Strada aperta per John Wayne
A cura di Domenico Rizzi
Speciale a puntate: 1) John Wayne, un gigante del cinema western 2) La lunga gavetta di John Wayne 3) John Wayne: la ripresa del western 4) John Wyane, attore ormai affermato 5) Altri film di John Wayne 6) Strada aperta per John Wayne 7) Il meglio di John Wayne 8) Strade diverse 9) Alamo, un trionfo a caro prezzo 10) Uomo d’azione 11) Eroe nell’ombra 12) Gli anni del cambiamento 13) Il lento declino 14) La solitudine dell’eroe
The Fighting Kentuckian
Dopo “I cavalieri del Nord-Ovest”, Wayne alternò film western a pellicole di altro genere, quasi sempre di argomento bellico, specializzandosi sempre più nelle parti di militare.
In “The Sands of Iwo Jima” (titolo italiano: Iwo Jima, deserto di fuoco, uno scorcio della cruenta campagna nel Pacifico contro i Giapponesi), diretto nel 1949 da Allan Dwan e prodotto dalla Republic, il Duca indossò i panni del tirannico sergente John M., Stryker, che riesce a conquistare i suoi uomini – dapprima maltrattati – con il suo slancio. E’ l’ennesima interpretazione dell’eroe burbero e generoso, che finisce per guadagnarsi il rispetto e l’ammirazione dei subalterni, giungendo fino al sacrificio della propria vita in battaglia. Dal New York Times, Wayne ottenne un nuovo elogio (“E’ proprio la sua interpretazione a tenere insieme la storia”, Alan G. Barbour, “John Wayne”, Milano Libri, 1983, p. 41) mentre dai suoi compagni di lavorazione – John Agar, Forrest Tucker, Adele Mara ed altri – scaturì la proposta di candidarlo all’Oscar, che tuttavia John non riuscì ad ottenere.
Molto meno affascinante “The Fighting Kentuckian” (Dopo Waterloo) prodotto dallo stesso Wayne e distribuito dalla Republic, nel quale compare l’attore comico Oliver Hardy, già noto al pubblico per il sodalizio con Stan Laurel, con il quale aveva lavorato ininterrottamente dal 1926 alla fine della guerra. In questo film di poco conto, Wayne tornò accanto all’attrice Vera Ralston, sua partner quattro anni prima in “Dakota” (Il cavaliere audace).
Ma per fortuna, neppure un anno dopo la sua celebre interpretazione del capitano Nathan Brittles, doveva essere ancora John Ford a rilanciare le grandi qualità di Wayne nella parte a lui più congeniale. Il regista aveva appena terminato “Wagon Master” (La carovana dei Mormoni) con Ben Johnson, Harry Carey Jr., Ward Bond e la brava e delicata Joanne Dru, giudicato il migliore dei suoi film minori.
Con “Rio Bravo” ed il ritorno di Wayne, anche Ford tornava al grande cinema, quello meno spettacolare ma più impegnato, in cui la presenza del Duca era una garanzia di qualità del prodotto.
Il titolo originale del film era “Rio Grande”, ma in Italia venne distribuito come “Rio Bravo”. Ancora una volta traeva spunto da un racconto di James Warner Bellah: “Mission With No Record”. La sceneggiatura venne affidata a James Kevin Mc Guinness e gli esterni furono girati, tanto per non cambiare, nella Monument Valley, che avrebbe dovuto fare da sfondo ad una vicenda ambientata fra il Texas ed il Messico settentrionale, con un reparto di cavalleria all’inseguimento di una banda di feroci Apache.
