Il popolo Dinè Ana’ì, i Navajos “nemici”

A cura di Marco Aurilio


Cercatori di tracce Navajo

Cebolleta Navajos, Mt.Taylor Navajos, Sandoval Band, To’ Hajiilee, Platero Band of Navajo Indians, Canoncito Navajos; i Navajos di Dinètha li chiamarono semplicemente Dinè Ana’ì: I Navajos nemici.
Nonostante Il termine “Ana’ì “andrebbe più correttamente tradotto con “alienati”, nella traduzione in inglese è prevalso il termine “nemico”. Gli altri Navajos erano e sono a loro noti come Navajos di Dinètah, quasi come a prenderne le distanze anche geograficamente. Questi andavano e venivano nell’area del monte Taylor, mentre i Dinè Ana’ì vivevano li stabilmente.
Per gli spagnoli era il “luogo dei pagani”, una località ben nota ai Pueblos, agli Apaches ed ai Navajos. Situato a nord di Laguna Pueblo, vicino un ruscello di montagna con lo stesso nome, tra alte rocce e lo scuro versate ovest del monte Taylor, a circa 25 miglia dalla Big Bead Mesa, sarà chiamato Cebolleta.
Il primo flusso di Navajos intenzionati a stabilirsi in maniera fissa, dalle aree più a nord, a causa di difficoltà climatiche e dei raids degli Ute, può essere ricondotto a metà del diciottesimo secolo.

Prima di diventare Ana’ì.

Il loro arrivo spinse il governatore Tòmas Veles Cachupin, tra il 1740 ed il 1750, ad offrire ai futuri Cebolleta asilo in insediamenti permanenti sul rio Abajo. La maggior parte di loro rifiutò, anche se alcuni, sotto la guida di Frate Juan Miguel Menchero, accettarono di stabilirsi in maniera permanente tra il 1744 ed il 1750. Il primo leader menzionato dell’area di Cebolleta, nel 1748, è Fernando de Orcazitas. Nominato “Capo del popolo Navajo” dal governatore del Nuovo Messico, gli fu affidato l’incarico di individuare quattro siti dove fondare missioni per convertire i Navajos ma nel 1750 i Dinè scacciarono i religiosi e solo dopo si stabilirono in maniera fissa. Questi Navajos strinsero rapporti di amicizia con gli Apache e dal 1772 l’alleanza si fece molto solida, anche se durò solo fino al 1875, e portò a numerosi raids congiunti che causarono l’abbandono degli insediamenti lungo il Rio Puerco.Il 24 Agosto 1777 il Vicerè della Nuova Spagna nominò Anza Governatore delle province del Nuovo Messico. Questi intraprese una serie di campagne contro gli indiani che ripetutamente razziavano Taos e cercò di stringere legami con i navajos anche per rompere l’alleanza che avevano con gli Apaches. Spinti soprattutto dal desiderio di venire in possesso di quelle armi e oggetti che i Pueblos avevano già ottenuto, un war party Navajo rispose alla chiamata di Anza e attaccò gli Apaches sulla sierra Azul, uccidendone circa 40. Altre due campagne furono condotte senza però grandi risultati, quando un giorno a Santa Fè si presentò uno dei leader di queste future bande Ana’ì, chiamato Antonio El Pinto.
I Navajos lo chiamavano Haskè Lik’izhi (Guerriero a chiazze) o Sabildon (parla a raffica), il primo nome sembra che fu dovuto a delle chiazze di colore più scuro che aveva sul corpo (forse qualche patologia cutanea). Alleato con gli Apaches, El Pinto aveva il suo campo sulla Big Bead Mesa, luogo che dal 1745 al 1812 ospitò un imponente villaggio fortificato, una roccaforte dalla quale partivano spedizioni di guerra contro il Pueblos di Laguna e Acoma. L’incontro con El Pinto, che si professò amico, non lasciò gli spagnoli del tutto convinti…infatti poco tempo dopo i Navajos attaccarono la città di Albuquerque mentre non fecero nulla per rompere l’alleanza con i cugini Apaches.


