Il generale George Armstrong Custer

A cura di Omar Vicari
George Amstrong Custer
Una mattina d’estate del 1857, un giovane piuttosto lentigginoso s’avviava con passo spedito per i viali della prestigiosa accademia di West Point (N.Y.). Portava con se una lettera di presentazione redatta dall’onorevole John A. Bingham, rappresentante dello stato dell’Ohio.
La lettera , firmata di pugno dall’onorevole Bingham, descriveva il latore come un ragazzo di 17 anni, altezza metri 1,75, buona salute, ottimo parlato e scritto, eccellenti qualità morali nonché fisiche.
Con quella lettera in tasca George Armstrong Custer si apprestava a fare il suo ingresso in accademia, inquadrato assieme ad altri trentadue cadetti ammessi quel 1° di luglio.
L’entrata in accademia era il sogno di una vita e il suo unico obiettivo sarebbe stato uscirne, dopo quattro anni, col grado di sottotenente di cavalleria dell’esercito degli Stati Uniti d’America.
La madre di Custer, Maria Ward Kirkpatrick
George A. Custer nacque a New Rumley, un piccolo paese dell’Ohio, il 5 dicembre 1839 da Emanuele Custer, fabbro del villaggio, e da Maria Ward Kirkpatrick.
All’età di dieci anni, George venne mandato a Monroe nel Michigan, presso la sorella Lydia, una donna che avrebbe avuto una forte influenza sulla formazione del giovane.
Nella scuola che frequentava, la Young Men Academy di Alfred Stebbins, dimostrò subito quelle caratteristiche che lo avrebbero contraddistinto per tutta la vita. Era generoso coi compagni, sempre primo negli sport e sempre pronto a tuffarsi nei romanzi di argomento militare. Aveva un ottimo legame con la sorella Lydia ed era particolarmente affezionato ad uno dei suoi figli, Harry Armstrong Reed, il cui destino sarebbe rimasto per sempre legato a quello del futuro generale.
Ambedue, infatti, moriranno nello scontro del Little Big Horn.
Il padre di Custer, Emanuel H. Custer
Durante il soggiorno a Monroe, Custer ebbe modo di conoscere un giorno una ragazzina, figlia del giudice Daniel Stanton Bacon. Quella ragazzina, Elisabeth Clift Bacon, alcuni anni dopo sarebbe diventata sua moglie.
A sedici anni Custer fece un breve ritorno a casa nell’Ohio ed esattamente un anno dopo varcava la soglia dell’accademia di West Point dove manifestò tutta la propria esuberanza. Eccellente cavallerizzo, compagnone con gli altri cadetti, ma anche un cattivo esempio per la sua propensione per il disordine, la mancanza di puntualità, l’insofferenza ai comandi.
Riuscì ad accumulare, record poco invidiabile, una quantità di demeriti tali da procurargli l’allontanamento dall’accademia. Il 1° di giugno 1861, per non aver sedato una rissa tra cadetti, in qualità di ufficiale della guardia, rischiò seriamente la corte marziale e l’inevitabile espulsione.


La casa dove nacque Custer, a New Rumley

La sua fortuna, se cosi possiamo dire, fu lo scoppio nel 1861 della guerra di secessione, ragion per cui molti cadetti del Sud si ritirarono dall’accademia per arruolarsi nelle file confederate.
Custer a West Point
L’Unione aveva un disperato bisogno di ufficiali e per tale ragione non era possibile privarsi neanche di un sottotenente come il cadetto George A. Custer arrivato ultimo tra gli ultimi del suo corso. In guerra però non servivano né il greco e neanche il latino, servivano gli attributi e quelli a Custer di certo non mancavano.
In luglio Custer ricevette l’ordine di raggiungere Washington per aggregarsi al 2° reggimento cavalleria. Fece in tempo a partecipare, il 21 luglio, alla prima battaglia di Bull Run (Virginia) nella quale le truppe dell’Unione di Mc Dowell vennero battute dai confederati al comando dei generali Johnston, Beauregard e Jackson. Quella prima battuta d’arresto diede l’occasione a Lincoln di sostituire il comandante in capo dell’esercito Winfield S. Scott con George B. Mc Clellan al quale fu dato l’incarico di difendere Washington.
Custer, in mezzo alla confusione del momento, ricevette l’ordine di aggregarsi alle truppe dei volontari del generale Philip Kearney del quale diverrà in seguito l’aiutante maggiore.
Poco tempo dopo venne assegnato al reggimento di cavalleria del generale Stoneman, sino a che una fastidiosa malattia lo costrinse a tornare a Monroe per una lunga convalescenza.
Nel febbraio 1862, Custer, tornato in servizio, venne trasferito al 5° cavalleria dell’Armata del Potomac.


