Sopravvivere nel west

A cura di Mario Raciti

Nel vecchio West, la sopravvivenza era il primo pensiero che svegliava ogni mattina ogni uomo e donna della Frontiera. Chi viveva nei ranch e nelle fattorie isolate aveva il peso di tutto ciò che succedeva sulle proprie spalle. Chi invece abitava nelle rozze cittadine del West aveva a disposizione “servizi” un po’ meno primitivi ma sempre e comunque assolutamente insufficienti. Vigeva quindi la regola del “chi fa da sé, fa per tre”. Come nel caso della signora Barbara Jones, abitante nel Territorio del New Mexico nel 1870, la quale, un giorno, vide spuntare uno dei suoi dieci figli con un profondo taglio alla palpebra.
Il dottore più vicino distava ben 150 miglia e la signora Jones, facendosi forza, fece sdraiare il figlio sul grosso tavolo della cucina e, usando il suo kit da cucito, sistemò la palpebra del figlio, che grazie a questo coraggioso gesto riuscì a salvare l’occhio.
Oppure la situazione in cui si venne a trovare il trapper Jedediah Smith, che venne quasi scalpato da un orso. “Sistematemelo” ordinò ai suoi uomini, i quali presero ago e filo e ricucirono lo scalpo sul cranio del leggendario trapper.

Un campo rudimentale

La vita nel West era ogni giorno sempre una sofferenza, completamente l’opposto dal romanticismo che ci è stato tramandato da film e libri. Gli uomini e le donne dovevano lottare contro ogni genere di avversità: sopravvivere però non significava solo curare le ferite o sistemare ossa rotte. Significava anche prodigarsi per riuscire a mettere qualcosa sotto i denti, mantenere la famiglia, lottare contro le malattie.


Un campo rudimentale

Una raccolta delle più comuni regole per la sopravvivenza applicate nel West, unita a numerosi aneddoti a volte anche incredibili, potrà
testimoniare la dura vita a cui erano destinati pionieri, cowboy, trapper, avventurieri…

Sopravvivere nel deserto
Gli sfortunati che rimanevano intrappolati negli spietati deserti del West potevano contare su alcuni accorgimenti in caso di immediato bisogno, quando per esempio erano rimasti senza viveri o senz’acqua. Per poter sopravvivere e non morire di fame, una preziosa alternativa erano i pipistrelli. Venivano catturati battendo con un grosso bastone le volte delle caverne e, prima di pulirli, aspettavano fin quando i parassiti non ne abbandonavano i corpi. Quindi venivano spellati e arrostiti sul fuoco. La loro carne era bianca, tenera e deliziosa. Serpenti e lucertole erano un’altra alternativa, così come i petali dei fiori. Se essi però risultavano amari o generavano un liquido incolore, si passava subito alla ricerca di qualcos’altro. La corteccia degli alberi, specialmente di betulla e salice, veniva cotta sui carboni fin quando non risultava abbastanza masticabile.

Attraversamento del deserto
Se si era anche a corto di acqua, una delle migliori soluzioni era la polpa dei cactus, che veniva spremuta per recuperarne il prezioso liquido. Altra possibilità era un bottone. Proprio così: tenendolo sotto la lingua, stimolava la produzione di saliva che così manteneva umida la bocca.
Anche il sole era una delle maggiori preoccupazioni. Per potersi proteggere venivano costruite delle intelaiature con steli di yucca o qualsiasi altra pianta a portata di mano.


L’attraversamento del deserto

La cima e i lati venivano chiusi con arbusti intrecciati. Quando disponibile veniva anche utilizzata della stoffa.

Pietre nelle scarpe
Lungo le polverose piste del West, le pietre erano una delle tante preoccupazioni. Si infilavano dappertutto dentro le scarpe, causando ovvi disagi a chi camminava. Per ovviare al problema, si consigliava agli avventurieri e ai viaggiatori di avvolgere della stoffa attorno alle caviglie ed intorno alle scarpe, evitando così che pietre e pietruzze entrassero dentro le scarpe.