I Navajos di Dinètha li chiamarono semplicemente Dinè Ana’ì: Navajos nemici

Alcuni giorni dopo 3 Dinè Cebolleta andarono a trovare Anza offrendo la loro disponibilità nel combattere gli Apaches ed anche il capo della rancheria di Guadalupe, a nord del Mt. Taylor, con 6 guerrieri fece lo stesso. Il capo El Pinto era uno dei principali sostenitori dell’alleanza con gli Apache e ed era molto ascoltato per via del suo potere e della sua ricchezza. Il Comandante Generale Ugarte scrisse su di lui: “cercherò i mezzi più sicuri per distruggere o esiliare questo individuo, altrimenti la pacificazione dei Navajos non sarà mai definitiva”. Nel 1787 mentre un piccolo gruppo di Navajos razziava Abiqu, El Pinto si recò a Isleta per commerciare. Qui fu catturato e mandato a Santa fè dove fu messo in prigione. Anza nel frattempo era intento a cercare un nuovo “Capo” da utilizzare per i suoi fini, così indusse un nuovo consiglio con i Navajos, che si svolse nel Marzo del 1876 e nominò “Generale” il capo Don Carlos. Al consiglio parteciparono anche 2 Comanches, del gruppo del Capo Ecueracapa, che minacciarono Don Carlos di una guerra anche con loro se i Navajos non avessero accettato di combattere gli Apaches. Così poco tempo dopo 26 Navajos, 22 Comanches e pochi Pueblos marciarono insieme verso le terre degli Apaches. Fino a quel momento i Navajos di Cebolleta e i Gila Apache avevano spesso vissuto insieme. In Giugno il “Generale” Navajo Don Carlos, un suo luogotenente Don Josè Antonio, l’interprete e altri 7 uomini arrivarono a Santa Fè. Don Carlos riferì di aver visitato le rancherias che comandava, dove venne accolto con un lungo e convinto applauso e riferì che Antonio el Pinto era stato deposto come Capo dei Navajos.
Questi era stato arrestato una seconda volta, sempre per le sue simpatie per gli Apaches e con l’accusa di aver attaccato gli insediamenti spagnoli. Fu rilasciato nel 1788 dal successore di Anza, Don Fernando de la Concha, convinto ora della sua lealtà come alleato. Il 12 Novembre il Governatore Concha riferì ad Ugarde come la situazione fosse sotto controllo ed anche di come i Navajos avessero costruito, sotto la guida di El Pinto, una decina di torri di pietra, fortificazioni, per opporsi agli attacchi dei Gila Apache e che ora vivevano in villaggi permanenti. La posizione di El Pinto era quindi cambiata e si trovava ora dalla parte degli spagnoli, contro gli Apache e nel 1788 guidò una vittoriosa campagna sui monti Mimbres. Nel 1791 un capo dei Gila chiamato Napachuli, conosciuto anche come Tecolote, si recò dai Cebolleta per chiedere la pace. I Navajos temendo un tranello uccisero tutti i componenti della delegazione Apache, ad eccezione di due donne rimaste lontane dal campo Navajo.
Antonio El Pinto morì il 26 Ottobre 1793 nel suo hogan, nella rancheria di Guadalupe, dopo un attacco degli Apache, inseguiti poi dai Navajos sui monti San Mateo. Qui dopo aver ucciso personalmente due Apache fu ferito da una freccia ad una spalla ed a causa di questa ferita morì. Dopo ciò un Navajo war party partì per vendicare la morte del vecchio e onorato Capo, accompagnato da alleati Ute e Jemez. Il capo ebbe un figlio che si chiamerà come lui e assumerà anche lui un ruolo di leadership. La conflittualità tra I Navajo e gli Apache terminò già nel 1796 tanto che nel 1806 dei Navajos sono segnalati vivere sui monti Mogollon tra gli Apache e l’anno successivo invece i Gila visitarono i Navajos nel Canyon de Chelly. A partire dal 1809 però, i Navajo tornarono a combattere gli Apache, attaccarono i Mescalero ed ebbero schermaglie anche con Mogollon e Warm Springs. In poco tempo i futuri Dinè Ana’ì, divennero una protezione dagli Apache per i cittadini di Cebolleta, ponendo le rancherias nel Pedro Padilla Canyon sul lato ovest della Mesa Gigante, a fare da cuscinetto tra gli spagnoli e gli apaches.

La scissione.