Custer con un prigioniero durante la Guerra Civile

In maggio Custer dimostrò, se mai ce ne fosse stato bisogno, tutta la sua audacia in un’azione di ricognizione sul fiume Chickahominy nella quale, sotto gli occhi del generale John G. Barnard, riuscì a dimostrare la guadabilità del fiume e la localizzazione delle avanguardie nemiche. Questo gli procurò l’ammirazione del generale Mc Clellan, che gli propose di diventare suo aiutante di campo col grado onorario di capitano. Qualche giorno dopo venne nominato primo tenente del 5° cavalleri, ma a Custer non dispiacque mantenere anche il grado onorario di capitano dello stato maggiore di Mc Clellan.
Il mese di giugno 1862 registrò la terribile battaglia dei sette giorni in cui Robert Lee riuscì ad arginare l’armata del Potomac di Mc Clellan che minacciava direttamente Richmond. I sudisti subirono comunque pesanti perdite, ma Mc Clellan preferì non contrattaccare decidendo di rinchiudersi tra le sicure postazioni trincerate di Harrison’s Landing. Causa il suo temporeggiare, il generale Mc Clellan venne destituito da Lincoln e di conseguenza il capitano George A. Custer tornò ad essere semplicemente il tenente Custer.
Nel maggio del 1863 le truppe confederate sconfissero quelle dell’unione nella battaglia di Chancellorsville. Vittoria amara per il Sud visto che i confederati persero “Stonewall” Jackson, uno dei loro migliori generali. In seguito a tale sconfitta, il generale Stoneman venne sostituito dal generale Alfred Pleasonton in qualità di comandante generale della cavalleria. Custer venne nominato aiutante di campo del generale, un uomo il cui impeto non era inferiore a quello dello stesso Custer. Nel giugno 1863 le armate di Lee erano in procinto di invadere la Pennsylvania e in questa situazione il generale George G. Meade, comandante dell’armata del Potomac, chiese al comandante in capo dell’esercito Henry W. Halleck la disponibilità di tre nuovi generali di brigata per riorganizzare le forze di cavalleria. Il generale Pleasonton propose per la nomina il capitano Custer, impressionato dal suo comportamento nella carica presso Aldie contro la cavalleria del generale confederato JEB Stuart. Custer fu informato del fatto il 29 di giugno, due giorni prima della battaglia di Gettysburg. Custer diventava in tal modo a ventitre anni il più giovane generale della storia degli Stati Uniti. Il titolo, ben inteso, era più che altro onorifico, ma tanto bastava a Custer per appagare la sua ambizione.


Il Generale Custer e il Generale Pleasonton a Warrenton nel 1863

Il generale Robert Lee, che nel frattempo era entrato in Pennsylvania, sperava di poter pilotare le sorti della guerra con un successo a Gettysburg su George G. Meade, comandante dell’armata del Potomac nonché suo personale amico.
La battaglia di Gettysburg, la più sanguinosa di tutta la guerra e punto di non ritorno per il Sud, mise, il 3 luglio, ancora una volta uno di fronte all’altro, Custer e JEB Stuart. Di nuovo, come ad Aldie, i leggendari cavalleggeri confederati vennero intercettati e fermati dalla cavalleria di Custer che impedì il ricongiungimento con le truppe di Lee, apportando in tal modo un notevole contributo per le armi sell’Unione. Il giorno successivo, il 4 luglio, Lee attraversò il Potomac e rientrò in Virginia.
In settembre Custer guidò una carica a Culpeper (Virginia) nella quale riportò una ferita ad una gamba. Questo gli permise di passare la convalescenza a Monroe e naturalmente di rivedere Elisabeth C. Bacon. Fu in quella occasione che Custer chiese a “Libbie” di sposarlo. La ragazza acconsentì, non senza aver ottenuto prima il permesso del padre. Il giudice Daniel Bacon fece orecchie da mercante, anzi egli pensò di partire da Monroe lasciando il generale senza una risposta esauriente.


Custer in compagnia di Elizabeth Bacon

Tornò giusto in tempo per accompagnare Custer alla stazione nel momento in cui il generale dovette ricongiungersi ai suoi cavalleggeri.
In ottobre Custer condusse una carica vittoriosa presso Brandy Station nella quale per due volte gli fu ucciso il cavallo e poco dopo affrontò ancora una volta JEB Stuart a Buckland Mills. Tra una sciabolata e l’altra, trovò comunque il tempo di scrivere al padre di Libbie per ottenerne il consenso al matrimonio. Custer cominciava ormai a godere di una certa celebrità e probabilmente questo deve avere influito sulla decisione del giudice Bacon. I due giovani si sposarono il 9 febbraio 1864 nella chiesa presbiteriana di Monroe e dopo la luna di miele passata tra Cleveland, Buffalo e West Point, George A. Custer tornò al quartier generale della sua brigata a Stevensburg.


