L’utilità del bisonte

A cura di Gaetano Della Pepa

Link dello speciale sui bisonti e gli indiani: 1) I bisonti, 2) Gli indiani e la conoscenza del bisonte, 3) Gli indiani a caccia del bisonte, 4) L’utilità del bisonte, 5) I mantelli di pelle di bisonte, 6) Ritualità della caccia al bisonte

bisonte americanoUna volta un vecchio indiano disse che tutto ciò di cui il suo popolo necessitava per una vita felice era il bisonte: esso dava tutto agli indiani eccetto l’acqua ed i pali per le tende. Con il bisonte, il popolo rosso della prateria trovava appagamento a tutte le sue necessità. Era il dono che il Grande Spirito aveva dato agli indiani.
Dell’animale si utilizzava tutto. Gli etnologi e gli antropologi hanno rinvenuto e catalogato almeno ottanta oggetti derivanti dall’utilizzo della carcassa del bisonte. Si va dal vestiario, agli oggetti per la capanna, alle armi, ai giocattoli, agli strumenti di lavoro ed agli oggetti magici. Le donne erano velocissime ed espertissime nel loro lavoro.
La sopravvivenza del villaggio dipendeva dalla loro abilità di macellaie, sarte e cuoche, almeno quanto dipendeva dal valore dei cacciatori. Senza la loro capacità di sfruttare quelle carcasse, dalla testa fino allo zoccolo, tutta la fatica degli uomini sarebbe stata inutile. Considerato che a quei tempi non esistevano né frigoriferi e né i tir, ben si può comprendere la necessità di organizzare fin nei minimi particolari tutto il lavoro necessario e successivo alla caccia. Come vedremo più avanti, per la essicazione della carne, il fattore meteorologico giocava un ruolo fondamentale e cerimonie speciali venivano fatte per scongiurare la pioggia. A maggior prudenza, prima di intraprendere la caccia, anziane donne, dotate di speciali poteri divinatori, veniva interpellate sul tempo che si avrebbe avuto.
Nulla doveva essere sprecato. Un parziale utilizzo lo abbiamo già visto a proposito delle armi, del tepee, delle suppellettili, dei vestiti e della cucina. In seguito vedremo come si procedeva alla conservazione della carne ed il trattamento delle pelli. Del bene primario del bisonte esaminiamo adesso l’utilizzo di ogni singola parte. Le donne lavoravano in gruppi.


Una mandria di bisonti

Si stendeva l’animale sul ventre,quindi si praticava un taglio lungo la colonna vertebrale e si staccava la pelle da ciascun lato in modo da formare due superfici su cui venivano deposti i pezzi che man mano venivano sezionati. Prima si procedeva con le interiora ed i principali organi interni. Mentre procedevano all’espianto, e donne erano circondate da sciami di bambini festosi ed in attesa di un pezzettino di fegato. Una vera e propria leccornia per loro che lo mangiano sempre crudo ed ancora caldo. Si procedeva poi a prelevare tutto il resto: cuore, polmoni, reni.
Filetti, controfiletti, spalle ed altri parti venivano trasportate subito al villaggio con i cavalli per una successiva lavorazione, di cui diremo più avanti. Man mano che procedeva il sezionamento ed era pronto un carico si approntavano le tregge e continuava l’andirivieni come una colonna di formiche quando trasportano le provviste.
La pelle aveva una incredibile quantità di usi, accompagnando, tra l’altro, l’indiano dalla culla, come soffice pelle di un vitellino, alla bara come manto funebre. Ecco perchè le donne prestavano una cura particolare nello scuoiare la carcassa. Tagliavano e separavano le pezze secondo il futuro impiego. Le aree della pelle più morbida da una parte e quelle più dure da un’altra. Le une servivano per coperte, vestiti, borse; mentre le altre per i cordami, le suole dei mocassini, la copertura delle tende, il rivestimento degli scudi.
Gli scalpi, con le corna ancora attaccate, ed i ciuffi di pelo denso e ruvido del cranio, sarebbero diventati copricapo per la guerra e le cerimonie religiose. Le corna, tolte dal cranio, venivano scavate per servire da mestoli, cucchiai ed utensili per la cucina. Oppure come contenitori per la polvere da sparo. Il cranio, con le corna, veniva usato come altare nelle cerimonie più importanti. Con le ossa si facevano i telai delle selle, le mazze da guerra, i raschietti per scarnificare le pelli. Le costole, unite tra loro con corregge di pelle grezza, diventavano slitte. Da tutte le ossa lunghe si estraeva il midollo che, fatto a pezzetti, veniva bollito e messo dentro le vesciche. Quando si raffreddava prendeva l’aspetto ed il sapore del burro.