Rimedi casalinghi
Le donne “pioniere”, provenienti dall’Est, portavano spesso con esse alcuni rimedi “della nonna”, altre imparavano quelli dei Nativi. Per la malaria, chiamata anche “ague”, si credeva che un pollo appena ucciso potesse aiutare a curarla, se la sua carne sarebbe stata messa sui piedi nudi mentre il malato ingoiava una ragnatela appallottolata!
Per indurre la sudorazione, si preparavano infusi (tè) di elleboro. Per i reumatismi, usavano sacchetti di radici. E per fermare le emorragie coprivano la ferita con ragnatele. Credevano che la trementina guarisse ogni dolore; che il tabacco aiutasse contro i morsi della formica rossa; o che la ferita di un chiodo richiedesse un panno imbevuto di petrolio per scongiurare il tetano.

Contro i morsi del crotalo
E’ impossibile, leggendo un diario del West, non incappare in qualche testimonianza o consiglio concernente i numerosi e letali serpenti a sonagli, dei quali si diceva “rovinano ogni picnic, compromettono ogni gita”. Antidoti contro i morsi dei crotali includono polvere da sparo e aceto; brandy e sale; allume; un composto fatto con cenere di corteccia; succo di tabacco; oppure applicare sulla ferita la parte carnosa della coda del serpente stesso (ovviamente ucciso) che permetterà la fuoriuscita del veleno.

Guarire il cancro con la polvere da sparo
La signorina Edith Wheleer del Texas riporta che riuscì a curare un cancro alla pelle di cui suo zio Rufe soffriva usando l’unguento per verruche di sua madre, fatto di erba e foglie tritate di una pianta chiamata “acetosa di pecora”. “Non so come avrebbe combattuto il cancro, ma spiegai a zio Rufe che certamente non sarebbe stato l’unguento ad ucciderlo… Così aggiunsi della polvere da sparo e cosparsi il cancro quotidianamente con quella robaccia… Zio Rufe lamentava che ‘bruciava come l’inferno’… Ma dopo cinque giorni quel cancro si staccò dalla sua faccia come una crosta secca”.

Ferite da sparo
Le ferite d’arma da fuoco erano l’inizio di qualcosa di brutto. Dopo il parto, queste erano il secondo motivo per cui i feriti richiedevano un dottore. Qualche volta amici o familiari riuscivano ad estrarre le pallottole, ma spesso si concentravano di più nel fermare l’emorragia pregando che l’infezione non sopraggiungesse. In questi casi è ovvio che qualsiasi dottore era ben accettato.

Cacciatori e trapper
Molti riportano della morte di cinquantottenne, nel 1901, che aveva ricevuto due proiettili calibro .32 nell’addome. Dopo che il medico ebbe estratto le pallottole disse che l’uomo si sarebbe presto ripreso. Invece morì otto giorni dopo. Era William McKinley, il 25esimo presidente degli Stati Uniti.

Incubi notturni
Come Joanna L. Stratton scrive nel suo Pioneer Women: Voices from the Kansas Frontier: “Durante la notte, mentre l’oscurità copriva come una coperta la prateria, un senso di solitudine si impadroniva della casa… era durante queste notti che coyote e lupi con i loro ululati portavano il terrore in ogni casa della frontiera. Dopo che giravano per la prateria, questi animali rapaci attaccavano e ferivano senza nessuna provocazione e senza pietà”.


Cacciatori e trapper

Le famiglie presero presto la buona abitudine di tenere sotto mano delle armi in caso di ripetuti attacchi di questi animali contro le loro case.

Fuoco nella prateria
Il fuoco che si impadroniva della prateria era ovviamente una paura continua per i coloni del West. Per proteggere le loro fattorie molti pionieri scavarono nella terra una lunga e profonda trincea che chiamarono “guardia del fuoco”. Ma le fiamme, alimentate dai venti, spesso riuscivano a superare questi solchi. Allora era necessario combatterle utilizzando secchi d’acqua, coperte bagnate e sacchi di grano.

Strane bevande
I pionieri qualche volta preparavano un “caffé” dal grano secco e usavano grani di sorgo per zuccherarlo. Preparavano l’aceto dal succo di melone e lo sciroppo dalla resina degli alberi.