Custer in compagnia di uno dei suoi cani

Nel frattempo, il 9 marzo 1864, Lincoln aveva nominato Ulysses S. Grant comandante in capo delle forze dell’Unione e il generale Philip H. Sheridan responsabile dell’armata dello Shenandoah.
Le armate di Lee e di Grant si fronteggiarono sul fiume Rapidan e tra il 4 e il 7 di maggio si affrontarono nella foresta di Wilderness (Virginia). Fu un massacro da entrambi le parti. Si contarono 15.000 tra morti e feriti nelle file unioniste e 8.000 tra quelle confederate.
Custer, come al solito, alla testa della brigata del Michigan guidò la carica sul nemico costringendo i confederati a ripassare il fiume Chickahominy.
A Yellow Tavern (Virginia), l’11 di maggio 1864, il Sud perdette JEB Stuart, un uomo di grandissimo valore che tentava di arginare una carica del generale Custer.
Circa un mese dopo, il 12 di giugno, la cavalleria di Sheridan con Custer alla testa della sua brigata , si scontrò presso la località di Trevillan Station (Virginia) con quella confederata. In tale occasione Custer venne attaccato dalla brigata di cavalleria della Virginia al comando del generale Thomas L. Rosser, suo ex compagno di stanza e di classe a West Point. I due vecchi amici si trovarono ancora di fronte il 9 ottobre 1864 nella cosiddetta “battaglia di Tom Brook” (Virginia). In quella occasione Custer, riconosciuto tra i cavalleggeri confederati il suo amico Rosser, si inchinò dapprima con un saluto e poi lo costrinse alla ritirata.
La guerra di secessione si stava rapidamente avviando verso la conclusione. Il 2 settembre 1864 era già capitolata Atlanta, capitale della Georgia. Savannah sarebbe caduta di li a poco il 21 dicembre.
Il 3 aprile 1865, con la caduta di Richmond, in pratica finiva la guerra di secessione, una guerra costata circa 600.000 morti.
Ancora una foto di Custer con la moglie Elizabeth
Un ultimo appuntamento attendeva Custer, la resa di Lee ad Appomattox Court House (Virginia) il 9 aprile 1865. Egli fu presente assieme a Sheridan, Sherman ed altri famosi generali all’incontro col quale Lee consegnò le armate confederate nelle mani di Grant. Lo scrittoio della casa sul quale Grant firmò i termini della resa, venne acquistato dal generale Sheridan che ne fece dono alla signora Custer. Prima di congedarsi per sempre dalle vicende della guerra, Custer volle scrivere poche righe d’addio alla sua divisione. Questo è parte di quanto scrisse:
“Negli ultimi sei mesi, sebbene confrontati più volte da numeri superiori al vostro, avete catturato al nemico in combattimento centoventi pezzi di artiglieria, sessantacinque bandiere e più di diecimila prigionieri fra cui undici generali… Non avete mai perso un fucile, mai un colore e non siete mai stati sconfitti.”


Il ritiro della divisione di Custer da Mount Jackson

Nel maggio 1865 il Nord festeggiò la vittoria con una trionfale parata a Washington in Pennsylvania Avenue. In tribuna d’onore, al fianco del generale Grant, c’era il nuovo presidente Andrew Johnson, eletto dopo la morte di Abraham Lincoln, ucciso il 14 di aprile. In quella occasione, Custer non mancò di dare spettacolo in quanto il cavallo, spaventato dalle grida di un centinaio di ragazzine, si dette a una fuga sfrenata per tutta Pennsylvania Avenue. Lo stesso giorno Custer ricevette l’ordine di partire per il Sud, inquadrato nella grande operazione di recupero delle terre ribelli. Nella primavera del 1866 venne richiamato a Washington a riferire sulle condizioni del Texas e della Louisiana. Sempre in primavera venne congedato da generale dei volontari, per cui si trovò nella condizione di essere solamente il capitano Custer con uno stipendio che passava automaticamente dagli ottomila ai duemila dollari l’anno.
Pochi mesi dopo però ricevette la nomina di tenente colonnello e in ottobre raggiunse presso Fort Riley (Kansas) il reggimento del 7° cavalleria completamente ristrutturato. Tamburi di guerra suonavano in lontananza e questa volta non erano dei confederati.

Un famoso ritratto di Custer
Nei primi mesi del 1867 circolavano voci circa una sollevazione generale degli indiani, i quali mal digerivano l’idea di dover lasciare le loro antiche terre comprese tra i fiumi Republican e lo Smoky Hill. Il trattato che faticosamente il nuovo agente indiano, maggiore Wyncoop, aveva fatto firmare alle varie tribù, era fermo a Washington per lungaggini burocratiche e questo non faceva altro che rendere più sospettosi i Cheyenne e i loro alleati Sioux.
Il generale Winfield S. Hancock, comandante del dipartimento del Missouri, cominciò ad accarezzare l’idea di organizzare una spedizione punitiva onde far comprendere agli indiani la potenza militare dell’esercito degli Stati Uniti. Hancock sino a poco tempo prima aveva combattuto le armate confederate e non poteva di certo spaventarsi per un pugno di selvaggi.
Hancock dette quindi inizio alla sua campagna confortato dalla benedizione dei suoi diretti superiori, generali William T. Sherman e John Pope.
Il 1° di giugno 1867 Custer ebbe l’ordine di uscire da Fort Hays per una perlustrazione dell’area dello Smoky Hill. La sua idea era quella di toccare le sorgenti del Republican, raggiungere Fort Mc Pherson sul Platte, fare rifornimento a Fort Sedgwick, quindi tornare a sud verso Fort Wallace e, ultima tappa, arrivare a Fort Harker passando da Fort Hays. Una camminata di circa mille miglia, piena di insidie, durante la quale si contarono centinaia di diserzioni.