Cacciatori indiani in cerca di bisonti

Un altro uso delle vesciche era quello di contenitori per l’acqua, dopo essere state gonfiate e fatte asciugare. Oppure venivano riempite di sego per la conservazione durante la stagione fredda. Le vesciche, inoltre, fatte seccare, venivano riempite di sassolini per diventare giocattoli che le bimbe si divertivano ad agitarle, come maracas, per accompagnare le loro danze. I lunghi peli della criniera venivano intrecciati per fare corde o cavezze per i cavalli, oppure come riempimento per cuscini e selle. Con i tendini si facevano le corde per gli archi oppure con essi si poteva rinforzare il dorso degli stessi. Altro utilizzo si aveva tagliando i tendini in fili sottili e robusti con cui si cucivano le pelli o si facevano collane infilando perline colorate, denti di orso e conchiglie. Il cervello, quando non veniva lessato e mangiato, era usato per il trattamento delle pelli, mischiato ad altri materiali concianti. Gli zoccoli, lessati assieme ad ossa, pezzi di corna e midollo fornivano un ottimo collante. Anche la coda serviva, potendo diventare uno scacciamosche. Non tutto il ricavato del bisonte però veniva consumato.
I cronisti dell’epoca parlavano di importanti scambi commerciali tra le tribù nomadi e quelle stanziali dedite all’agricoltura. Le prime si sobbarcavano centinaia di chilometri per barattare con le seconde la carne conservata, il sego, le pelli ed i manufatti con mais, fagioli e zucche. Erano scambi equilibrati trattandosi di surplus in quanto le varie etnie erano autosufficienti per sé.


La danza del bisonte dei Mandan

Abbiamo visto l’uso che gli indiani facevano delle parti del bisonte. Ora ci occuperemo della preparazione della carne per le scorte invernali. Gli indiani usavano una tecnica tutta particolare ed il prodotto ottenuto sarà poi largamente usato anche dai trappers, coloni,cacciatori e persino dai soldati. Nell’inverno del 1863 il generale Sully attaccò e saccheggiò un villaggio Sioux composto di 400 tende. I soldati distrussero ed incendiarono tutto tranne un’enorme quantità di pelli ed una scorta di quasi duemila chili di carne secca di Pemmican.
Ma cosa era il Pemmican?
Il vocabolo Pemmican è originario del linguaggio dei Cree ed indica appunto la carne di bisonte, opportunamente trattata in modo da poter essere conservata. Abbiamo visto come le donne sezionavano l’animale, dopo la caccia, per trasportarne al villaggio i vari pezzi. Qui si procedeva alla successiva lavorazione. Per il pemmican si usavano solo le parti scelte e magre del bisonte: cosce, lombata, spalla.
Si tagliavano i pezzi in strisce lunghe e sottili, lasciandole essiccare per alcuni giorni al sole su appositi trespoli sollevati dal terreno. Successivamente le donne preparavano preparavano due fuochi con legna di pioppo e proseguivano l’essiccamento delle strisce di carne, grigliandole, alternativamente, su un fuoco e togliendole non appena il fumo si faceva denso, per passarle sull’altro fuoco stando bene attente a non farle bruciare. Si procedeva in questo modo fino a quando la carne non raggiungeva la consistenza tale per essere sbriciolata ed essere ridotta in polvere.
Questa successiva operazione si faceva su una pelle di bisonte, dalla parte senza peli, usando un flagello assai simile a quello che una volta i nostri contadini usavano sull’aia per far uscire il grano dalle spighe: un tozzo pezzo di legno duro legato ad un manico di legno più lungo. Mentre alcune donne erano così impegnate, le altre preparavano il sego facendo bollire e sciogliere le parti grasse della bestia e le mammelle delle femmine di bisonte.
Una vera e propria catena di montaggio.


