Custer, il 7° Cavalleria e le guerre contro gli indiani

A cura di Dario Fidora

Il generale George Armstrong Custer
Reso leggendario da innumerevoli film western, Custer è il comandante del 7° Cavalleria morto alla testa del suo distaccamento, sterminato dagli indiani Sioux di Cavallo Pazzo e Toro Seduto nella battaglia di Little Big Horn. Uno spirito ribelle, una “testa calda”, ultimo del suo corso per allievi ufficiali (34º su 34, con un ammontare record, per West Point, di 726 note di demerito).
Conosciuto come “Generale Custer”, in realtà George Armstrong Custer (5 dicembre 1839 – 25 giugno 1876) morì con il grado effettivo di tenente colonnello.
Allo scoppio della Guerra di Secessione, nel 1861, la sua classe di cadetti all’Accademia di West Point fu richiamata alle armi un anno prima della fine del corso. Nominato sottotenente, come tanti altri ufficiali gli furono assegnate durante la guerra delle promozioni a termine sotto forma di ”brevet”, ovvero gradi temporanei assunti in occasione di particolari situazioni. Sotto questa forma giunse a ricoprire il grado di maggiore-generale del corpo dei volontari.


Custer durante la guerra civile americana

Al loro scioglimento dopo la fine della Guerra di Secessione, riprese il grado di capitano.

Custer e il 7° Cavalleria degli Stati Uniti d’America

Custer venne promosso tenente colonnello nel 1866 quando gli fu assegnato il comando del 7° Reggimento di cavalleria degli USA, costituito per contenere i conflitti con i nativi americani (in sostanza mantenerli all’interno delle riserve loro destinate).
Durante una campagna contro gli indiani Cheyenne, Custer fu accusato di vari gravi atti di indisciplina e crudeltà, tra cui aver applicato ad alcuni disertori la pena di morte, non prevista dall’ordinamento militare. Grazie a forti raccomandazioni politiche fu condannato dalla Corte marziale soltanto alla sospensione del grado e dal servizio per un anno. Ripreso il comando, nel 1868 il 7° Cavalleria comandato da Custer attaccò in inverno un accampamento dei Cheyenne in Oklahoma, episodio tristemente noto come il “massacro del Washita”.


L’attacco al campo indiano sul Washita River

Il 7º Cavalleria venne in seguito impiegato in operazioni di polizia militare negli stati del sud per la repressione delle attività del Ku Klux Klan e per trovare e distruggere le distillerie clandestine che producevano whisky, di pessima qualità e talvolta letale, da rivendere ai nativi americani.

La corsa all’oro nel Montana del 1863 nei territori di caccia degli indiani

Il conflitto con gli indiani delle praterie continuava più a nord. Durante la Guerra di secessione, in Montana nel 1863 era stato scoperto l’oro. L’afflusso dei cercatori e i lavori della ferrovia transcontinentale tracciata “dove una volta regnavano gli indiani e i bisonti” non poteva che creare attriti con i nativi americani. Il bisonte era tra le più importanti fonti di sostentamento degli indiani.


Una grande mandria di bisonti nel Montana

Il suo habitat era soprattutto nelle grandi pianure del nordamerica, le Great Plains che si estendono a est delle Montagne Rocciose, dal Canada al Messico. Il “buffalo”, com’è chiamato negli USA, fu sterminato da una spietata caccia da parte dei colonizzatori europei per privare gli indiani di un’importante fonte di nutrimento. In un secolo la popolazione di bisonti, stimata in 70 milioni di esemplari, si ridusse a poche centinaia.

Il trattato sulla Grande Riserva Sioux e i territori di caccia assegnati ai nativi americani

La tensione acuita dalla corsa all’oro del 1863 sfociò nella Guerra di Nuvola Rossa (1866-1868), conclusa con la firma del Trattato di Fort Laramie del 1868. Il Trattato stabilì i confini della Grande Riserva Sioux, e individuò inoltre una vastissima area, compresa negli stati del Wyoming, Montana, Dakota del Nord e Nebraska, come terreno “non ceduto”, cioè terreno che il governo statunitense non riconosceva come riserva indiana, ma su cui non pretendeva sovranità.


Le terre indiane secondo il Trattato di Laramie

Era una zona in cui i nativi americani avevano diritto di muoversi, accamparsi e cacciare. Sia nella riserva che nel territorio di caccia i bianchi non potevano entrare, tranne gli ufficiali governativi. In realtà vi era una palese situazione di instabilità, poiché nessuna delle due parti firmatarie dell’accordo controllava completamente i suoi uomini.