Custer durante la Guerra Civile

Alcuni di questi, raggiunti, vennero uccisi sul posto. Il tenente Lyman S. Kidder, partito da Fort Sedgwick per recapitare un messaggio a Custer, cadde in una imboscata e il suo corpo e quelli di altri undici uomini vennero ritrovati orrendamente mutilati nella prateria a nord di Fort Fallace. Al forte Custer arrivò il 14 luglio e dopo vari giorni di riposo proseguì per Fort Hays dove si separò dal reggimento. Era sua intenzione raggiungere il vicino Fort Harker e riabbracciare la moglie Libbie. Al forte l’aspettava però un’amara sorpresa. Ricevette infatti un telegramma da parte di Grant che lo invitava a presentarsi immediatamente al comando.
A Fort Leavenworth nell’agosto 1867 venne riunita a suo carico la corte marziale, i cui punti d’accusa erano: 1) abbandono del posto di comando senza autorizzazione. 2) utilizzo di mezzi di trasporto dell’esercito per uso personale. 3) aver ordinato l’uccisione dei disertori senza il beneficio di un processo.
La Corte, riunitasi nel settembre del 1867, emise un verdetto di colpevolezza per il quale Custer venne sospeso dal grado e dal comando per il periodo di un anno. Per i primi mesi Custer e Libbie usufruirono degli appartamenti che il generale Sheridan aveva messo a loro disposizione, poi lasciarono Fort Leavenworth e tornarono a Monroe nella casa della moglie.
La prima esperienza di Custer con gli indiani non era stata positiva. I Sioux e i Cheyenne, inseguiti dal 7° cavalleggeri, avevano messo a ferro e fuoco l’intera zona dello Smoky Hill compresa tra i fiumi Platte e Arkansas. Le fattorie, le stazioni di posta e le carovane dei coloni erano il sistematico bersaglio degli indiani che attaccavano, uccidevano e bruciavano quanto più potevano. E, ai cavalleggeri che arrivavano, rimaneva solo il triste compito di piantare qualche croce nella prateria.

Il governo degli Stati Uniti, compresa la gravità della situazione, cercò di arrivare ad una soluzione e a tale scopo si arrivò al trattato di Medicine Lodge col quale in pratica si creava il Territorio Indiano entro il quale nessun bianco avrebbe potuto mettere piede. E’ però vero che il trattato presentava dei grossi limiti per gli indiani in quanto riduceva il loro raggio d’azione per ciò che riguardava la caccia, ma anche per i continui raid che le varie tribù da sempre conducevano ai danni di altre. Il generale Sheridan, nuovo comandante del distretto militare del Missouri, nel tardo autunno del 1867 non era ancora riuscito ad attuare il trattato e sentiva la situazione sfuggirgli dalle mani. Le bande dei Cheyenne più recalcitranti rifiutavano l’ingresso nel territorio appena costituito e continuarono per tutto il 1868 a scontrarsi con l’esercito. Vale la pena ricordare uno di quegli incontri ravvicinati rimasto famoso nella storia degli Stati Uniti.


Custer, suo fratello Tom ed Elizabeth Bacon Custer

Il 16 settembre 1868 il maggiore George A. Forsyth, assieme a una cinquantina di uomini, venne attaccato su una piccola isola del fiume Arikara da una banda di Cheyenne guidata da Naso Aquilino. Forsyth venne salvato dopo nove giorni di assedio dall’arrivo del 10° reggimento di cavalleria. I Cheyenne, quel giorno, videro morire il loro capo Naso Aquilino, mentre i bianchi persero una ventina di uomini tra i quali il tenente Frederick Beecher il cui nome è rimasto legato al luogo della battaglia.
La battaglia della Beecher Island era comunque solo un episodio perché tutto l’ovest era in fiamme a iniziare dal Wyoming sino al Territorio Indiano. Un territorio effettivamente troppo vasto che i soldati non riuscivano a controllare contemporaneamente. A malincuore il governo degli Stati Uniti decise il momentaneo ritiro delle truppe dalla zona delle Black Hill e concentrare le forze disponibili contro le cinque tribù meridionali. A nord venne abbandonato Fort Phil Kearney, ma quella che poteva sembrare una sconfitta per l’esercito, altro non era che l’inizio della fine della nazione Sioux. Questo perché, una volta risolto a sud il problema coi Cheyenne, i Kiowa e i Comanche, sarebbe stato possibile risolvere il problema dei Sioux in un altro momento e soprattutto in condizioni diverse. Sheridan quindi concentrò tutte le sue energie a sud in una grossa azione che prevedeva il movimento di due spedizioni, una in direzione ovest da Camp Supply al comando del maggiore Eugen A. Carr e l’altra, verso sud, al comando del generale Alfred Sully.
L’operazione a sud verso la zona del Washita prevedeva l’impiego del 7° cavalleggeri e per questo Custer, il 24 settembre 1868, ricevette a Monroe un telegramma a firma di Sheridan che lo richiamava in servizio. Custer non se lo fece ripetere due volte e il 30 settembre era già a Fort Hays a colloquio con Sheridan. Riunitosi al 7° cavalleggeri, il 12 novembre Custer partiva verso il sud con l’intenzione di iniziare la campagna invernale. Una settimana dopo raggiunse in Territorio Indiano Camp Supply, una località logistica che doveva servire da base per la sua spedizione e per quella del maggiore Carr.
Quindi il 22 novembre, sotto una tormenta di neve, venne dato ai soldati l’ordine di muoversi. Custer disponeva di guide Osage che trovarono presto tracce di indiani.