Una pelle di bisonte riccamente dipinta

Altre donne preparavano le sacche entro cui conservare il pemmican usando la pelle dei fianchi di un bisonte giovane, cucite insieme.
Dentro queste sacche veniva versata la carne polverizzata ed il sego, in rapporto di quattro a due. Poi il tutto veniva rimescolato, con molta energia, per amalgamare bene il composto ed eliminare le bolle d’aria createsi all’interno della sacca. Altre volte,il miscuglio veniva messo a strati sovrapposti, poi, chiusa la sacca e lasciata raffreddare un poco, la donna vi saltava sopra e vi ballava a piedi uniti, per far uscire l’aria.
Le sacche pesavano 30,35 chili ciascuna. Per riempire una sacca ci voleva la carne scelta di due o tre bisonti. Un pemmican particolarmente apprezzato era quello con l’aggiunta di mirtilli, bacche ed altra frutta selvatica. Il valore nutritivo era di circa cinque volte superiore a quello della carne fresca. Inoltre, per questa preparazione si poteva usare anche la carne dei tori, più dura, meno ricercata e quasi immangiabile fresca. Questo composto poteva essere consumato così come era stato conservato, senza aggiungere altro, oppure il composto farinoso si versava nell’acqua calda per farne, secondo la densità, una sostanziosa minestra o un brodo particolarmente nutriente.
Per le suddette proprietà, oltre a quella di potersi conservare a lungo (addirittura per anni), e per la facilità di trasporto il pemmican ebbe, sul mercato degli scambi commerciali, una richiesta sempre crescente sia da parte dei bianchi, sia da parte di quelle tribù che non cacciavano il bisonte. Specialmente tra i pionieri del West, il pemmican ebbe un successo tale da poter essere paragonato alle scatolette di carne e alle gallette dei militari.


La preparazione del pemmican

Così ì pellerossa delle praterie si industriarono a produrre il pemmican non solo per loro, ma anche per gli altri, dando un notevole incremento all’annientamento delle immense mandrie di bisonti. Le sacche di pemmican, venivano conservate, per l’alimentazione invernale di tutto il villaggio (e non per singoli gruppi familiari), dentro buche scavate nel terreno,profonde circa due metri, con erba secca pigiata tutta intorno creando uno strato isolante dalla terra. Le buche erano poi rivestite di sassi per evitare la predazione da parte degli animali selvatici. C’erano ancora due modi di conservare la carne: l’affumicazione e l’essiccazione. L’affumicazione avveniva su griglie, fatte con bastoncini di legno, poggiate ad una certa distanza dalla brace e rivoltate continuamente fino a quando la carne non perdeva completamente il grasso, che, colando sulla brace, alimentava la produzione di calore e di fumo evitandone l’abbrustolimento. I pezzi di carne da affumicare erano strisce spesse non oltre i quattro centimetri e sezionate perpendicolarmente in modo da avere nella stessa striscia strati di carne magra alternati a quella grassa. La tecnica usata dagli indiani venne subito imitata dai bianchi tanto che ancora oggi quelle striscioline di carne affumicata, beef-jerky, si trovano nei supermercati americani.


Striscioline di carne appese per l’essicazione

L’altro modo di conservare la carne consisteva nel farla essiccare al sole. Si appendevano le strisce di carne a dei bastoni orizzontali, sostenuti da due grucce, fuori dalla portata dei cani e dai lupi, in zone del villaggio ben esposte al sole. Si lasciava così la carne per diversi giorni fino a che si seccava al punto da poter essere trasportata senza pericolo che si guastasse.

