L’olio di serpente: truffe e bufale della frontiera

A cura di Gian Mario Mollar
L’etichetta di una bottiglia di “snake oil”
Ancora oggi, negli Stati Uniti, “venditore d’olio di serpente” è sinonimo di ciarlatano e truffatore. La definizione deriva dai tempi della Frontiera, quando gli sferraglianti carretti di sedicenti dottori si spostavano di cittadina in cittadina, offrendo alla platea che si assiepava intorno un vero e proprio spettacolo, spesso incentrato sulle virtù di balsami e linimenti miracolosi.
I rimedi venduti venivano sapientemente presentati come panacee in grado di guarire molti, se non tutti, i mali e in alcuni casi il medico era accompagnato da un complice, che si confondeva tra la folla e fingeva una guarigione immediata in seguito all’utilizzo del prodotto, scatenando così la volontà di acquistare negli astanti.


Un carro per la vendita di “prodotti miracolosi”

Una volta smerciato il farmaco, il “luminare della scienza” faceva in fretta ad alzare i tacchi e cambiare città, per evitare di essere smascherato ed eventualmente gratificato con un bagno a base di catrame e di piume, il tipico trattamento riservato ai ciarlatani.
Era questa la dinamica dei cosiddetti medicine shows, veri e propri spettacoli ambulanti che, come sostiene la studiosa Ann Anderson, stanno a metà tra gli spettacoli dei saltimbanchi sulle piazze del Medioevo europeo e le moderne televendite: con la scusa di curare il corpo, gli imbonitori curavano anche l’anima dei loro clienti, offrendo uno spettacolo che rompeva la noiosa e faticosa routine di ogni giorno.
I prodotti venduti erano le cosiddette patent medicine, i “farmaci brevettati”, sebbene, nella gran parte dei casi, l’unica cosa che sarebbe valsa la pena di brevettare era l’acume e l’abilita dei venditori, che sapevano imbonire la folla in modo esemplare.
Eccone un esempio: “Quanto vale la vostra salute, Signore e Signori? Non ha prezzo, non è vero? Bene, amici miei, mezzo dollaro è tutto quello che vi occorre per mettervi in forma. Proprio così, Signore e Signori, per cinquanta centesimi, il Vero Rimedio della Natura avrà successo laddove i dottori hanno fallito. Solo la Natura può guarire e io ho la natura proprio qui, in questa bottiglietta. La mia formula segreta proviene direttamente dal laboratorio di Dio, la Terra stessa, e cura i reumatismi, il cancro, il diabete, la calvizie, l’alito cattivo e le curvature della spina dorsale”.


Un altro venditore di snake oil

Giocoleria, cani e cavalli ammaestrati, barzellette e intrattenimenti vari facevano da contorno allo smercio della pozione miracolosa, “indorando la pillola” e invogliando così i potenziali acquirenti.
Gli elisir avevano spesso nomi roboanti e, per ammantarsi di fascino e mistero, facevano riferimento a culture diverse, come quella indiana, ad esempio, o a quella orientale.
In effetti, esiste un collegamento tra lo snake oil, l’olio di serpente venduto sui carrozzoni, e gli antichi rimedi tradizionali della Cina. Pare, infatti, che la sua ricetta fosse arrivata negli Stati Uniti in seguito alla migrazione di centinaia di migliaia di operai cinesi (si stima siano stati circa 180mila dal 1849 al 1882), che lavorarono alla costruzione delle ferrovie americane. Per alleviare i dolori articolari derivanti dal duro lavoro, erano soliti cospargersi con il grasso del serpente d’acqua cinese, che contribuiva a ridurre l’infiammazione.
La fama di questo linimento crebbe anche tra i bianchi e con essa la domanda ma negli Stati Uniti i serpenti d’acqua scarseggiavano: la ricetta del balsamo venne così “americanizzata”, sostituendo il rettile cinese con il locale serpente a sonagli, di ben più facile reperibilità.
Nacquero così decine e decine di medicinali e pomate dai nomi altisonanti e portentosi, quali “Il linimento di Rattlesnake Bill”, “ricavato dal grasso di vero crotalo adamantino”, il “Grande linimento a base di olio di serpente degli indiani Yaqui”, il “composto essenziale di olio di serpente a sonagli di Tex Allen”, fabbricato a Newark, nel New Jersey, e consigliato per “dolori reumatici, dolori di schiena, strappi, slogature, mal di piedi, rigidità alle giunture, muscoli indolenziti, irritazione della gola, mal di testa, mal d’orecchie e oltre”.
In questo mondo fatto di placebo e truffe va senz’altro ricordato il nome di Clark Stanley, il “Re dei serpenti a sonagli”.
Nato ad Abilene, in Texas, ai tempi della Guerra Civile, questo insolito “curatore” era dotato di un pizzetto da far invidia a Buffalo Bill, souvenir di una decina d’anni trascorsi vivendo l’avventurosa vita del cowboy, fino alla scoperta che cambiò la sua vita.


