio al giornale rinunciandovi dopo aver constatato che le linee erano fuori uso.
Va considerato che gli uffici del telegrafo di una sperduta cittadina del Territorio del Montana nel 1876 probabilmente non si distinguevano né per il perfetto funzionamento di macchinari e linee né per la professionalità e lo zelo del personale addetto.
Va inoltre sottolineato che si era alla vigilia dei grandi festeggiamenti per il primo centenario dell’indipendenza degli Stati Uniti e nulla vieta di pensare che per le strade di Bozeman questi festeggiamenti fossero già iniziati con buona pace di coloro che dovevano trasmettere urgentemente i loro messaggi.
La notizia della battaglia e soprattutto dell’esito della stessa, con l’annientamento delle truppe del 7° Cavalleggeri e del loro famoso comandante si era ormai diffusa a Bozeman e il Bozeman Tribune uscì con una edizione straordinaria il 3 luglio alle sette di sera risultando così il primo giornale in assoluto a riportare la notizia della sconfitta di Custer.
Il giorno dopo, il 4 luglio, Horace Countryman arrivò a Helena quasi allo stremo delle forze dopo aver cavalcato per 180 miglia, trovò Andrew Fisk, direttore del Helena Herald, nel suo ufficio e gli consegnò il messaggio del suo corrispondente da Stillwater.
Fisk capì immediatamente di avere per le mani una notizia bomba e si precipitò in strada riuscendo a trovare, tra la folla che festeggiava l’Independence Day, il personale necessario per andare in macchina con una edizione straordinaria che uscì la sera stessa. Ma Fisk era anche un corrispondente dell’Associated Press alla quale telegrafò immediatamente la notizia che da quel momento divenne di dominio pubblico in tutti gli Stati Uniti.
Gli uffici dei giornali dell’est erano tranquilli e silenziosi in quella calda serata di luglio. Gli occhi della nazione erano tutti puntati sull’Esposizione del Centenario di Philadelphia dove il paese celebrava cento anni di esistenza come nazione indipendente nel nome degli immutabili principi di libertà e giustizia per tutti.


Ancora un vecchio articolo sui fatti del 25 giugno 1876

Le Conventions dei Repubblicani e dei Democratici si erano appena concluse con la nomina di due candidati dalla personalità piuttosto oscura. Ben altra notorietà e fama poteva vantare il Generale George Armstrong Custer, considerato il più grande cacciatore d’indiani di tutto l’esercito che si trovava, assieme ad altri comandanti di gran lunga meno popolari, impegnato in territorio sioux contro una banda di indiani ostili guidati dal noto Sitting Bull.
Il 6 di luglio, il New York Herald pubblicò due resoconti entrambi basati su dispacci da Salt Lake City datati 5 Luglio.
Uno di questi reportage proveniva da Stillwater, nel Territorio del Montana e raccontava del corrispondente speciale del Helena Montana Herald che descriveva l’arrivo di “Muggins” Taylor con le notizie della battaglia. La stessa edizione del Herald riportò un ritratto del Generale Custer nel quale veniva descritto come se avesse incontrato il suo destino fatale durante una di quelle caratteristiche cariche che gli avevano dato la reputazione di più spericolato capo di Cavalleria in guerra. Benché il New York Herald sembrasse aver accettato in linea di massima la credibilità di questi racconti, la tendenza generale fu di riluttanza mista ad ansia.
Il Dipartimento di Guerra, forse perché il desiderio è padre del pensiero, fu incline a non dare credito a quell’informazione, dal momento che nessun dispaccio ufficiale era stato ricevuto. Per l’Addetto all’Ufficio del Generale tutta la storia appariva improbabile. Il Generale Sherman era dell’opinione che ci fossero state delle esagerazioni, dato che sembrava tutto così terribile per poter essere totalmente vero.
Il Gen. Sheridan richiamò l’attenzione sul fatto che i resoconti non sembravano provenire da alcuna fonte accreditata, dato che invece di giungere dai quartier generali o dal corrispondente speciale al seguito della spedizione, provenivano da giornali del lontano Ovest su informazioni di uno scout dalla dubbia reputazione.
Ben presto, tuttavia, le notizie vennero confermate ufficialmente. Partì così l’oceano di inchiostro delle centinaia di articoli e libri scritti sull’argomento da ogni possibile angolo di visuale.
Il Governatore del Montana Benjamin F. Potts prese la palla al balzo ed inviò subito al capo dell’esercito Gen. Sherman un telegramma nel quale veniva manifestato lo stato di grande apprensione della popolazione di fronte alla minaccia indiana e si rinnovava la richiesta di autorizzazione a costituire una milizia civile armata di 1000 uomini.
La stampa locale, una volta placatasi la prima ondata emozionale riguardo la fine di Custer e dei suoi, si lanciò in una violenta campagna anti-indiana, allo scopo di ottenere dalle autorità governative maggiore protezione da parte dell’esercito per i coloni del Montana. In questo frangente si “distinse” l’Independent di Helena che, perso lo scoop a favore del concorrente Herald, pubblicò nei giorni e nelle settimane seguenti notizie di raid indiani nella zona, rivelatesi ben presto totalmente false. In particolare venne data notizia di assalti e massacri a Fort Lincoln e Fort Pierre, nel territorio del Dakota, e di inequivocabili segni premonitori di attacchi indiani nella Gallatin Valley nel Montana, tutto clamorosamente inventato.