La concia è l’insieme dei trattamenti e delle operazioni effettuati sulle pelli degli animali allo scopo di renderle imputrescibili e mantenendone inalterata, allo stesso tempo, la struttura fibrosa. La pelle dei mammiferi, morbida allo stato umido, è soggetta alla putrefazione, mentre con l’essiccamento diventa cornea e quindi inutilizzabile. La pelle grezza di un animale appena abbattuto è un tessuto fibroso contenente circa il settanta per cento di acqua ed è per questo che senza trattamento diventa facilmente putrescibile. La concia è quindi un processo inteso a trasformare la pelle in cuoio mediamente la combinazione del collagene, le fibra del derma, con determinati prodotti concianti. Oggi noi abbiamo la concia al cromo, all’allume, al ferro ed all’olio minerale, utilizzando delle sofisticate apparecchiature, progettate ed appositamente costruite. I popoli antichi, non disponendo di tutto ciò, effettuavano la concia vegetale con un lungo procedimento. Utilizzavano, appunto, sostanze vegetali quali cortecce, foglie, frutti e baccelli. I prodotti più usati erano quelli della quercia, del castagno, dell’acacia e del pino che lasciavano marcire dentro l’acqua in cui poi immergevano le pelli. Utilizzavano, senza saperlo, l’acido tannico, contenuto nelle cortecce e nei frutti di quelle piante. I Pellerossa, però, avevano scoperto ed utilizzavano un altro metodo di concia. Una combinazione di azioni chimiche e fisiche che permetteva loro di ricavare dalle loro pelli dei prodotti raffinatissimi.
Dopo aver rimosso completamente i residui di carne e di grasso, le pelli di bisonte o di altro animale, vengono immerse per alcuni giorni in acqua e cenere fino a quando è possibile levarne i peli. Poi la pelle viene tesa su una cornice di legno oppure e fissata a terra con dei pioli ed è lasciata così per diversi giorni, cosparsa con cervello, di solito dello stesso animale che aveva fornito la pelle.


Essicazione della carne in una fotografia rarissima

Infine viene completamente depilata con un osso piatto reso affilato su di un lato, quasi fosse un rasoio. Di solito si usa una scapola od altro osso piatto. Con questo attrezzo si raschia ben bene sia la parte interna che quella esterna, appoggiandosi con tutto il peso del corpo, fino a renderla liscia ed asciutta. L’utilizzo della cenere non è poi un fatto tanto eccezionale.
Infatti nella cenere di legna è presente il carbonato di potassio che ha un alto potere sgrassante e sbiancante. Ecco perchè gli Indiani, dosando opportunamente la cenere, riuscivano ad ottenere pelli addirittura candide. Non a tutte le pelli venivano tolti i peli. Dipendeva dall’utilizzo successivo che se ne doveva fare.


Una donna indiana al lavoro su una pelle

Un altro sistema di concia era quello di immergere le pelli nell’urina, umana o dei cavalli, e lasciandovele per qualche giorno.
Altri prodotti usati per cospargere le pelli, mentre si asciugavano al sole, erano il midollo sia spinale che osseo, nonché le uova di volatili e rettili.
Inoltre la maggior parte delle pelli veniva sottoposta anche ad un’altra operazione, con cui acquistava valore e diventava ancora più utile: il procedimento di affumicazione.
Si scava una piccola buca in terra e dentro si accende un fuoco di legna verde, in modo di avere molto fumo e poca fiamma. Intorno alla buca si piantano dei bastoni che vengono legati insieme in cima. Poi sui bastoni si colloca una pelle, quasi fosse una tenda, cucendola in modo da non far uscire il fumo. All’interno si mettono le pelli da affumicare e le si lasciano lì per qualche giorno. In questo modo le pelli acquistano la qualità che permette loro, dopo essere state bagnate e ribagnate, di ritornare asciutte e morbide come prima. Sul fuoco si gettano rami e cortecce di determinati alberi il cui fumo poi conferisce il colore voluto alle pelli così trattate. Un vestito indiano di pelle di daino, bagnato centinaia di volte, si asciuga e ritorna soffice. Anche una tenda, rivestita con pelli di bisonte, rimasta tutto l’inverno sotto la piaggia, ridiventa asciutta e tersa come il primo giorno.

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