Un’altra etichetta di snake oil del tempo del west

I fatti salienti della sua storia sono narrati in un opuscolo del 1897, dal titolo “The Life and Adventures of the American Cow-Boy. Life in the Far West by Clark Stanley, Better Known as the Rattle-Snake King” , un pamphlet a di una cinquantina di pagine a metà tra una biografia romanzata in stile dime-novel e un volantino pubblicitario.
L’epifania avvenne nella primavera del 1879, quando Stanley si recò a Walpi, in Arizona, per assistere alla “danza dei serpenti” degli indiani Hopi. Come racconta lui stesso: “qui feci conoscenza con un uomo di medicina della tribù Moqui [altro nome con cui vengono chiamati gli Hopi] e, dal momento che gli piaceva l’aspetto della mia Colt e mi chiese di fargli vedere come sparavo, gli offrii un’esibizione del mio tiro spettacolare, che gli piacque molto; mi chiese quindi se mi sarebbe piaciuto rimanere lì e vivere con lui e io gli risposi che sarei rimasto fino alla danza dei serpenti”. Dopo aver assistito alla danza, i suoi compagni ripartirono subito, ma Stanley decise di rimanere, e trascorse i seguenti due anni e cinque mesi tra gli indiani.
“Imparai il loro linguaggio e le danze e i segreti per preparare le loro medicine. Fra tutte, quella che mi colpì maggiormente fu quella che loro chiamano “Medicina dell’olio di serpente”. Viene usata per i reumatismi, i tendini contratti, e per ogni sorta di fitte e dolori. Siccome l’uomo di medicina mi teneva in grande considerazione, mi rivelò il segreto per preparare questo medicamento, che ora è chiamata Linimento di Olio di Serpente di Clark Stanley. L’olio di serpente non è una nuova scoperta, è stato usato dai Moqui e da molte altre tribù indiane per molte generazioni, e io ho apportato alcuni miglioramenti alla formula originale.”
Clark Stanley
A parte la danza dei serpenti, che veniva realmente praticata dagli Hopi e da altre tribù confinanti, come i Navajo, non è dato sapere quanto ci sia di vero nel racconto di Stanley, ma è un dato di fatto che, grazie al suo intruglio e al suo show itinerante, divenne ben presto ricco, tanto da aprire due stabilimenti, uno nel Massachussets e un altro nel Rhode Island, e da avere addirittura uno spettacolo durante l’Esibizione Universale di Chicago del 1897.
Nel corso dei suoi show, Stanley metteva in scena la preparazione del farmaco: vestito da cowboy, uccideva i serpenti dal vivo e li strizzava per estrarne l’olio, che veniva poi mescolato con altri ingredienti segreti, imbottigliato e infine venduto alla folla adorante e credulona. Per accrescere l’aura di mistero e magia intorno a sé, dichiarava di essere immune ai morsi di serpente, ostentando le cicatrici bianche che gli chiazzavano gli avambracci. In un articolo del Boston Transcript riportato nel libretto, un cronista fornisce questo ritratto: “L’uomo dei serpenti ha portato il giornalista nella sua camera e ha aperto una scatola di legno, con una finestrella di fil di ferro su un lato, vi ha tuffato la mano con la stessa naturalezza con cui si prende un uovo da una cesta e l’ha estratta insieme a un serpente di due metri che si contorceva”. La cronaca continua con l’imbonitore che pesca altri due serpenti velenosissimi e li lascia avvolgere in spire intorno al suo braccio, indifferente alle lingue biforcute che guizzano sulla sua pelle.
Stanley dichiarava di essere stato morso centinaia di volte e di essere sempre riuscito a sopravvivere grazie a uno speciale rimedio contro il veleno di serpente. In realtà, all’epoca non esisteva alcun rimedio medicalmente testato contro il veleno, ma può darsi, forse, che il re dei crotali si fosse mitridatizzato in seguito a molti morsi, sviluppando una sorta di immunità.
Le bottigliette dell’unguento erano accompagnate da un libriccino che cercava di compendiare gli innumerevoli usi possibili: “Per i reumatismi, la neuralgia, la sciatica, il mal di schiena, i muscoli contratti, gli strappi, i gonfiori, i congelamenti, i geloni, le bruciature, il mal di gola, i morsi di animali, di insetti e di rettili. Buono per uomini e bestie. Un linimento che penetra nei muscoli, nelle membrane e i tessuti per arrivare all’osso stesso, scacciando il dolore con un’efficacia che ha stupito l’Ordine dei Medici”. Il manualetto era poi corredato da figure che illustravano le modalità di applicazione e di massaggio.