Sia I Navajos di Dinetàh che i Cebolleta non avevano però gradito la perdita dei territori occupati dagli spagnoli. Nel 1806, 6 Leader dei Cebolleta si recarono da Anza per richiedere i territori della città (Cebolleta), territori su cui avevano spesso vissuto e che si trovavano vicini al Monte Taylor, per loro sacro, ma gli fu risposto che ora c’erano gli spagnoli e che al massimo potevano vivere vicino ai loro insediamenti. Sembra che ciò infastidì i Navajo Cerro Cabezon che scatenarono una lunga serie di raids, al seguito dei quali, insieme ad altre bande navajo della regione, si allontanarono dirigendosi nella Chuska Valley, nel Canyon de Chelly e sui monti Zuni (autunno 1816).
Antonio El Pinto, in un dipinto dell’artista Navajo Rober Becenti
Il nuovo leader Cebolleta, Segundo, si recò dagli spagnoli sostenendo la sua estraneità nelle razzie. I raids divennero sempre più pesanti e portarono alla spedizione di Antonio Narbona culminata con l’uccisione dei Navajos nel Canyon Del Muerto. La situazione divenne sempre più preoccupante e voci di un imminente attacco arrivarono al governatore Allande, che con l’aiuto dell’alcalde di laguna inviò una sua delegazione per incontrare i Cebolleta, guidati dal”capitàncillo” Joaquin. Il suo nome deriva molto probabilmente dal governatore del Nuovo Messico, Joaquin del Real Alencaster (governatore dal 1803 al 1805). Appare di nuovo il 20 Luglio 1818, quando si presenta a Jemez con il fratello e due nipoti, chiedendo di incontrare l’Alcalde Ygnatio Sanchez Vergara, per informarlo che i Navajos stavano preparando nuovi attacchi contro gli Spagnoli. Il capo disse di aver espresso parere negativo agli altri capi in consiglio riguardo la guerra e di aver fatto di tutto per impedire tale attacco, ma non essendoci riuscito aveva deciso di allontanare tutti i membri della sua banda e di aver rotto ogni legame con il resto della tribù. Joaquin guidò i Cebolleta, ai quali si aggiunsero anche altri Navajos, raggiungendo le duecento unità e formando un alleanza anche militare con i vecchi nemici, proponendosi di accompagnare con i suoi guerrieri i soldati spagnoli contro i Dinè responsabili delle razzie, che ora si trovavano sui monti Carrizo, rinforzati dagli Ute. I Cebolleta, per timore di rappresaglie furono costretti a spostarsi più a est. Fu quindi con Joaquin che si creò la definitiva spaccatura tra i Cebolleta e il resto dei Navajos; così, nel 1818, entrarono “ufficialmente” nella storia i Dinè Anai’ì.

Scouts per Vizcarra.

Il primo resoconto scritto in cui vengono menzionati i Dinè Ana’ì come mercenari contro il loro popolo, è la campagna militare di Vizcarra del 1823, in cui operarono 1500 uomini. Nei suoi diari non vengono menzionati ausiliari Pueblo, bensi il Dinè Ana’ì “Francisco” e i suoi uomini. Nativo della regione di San Fidel, vicino il Monte Taylor, Francisco Baca sembra essere figlio di un membro della famiglia Baca e di madre navajo. Come sia divenuto capo non si sa, di certo di Joaquin non si sono trovate più informazioni e già nel 1826, Francisco parlava a nome dei Cebolleta. Riferì di aver portato il suo popolo sulla Sierra Sandia e di aver avuto scontri con gli Zuni, non menzionando però le razzie commesse dai membri della sua banda durante tutto l’inverno del 1826. In ogni caso, Francisco condusse Vizcarra ad incontrare il capo Juanico, di eguale importanza del più famoso Narbona e del leggendario Cayetano. Dai diari del Colonnello Francisco Salazar, staccatosi con la sua colonna di 250 uomini da Vizcarra, si apprende di come venne attaccato duramente da Junaico, poche miglia da Lukachukai Walsh, nonostante la mediazione di Francisco. I Navajos attaccarono la colonna da tutti lati, cosa che avvenne anche il giorno seguente. Anche Vizcarra ebbe scontri con Juanico e la prima campagna militare alla quale presero parte in Dinè Ana’ì non terminò esattamente con una vittoria per gli spagnoli. Francisco, seguendo l’esempio di Joaquin, si era quindi schierato apertamente, rendendo la frattura con i Navajos ancora più profonda. Tra I suoi servizi gli spagnoli poterono usufruire anche di strategiche informazioni, sempre rivelate accurate. Nel Maggio del 1830 le autorità di Santa Fè furono avvisate di una disputa tra Francisco ed un membro della sua banda. La questione riguardava alcuni cavalli presi in un raid. Vizcarra diede poca importanza alla questione, sbagliando..dato che nella disputa c’entrava una figura di cui si sarebbe poi sentito molto parlare, non solo nella storia dei Dinè Ana’ì ma dell’intera tribù navajo, “el nabajo Cebolla”…

Hastiin Ana’ì.