Custer e la corsa all’oro nelle Black Hills in Sud Dakota

La voce che nuovi importanti giacimenti d’oro si trovassero all’interno della Grande Riserva consegnata ai Sioux per il loro esclusivo, assoluto, e indisturbato uso, rese incandescente la situazione. Nel 1874 il 7° Cavalleria comandato da Custer fu inviata nel cuore della riserva, sulle Black Hills nel Sud Dakota, con la motivazione ufficiale di esplorarle in previsione di una proposta d’acquisto. Nel fare rapporto Custer confermò la presenza dell’oro anche in superficie “persino nelle radici dell’erba”. Il rapporto di Custer fu pubblicato dai giornali di tutto il mondo, scatenando la nuova caccia all’oro.


La spedizione di Custer nelle Black Hills

Nel maggio 1875 delegazioni Sioux si recarono a Washington nel tentativo di convincere il presidente Ulysses Simpson Grant ad onorare i trattati esistenti e fermare il flusso di cercatori d’oro. Grant propose un indennizzo (ridicolo) e il trasferimento nel “territorio indiano” fuori dagli Stati Uniti (odierno Oklahoma). Coda Chiazzata, capo sioux rispose a Grant: “Non voglio averci niente a che fare. Non sono nato lì… Se è una terra tanto bella, dovresti mandarci i bianchi che oggi sono nel nostro territorio”.
Il territorio invaso dai cercatori era sacro agli indiani, che le chiamano ancora wamakas ognaka icante, “il cuore di tutto quello che c’è”. Il nome Black Hills è la traduzione di “Pahá Sápa”, in sioux Colline Nere, per il colore scuro delle fitte foreste, viste da lontano.


La colonna di Custer nelle Black Hills

Il governo intimò agli indiani di ritirarsi entro il 31 gennaio 1876 dai territori di caccia garantiti dal Trattato di Fort Laramie e di trasferirsi entro i confini della riserva. Iniziarono le operazioni militari.

Le responsabilità di Custer nel massacro del 7° Cavalleria a Little Bighorn

Il generale Terry inviò il reggimento di Custer alla ricerca dell’accampamento delle tribù indiane. Il massacro del 7° Cavalleria a Little Bighorn è imputabile ad un errore di Custer che, sottovalutando la consistenza numerica degli avversari, suddivise le sue forze in più colonne (Custer, Reno, Benteen, McDougall), nell’intento di evitare che gli indiani potessero darsi alla fuga. Il maggiore Reno attaccò per primo l’accampamento. Gli indiani però non fuggirono ma, contrattaccando costrinsero i cavalleggeri a ripiegare, rifugiandosi in un boschetto. L’unità di Custer, che assalì l’accampamento in un punto diverso, fu respinta, circondata e annientata in meno di mezz’ora. Fu la più grande e famosa vittoria degli indiani contro l’esercito degli Stati Uniti.
Insieme a George, morirono i suoi fratelli Thomas (capitano) e Boston Custer (addetto alle salmerie) e il cognato James Calhoun (sottotenente).


Gli ultimi istanti di battaglia al Little Big Horn

Quattro italiani che facevano parte del 7° Cavalleria parteciparono e sopravvissero alla Battaglia di Little Bighorn. Il tenente Carlo Di Rudio e i soldati Agostino Luigi Devoto e Giovanni Casella facevano parte della colonna al comando del maggiore Reno. Di Rudio, mazziniano di Belluno era esule per la sua partecipazione all’attentato contro Napoleone III di Francia. Il trombettiere Giovanni Martini (John Martin) deve la vita allo stesso Custer, che lo mandò a chiedere soccorsi prima che la sua colonna venisse circondata e annientata.
I due distaccamenti dei capitani Benteen e McDougall si riunirono a quello del maggiore Reno e insieme tennero testa agli indiani che li assediavano. Il giorno dopo giunse in vista del campo di battaglia la colonna guidata dal Generale Terry e gli indiani si allontanarono in direzione opposta.
La reazione dell’esercito americano al massacro fu molto determinata. Tutti i gruppi di nativi americani uno dopo l’altro furono costretti a ritirarsi, disarmati, nelle riserve. La Grande Riserva Sioux fu smantellata in più riprese. Le Black Hills, tolte agli indiani, non furono mai cedute formalmente.
Il corpo di Custer fu riesumato dal campo di battaglia di Little Bighorn e traslato al cimitero di West Point a New York nel 1877.


Custer e la moglie Elizabeth (Libbie)

Nel granito di monte Rushmore, proprio sul massiccio montuoso delle Black Hills, sono stati scolpiti tra il 1927 e i 1939 i colossali volti di quattro presidenti americani: George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln.

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