Dopo “Il massacro di Fort Apache” e “I cavalieri del Nord Ovest”, Ford aveva già pensato a completare la sua serie sulla cavalleria, suggerendo al Duca il personaggio del tenente colonnello Kirby Yorke. Per inciso, il protagonista portava lo stesso nome dell’audace capitano interpretato da Wayne nel primo film della trilogia militare: evidentemente non una semplice coincidenza, bensì l’espresso desiderio del regista di dare un’ideale continuità alle sue storie precedenti. Infatti in “Rio Bravo” comparivano ancora il corpulento sergente Quincannon (Victor Mc Laglen) ed il sergente Tyree (Ben Johnson) già protagonisti de “I cavalieri del Nord-Ovest”.
La locandina di “Dakota”
La colonna sonora era curata da Victor Young, che, senza eccedere, faceva di “Rio Bravo” il più musicale dei film di Ford, basandosi ancora una volta sulle nostalgiche canzoni dei soldati, come “I Take You Home Again, Kathleen”, “My Gal Is Purple” e le trascinanti note di “Dixie”, l’inno della sconfitta confederazione sudista.
Rispetto a “Fort Apache” ed a “I cavalieri del Nord-Ovest”, la presenza femminile – rappresentata dalla trentenne Maureen O’Hara (Kathleen Yorke) – appariva più robusta e maggiormente autoritaria. Merito senz’altro del temperamento della focosa attrice irlandese, ma anche degli stimoli che la vicinanza di Wayne le dava. Verso questo attore, avrebbe infatti sempre manifestato una forte simpatia: “Sono gelosa di tutte le altre sue partner…E’ infantile, lo ammetto, ma non posso farci nulla. E’ l’essere umano più tenero, gentile, simpatico, leale che io abbia mai conosciuto.”
Per certi aspetti, però, “Rio Bravo” costituì il punto più debole della trilogia fordiana.
La storia non aveva il vigore di “Fort Apache”, né la suggestione romantica de “I cavalieri del Nord-Ovest”. A salvare il film contribuirono notevolmente la bravura dei suoi attori e lo humour di Ford, oltre, naturalmente, all’ambientazione ed al commento musicale. E’ quasi inutile sottolineare l’eccezionale statura di Wayne, impegnato in un’altra parte ritagliata su misura per lui.
Forse, osservandolo nei panni del capitano Nathan Brittles e poi in quella del colonnello Kirby Yorke, qualche generale americano si rammaricò davvero che a John non fosse stato consentito di arruolarsi come ufficiale durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1951 Wayne lavorò in due film di seconda scelta, prima di tornare alla ribalta con un altro successo.
Sotto la regia di Richard Waggener, autore anche della sceneggiatura, girò “Operation Pacific” (Lo squalo tonante) per la Warner Bros, insieme a Patricia Neal e Ward Bond. Quindi, con Nicholas Ray fu protagonista di “Flying Leathernecks” (I diavoli alati, prodotto dal miliardario Howard Hughes) accanto a Robert Ryan, Don Taylor e Janice Carter,. Anche in quest’ultimo film, il Duca impersonò un ufficiale incaricato di formare uno speciale reparto d’aviazione. La pellicola uscì in technicolor, con l’effetto di dare maggior risalto alle numerose sequenze d’azione abilmente sceneggiate da James Edward Grant.
Ma Wayne non ottenne altre affermazioni di prestigio fino al nuovo lavoro di John Ford, dal titolo “The Quiet Man”, il più “irlandese” dei film del regista, fortemente ancorato alle sue origini.
Prodotto dalla Republic nel 1952 e sceneggiato da Frank S. Nugent, “Un uomo tranquillo” rappresentò un piccolo capolavoro nella carriera di John, temporaneamente sganciato dai consueti personaggi con le stellette.
Un’immagine tratta da “The Quiet Man”
Circondato da un cast quasi tutto irlandese – Ward Bond, Barry Fitzgerald, Maureen O’Hara, Victor Mc Laglen, Francis Ford – Wayne assunse i panni dell’ex pugile Sean Thornton, rientrato in patria, a Innisfree, dopo avere abbandonato il ring che gli aveva dato popolarità negli Stati Uniti. Innamoratosi della bella Mary Kate Danaher (Maureen O’Hara) ma contrastato dal fratello di lei, Red Will (Victor Mc Laglen) Thornton riuscirà alla fine a spuntarla, con una scazzottata degna del miglior western, al termine della quale l’ostinato Danaher concederà a Sean il suo assenso a sposare la sorella.