Haastin Tlth’ohchin era il suo nome navajo, dal nome della regione dove nacque (Tlth’ohchin: Onion, nome con cui era nota Cebolleta), per i Navajos di Dinètah era Hastiin Ana’ì (uomo nemico), il Dinè Ana’ì per eccellenza. Inizialmente sembrò una figura controversa, immischiata in una questione di poca importanza, Cebolla Sandoval poi Antonio Sandoval ed infine solamente Sandoval era ambizioso, astuto, subdolo e contraddittorio, una volta ottenuta la leadership divenne un cospiratore, uno che giocava su più fronti rimanendo nel mezzo. Era un informatore per i bianchi ma a volte lo era per i Navajos, sempre che le informazioni fossero ben pagate. Ovunque ci fossero guai, era molto probabile trovare Sandoval. Acquistava e vendeva schiavi e scalpi tra il suo stesso popolo e divenne ricco offrendo i suoi servizi per ogni tipo di proposta. La sua ascesa tra gli Ana’ì portò Francisco Baca ad allontanarsi con la sua famiglia da Cebolleta. Sebbene in questi anni si susseguirono importanti campagne militari contro i navajos, non vi è alcuna menzione di un aiuto dei “Cebolletanos”. Nel 1836 il Colonnello Perez, senza avvalersi della collaborazione di Sandoval, organizzò tre divisioni di duecento soldati l’una che non ottennero molti risultati. Non si trovano cenni della loro presenza neanche nella campagna del 1838 guidata dal Governatore Armijo che portò circa 1000 soldati contro i navajos. Sandoval riappare citato da un residente di Cebolleta, Juan Ramirez, che lo descrive come “molto astuto, fortemente responsabile dei fallimenti di far pace con i navajos”. Nel 1839 fu scelto come “capo dell’intera nazione navajo” dal governatore Armijo, ma i navajos di Dinètah espressero la loro opinione su questa scelta con un attacco a Cebolleta.

In seguito a ciò il capo Ana’ì organizzò spedizioni contro le bande Dinè dell’ovest. Nel 1841 La sua posizione appare incerta. Dopo che due colonne di 500 uomini l’una, guidate dai Capitani Vigil e Salazar ebbero schermaglie con i Dinè, si presentò in un consiglio di pace accompagnando i suoi consanguinei di Dinètah, Narbona, Josè Tapia ed Haskè Juna (un figlio di Cayetano), ma in una lettera indirizzata al Governatore Armijo, viene ritenuto responsabile del fallimento delle trattative. In ogni caso la sua presenza con i capi navajo, indica il suo riconoscimento come leader della sua banda ma anche di come per i Dinè potesse essere utile come intermediario. Fu sempre lui a riportare la notizia di una divisione all’interno dei Dinè tra la fazione di guerra e quella di pace guidata da Zarcillos Largos (Nataallith), Juan Chaves ed El Fecundo e di come questi ultimi avessero aiutato i suoi Ana’ì a trovare un gruppo di razziatori di Dinètah. Zarcillos Largos fu uno dei capi più importanti e carismatici dei navajos e nonostante sia spesso indicato come capo di guerra in documenti Americani degli anni 50, fu quasi sempre dalla parte della fazione di pace, ma non entrò mai in guerra contro il suo popolo come fece Sandoval. Negli anni a venire Sandoval continuò ad offrire preziose informazioni ai nemici dei navajos, spesso salvandoli da agguati e razzie, come avvenne per il pueblo di Jemez, avvisato in tempo di un imminente grosso attacco congiunto di Narbona e Cayetano.

Le molte facce di Sandoval.