Un pranzo sul Big Creek

Le guide al comando del maggiore Joel H. Elliot riferirono a Custer che le tracce portavano in direzione del fiume Canadian e poi si dirigevano in direzione sud-est verso il fiume Washita.
Un villaggio indiano venne effettivamente trovato la notte del 27 novembre ed era quello cheyenne di Pentola Nera. Alle prime luci dell’alba, il villaggio ancora immerso nel sonno, venne attaccato dagli squadroni del 7° cavalleggeri al suono del “Garry Owen”, l’antica marcia irlandese preferita da Custer.
George A. Custer al Washita
Pentola nera, il capo cheyenne, tentò di fermare il massacro imminente sbandierando lo stendardo donatogli dal governo degli Stati Uniti. Lui si considerava un amico degli americani, ma Custer neanche lo sapeva di trovarsi di fronte il capo cheyenne amico dei bianchi. Per Custer quel campo era solo un’accozzaglia di indiani da servire su un piatto d’argento al generale Sheridan.
Fu un vero massacro. Il capo Pentola Nera e sua moglie morirono assieme a un centinaio di altri cheyenne compresi donne e bambini. Nel campo fu praticamente bruciato tutto e la quasi totalità dei cavalli fu abbattuta per impedire che altri indiani se ne servissero. Tra i cavalleggeri si contarono una ventina di morti tra i quali il maggiore Elliot. Con la strage del Washita, Custer portò un contributo notevole alla campagna invernale di Sheridan. Infatti entro la primavera del 1869 le cinque tribù meridionali avevano fatto rientro nella riserva. L’operato di Custer venne comunque criticato, ma Sheridan si guardò bene dallo sconfessare l’operato del suo collega visto che per lui “il solo indiano buono era un indiano morto.”


Cheyenne lungo il Washita

Il 1870 fu per Custer un anno di relativa tranquillità. Nel 1871 venne inviato col 7° nel profondo sud a causa dei continui disordini provocati dal Ku Klux Klan, un movimento politico che si batteva contro la concessione del voto ai negri.
Nel 1872, durante la visita negli Stati Uniti del figlio dello zar, il granduca Alessio di Russia, Custer, assieme ad altri generali fu incaricato di organizzare una caccia al bisonte per intrattenere l’ospite europeo. Facevano parte del gruppo anche Buffalo Bill e un centinaio di guerrieri Sioux che eseguirono davanti al granduca le loro danze e si esibirono a cavallo in spericolati caroselli.
Custer e il granduca simpatizzarono moltissimo e al generale fu concesso l’onore di scortare il figlio dello zar a New Orleans dove erano ancorate le navi della flotta russa.


Custer e Alessio di Russia

Nell’aprile del 1873 il 7° cavalleria venne di nuovo rispedito al nord, a Fort Lincoln nel Nord Dakota. Appena sul posto, Custer, su pressione del generale Sheridan, organizzò una spedizione di ricognizione nella zona delle Black Hill con la scusa di proteggere gli indiani da eventuali intrusioni da parte dei bianchi. La spedizione, per colmo di sventura dei Sioux, portò alla scoperta dell’oro.
Custer in tenuta da cacciatore
A quel punto era chiaro che quello che doveva essere un territorio inviolabile “sino a quando il sole splenderà e l’erba continuerà a crescere”, d’un tratto doveva diventare un territorio di esclusiva pertinenza dei bianchi. Il governo di conseguenza organizzò una nuova spedizione, nella quale i geologi avrebbero dovuto verificare la consistenza dei giacimenti. Per placare la collera degli indiani, il governo arrivò a mercanteggiare le loro terre, a tentare in qualche modo di comperare le Colline Nere. La posizione dei Sioux a tale riguardo era del tutto prevedibile e solo Nuvola Rossa, stanco di combattere i bianchi, sembrò accettare l’offerta. La maggior parte delle tribù, come risposta, abbandonò nel 1875 le riserve di Pine Ridge e di Standing Rock per portarsi nella zona del fiume Powder. Nei primi mesi del 1876 il governo degli Stati Uniti considerò ostili gli indiani fuori delle riserve e a tale riguardo sollecitò un intervento da parte dell’esercito.
Era quello che voleva Sheridan!
Convocati a Chicago i generali George Crook e Alfred H. Terry, concordò con essi un piano nel quale avrebbe avuto una parte attiva anche George A. Custer.
Il piano prevedeva l’impiego di tre grosse colonne di soldati, una al comando di Crook proveniente dal Wyoming, un’altra al comando del colonnello Gibbon proveniente dal Montana e la terza al comando di Terry proveniente dal Nord Dakota.