Il New York Times parla della disfatta di Custer al Little Bighorn

La sconfitta di Custer, figura popolarissima all’Est almeno quanto nell’Ovest, fu un fulmine a ciel sereno che colpì l’opinione pubblica americana proprio nel momento delle celebrazioni di un evento così importante e sentito.
La stampa riprese con rinnovato vigore la campagna in favore di una definitiva risoluzione della questione indiana e termini come “massacro”, “selvaggi”, “diavoli rossi” insieme a risibili sarcasmi sui nomi dei capi indiani più conosciuti popolarono le pagine dei quotidiani e delle riviste di allora.
L’episodio di Little Big Horn fu inoltre preso a pretesto per uno scambio di feroci polemiche tra democratici e repubblicani. La stampa di orientamento democratico accusò pesantemente la politica del presidente Grant, reo di togliere forze militari dalla frontiera occidentale per inviarle al Sud nel programma di ricostruzione dopo la guerra di secessione, tutto ciò a scopo propagandistico in vista delle imminenti elezioni presidenziali. Anche i quotidiani di parte repubblicana criticarono la politica “morbida” nei confronti delle popolazioni native, definendo un fallimento l’attività dell’Indian Bureau e auspicando lo sterminio e l’estinzione delle tribù ostili.
Come si vede, la stampa americana di allora, o almeno parte di essa, trattava il “problema indiano” come una pura questione militare da risolvere in fretta per non rallentare il “processo di civilizzazione”.
Molti decenni dovettero passare prima di approdare alla attuale iconografia dell’indiano buono con la quale gli americani tentano di lavarsi la coscienza dalle macchie di allora. Anche la cartografia della zona subì cambiamenti: nel febbraio del 1877 fu infatti proposto di cambiare il nome del fiume da Little Big Horn River a Custer River, così come il nome della contea passò da Big Horn County a Custer County. Tuttavia dopo alcuni anni il nome del fiume tornò, quasi per inerzia, quello originale, mentre furono necessari quasi 120 anni e molte battaglie, questa volta incruente, per riuscire a far cambiare il nome dell’area della battaglia da Custer Battlefield a Little Big Horn Battlefield.
La battaglia di Little Big Horn viene tuttora “vivisezionata“ in nuovi saggi e libri che dal punto di vista militare, sociale, storico e persino archeologico promettono, non sempre mantenendo, di dare nuove spiegazioni ed interpretazioni a questo evento storico controverso e per certi versi ancora misterioso.

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