Tra gli anni 40-50 le razzie navajo aumentarono in maniera esponenziale, cosi da determinare una serie di campagne militari con lo scopo di arrivare al cuore del loro territorio, il Canyon De Chelly. Nel 1847 il Maggiore Robert Walker partì per Dinètah con, artiglieria, volontari, guide indiane e tre distaccamenti militari. Il primo dei quali guidato dal Capitano Coats fu subito attaccato da una ventina di navajos, ma Walker portò comunque i suoi 140 uomini all’ingresso del Canyon de Chelly senza però riuscire a sorprendere i Dinè. La campagna terminò male con grande sofferenza per le truppe, costrette ad uccidere i muli per sopravvivere. In maniera simile il Colonnelo Newby l’anno seguente guidò 150 uomini nella stessa direzione, sostenendo alcune schermaglie con gli indiani e incontrando alcuni capi. Fin qui, sebbene molto probabile, non viene specificata la presenza dei Dinè Ana’ì. La seguente campagna militare, del Colonnello Washington invece fu apertamente guidata da Sandoval, Hosta (capo dei jemez pueblo) e lo scout Rafael Carravahal, 395 uomini in tutto. In questo caso, anche se non ci furono azioni palesemente sleali di Sandoval, Il tenente Simpson nei suoi diari annotò il sospetto che il capo Ana’ì li stesse guidando deliberatamente in direzioni sbagliate. La campagna terminò con l’uccisione di Narbona e la furiosa reazione di Manuelito che scatenò una lunga serie di razzie. Il giorno dopo la morte di Narbona, i navajos intercettarono due messaggeri inviati da Washington e iniziarono una serie di attacchi lampo ai fianchi della colonna. Uno di questi fu favorito da uno scout navajo della colonna (quindi molto probabilmente un uomo di Sandoval) che cercò di guidare gli uomini del maggiore Kendrick in un agguato. Nonostante questo episodio, il leader cebolletano fu considerato un valido alleato ed indicativa in questo senso, fu la scelta di Washington, al termine della campagna, di stabilirsi nelle vicinanza di Cebolleta per ottenere continue informazioni da lui e offrirgli protezione. Ma anche In altre occasioni Sandoval, destò sospetti sulla sua reale attività. Nel Gennaio 1850 Pedro Pino, del pueblo di Zuni, informò il Capitano Kerr di aver subito attacchi dai Navajos. Questi inviò subito la Compagnia K al suo comando contro i razziatori. Sandoval qualche giorno dopo fu informato dell’accaduto da un americano di nome Black, che viveva a Cebolleta. Il militare William A.Hammond, assistendo alla scena, notò come il figlio del capo dopo il colloquio con Black, montò a cavallo ed in gran fretta si diresse alla volta di Dinètah. Sandoval fu fatto arrestare, sospettato di aver inviato il figlio ad avvisare i Dinè. Questi tornò poco tempo dopo ed ammise di aver seguito i soldati, omettendo di dire che anche altri Ana’ì erano stati mandati ad informare i navajos di Dinètah, La cosa fu confermata da un indiano preso prigioniero che aveva visto un membro dei Cebolleta avvisare Chailta (un capo dell’area della Chuska Valley). L’informazione di Sandoval si rilevò fondamentale perché consentì ai navajo di opporsi all’avanzamento dei dragoni, sostenendo uno scontro a fuoco. Poco tempo dopo Sandoval, come se nulla fosse accaduto, si presentò sfacciatamente da Kerr dicendo di parlare per i navajo della Chuska Valley e di volere la pace. Questi fatti misero il capo sotto una nuova luce, tanto da infondere il sospetto che potesse essere in realtà una spia posizionata dai navajo tra gli americani, (sospetti che si sommavano a quelli del tenente Simpson durante la campagna di Washignton). In realtà è più credibile che si trattò solo di occasioni in cui ebbe interessi nello stare dall’altra parte della barricata. Quando il Colonnello Munroe decise di iniziare una campagna contro i Navajos, Sandoval si presentò offrendo il suo aiuto in cambio di armi da fuoco. Dai rapporti del Colonnello Chandler durante questa spedizione, si ricavano altre conferme sul suo carattere contraddittorio. Chandler scrive di come fosse in guerra con le bande navajo dell’ovest, mentre non era ostile ai “ricos” del San Juan. Allo stesso tempo afferma sempre Chandler, di essere sicuro che appena partita la colonna, Sandoval avrebbe inviato messaggeri per avvisare i navajos. Scrive infatti di aver raccomandato di armare i Dinè Ana’ì ma di tenerli in una posizione della colonna tale da essere controllati a vista. La rete di informatori di Sandoval oltre a prevenire attacchi spesso ne forniva i responsabili. Nel 1851 un war party Comanche era nei pressi di Cebolleta. Un centinaio di guerrieri staccatisi dal gruppo principale si avvicinarono alla guarnigione di Cebolleta con un interpetre, spiegando a Chandler di passare nelle vicinanze per attaccare i navajos. Dopo alcuni giorni si seppe di un attacco al campo di Edwars Ownby, ad Ojo del Gallo.
Lo scout navajo Chishi Nez.
Ovviamente le autorità pensarono ai Comanche, ma i cittadini di Cubero le informarono che la notte prima dell’attacco un Dinè Ana’ì, li aveva avvertiti dell’arrivo di tre grossi war party navajo dai monti Chuska, circa 700 guerrieri, di cui 260 attaccarono Ojo del Gallo. Le informazioni si rivelarono esatte, dato che poi si seppe che i Comanche erano andati via senza più attaccare i Dinè, passando vicino Albuquerque in direzione del fiume Canadian. La fama di Sandoval tra i Dinè però peggiorava sempre, tanto che Zarcillos Largos e Ish-kit-sa-ne ritennero alcuni episodi frutto “delle sue macchinazioni”. Dopo che fu riconosciuto suo figlio tra i razziatori che nel Maggio del 1853 avevano colpito Socorro portando via 5600 capi di bestiame, anche il Capitano Kendrick si convinse di ciò, sottolineandolo al Capitano Eaton: “Ho sospettato di lui per molto tempo, con la sua banda metà Navajo e metà Pueblo non ho dubbi che c’entri in questa situazione. È un farabutto senza scrupoli, ha tutto da guadagnarci da una guerra fra Bianche e Navajos, attingendo da entrambi le parti”. Negli anni a venire il capo dei Cebolleta continuò ad offrire i suoi servizi, più ai Bianchi che ai Dinè. Guidò Kendrick al Rendezvous sul San Jaun con i capi delle bellicose bande di quest’area, tra questi Archuleta e Aguila Negra, spesso associati agli Utes. Questa fu una delle poche occasioni in cui si mostrò anche Cayetano con i suoi guerrieri e venti Utes. Kendrick voleva indietro il frutto delle razzie dei navajo e gli assassini di alcuni uomini a Vallecito ad opera dei membri della banda del capo Black Eagle. Sandoval fu presente anche nella campagna di Bonneville contro gli Apaches, causando guai anche con i Coyoteros, avendone catturati 15, tenuti poi come schiavi. I prigionieri furono richiesti indietro dagli Apache, avvalendosi della mediazione dell’agente Micheal Steck, ma il loro destino è rimasto sconosciuto. Bonnevile indica il numero di guerrieri Ana’ì a disposizione di Sandoval in 100 guerrieri, e sottolinea come fossero odiati dagli altri Dinè. Si sarebbe tenuto però fuori dall’alleanza Pueblo-Ute di qualche anno dopo contro i Navajos ma dal 1858 spinse molti suoi guerrieri ad arruolarsi con Blas Lucero e le sue “spie”. Nello stesso anno un servitore di colore del maggiore brooks fu ucciso, senza un apparente motivo da un navajo a Fort Defiance. Ovviamente venne chiesto il colpevole, che però era un uomo di una ricca famiglia della banda di Cayetano. Sandoval se in passato non perdeva occasione per cercare di scatenare una guerra con in Dinè, in questo caso appare stranamente collaborativo con i suoi consanguinei nel cercare di evitarla. Fu lui a chiedere infatti un carro per portare il corpo dell’assassino. In realtà i Dinè consegnarono uno schiavo neomessicano, troppo giovane per essere davvero scambiato con il navajo che aveva ucciso Jim il nero. Il tenente Dixon Miles condusse quindi una nuova campagna militare contro i Navajo, suddivisa in più spedizioni. Nell’ ultima potè contare sui suoi 350 uomini compresi Blas Lucero e i Dinè Ana’ì, ai quali si aggiunsero i soldati guidati dal maggiore Backus, partito da San Ysidro che aveva con se anche reparti di neomessicani guidati dal Capitan Josè Valdes e circa 100 Ute Capote e Moache dei capi Sobeta e Kenatchi, arrivando in totale a circa 800 uomini, una volta riunitisi nella Chuska Valley. Sandoval sembra che non combattè questa volta a fianco dei suoi Ana’ì e degli amici americani e mentre Bonneville raccomandava a Miles di non molestare il “vecchio amico Sandoval”, lui pensò bene di dedicarsi a razziare gli insediamenti dei suoi “amici” americani, passando poi per Santa Fè dopo aver colpito vicino Albuquerque.