Gatling a Fort Lincoln

Le tre colonne avrebbero dovuto incontrarsi nella zona del Powder dove maggiormente si concentravano le forze dei Sioux e dei Cheyenne.
Nel mese di aprile 1876, da Fort Shaw nel Montana, si mosse John Gibbon con circa 500 uomini tra fanteria e cavalleria. Il 17 di maggio, da Fort Lincoln ( Nord Dakota) partì la colonna di Terry composta da un migliaio di uomini tra i quali il 7° cavalleria di Custer. Terry avrebbe dovuto, costeggiando il fiume Yellowstone, andare incontro alle truppe di Gibbon e poi con esse ricongiungersi con quelle di Crook nel punto in cui il fiume Big Horn si congiunge allo Yellowstone. Il piano , ben congegnato, aveva comunque un grosso limite. I tre generali, infatti, marciando ognuno per proprio conto, date le asperità del terreno e le difficoltà delle comunicazioni, rischiavano di ignorare quello che poteva accadere alle altre colonne. Crook, infatti, all’insaputa degli altri due colleghi, venne fermato per due volte da Cavallo Pazzo nel Wyoming e costretto a tornare a Fort Fetterman in attesa di nuovi rinforzi. Comunque sia, Terry raggiunse lo Yellowstone già ai primi di giugno e alla confluenza del Powder trovò attraccato, come prestabilito, il battello a ruote “Far West” che doveva servire per il trasporto dei rifornimenti. Una volta sul Powder, Terry predispose una perlustrazione in larga scala della zona. Nei giorni che seguirono, il maggiore Reno con alcuni reparti del 7°, trovò tracce di un grosso accampamento tra i fiumi Tongue e Rosebud.


Ufficiali del 7° Cavalleria: Varnum, Bronson, Benteen e French

Subito avvertiti, Terry e Gibbon, navigando col “Far West”sullo Yellowstone, arrivarono alla foce del Rosebud dove il 21 di giugno approntarono un piano d’attacco.
L’idea di Terry era quella di affidare a Custer il compito di chiudere gli indiani da sud risalendo la valle del Rosebud e spingerli quindi verso nord da dove sarebbero sopraggiunte le truppe di Gibbon.
Il generale Terry conosceva bene Custer e, conoscendo ancora meglio la sua avventatezza, gli ordinò di non attaccare prima del 26 giugno. Questo perché le truppe di Gibbon, perlopiù appiedate, non sarebbero giunte prima di quella data a ridosso degli indiani. Come si può leggere nel libro si Gualtiero Stefanon, “Uomini bianchi contro Uomini rossi”, Terry diede le consegne a Custer concludendo con una frase ambigua: non attaccare “a meno che voi non abbiate un motivo sufficiente per non eseguire gli ordini”. Una frase che Custer avrebbe preso alla lettera e che lo avrebbe condannato per sempre. Come preso da un presentimento, Terry offrì a Custer dei rinforzi, che però vennero con cortesia rifiutati. Custer rifiutò anche l’offerta di alcune mitragliatrici “Gatling”, ritenute probabilmente ingombranti e stranamente i cavalleggeri partirono senza neanche le loro spade d’ordinanza.
Il Generale Alfred Terry
Il 22 di giugno, sotto gli occhi di Gibbon e Terry, Custer partì in direzione della valle del Rosebud con 617 uomini tra ufficiali, sottoufficiali, truppa, scout indiani, guide e alcuni civili. Nei giorni che seguirono, la colonna di Custer avanzò nella valle per un centinaio di chilometri sino a quando , alle prime luci del 25 giugno, gli scout Arikara del tenente Charles A, Varnum individuarono il lontananza ad ovest della valle, esattamente sul corso del Little Big Horn, il fumo dei fuochi dell’accampamento degli indiani. Custer stesso si rese conto della cosa arrivando di persona sull’altura del Crow Nest (Nido del corvo), il punto di osservazione degli indiani Arikara. Bisognava però rispettare gli ordini di Terry ed aspettare l’arrivo di Gibbon prima di attaccare.
Nella notte del 25 giugno però accadde che un gruppo isolato di guerrieri Sioux venisse a contatto col reparto della salmeria e questo fece temere a Custer che il grosso dei guerrieri del villaggio potesse in qualche modo fuggire, avvertito della presenza dei cavalleggeri. Memore delle parole di Terry, Custer trovò quindi “il motivo sufficiente per attaccare senza eseguire gli ordini”. In altre parole avrebbe fatto di testa sua senza aspettare Gibbon. Era la sua occasione e niente al mondo lo avrebbe convinto del contrario. Quando tutto sarebbe finito, una vittoria certa sui Sioux gli avrebbe aperto la strada per una carriera politica che in cuor suo aveva come obiettivo finale la presidenza degli Stati Uniti. Sicuro di essere stato scoperto, quindi, comunicò ai suoi ufficiali l’intento di attaccare subito il villaggio senza aspettare l’indomani.


Custer ed i suoi al Little Bighorn

Intorno a mezzogiorno del 25 giugno, Custer arrivò col reggimento al fiume che oggi è conosciuto col nome di Reno Creek (torrente Reno). In quel punto Custer divise gli uomini di cui disponeva in tre squadroni. Il primo, al comando del capitano Frederick W. Benteen, era composto da circa 120 uomini. Il secondo, al comando del maggiore Marcus A. Reno, comprendeva una forza di circa 150 uomini tra ufficiali, soldati, scout Arikara e civili, dove per civili si deve intendere giornalisti, fotografi ecc. Il terzo squadrone, forte di 250 uomini circa, era al comando dello stesso Custer.
Il generale diede quindi ordine a Reno di avanzare lungo la riva sinistra del torrente dove evidenti erano le tracce degli indiani che portavano al villaggio. Il torrente alcuni chilometri più a vanti sfocia nel Little Big Horn, vicino al punto in cui era sistemato il campo dei Sioux e dei loro alleati.
Il maggiore Reno, quindi, avrebbe dovuto attaccare il campo da sud, mentre Custer, procedendo sulla riva destra dello stesso torrente, avrebbe dovuto arrivare al Little Big Horn un po’ più a nord, guadarlo e attaccare il villaggio da quella direzione. Benteen, infine, col suo reparto avrebbe dovuto concludere la manovra a tenaglia da una direzione diversa arrivando al Little Big Horn da sud-ovest. Per eseguire l’ordine di Custer e arrivare al fiume da quella direzione, Benteen dovette però eseguire una manovra troppo dispersiva che lo portò a perdere il collegamento con le altre due colonne. Custer e Reno, nel frattempo, procedendo lungo il torrente su rive opposte avvistarono i primi indiani presso un tepee in fiamme, a pochi chilometri dalla confluenza del torrente col Little Big Horn. Costoro, alla vista dei cavalleggeri, si diedero a una fuga precipitosa verso il villaggio che distava ormai soltanto qualche chilometro.


