Il grande silenzio (1968)

A cura di Gian Mario Mollar

Un gruppo di fuorilegge – che non ha altra colpa se non quella di cercare di sopravvivere – si nasconde nei boschi, tra la neve. Il rigido inverno del 1898, storicamente ricordato come l’Anno del Grande Blizzard a causa delle temperature artiche e delle copiose nevicate, li ha ridotti alla fame e costretti a rubare.
Nella vicina città di Snow Ville, il cinico e corrotto Henry Pollicut (Luigi Pistilli), banchiere e giudice di pace, ha assoldato un manipolo di cacciatori di taglie per cancellarli dalla faccia della terra: il suo losco piano gli permette di lucrare prestando a usura i soldi delle taglie.
A capo dei banditi c’è un personaggio sinistro: il suo nome è Tigrero e indossa “un cappello da prete e una pelliccia da donna”. Nella versione americana del film ha il nome più eloquente di “Loco”.
Non ci sono emozioni nel suo sanguinario mestiere: per lui i cadaveri sono semplicemente dei pezzi di carne, da conservare nella neve e barattare per dollari sonanti. La sua voce, calma e suadente in ogni circostanza, fa venire i brividi, proprio come i suoi occhi, azzurri e sgranati.
Lui e i suoi scagnozzi seminano il terrore nella valle. L’impacciato sceriffo della città, Gideon Burnet (Frank Wolff), è incapace di contrastarli. Sebbene non provi simpatia per Pollicut e la sua banda di tagliagole è “più simile a un allevatore di maiali che a un tutore della legge”.
Per quanto attratto dai dollari sopra ogni altra cosa, il vecchio e poco attraente Pollicut finisce per invaghirsi di un’avvenente donna di colore (Vonetta McGee). Pur di averla, farà uccidere suo marito da Tigrero.


La locandina del film

La vedova, affranta, cercherà qualcuno in grado di fare giustizia: “C’è un uomo che fa tremare i cacciatori di taglie. Lo chiamano Silenzio, perché dopo che è passato lui restano soltanto il silenzio e la morte”.
Silenzio si chiama così perché, quando era bambino, un gruppo di cacciatori di taglie ha ucciso suo padre e gli ha reciso le corde vocali, rendendolo muto. Cresciuto, è diventato un uomo tanto silenzioso quanto letale, in grado di “estrarre per secondo ma sparare per primo”. Avvalendosi della legittima difesa, non può venire arrestato da Pollicut, che si avvale di una giustizia formalmente corretta ma profondamente corrotta.
L’asso nella manica di questo magnifico pistolero è senza dubbio la sua insolita arma da fuoco: una Mauser C96, pistola di fabbricazione tedesca in grado di sparare 10 colpi calibro 7.63. La forma tondeggiante dell’impugnatura è valso a quest’arma il soprannome di “manico di scopa”; pende dal fianco di Silenzio custodita in una fondina di legno, che all’occorrenza può essere applicata all’impugnatura, trasformandosi così nel calcio di un piccolo fucile mitragliatore. In molti casi, Silenzio si avvale della sua mira infallibile per far saltare i pollici dei suoi avversari, una mutilazione che impedirà loro di sparare per il resto dei loro giorni.
Ora che abbiamo introdotto i due carismatici personaggi principali, Silenzio e Tigrero, non resta molto da dire sul resto della trama di questo film, che gravita intorno a loro. Il muto e lo psicopatico danzeranno fino alla fine un macabro tango di neve e sangue.


Una scena del film

Senza rivelare nulla in merito al finale, possiamo dire che il regista ha realizzato addirittura tre finali alternativi: uno negativo, uno inverosimilmente a lieto fine e uno ambiguo e sospeso. La prima versione, tuttavia, è quella che viene solitamente proiettata.
Il grande silenzio è un film realizzato nel 1968 dal grande Sergio Corbucci, uno dei maestri dello Spaghetti Western e autore del famoso Django con Franco Nero. Si tratta di un western cosiddetto “revisionista”, perché riflette in pieno il clima di contestazione politica che era tipico di quegli anni. La vicenda, infatti, rappresenta in modo evidente la dialettica tra potenti senza scrupoli e proletari spinti al crimine dall’indigenza.
Al di là della trama, tuttavia, il film ha una potenza evocativa immensa, dovuta, in primis, al carisma dei due attori principali. Nei panni di Silenzio vediamo l’affascinante Jean-Louis Trintignant, un attore che in seguito collaborerà ad altissimi livelli con registi del calibro di Scola, Truffaut, Bertolucci e Kieslowski. Tigrero, invece, è impersonato dall’impareggiabile Klaus Kinski. Dapprima star dello Spaghetti Western – noi tutti lo ricordiamo nei panni del Gobbo, lo scagnozzo dell’Indio in Per qualche dollaro in più di Sergio Leone – a partire dagli anni Settanta diventerà l’attore feticcio del regista Werner Herzog, in film indimenticabili quali Aguirre furore di Dio e Fitzcarraldo. Fu una personalità complessa e sopra le righe tanto sulle scene che nella vita reale: per chi desiderasse approfondire, c’è un bellissimo documentario realizzato su di lui da Herzog stesso, dal significativo titolo di Kinski, il mio nemico più caro.
Al di là delle grandissime prestazioni attoriali, comunque, quello che rende indimenticabile il film è il deserto bianco in cui ambientati: il candore della neve contrasta con i colori saturi della pellicola, e, soprattutto, con i toni cupi e violenti dell’azione scenica.


Una sparatoria

Come è noto, gran parte delle pellicole western dell’epoca venivano girate nel deserto di Almeria, in Spagna, perché l’America, quella vera, era troppo lontana e costosa da raggiungere. Questa pellicola, però, ha un’ambientazione decisamente insolita: le Dolomiti venete, nei pressi di Auronzo di Cadore. Le splendide e inconfondibili montagne alpine sono le spettatrici impassibili del dramma umano che si consuma tra neve e gelide folate di vento.
Le musiche di Ennio Morricone, impeccabili come sempre, aggiungono ulteriore pathos a una vicenda che, già di per sé, ne è piena.
Insomma, vale la pena di riscoprire questo film “antico”, perché non ha ancora finito di parlarci e risulta estremamente attuale e godibile. Non è un caso che un cultore come Quentin Tarantino l’abbia usato come fonte di ispirazione primaria per il suo ultimo film western, The Hateful Eight (2016), ibridandolo con influenze di generi disparati, dall’horror al giallo.
Chi ama le nuvole parlanti, poi, potrà ritrovare Silenzio e la sua Mauser in Durango, una bellissima saga scritta e disegnata dal belga Yves Swolfs.

Titolo: Il grande silenzio
Regista: Sergio Corbucci
Anno: 1968
Attori: Jean-Louis Trintignant, Klaus Kinski, Frank Wolff, Mario Brega, Vonetta McGee
Colonna sonora: Ennio Morricone

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