Schiavisti e Ana’ì.

L’ attività per la quale i Dinè Ana’ì furono particolarmente odiati dai loro consanguinei, fu sicuramente il traffico di schiavi. Dall’arrivo degli spagnoli al 1868 il territorio navajo ha vissuto momenti in cui davvero brulicava di war parties che avevano il solo scopo di catturare schiavi tra i Dinè. In genere erano costituiti da neomessicani e Pueblo, neomessicai e Ana’ì e neomessicani e Ute. Blas De Hinojos, Blas Lucero, Ramon Luna, Manuel Chaves, Joaquin Candelario e Ramon Baca sono solo alcuni tra i più famosi mercanti di schiavi, che si sono potuti avvalere della collaborazione dei Cebolleta. Gli scontri con i Navajos furono innumerevoli, solo pochi però ben documentati. Sandoval, a volte vestito come un messicano e dando ordini in spagnolo, diresse vittoriose spedizioni di questo genere. Nel 1851 alcuni Ana’ì (sembra non Sandoval personalmente) erano al fianco del Colonnello Ramòn Luna, in una fallimentare spedizione con tal propositi. I Navajo tormentarono Luna e i suoi costantemente, causando la diserzione di 13 messicani. All’ingresso del Canyon De Chelly 6 uomini, che per poco tempo si erano allontanati dal gruppo principale, furono immediatamente uccisi. I 13 disertori nel frattempo, nel tentativo di uscire dal territorio navajo, una notte si accamparono senza prendere dovute precauzioni (facendo un grosso fuoco, nel mese di Gennaio) nella Wingate Valley. Richard Tolin, allora interpetre per i Dinè, riferì che “erano stati attaccati e ad alcuni uomini erano state strappate le braccia dal corpo”. In sei riuscirono a scappare seppur feriti, degli altri non si ebbero più notizie. La presenza di Sandoval è incerta, sembra che il capo Ana’ì fosse, per conto proprio, intento nella stessa attività di Luna ma con migliori risultati.

