La scoperta della fine di Custer

A cura di Cesare Bracchi

La tremenda scoperta
Sulla battaglia di Little Big Horn si ormai detto e scritto di tutto, analizzando nei minimi dettagli ogni singola fase dell’evento.
Tuttavia, c’è un momento che non presenta nessuna valenza dal punto di vista militare né lascia spazio a interpretazioni fantasiose o misteriose, che però merita di essere proposto all’interesse degli appassionati.
Si tratta del momento in cui l’esercito scoprì l’esito della battaglia e la conseguente disfatta di Custer e del 7° Cavalleria.
Com’è noto, la campagna contro gli indiani ostili del 1876 prevedeva la partecipazione di ben tre colonne dell’esercito, comandate dai generali Terry, Gibbon e Crook, che secondo i piani, avrebbero dovuto convergere il 26 giugno nella zona del fiume Little Bighorn, dove si pensava potesse trovarsi il campo della grande coalizione indiana.
Dalla colonna di Terry si staccò il 7° Cavalleria di Custer con l’ordine di localizzare il nemico e attendere l’arrivo dei rinforzi per poi attaccare. Quello che successe in realtà è cosa arcinota, ciò che invece è meno conosciuto è il modo in cui il resto della spedizione venne a sapere della fine di Custer e dei suoi.
La bibliografia su Little Bighorn è vastissima e viene in soccorso anche in questo caso. In particolare due documenti, resoconti di partecipanti all’evento, forniscono materiale sufficiente per una descrizione precisa e un’analisi accurata.


Uno dei momenti finali dell’ultimo assalto indiano

Si tratta del volume “On time for disaster – The rescue of Custer’s command” del Gen. Edward McClernand e di “March of Montana Column” del Ten. James Bradley. Entrambi hanno il formato del “giornale di bordo”, quindi una specie di diario che, con stile evidentemente asciutto ed essenziale, riporta tutte le attività giornaliere delle truppe. Non mancano, tuttavia, passaggi dove emerge lo stato d’animo dell’autore nell’avvicendarsi di eventi estremamente emozionanti.
Edward J. McClernand, all’epoca dei fatti era un giovane sottotenente del 2° Cavalleria normalmente di stanza a Fort Ellis e quindi appartenente alla Montana Column del Gen. Gibbon. Il suo racconto inizia dalla partenza delle truppe dal forte e, per diversi giorni, assomiglia più al resoconto di un esploratore, con dovizia di particolari geografici e naturalistici, che non al diario di un soldato. Quando invece si avvicinano i giorni cruciali, ecco che allora l’autore descrive in maniera coinvolgente la vita quotidiana dei soldati impegnati nella campagna di guerra, rendendo partecipe il lettore degli stati d’animo dei protagonisti.
Ecco di seguito alcuni brani: “….partenza alle 5:45 del mattino del 25 [25 giugno 1876, primo giorno della battaglia n.d.r.], il Generale mi affidò l’incarico di stabilire il percorso, dato che ero già stato in questa regione in precedenza… …il sentiero che stavamo seguendo lungo il Tullock’s Fork attraversava ripetutamente il ruscello e benché la batteria di mitragliatrici Gatling incontrasse qualche difficoltà nei guadi, non c’erano grossi problemi. Tuttavia, ad un certo punto il Generale Terry mi avvisò che intendeva salire sullo spartiacque tra il Fork e il fiume Big Horn e seguirlo fino alla foce del Little Big Horn. Una volta raggiunta la cresta apparve chiaro che era necessario seguirla benché il percorso fosse molto stretto e tortuoso con profondi burroni coperti di vegetazione fin quasi in cima. La giornata era estremamente calda e gli uomini soffrivano la sete, specialmente i fanti. Dopo una marcia di 21.35 miglia e dopo aver disceso una lunga e ripida collina, la cavalleria raggiunse il Big Horn dove i soldati e i cavalli poterono soddisfare la loro sete e riempire le borracce che vennero portate alla fanteria che era rimasta attardata e che arrivò poco più tardi completamente esausta.
James Bradley
Alle 4:30 del pomeriggio iniziò a piovere pesantemente, ma ciò nonostante il Gen. Terry desiderava portarsi nelle vicinanze del Little Big Horn il più presto possibile. La fanteria era totalmente esausta e rimase al campo, mentre alle 5:15 eravamo di nuovo in sella per risalire il Big Horn… continuò a piovere intensamente fino alle 10:30 della sera… …a mezzanotte ci fermammo in un avvallamento dove c’erano alcune pozze d’acqua e l’erba era buona. C’era anche della legna, ma non ci fu permesso di accendere fuochi per non segnalare la nostra presenza. Distanza percorsa dal momento in cui abbiamo lasciato la fanteria: 12.10 miglia. Distanza totale del giorno: 35.75 miglia…”

Da quanto sopra, risulta che l’esercito si stesse muovendo alla massima velocità possibile. Quasi 60 Km di marcia in un giorno, su un terreno estremamente difficile, con condizioni atmosferiche particolarmente avverse, sono indubbiamente il massimo che si potesse fare. Evidentemente Terry presagiva che qualcosa potesse andare storto a Custer e desiderava ricongiungersi il prima possibile al 7°. Ignorava ovviamente, quella sera del 25 giugno, che la disfatta era ormai avvenuta e che, mentre le sue truppe si riposavano dopo la lunga marcia, Reno e i resti del 7° Cavalleria erano sotto assedio degli indiani a poche miglia di distanza.
Il Tenente James Bradley apparteneva al 7° Fanteria della Montana Column. Aveva ricevuto l’incarico di comandare il reparto di scout che constava di 23 scout Crow, 2 scout bianchi e una ventina di soldati. Questo gruppo aveva quindi il compito di viaggiare davanti alla colonna dei soldati e di esplorare il terreno dandone poi informazione al Gen. Gibbon.
Dopo la riunione delle truppe con quelle del Gen. Terry, a Bradley era stato affidato il compito di precedere il resto delle forze risalendo il Little Big Horn.