Senza burro
I carri dei pionieri erano completamente pieni di necessità che la nuova vita nel West avrebbe richiesto. Non c’era quindi spazio per gli attrezzi con il quale preparare il burro. Ma la mente creativa delle donne di Frontiera riuscì a trovare la soluzione a questa mancanza: capirono subito che mettendo il latte appena munto in un contenitore sotto il carro, i costanti movimenti di quest’ultimo avrebbero prodotto dell’ottimo burro per la sosta serale.

L’approvvigionamento dei pionieri
Come scrive Lillian Schlissel in Women’s Diaries of the Westward Journey, la Emigrant’s Guide to Oregon and California nel 1845 raccomandava ai pionieri di portare con essi 200 pounds di farina (poco più di 90 kg), 150 pounds di bacon (68 kg), 10 pounds di caffè (4 kg), 20 pounds di zucchero (9 kg) e 10 pounds di sale (4 kg). Insieme a tutto questo, bisognava portare anche carne di manzo, riso, tè, fagioli secchi, frutta secca, baking soda (il saleratus, vale a dire il lievito), aceto, salamoie, senape e sego. Più tardi, un pioniere scrisse che il viaggio non poteva essere intrapreso senza una scorta di medicine, che includevano “un quarto di olio di ricino, un quarto di buon rum e una buona quantità di essenza di menta piperita”.

Guarire il mal d’orecchi nel 1869
Un buon rimedio, “per dare un sollievo istantaneo” era il seguente: bisognava prendere un piccolo pezzo di ovatta, farvi una depressione al centro e riempirla di pepe fino all’orlo; quindi si richiudeva il tutto, si legava e si immergeva dentro dell’olio dolce, per poi inserirlo dentro l’orecchio. Non rimaneva che coprire l’orecchio con altra ovatta ed una benda.

Come pulire i capelli
Prendere un’oncia di borace e mezza oncia di polvere di canfora e sciogliere il tutto in un quarto di acqua bollente. Quando si raffredda, la soluzione potrà essere utilizzata per lavare i capelli. “Questo tipo di lavaggio lascia i capelli puliti e forti, proteggendo il colore ed impedendone lo schiarimento” riporta un numero del The Miner, quotidiano del Territorio dell’Arizona, nel 1868.

Segreti di un cuoco
Il pasto solito durante i roundup era simile a questo, come riporta un vecchio cuoco da ranch:
“Potevamo avere carne ad ogni pasto. Una grassa giovenca venne uccisa al tramonto e appesa fuori al fresco. Prima che il sole spuntasse presi la quantità di carne che mi serviva per quel giorno e avvolsi il resto con della tela catramata, mettendo l’involto all’ombra. Dopo il tramonto tolsi la tela e misi nuovamente la carne fuori. Rimasi sorpreso quando mi accorsi di come la carne si era conservata dopo quel trattamento. Fagioli al forno, patate e biscotti caldi venivano serviti ad ogni pasto. Sciroppo veniva utilizzato al posto del burro. Frutta secca cucinata con dello zucchero era il dessert. Latte in scatola veniva acquistato in città. In quei giorni il caffé veniva chiamato ‘Jamoka’. Il tè non veniva mai preparato. La caffettiera era sempre piena quando i ragazzi erano tutti al ranch”.

Nascita indiana
Nella tribù degli indiani Papago, una neo-mamma veniva rinchiusa in una capanna di arbusti appositamente costruita. Lei ed il neonato rimanevano lì dentro per un mese intero, sotto uno stretto regime che includeva speciali pietanza che solo la donna poteva toccare. Anche il padre era soggetto alla dura disciplina: non poteva andare a cacciare né a combattere prima che il figlio fosse nato. Alla fine del mese, la famiglia celebrava una cerimonia simile al battesimo ed il bambino era benvenuto nella tribù.

Scegliere il nome più brutto
Mentre l’Arizona aveva una cittadina chiamata Tombstone (Lapide) e il Colorado ne aveva una detta Monument (Lapide), alcuni nomi sembravano improbabili. Come riporta il Tombstone Epitaph nel 1887, “Nessun Stato o Territorio comprende cittadine chiamate Shroud (Sudario), Coffin (Bara) o Corpse (Cadavere). In verità, le possibilità di nomenclature orribili non sono esaurite”.

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