Gli ultimi attimi di battaglia

Immediatamente Custer diede l’ordine a Reno di inseguire il gruppo di indiani assicurandogli nel contempo tutta la sua assistenza. Il maggiore Reno eseguì l’ordine e in pochi minuti, seguendo gli indiani che fuggivano, raggiunse il Little Big Horh.
In lontananza, più o meno a tre o quattro chilometri più avanti, si poteva vedere il villaggio indiano in tutta la sua grandezza. Guadato il fiume, Reno ordinò la carica verso il villaggio e forse in quel momento si rese conto contro chi e contro cosa stava andando perché una massa enorme di guerrieri gli si parò di fronte con le loro urla di guerra. Vista l’impossibilità di sfondare verso il villaggio, Reno ordinò di smontare da cavallo e di trincerarsi tra gli alberi del fiume sicuro dell’intervento di Custer. Reno guardò l’orologio, erano le quattro del pomeriggio, ma dove fossero finiti Custer e Benteen lo sapeva soltanto il cielo. Più o meno alle tre e mezzo, quindi mezz’ora prima, Custer si trovava più a nord, esattamente nel punto in cui un piccolo torrente, il Medicine Tail Coulee, si getta nel Little Big Horn. Da quel punto poteva guardare l’ampiezza del villaggio e, viste le dimensioni, forse per la prima volta sarà stato assalito da più di un ragionevole dubbio.
Sicuramente aveva sottovalutato l’avversario, almeno nel numero. Nella sua mente aveva pensato di dover affrontare non più di un migliaio di indiani, mentre ora le dimensioni del villaggio potevano deporre per una cifra almeno cinque volte superiore. Ora in cuor suo forse malediceva il fatto di aver frazionato il reggimento. Il suo disprezzo per gli indiani che considerava vili e l’estrema sicurezza della superiorità dei suoi cavalleggeri, lo portava a considerare che era possibile affrontare il nemico anche coi soli 250 cavalleggeri del suo squadrone. Quel giorno però i conti non tornarono e allora in un attimo di esitazione, prima di guadare il Little Big Horn, diede l’ordine al trombettiere John Martin (Giovanni Martini) di raggiungere il capitano Benteen e di esortarlo a raggiungerlo immediatamente per una azione comune contro gli indiani. Giovanni Martini era un emigrante italiano di Sala Consilina, un paese del Salernitano. Il suo era un inglese approssimativo e per tale ragione il tenente W.W.Cooke si incaricò di scrivere l’ordine su un pezzo di carta. Con l’ordine in mano, Martini spronò il cavallo nella direzione in cui doveva trovarsi Bennteen che nel frattempo si stava avvicinando al campo indiano dopo aver compiuto la manovra ordinata da Custer, della quale neanche lui ne aveva capito la ragione. Una volta letto il messaggio Benteen accelerò il passo e quando raggiunse la pista della colonna di Custer, udì un intenso fuoco di fucileria. Sul momento credette si trattasse di Custer che stava spingendo i Sioux verso di lui, invece era solo il reparto di Reno che disperatamente tentava di raggiungere l’altura che oggi è conosciuta come Reno Hill.
Benteen riuscì in qualche maniera a raggiungere Reno al quale fece vedere l’ordine scritto che gli ordinava di raggiungere Custer. Il maggiore, forse provato psicologicamente dal precedente scontro coi Sioux o probabilmente conscio della morte sicura dei cavalleggeri vista la disparità di forze, diede un nuovo ordine a Benteen col quale lo obbligava a tenere insieme la collina. Un comportamento del genere avrebbe in seguito pesato molto sulle carriere dei due ufficiali.
Alle quattro del pomeriggio, più o meno nello stesso momento in cui Reno tentava di tornare al di là del Little Big Horn e raggiungere l’altura sulla quale attestarsi, Custer a nord attraversava il fiume con l’intento di piombare sul villaggio. Era appena entrato nel fiume quando riecheggiarono alcuni colpi di fucile. I soldati esitarono per un attimo e poi continuarono ad avanzare nell’acqua. I primi uomini erano quasi in mezzo al guado quando la scarica di fucileria degli indiani si fece più intensa.
Erano i Sioux e i Cheyenne che avevano fermato e inchiodato Reno sulla collina e che ora si rivolgevano verso Custer. Cominciarono a cadere i primi cavalleggeri e la confusione diventò panico quando un colpo prese in pieno lo stesso Custer.