Dunque, un altro film di successo e soprattutto un assortimento di attori vincente. La coppia Wayne – O’Hara si andava affermando come una delle più affiatate e convincenti del momento.
Nei due anni successivi, John interpreta tre film minori con altrettanti registi diversi: Edward Ludwig lo dirige in “Big Jim Mc Lain” (Marijuana, 1952) il grande Michael Curtiz in “Trouble Along The Way” (L’irresistibile Mister John, 1953) e William A. Wellman in “Island In The Sky” (L’isola nel cielo, 1953). Poi, finalmente, nel 1953 Wayne torna al western.
Il regista John Farrow porta sullo schermo una storia di Louis L’Amour, uno scrittore fra i più noti del genere per l’interminabile serie di storie sul vecchio West (135 opere, 100 milioni di copie vendute nel mondo) pubblicata inizialmente come racconto dal titolo “The Gift of Cochise” e divenuta poi un vero e proprio romanzo con 325.000 copie vendute in pochi mesi.
Il film, coprodotto da Wayne e Fellows e sceneggiato da James Edward Grant, portava il nome del suo protagonista: “Hondo”. Narrava infatti la storia di un portaordini militare, di nome Hondo Lane (John Wayne) alle prese con una donna e con il suo bambino, abbandonati dal marito e minacciati dagli Apache. Benchè il lavoro di Farrow non avesse grandi pretese – fra l’altro Wayne ebbe un doppiaggio inadatto nella versione italiana, che manteneva il titolo americano – venne definito da qualche critico “il miglior western di Wayne non diretto da John Ford” (Alan G. Barbour, “John Wayne”, Milano Libri, 1979, p. 103). Partner del Duca era la brava Geraldine Page, mentre fra gli altri attori si notava un barbuto e quasi irriconoscibile Ward Bond, insieme a James Arness e Michael Pate.
John Wayne in “Hondo”
In realtà, il soggetto appare, almeno nella riduzione cinematografica, abbastanza banale ed il film soffre, in generale, di molte carenze: colori decisamente innaturali e contrasti troppo marcati, colonna sonora poco coinvolgente, dialoghi troppo scontati. Gli Indiani – Chiricahua Apache – ricalcano eccessivamente il clichè tradizionale dei “B-Movies” e la stessa Page non sembra troppo a suo agio nella parte assegnatale.
John Wayne, ancora una volta si salva con l’esperienza e con un paio di buone battute quasi degne de “I cavalieri del Nord-Ovest”. Memorabile quella in cui finge di snobbare la sua partner dicendole: “Le donne credono sempre che ogni uomo le desideri”.
Ma siamo ovviamente assai lontani dallo humour delle migliori pellicole di Ford.
Dopo questo temporaneo ritorno alla normalità, Wayne si cimenta con l’avventura, riuscendo a volte ad offrire qualche spunto di interesse, come in “Island In The Sky” (L’isola nel cielo, 1953) diretto da William A. Wellman, “The Sea Chase” (Gli amanti dei Cinque Mari, 1955) di John Farrow, sceneggiato addirittura dallo scrittore James Warner Belllah affiancato da John Twist e “Blood Alley” (Oceano Rosso, regia di William A. Wellman, 1955).
Ma, nonostante la presenza di attrici note, quali Lana Turner e Lauren Bacall, moglie del grande Humphrey Bogart, queste pellicole possono soltanto considerarsi di ordinaria routine per il Duca.
L’asso che riporterà in alto le sue quotazioni lo calerà nuovamente John Ford, con quello che viene considerato in assoluto il suo capolavoro ed uno dei migliori film di tutti i tempi: “Sentieri selvaggi”.