Il reverendo Walter Read scrisse pochi giorni dopo questi episodi:” il famoso capo Sandoval è arrivato (a Cebolleta) con schiavi del suo stesso popolo da lui presi prigionieri. Ha venduto un giovane di 18 anni per 30 dollari”. Due Navajo provenienti da Red Lake riferirono al Colonnello Chandler: “Sandoval nel suo ultimo attacco, ci ha portato via tutto: cavalli, mogli e bambini”. I Cebolletanos furono presenti in molte atre razzie di schiavi, come nella spedizione di Joaquin Candelario che, nel 1860, sostenne una dura battaglia in cui 7 Ana’ì’ furono uccisi, o al fianco di Ramon Baca fornendo 35 guerrieri ed ottenendo risultati migliori.

Miguelito e Delgadito.

Negli anni dopo la morte di Sandoval, avvenuta nel 1859 a causa di un incidente a cavallo, la tensione tra i militari e i navajo crebbe notevolmente. Il 17 Gennaio 1860 Huero e l’interprete adottato dai navajo Juan Anaya (noto anche come Juan Cocinas), poco dopo l’alba, guidarono 250 guerrieri contro un convoglio militare allontanatosi dalla postazione di stanza a Cienega Amarilla, 8 miglia a sud di Fort Defiance, uccidendo 3 soldati nei cui corpi in seguito furono contate dal tenente Silas Kendrick ben 130 frecce. Dopo ciò attaccarono la postazione stessa, a difesa della quale vi erano 35 uomini ben armati e in ottima posizione. Il sergente Gable riuscì ad inviare un messaggio legato sulla schiena del suo cane a Fort Defiance, dove anche un navajo amico già aveva portato la notizia dell’attacco. Da qui, un distaccamento di 75 uomini partì per Cinega Amarilla ma i navajos erano già andati via ed avevano attaccato un altro convoglio di tre carri difeso da 11 soldati ma anche in questo caso il Capitano Shepard, il Tenente Shipley ed il Tenente Kendrick arrivarono tardi, trovando un soldato morto e un ferito grave. Huero tornò a colpire il 7 Febbraio con i suoi guerrieri a Canyon Bonito. Qui impegnò il Sergente Werner della compagnia C, terzo fanteria, con i suoi 44 uomini dei distaccamenti B, C, E, G in un duro combattimento di due ore. I soldati si aspettavano l’attacco e si trovavano in ottima posizione di difesa, in un area boscosa di Canyon Bonito. Sarebbero probabilmente stati sopraffatti senza l’arrivo di 12 soldati con un Howitzer di montagna, che fu decisivo per respingere i Navajo. Questi avevano già da gennaio portato la guerra ad est del Rio Grande ed attaccavano tutti i convogli sulla strada di Albuquerque, in partenza o in arrivo da qui. Pochi mesi dopo ci sarebbe stato il più noto attacco a Fort Defiance. In questa fase senza più la guida di Sandoval i “Navajos nemici” sembrano defilarsi in parte dagli eventi, sebbene già da qualche anno potevano contare su altri capi. Il suo posto fu preso da un indiano di nome Andreas, poi nel 1861 da Po-ha-Conta e da Pino Baca, un duro rinnegato venditore di bambini. Ma gli Ana’ì di maggiore personalità che vanno ricordati sono Miguelito e Delgadito. Durante il 1853 bande dell’area del San Juan e alcune dell’area est di Dinetàh razziarono gli insediamenti sul Rio Puerco. Tra gli accusati delle razzie finirono anche i navajo della rancheria Ana’ì, facente capo a Miguelito, il quale non rispose in maniera molto amichevole alla richiesta della restituzione del bottino e soprattutto degli autori. Con l’auto di Ganado Mucho e Armijo si cercò di organizzare un colloquio con i capi di queste bande ma Miguelito si rese irreperibile.