Una scena drammatica…

Queste le sue parole che descrivono gli accadimenti del mattino del 26 giugno: “Ecco che i nostri indiani fecero ritorno [si tratta degli scout Crow che Bradley aveva mandato in avanscoperta n.d.r.] e non appena furono arrivati, si misero a urlare e a gemere disperatamente in quello che l’interprete spiegò essere un canto di morte. Dalle loro lacrime e dal grande dolore che manifestavano apparve chiaro che qualcosa di brutto era accaduto. In particolare Little Face piangeva con un’amarezza e un’angoscia che non avevo mai visto. Quando si ricompose incominciò il suo racconto con voce soffocata e spesso interrotta dai singhiozzi. Mentre proseguiva nel suo racconto, gli scout Crow si allontanarono un po’, si sedettero singolarmente e iniziarono a piangere e a intonare i loro tremendi canti di morte… …erano i primi ad ascoltare la terribile storia del massacro di Custer e, al di là a del fatto di avere parenti e amici tra le vittime, sembravano persone a cui non potesse essere inflitto dolore più grande.
…Era una storia terribile, così diversa dall’esito che avevamo sperato per questa campagna.
…I miei uomini ascoltavano con avido interesse senza tradire le emozioni dei Crow, ma guardandosi l’un l’altro con facce sbiancate e in un silenzio doloroso. Dovevamo dubitare di quel racconto ? Io non potevo; c’era un qualcosa di indefinito in esso… …il massimo che potevo era sperare che il resoconto del disastro fosse in qualche modo esagerato. Tuttavia c’era stato un disastro, un terribile disastro, ne ero sicuro”

Queste le parole del Ten. Bradley che ben descrivono l’effetto della notizia sui soldati e sugli scout indiani.


Tentativi di difesa affidati spesso ai singoli soldati

Che qualcosa di grave fosse accaduto era chiaro, ma rimaneva una certa diffidenza e incredulità al racconto degli indiani che viene confermata anche dalle parole del Ten. McClerland: ”26 Giugno – partenza alle 9:15, avevamo percorso solo un breve tratto quando il Ten. Bradley, capo degli scout, riferisce che 2 dei nostri Crow che erano insieme al Gen. Custer sono sulla riva opposta del Big Horn e dicono che il Gen. Custer è stato malamente sconfitto ieri e ucciso in un combattimento a circa 18 miglia da qui sul Little Big Horn, il quale fiume si trova ormai a breve distanza di fronte a noi.
In lontananza a monte del fiume è visibile una lunga colonna di fumo, ma il racconto dei Crow non è generalmente creduto; si suppone che sia [il fumo n.d.r.] causato da Custer che ha dato fuoco al villaggio. Viene ordinato un alt per aspettare la fanteria e, quasi nello stesso momento il Gen. Gibbon e le sue truppe ci raggiungono dalla nave [ si tratta del battello “Far West” che ha risalito il fiume Yellowstone n.d.r.]… dopo una marcia di 5 miglia vengono recuperati una quindicina di pony e poco dopo parecchi indiani sono visti aggirarsi di fronte a noi. Diversi ufficiali, attraverso i loro binocoli, avvistano una lunga colonna come di cavalleria, tre o quattro miglia davanti a noi. Un ufficiale vede anche qualcosa sulle colline a sinistra, come bisonti sdraiati. La notte arriva prima che qualcosa di definitivo sia determinato, ma appare evidente che il Gen. Custer non abbia ottenuto un completo successo…
…27 Giugno – La notte è passata tranquillamente. Ripartiamo di buon’ora e poco dopo vediamo proprio di fronte a noi il luogo dove un villaggio enorme era presente fino a ieri. Il destino di Custer è ora più misterioso che mai. Non siamo lasciati nel dubbio per molto. Il Ten. Bradley ci fa sapere che ha contato 196 soldati morti che giacciono sulle colline a sinistra. Quello che ieri l’ufficiale aveva visto assomigliare a bisonti sdraiati sono i nostri compagni morti e i loro cavalli…”

Un ritratto di McClerland
Entrambi i documenti proseguono poi descrivendo l’arrivo sul campo di battaglia e le successive operazioni di sepoltura dei caduti e di soccorso ai feriti.
Alcune interessanti riflessioni sono possibili. Innanzitutto si tratta di resoconti scritti da testimoni oculari, per di più militari, e quindi di comprovata affidabilità e poco suscettibili di interpretazioni personali o di parte.
Dalle marce forzate inflitte alle sue truppe, si intuisce che il Gen. Terry avesse una gran fretta di ricongiungersi con Custer, probabilmente perché non era del tutto sicuro che costui rispettasse gli ordini assegnatigli, anche se su questo tema la discussione è ancora aperta, dopo più di 130 anni.
Tuttavia, l’aspetto più interessante rimane l’incredulità dei soldati, ufficiali compresi, nell’apprendere l’esito della battaglia. Evidentemente, Custer godeva di una reputazione tale da far apparire assai improbabile una sua sconfitta, anche davanti alla più grande coalizione di tribù di indiani della prateria della storia. Questo è confermato anche dalle discussioni successive alla battaglia di Little Big Horn, allorché si cercò di assegnare a Reno le responsabilità maggiori fino alla citazione di quest’ultimo davanti alla corte marziale nel 1879.

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