Custer prova a resistere

Il corpo del generale stava per cadere in acqua quando Mitch Bouyer, un interprete sanguemisto, lo sorresse e lo sistemò in qualche maniera sulla sella di “Vic”, il cavallo preferito di Custer. Sono state fatte mille rappresentazioni della battaglia sulla collina vicino al Little Big Horn e in tutte Custer appare in piedi coi capelli lunghi accanto ai cadaveri dei suoi cavalleggeri. Niente di più falso.
Custer, quel giorno, non portava i capelli lunghi e probabilmente è stato uno dei primi a morire, forse a causa di quel colpo ricevuto in mezzo al fiume. Il corpo di Custer venne trovato come tutti gli altri sulla collina e questo ci dice che il suo cavallo arrivò comunque sull’altura. Ciò che non sappiamo e se, una volta là, fosse già morto oppure ancora vivo.
I cavalleggeri, nella confusione più totale, tentarono di riguadagnare la sponda del fiume da dove erano partiti. Tra gli alberi che costeggiavano il fiume li aspettavano i guerrieri di capo Gall che li costrinsero a indietreggiare e a guadagnare un’altura, conosciuta oggi come Custer Hill, dalla quale forse era possibile organizzare una pur minima difesa.
Gli squadroni “C”, “E”, “F”,”I” e “L” di cui era composta la colonna di Custer, sulla collina vennero letteralmente investiti da una muraglia umana di guerrieri Sioux, Cheyenne, arapaho guidati dai loro capi Gall, Cavallo Pazzo, Re Corvo, Due Lune ecc.
La carneficina fu totale. Più o meno alle cinque del pomeriggio, quando l’eco della battaglia si stava spegnendo, si sentivano qua e la solo i lamenti dei pochi cavalleggeri feriti e agonizzanti ai quali venne dato il colpo di grazia. I massacri del “Sand Creek” e del “Washita” erano vendicati.
Quando tutto tacque, gli indiani recuperarono tutto quello che era possibile prendere. Armi, selle, oggetti personali ecc. I soldati, uno ad uno, vennero denudati e la maggior parte evirati e scalpati.
Molti altri vennero trovati orrendamente mutilati con la testa e gli arti fracassati.
Poi, d’improvviso, come uno stormo di cavallette che si leva da un campo di grano, gli indiani scomparvero. Il 26 giugno venne levato il campo e le tribù si dispersero nelle valli di quelle zone ancora poco conosciute dai bianchi.
Certamente l’esercito avrebbe cercato la vendetta e Cavallo Pazzo in cuor suo già sapeva che, se quella del giorno prima era stata una grande vittoria, il giorno dopo per i Sioux sarebbe stato il principio della fine.

Finalmente, il 27 giugno, alle prime ore del mattino, le truppe di Gibbon presero contatto col maggiore Reno che per prudenza era ancora trincerato sulla sua collina.
Fred T. Girard, lo scout di Reno, inforcato il cavallo, galoppò allora verso la collina di Custer dove tra centinaia di corpi riconobbe quello del generale. Dopo una rapida ispezione, poté notare sul corpo un foro di proiettile all’altezza del cuore e uno nella tempia sinistra. Forse, ancora vivo, Custer aveva riservato un ultimo colpo per sé. Oppure, visto il generale agonizzante, qualcuno deve avergli dato il colpo di grazia.
Oltre al generale, sulla collina morirono anche i suoi fratelli Boston Custer e il capitano Thomas W. Custer nonché il nipote Harry Armstrong Reed, figlio della sorellastra Lydia Ann Kirkpatrick.
Non è storicamente provato che il guerriero Sioux “Rain in face” abbia mangiato il cuore di Thomas Custer. I soldati vennero sepolti la dove erano stati trovati e sulle tombe venne apposto un paletto con su scritto il nome di quelli che si riuscì a identificare.
Per quanto riguarda la sepoltura dei fratelli Custer, Fred Dustin scrive nel suo libro “Custer Tragedy” che il sergente John Ryan scavò una tomba dove vennero deposti il generale col fratello.
L’anno successivo, il corpo del generale venne riesumato e deposto a West Point dove ancora oggi un obelisco ne segnala la presenza.
Custer passò come un rombo di tuono sulle praterie e sulle Colline Nere e se sia stato un pazzo o un eroe è ancora oggi materia di discussione. Certamente sottovalutò il nemico e nel dividere il reggimento fece si che ognuna delle tre colonne si trovasse ad operare all’insaputa delle altre due. Infine è da considerare la sua arroganza e la sicurezza nel ritenere che gli indiani, al di la del loro numero, sarebbero comunque fuggiti di fronte ai cavalleggeri.
Cosi non fu e la risultanza degli eventi negativi lo portò inevitabilmente a morire assieme ad altre duecento persone su una sperduta collina dello stato del Montana.
Il presidente Grant, che non lo aveva in simpatia, affermò pubblicamente che il massacro di Custer era stato un inutile sacrificio di uomini, di cui riteneva responsabile lo stesso Custer.

La moglie Libbie, che dedicò il resto della sua vita alla memoria del marito, visse ancora per molti anni. Morì a New York il 4 aprile 1933 all’età di novantadue anni.

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