Un venditore ambulante di prodotti miracolosi

Malgrado le roboanti dichiarazioni del suo inventore, nel 1917 la bufala dell’olio di serpente di Clark Stanley venne finalmente smascherata: gli investigatori federali appurarono che il miracoloso balsamo era in realtà un miscuglio di petrolio, grasso animale, probabilmente di provenienza bovina, pepe rosso, canfora e trementina. Di serpente a sonagli, nemmeno l’ombra!
Il ciarlatano ricevette una multa da venti dollari (l’equivalente di quattrocento dollari attuali) e, da allora in poi, l’olio di serpente divenne sinonimo di truffa.
In Colorado esiste una leggenda buffa legata al mondo dei venditori di pozioni, che risale ai tempi della corsa all’oro. Pare che uno di questi “dottori”, specializzato nella vendita di una lozione per la ricrescita dei capelli, si aggirasse per i campi di minatori. In un giorno sfortunato, lo sbadato commerciante fece cadere in un corso d’acqua l’intero carico del suo prodotto: evidentemente, la lozione doveva essere davvero efficace, in quanto, di lì a poco, gli abitanti del luogo iniziarono a pescare trote ricoperte di peli!


La “trota pelosa”, fur-bearing trout

La storia della trota pelosa, fur-bearing trout, è una delle cosiddette tall tale, racconti del folklore americano spesso a sfondo umoristico, costituiti da evidenti esagerazioni. Per molti aspetti le tall tales possono essere considerate le antenate delle moderne “bufale” e leggende urbane.
Il racconto ha varie versioni: secondo alcune, i minatori abbandonarono la pesca tradizionale con amo e filo per ricorrere a un metodo alternativo. Piantarono lungo la riva dei pali da barbiere (le insegne bianche e rosse che nel mondo anglosassone contraddistinguono questa professione) e si travestirono da coiffeur: le trote erano così desiderose di farsi radere da saltare sulla riva, facendosi catturare. Secondo altre versioni, invece, i pesci irsuti venivano contesi dai minatori perché era sufficiente strofinarseli sul cranio per riottenere una chioma invidiabile. In altre parti degli Stati Uniti, si dice che la trota pelosa abbia adottato questa soluzione per sopravvivere nelle gelide acque invernali.
Ancora oggi è possibile ammirare degli esemplari impagliati di questo curioso animale. Si tratta, ovviamente, di ingegnose ricostruzioni artificiali, sebbene esista in natura un parassita, la Saprolegnia, che colpisce la fauna ittica ricoprendola di una sorta di muffa, simile al cotone.
Tanto i medicine show quanto le tall tale sono l’espressione di una fervida fantasia. Del resto, allora come oggi, più la vita è dura, più gli uomini hanno necessità di aggrapparsi a un sogno, a un’illusione o almeno a una risata per riuscire a sopravvivere.

Bibliografia:

  • Ann Anderson, Snake oil, hustlers and hambones. The American Medicine Show, McFarland Publishing Company, 2004
  • J. Frank Dobie, Rattlesnakes, University of Texas Print, 1982

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