Fu Armijio a trovarlo e a convincerlo a parlamentare. La situazione sembrò rientrare grazie al lavoro di Henry Lin Dodge, Armijo e Ganado Mucho ma i Navajos colpirono ancora. Ad agire furono il figlio di Narbona, due figli di Archuleta e due figli adottivi di Cayetano. Questa volta i Dinè Ana’ì di Miguelito ne rimasero fuori, nonostante in questo periodo erano spesso associati alle bande di Archuleta e Aguila Negra. Miguelito dall’ agosto del 1855, seguendo la tradizione dei capi Ana’ì, abbandonò i legami con i Navajo di Dinètah e lavorò come interprete e informatore per Dodge e nel Maggio del 1859 informò di un imminente razzia nei pressi di Cebolleta. Il colonnello Canby scrisse che Miguelito nel 1861 non era più considerato un capo importante e nel 1866, a Ft. Sumner, Carleton si riferisce a lui come un “vecchio Navajo”. All’apparente momento di debolezza dei Navaios nemici contribuì anche la perdita un altro uomo di personalità, che avrebbe potuto prendere in mano le sorti del gruppo. Il fratello di Barboncito, Delgadito, era infatti originariamente un membro del gruppo di Sandoval. Chach’osh nez il suo nome navajo (“uomo alto con la sifilide” o “uomo alto dolorante”, spesso confuso con Atsidi Sani, il “vecchio fabbro” chiamato Herrero Delgadito, “fabbro esile”) nel 1858 con i suoi Ana’ì, stava guidando un gruppo di neo messicani ad uno scambio di prigionieri con i navajos a Cienega Amarilla. Quando però si accorse che questi avevano posizionato un cannone per massacrare a tradimento i Dinè, corse da loro e li avvisò del tranello. Questi gli chiesero di rimanere con loro e Delgadito accettò. Che Delgadito non avesse simpatia per i “bilaganna” anche quando era ancora fra gli Ana’ì, lo si può capire anche dagli appunti del trader Auguste Lacombe che nel 1852 lo descrive “poco incline nello spingere il suo popolo alla pace”. Nel 1855 durante l’incontro tra il governatore Meriwether ed i capi navajo che avrebbe portato alla firma del trattato di Laguna Negra, creò scompiglio e cerò di uccidere il governatore, ma fu fermato da Manuelito, mentre gli uomini della sua banda venivano allontanati. Ma la sua posizione nei confronti degli Americani cambiò nel tempo. Come è ben noto, fu lui a convincere la maggior parte dei Navajos a recarsi a Bosque Redondo ed in breve tempo divenne agli occhi dei Dinè un amico dei bianchi, complice forse il suo passato di Dinè Ana’ì.

I Cebolleta e Bosque Redondo.

Sebbene per molti anni avessero aiutato sia spagnoli che americani a combattere i Navajos, ai Dinè Ana’ì toccò la loro stessa sorte. Il primo convoglio di prigionieri diretti a Bosque Redondo fu infatti costituito dai Dinè Ana’ì che per Carleton erano esattamente come i Navajos di Dinètah. Un gruppo di loro si rifiutò di arrendersi, evitò la cattura, andando a rifugiarsi tra i canyons nelle vicinanze dei monti Ladrones ed Escudilla.


Un gruppo familiare

Oggi formano quella che è l’Alamo Reservation, dove furono raggiunti nel 1868 da altri Dinè Ana’ì. Un secondo gruppo è costituito dai Ramah Navajo, anche se in verità non vengono menzionati come Dinè Ana’ì. La loro collocazione geografica però lascia pensare che tale gruppo potesse aver avuto origine dai Navajos nemici o quantomeno averne una parte al suo interno, dato che si riferiscono a loro stessi con il nome “Onion”: Cebolleta. Furono guidati da Many Bead che negli anni 1864-1868 visse tra gli Apache Chiricahua. Il figlio di Many Beads, Bidaga, nacque infatti tra i Chiricahua. Nella fine dell’Ottocento due Ramah Navajo divennero piuttosto noti per la loro attività di scouts per il Generale Crook, nella Campagna contro Geronimo. Furono Jack Carisozo e Salo Leon. Entrambi sposati con donne Apache. Leon era nativo del San Juan e crebbe tra gli Ute. Carisozo perse l’uso del braccio destro a causa di una ferita nel corso dell’ultima Campagna contro Geronimo.

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